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lunedì 28 gennaio 2013

LA PSICOLOGIA E SAN TOMMASO D'AQUINO - di ROBERTO MARCHESINI

28 Gennaio 2013, memoria di san Tommaso d'Aquino. Nel panorama delle pubblicazioni italiane, solo pochissimi autori si occupano di psicologia cattolica. Ancora meno, all'interno di questa categoria, sono i testi che si interessano esplicitamente della pratica clinica. A ricoprire questa mancanza - segno del baratro che divide la sponda della psicologia da quella della riflessione filosofica da parte dei cattolici - è intervenuto Roberto Marchesini già nel 2009, con la pubblicazione dell'ormai fondamentale volume: Psicologia e Cattolicesimo, ed. D'Ettoris, Crotone. In quel testo, Marchesini ripercorreva il filo rosso dei rapporti tra la cristianità e la scienza psicologica, per lasciare poi ampio spazio alla testimonianza di Rudolf Allers, psicologo e terapeuta cattolico che ha fondato teoria e prassi sull'antropologia di san Tommaso d'Aquino. Allers ha compiuto il più interessante e profondo tentativo di fondazione di una psicologia cattolica. Ma non è stato l'unico. Negli stessi suoi anni, anche altri tre studiosi e medici, un padre redentorista, una psichiatra olandese ed un medico emigrato negli Stati Uniti, hanno studiato ed operato sulle nevrosi cercando di coniugare in una sintesi nuova ed originale il contributo della psicoanalisi freudiana con l'antropologia tomista. Il risultato è stato un nuovo modo di intendere alcuni quadri clinici e di operare nella psicoterapia, che Marchesini presenta ed analizza nel volume: La psicologia e san Tommaso d'Aquino, ed. D'Ettoris, Crotone, 2013. A differenza di Allers, il quale dopo aver praticato per anni la psicologia del profondo - ed in particolare la psicologia individuale di Adler - ha criticato e confutato in toto il modello psicoanalitico, Padre Duynstee, Anna Terruwe e Conrad Baars adattano il tracciato della psicoterapia psicoanalitica con le rotte segnate dall'antropologia tomista. Il risultato, a mio avviso, è una "fusione a freddo" che può suscitare "perplessità" come afferma lo stesso Marchesini nell'introduzione. Ciononostante è lodevole il tentativo, ed importante conoscerlo e studiarlo, per due motivi, a mio avviso: 1) per l'originalità con cui questi autori propongono il loro contributo all'interno di un mondo di credenti che troppo spesso ha anteposto il dogma freudiano all'appartenenza alla Chiesa ed ai suoi contributi antropologici; 2) per la radicalità delle posizioni dei tre autori, i quali cercano di non ridurre né il contributo psicoanalitico, né tanto meno quello tomista. Quest'ultimo aspetto è ciò che li distanzia da altri pensatori - come il Nuttin - i quali pur non contrapponendosi al Magistero (come, invece, sembrano inclinare la maggior parte dei cattolici psicoanalisti, uno su tutti Mazzoccato) spesso non compiono una verifica sui fondamenti della psicoanalisi stessa. La radicalità del tomismo, invece, impone a Terruwe e Baars una riflessione profonda - non senza errori, come si diceva - su concetti chiave della pratica terapeutica come nevrosi, compulsione, volontà, emozione.
Il merito principale del volume consiste, dunque, nella presentazione chiara e sistematica dell'antropologia tomista, così come essa è utile allo psicologo ed in particolare al clinico. Non mancano, infatti, i volumi di psicologia scritti dai filosofi (tra i più interessanti, quello di Verneaux e di Jolivet, quest'ultimo reperibile on-line grazie al sito Totus Tuus), mentre era assente una sintesi operativa, utile allo psicologo clinico, sino a quest'importante opera di Marchesini. 


La Psicologia e San Tommaso d’Aquino

di Roberto Marchesini
Edizioni D’Ettoris, 2013, Crotone

Il testo si apre con l’invito alla lettura del dottor Ermanno Pavesi, psichiatra e docente di psicologia, il quale mette a fuoco “le radici antiche della psicologia del profondo”: «La cultura moderna intesa come cultura della modernità tende a presentarsi come originale e autonoma, e ad affermare la propria identità in opposizione alle culture precedenti. Psicologie e psicoterapie moderne non fanno eccezione e guardano con superiorità le psicologie del passato da cui ritengono di non aver nulla da imparare» (p. 9). Ma «E’ necessario quindi ricordare che già la filosofia greca antica aveva fornito una descrizione differenziata della vita psichica, e questo non in base a principi astratti, ma in base all’introspezione e all’osservazione, come dimostrano, ad esempio, le opere di Platone […]» (p. 11). «Ciò che distingue molte psicologie moderne dalla psicologia di Platone, non è né il concetto di conflitto psichico, né quello di inconscio, ma la loro interpretazione naturalistica che svaluta e demitizza la parte spirituale dell’anima, alla quale viene negata una dignità particolare. Anzi, la parte superiore dell’anima viene considerata come una sovrastruttura, cioè una struttura prodotta originariamente dai processi biologici o dai rapporti sociali e che, non tenendo il passo delle trasformazioni successive, ostacolerebbe e frenerebbe la dinamica psichica. Il conflitto che ne nascerebbe dovrebbe essere risolto a favore dei meccanismi sottostanti, con una valutazione negativa dei modelli di comportamento proposti dall’educazione perché limiterebbero la spontaneità e l’autorealizzazione individuali» (p. 12).
La ricca presentazione del volume è curata dal professor Martin F. Echavarria, direttore del dipartimento di Psicologia presso l’Università Abat Oliba di Barcellona, il quale si riferisce all’antropologia tomista “quale fondamento della psicoterapia”. «Non diciamo niente di nuovo affermando che ogni scuola di psicoterapia dipende da premesse antropologiche esplicite o implicite. Molti autori non solo lo hanno fatto notare, ma hanno anche fondato le loro pratiche su determinate filosofie» (p. 15). «Purtroppo le filosofie, e in particolare le antropologie sulle quali si fondano la maggior parte delle scuole di psicoterapia, sono non soltanto lacunose, ma in generale apertamente contrarie alla sana ragione e a quello che sull’uomo ci insegna la Rivelazione» (p. 16). «Purtroppo questa problematica non è ancora stata affrontata a fondo dal punto di vista cattolico. Sebbene sia possibile trovare alcuni buoni psicoterapeuti cattolici, essi si sono formati teoricamente e praticamente come hanno potuto, ricorrendo generalmente all’eclettismo e con una concezione piuttosto confusa dell’essere umano. Un lavoro, obbligatoriamente di lunga durata, è necessario allo scopo di un chiarimento delle basi antropologiche della psicoterapia e per costruire ponti tra questa concezione e le particolari circostanze della pratica psicologica al giorno d’oggi. Sono convinto che il pensiero filosofico e teologico sull’uomo di San Tommaso d’Aquino sia un punto di partenza molto vantaggioso per questo obiettivo di fondazione antropologica» (p. 17).
Nell’introduzione, l’autore apre al tema elencando i quattro modelli di rapporto tra la scienza, in generale, e la fede: «Il modello NOMA (non-overlapping magisteria). Secondo questo modello […] la scienza e la fede costituiscono “due magisteri non sovrapposti separati da una vasta terra di nessuno”. […] Il modello razionalista (o illuminista). Secondo la visione razionalista […] la fede – in quanto pericolosa credenza irrazionale – non può fornire alcun contributo alla ricerca della verità. […] Il modello fideista. Questa posizione, speculare a quella razionalista, sostiene che la verità può essere solo rivelata (quindi accessibile esclusivamente attraverso la fede) e mostra una sfiducia nei confronti della ragione. […] Il modello scolastico. Secondo questo modello esiste un’unica verità, raggiungibile per vie diverse sia attraverso la fede che attraverso la ragione. […] Senza alcuna pretesa di scientificità, si può affermare che, nel mondo psicologico, prevale una posizione di tipo razionalista […]. Tra gli psicologi credenti, invece, sembra diffuso il modello NOMA, che prevede una “doppia verità”: una verità “psicologica nei luoghi di svolgimento della professione ed una verità “religiosa” nella vita privata. Questa situazione, oltre ad essere poco sostenibile dal punto di vista logico, pone gli psicologi credenti in una sgradevole condizione di “scissione”» (p. 23-26).
Il primo capitolo è dedicato “ai protagonisti”. Padre Willem Duynstee, docente e poi rettore dell’Università Cattolica di Nijmegen, «interessatosi […] alla relazione tra psicologia freudiana e antropologia tomista, tenne nel 1935 una relazione intitolata “La teoria della repressione giudicata da un punto di vista tomista”, che può essere considerata l’origine del modello teorico-clinico proposto da Terruwe e Baars» (p. 29). Anna Terruwe, medico e psichiatra, «nel 1949 conseguì il dottorato con la tesi intitolata “De neurose in het licht der rationeele psychologie” e ispirata ad un precedente lavoro di padre Duynstee» (p. 32). Conrad Baars, medico olandese che «verso la fine degli anni ’50, deluso dal metodo psicoanalitico, stava seriamente pensando di abbandonare la psichiatria e di tornare alla medicina generale. Durante un viaggio in Olanda fece visita ad un cugino monaco benedettino […] che gli parlò del lavoro della dottoressa Terruwe. […] Quando, finalmente, decise di leggerlo, ne rimase “elettrizzato”: contattò la dottoressa Terruwe, si propose di tradurre il suo libro in inglese e ne curò la prima edizione negli Stati Uniti» (p. 34).
Il secondo capitolo presenta “la psicologia tomista”, «soprattutto come è stata sintetizzata dal domenicano Robert Brennan nel suo libro Thomistic Psychology. A philosophic analysis of the nature of man» (p. 37). L’autore presenta sinteticamente, anche con l’utilizzo di schemi e tabelle riassuntive, le facoltà ed i dinamismi dell’uomo: «l’uomo possiede l’anima razionale, anch’essa con le corrispondenti facoltà (intellettiva e volitiva) oltre a quelle dell’anima vegetativa e sensitiva» (p. 38); «le facoltà sensitive sono alla base della conoscenza umana. San Tommaso distingue cinque sensi esterni e quattro interni. I cinque sensi esterni sono vista, udito, olfatto, tatto e gusto; i quattro sensi interni sono il senso comune, la facoltà immaginativa, quella estimativa e la memoria» (ib.); «la conoscenza suscita diverse passioni o appetiti, che possono essere di due tipi: concupiscibili o irascibili. Per quanto riguarda gli appetiti concupiscibili, abbiamo l’amore quando un oggetto è riconosciuto come un bene, l’odio quando è riconosciuto come un male; il desiderio o concupiscenza quando il bene non è ancora raggiunto, la fuga o ripugnanza quando il male non è ancora evitato; abbiamo infine il piacere o la gioia quando il bene è raggiunto, il dolore o la tristezza quando non si è potuto evitare il male. Per quanto riguarda gli appetiti irascibili, essi riguardano un bene arduo (cioè difficile da raggiungere) o un male arduo (cioè difficile da evitare). Avremo quindi la speranza o la disperazione di raggiungere un bene arduo e il timore o l’audacia di sfuggire un male arduo. Isolata, senza un contrario, sta l’ira, risposta ad un male già inflitto» (p. 39); «la facoltà locomotoria è l’ultima delle facoltà sensitive, e comprende i riflessi, le reazioni psicosomatiche e i movimenti volontari» (p. 40); «anche l’anima razionale, come quella sensitiva, è dotata di una facoltà conoscitiva, l’intelletto, e di una appetitiva, la volontà. L’intelletto ha la funzione di astrarre concetti universali dal materiale fornito dai sensi» (ib.); «l’appetito razionale è la volontà. Essa si distingue dagli appetiti sensitivi perché questi tendono necessariamente verso l’oggetto, mentre la volontà tende liberamente verso l’oggetto» (p. 42).
Il terzo capitolo affronta “la psicologia clinica”: «Terruwe e Baars accettano la teoria freudiana secondo la quale la nevrosi è la conseguenza di un conflitto inconscio (cioè non accessibile alle facoltà razionali) tra una emozione (cioè una passione, nel linguaggio tomista) ed una forza che vi si oppone. Vanno però evidenziate due importanti differenze rispetto al modello proposto da Freud: la prima è che Terruwe e Baars individuano anche delle nevrosi non originate dal fenomeno della rimozione (come vedremo in seguito); la seconda consiste nel fatto che l’agente della rimozione non è identificato con il super-io freudiano, bensì (coerentemente con la psicologia tomista) con un’altra emozione» (p. 45). «Secondo la psicologia tomista, abbiamo due tipi di appetiti sensitivi (concupiscibili ed irascibili) e un appetito razionale (la volontà); dunque il conflitto può sorgere tra un appetito sensitivo e la volontà oppure tra un appetito concupiscibile ed uno irascibile» (p. 46). «Terruwe e Baars sostengono che il conflitto può evolvere in due modi: o l’emozione rimovente permette all’emozione rimossa di esprimersi in qualche modo, oppure impedisce qualunque manifestazione della seconda. A queste due possibilità corrispondono i due tipi di nevrosi clinicamente accertati: la nevrosi da conversione isterica nel primo caso, quella ossessivo-compulsiva nel secondo» (p. 47). «Come abbiamo visto in precedenza, Terrewue e Baars descrivono un tipo di nevrosi che non ha origine nel meccanismo della rimozione. […] Per tornare alla psicologia tomista, si tratta della formazione e dello sviluppo degli appetiti concupiscibili (amore, odio, desiderio, ripugnanza, gioia e dolore): il disturbo da deprivazione affettiva consiste propriamente in una mancanza di sviluppo di questi appetiti. […] Nel caso di mancata affermazione, la persona può sviluppare tre principali sintomi: 1. Impossibilità di stabilire rapporti normali con gli altri. 2. Senso di incertezza e insicurezza. 3. Senso di inferiorità ed inadeguatezza. […] Il lavoro terapeutico con questi pazienti ha invece, secondo Terrewue e Baars, l’obiettivo di aiutare il paziente a compiere una crescita affettiva sufficiente. In particolare, il terapeuta ha il compito di fornire al paziente l’affermazione emotiva che non gli è stata fornita durante lo sviluppo» (p. 54-58).
L’ultimo capitolo è dedicato agli “approfondimenti”: il primo tratta delle “passioni”: «hanno la funzione di “muovere” la persona verso il bene e lontano dal male» (p. 61). «Per san Tommaso, infatti, le passioni sono buone quando sono in sintonia con la ragione, e cattive quando non lo sono. La facoltà di regolare le passioni in conformità della ragione è la virtù della temperanza […]» (p. 62). «In conclusione, le passioni non sono un ostacolo alla piena realizzazione dell’uomo. Certamente esse devono essere orientate (tramite la temperanza), allo stesso modo in cui deve essere orientata la ragione» (p. 64). Il secondo approfondimento parla della “volontà”: «L’antropologia tomista prevede che gli appetiti sensitivi sono fatti per obbedire alla ragione, anche se non sempre ciò accade. Secondo terruwe e Baars, se un appetito concupiscibile rimuove un appetito irascibile la ragione non può intervenire, e si assiste alla nascita di una nevrosi. Dunque esiste la possibilità che ci siano atti non determinati, o non determinati completamente, dalla volontà; per i quali, quindi, il giudizio morale è perlomeno attenuato» (p. 65). Il terzo, infine, al “peccato originale”: «Il concetto di peccato originale è fondamentale sia dal punto di vista antropologico e psicologico che da quello morale e penale» (p. 66). «L’uomo è creato buono. In seguito al peccato originale la natura umana è inclinata al peccato, nel senso che è più facile compiere il male piuttosto che il bene; tuttavia essa non è definitivamente corrotta […]. Ne deriva che l’uomo è ontologicamente libero, quindi responsabile, anche se la responsabilità può essere limitata in varia misura in alcuni casi specifici» (p. 67-68).
In appendice al volume, infine, vengono declinati dieci “principi (aristotelico-) tomisti e loro applicazione clinica”, che i lettori di Psicologia e Cattolicesimo possono visionare integralmente a questo indirizzo: http://www.psicologiacattolicesimo.blogspot.it/2012/12/principi-aristotelico-tomisti-e-loro.html
Il libro si chiude con una breve postfazione di padre Giovanni Cavalcoli, ed una ricchissima bibliografia di preziosi (e poco noti) testi di psicologia cattolica.