È una
miniera di giudizi, rari e preziosi, Ti penso positivo (ed.
Paoline, 310 pp., 16 euro), il nuovo libro di Mimmo Armiento. Giudizi
che gli psicologi cattolici, ovvero quei (pochi) temerari che
desiderano vivere la professione in unità con la fede cristiana,
attendono con bramosia. Perché - ripetiamolo pure apertamente - i
cattolici hanno abbandonato il mondo della psicologia, e quelli che
non l'hanno fatto si sono prodigati in discutibili “fusioni a
freddo” tra i vari autori secolari e il Magistero della Chiesa. Da
questo punto di vista Mimmo Armiento rappresenta un'anomalia poiché
la sua proposta desidera ancorarsi strettamente all'antropologia ed
alla teologia cattolica, quella ufficiale, quella dei documenti della
Chiesa per intenderci, ma allo stesso tempo rincorre un dialogo
ininterrotto con le idee migliori delle correnti di psicologia
contemporanea.
Lo si nota sin da subito quando, riferendosi ad uno
degli “enigmi” più importanti del nostro tempo, il tema della
“coscienza”, tanto dibattuto dai neuropsicologi, afferma: “In
realtà, più che un enigma, è semplicemente la constatazione che
c'è qualcos'altro che
sfugge al paradigma meccanomorfico a cui grottescamente si vuole
ridurre l'uomo!” (p. 50 nota). Valutazioni altrettanto
condivisibili ed attese Armiento le riserva per tutti gli approcci
della modernità: “Abbiamo perso l'uomo
sia prima, naturalizzandolo, sia dopo, spiritualizzandolo in un
solipsismo prometeico. Per questo l'antropomorfismo è destinato a
implodere su sé stesso se non accetta di fondarsi su un realismo
conoscitivo (cfr., ad esempio, Etienne Gilson o Cornelio Fabro, che
riprendono l'impostazione concettuale dei filosofi classici e dei
teologi della scolastica, quindi Aristotele e san Tommaso) che
riconosca l'uomo fin dall'inizio costitutivamente aperto al
Fuori di sé e se non accetta di fondarsi su un Principio che lo
comprenda, insieme a ogni altra soggettività e a ogni altra cosa che
esiste [...]” (p. 53 nota). Di conseguenza, essendosi “perso
l'uomo”, si è smarrito anche il senso della cura
animarum: “A distanza di più
di un secolo la psicoterapia è ancora oggi intesa in senso
positivistico come un'attività di aggiustamento (estrinseco) di
qualcosa di rotto o malfunzionante in una macchina. Lo psicoterapeuta
nel migliore dei casi è concepito come un fisioterapista della
psiche, nel peggiore come un incantatore/ingannatore da “effetto
placebo” (p. 50). Il pensiero corre subito a quei modelli che hanno
volutamente rimosso Dio dal loro orizzonte, come la celeberrima e
frequentatissima mindfullness:
“Senza la consapevolezza di questo Tu da incontrare nella propria
interiorità si svuotano di senso le varie pratiche mindfullness di
ispirazione orientale, così di moda oggi in psicoterapia e
formazione. Finiscono per lasciare un Sè osservante...a osservare
cosa? Una realtà esterna che non esiste (velo di Maya) o che è
inconsistente e senza senso? E senza un Tu non c'è neanche un io:
così questo Sè osservante finisce per perdere sé stesso...nel
Nulla!” (p. 170).
Bene,
abbiamo capito che c'è dell'ossigeno buono in questo libro. Ma
qual'è il suo oggetto? Lo rivela l'autore stesso: “Alla
psicologia, che si interroghi sia su che cosa faccia consumare
un essere umano sia su che cosa lo faccia fiorire,
occorre un fondamento teologico, che dia conto di ciò che scopre. In
questo testo voglio offrire il mio contributo per una teoria unitaria
della felicità e fondarla su Dio, ovvero su quel Principio implicito
nella nostra coscienza di uomini che si offe come Postulato del Bene,
prima di ogni ricerca, argomentazione o dimostrazione di che
cosa ci faccia bene” (p. 65).
Il dottor Armiento si avventa, dunque, su di un terreno
importantissimo, quello su cui ben pochi altri psicologi hanno
tentato di cimentarsi a causa delle ridotte visioni dell'uomo di cui
erano portatori: il tema della pienezza, del compimento, della
perfezione umana, in una parola, della felicità. Ricordiamo che per
Freud il fine dell'uomo è il piacere, in particolare quello
dell'atto sessuale, che per intensità è il più elevato. Per Jung è
l'equilibrio che nasce dall'integrazione con l'ombra. Per Adler è il
sentimento di superiorità armonizzato con quello di comunità
(ovvero la socialità). Per la maggior parte degli psicoterapeuti
americani è il fare ciò che piace. C'è però una corrente di
psicologia, la cosiddetta psicologia positiva, che ha tentato negli
ultimi decenni di riprendere i concetti classici della vita umana,
quali la felicità, appunto, la virtù, la gioia, la vita buona. È
con questi autori che Armiento entra in dialogo: “Questo libro
accoglie con entusiasmo la recente Psicologia positiva,
che si offre come una proposta di vita buona
fondata empiricamente, ma la rilancia, invitandola a riconoscersi su
quel Fondo d'Essere che, solo, dà consistenza e slancio alla sua
impresa educativa” (p. 7). Nel finale, l'autore parlerà di una
Psicologia Positiva d'ispirazione cristiana (p. 216).
Ma
il libro non è scritto per gli addetti ai lavori. È un percorso
pensato per tutti, in particolare per chi mette a fuoco nella propria
esperienza la sensazione di rigidità, di pesantezza, di assenza di
gioia: “Questo libro, insomma, è per chi si sente in colpa e ha
qualcosa da farsi perdonare o da perdonarsi” (p. 13). Armiento
riprende il tema più classico della psicoterapia, il senso di colpa,
per toglierlo dalle secche della metapsicologia freudiana e ridargli
il contesto suo proprio, quello del rapporto diretto col Mistero:
“Stiamo allora scoprendo che il senso di colpa non si colloca nella
rubrica dell'umano come una delle tante esperienze che lo
caratterizzano, ma pretende di cogliere l'umano proprio al suo
centro, contattando qualcosa di originario e di fondante”
(p. 25). Il senso di colpa esplicita un “permesso di esistere”
che l'uomo non si dà da se stesso, ma lo riceve da un Altro
attraverso gli altri: “Considerando che la nostra mente
interiorizza le intenzioni psichiche rivolte da altri verso di noi,
possiamo postulare che riceviamo questo permesso di
esistere – e quindi la gioia
di esserci – da altri che hanno benedetto il nostro “essere qui,
ora, proprio noi”, accogliendoci fin dal seno materno. Senza questa
benedizione originaria, non interiorizziamo una volontà buona verso
noi stessi, una volontà di esistere, ma una volontà debole o
manchevole, o meglio, una volontà “cattiva” (=tu non sei ok)!”
(p. 36).
Sono questi i passaggi centrali del libro, in cui il dottor
Armiento svela la dinamica negativa del “faraone interiore”,
ovvero di quella “vocina” da noi stessi creata a cui decidiamo di
obbedire per ritenerci adeguati, buoni, giusti: “Anche quando
avessimo ricevuto un sufficiente permesso di esistere, finiamo
comunque per impossessarcene, incasellandolo in una legge
interiore in cui ci
sottomettiamo per sentirci autorizzati a vivere” (p. 37). La parte
centrale del testo viene impiegata per approfondire la dinamica del
“faraone interiore” attraverso il commento della parabola del
Figliol Prodigo, ed in particolare del ruolo del fratello maggiore,
che è quello che di più “non sta bene: si sente condannato a
essere buono!” (p. 108). Molti dei passaggi che Armiento descrive
mi hanno ricordato le dinamiche della pusillanimità e del timore,
affrontati, però, con le parole delle psicologie contemporanee,
specialmente l'Analisi Transazionale e lo Schema Therapy. Molto
interessanti sono le riflessioni sul fondamentalismo, di cui Armiento
si era già occupato in passato: “È molto conosciuta
l'intransigenza del neofita, il neoconvertito che, quanto più ha
trovato riparo/rinascita nella conversione, tanto più diventa
intransigente e intollerante verso il “mondo” che ha lasciato.
Vede diavoli dappertutto e tutto quello che faceva prima ora è
peccato. Non più bei vestiti, non più moto, non più soldi, non più
successo lavorativo, non più sensualità...Tutto disprezzato con
intransigenza!” (p. 113). Il fondamentalista – come il fratello
maggiore della parabola – dimentica che non è lui Dio, e che tutto
ciò che possiede, in primis la fede e la vita, l'ha ricevuto
gratuitamente, non per merito. Non è più bravo perché fa...ma
dovrebbe essere più felice facendo!
Qual'è
la via di uscita dal senso di colpa e da una vita senza gioia? Freud
cambierebbe il Super-Io dell'individuo, ovvero modificherebbe le
leggi naturali e Dio, così che l'uomo abbia un modo (illusorio) per
auto-perdonarsi. Armiento propone invece di andare a fondo del senso
di colpa per trovarci proprio la Voce del Signore: “La tradizione
cristiana non parla mai di perdono di sé, per non perdere la
consapevolezza della sua origine. Vi riconosce semplicemente una
metafora che vela un fatto più sostanziale su cui si vuole porre
l'attenzione: chi si perdona
in realtà accetta di essere perdonato.
Da un altro, sì anche. Ma fondamentalmente da un Altro” (p. 215).
Se questo è vero in generale, cambia anche la prospettiva dello
psicoterapeuta: “Una Psicologia e Psicoterapia positiva di
ispirazione cristiana assumerà allora come focus
del proprio intervento non tanto l'iniziativa del sé di “perdonare
sé stesso”, quanto quella di aprirsi al Sole Benedicente, di
accogliere cioè il perdono di Dio, e inviterà a modellare il
proprio genitore interno (divenendo padre e madre di sé stessi) su
questa Benedizione Originaria” (p. 217).
In
conclusione, Ti penso positivo
conferma una volta ancora la capacità narrativa e riflessiva di
Mimmo Armiento. Alcune concettualizzazioni vengono formulate con dei veri e propri
neologismi, simpatici e geniali: la legge di “gratuitazione”
universale (ovvero “l'amor che move il sole e l'altre stelle”),
le ideologie da videogioco (come il gender), il sabotatore interiore
o il faraone (che intrappolano l'individuo in una prigione mentale,
un “quadrato”) ecc. Conferma anche la sua capacità di parlare al
grande pubblico, attraverso un percorso costruito più per immagini
che per concetti, teatrale più che argomentativo,
particolare-personale più che universale. Risiede in questo stile,
unico e individuale, il merito del suo indiscusso successo, ma anche
- mi si permetta di dirlo con abbraccio fraterno - il suo limite.
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