Il 2019 segnerà gli ottant’anni dalla morte di Sigmund Freud. Da
allora sono stati molti i critici che si sono adoperati per smontare
le false assunzioni presenti nella sua dottrina, la psicoanalisi.
Ricordiamo il celebre testo di Luciano Mencacci, dedicato ai
“disastri” della psicoanalisi, Michael Onfray che ha analizzato
il “crepuscolo” di uno degli “idoli” della modernità, le
“congetture e confutazioni” di Karl Popper sulla scientificità
del metodo freudiano, sino al “libro nero della psicoanalisi”. Ma
è in ambito cattolico dove gli scudi si sono levati con maggior
vigore, basti pensare alle primissime critiche del giovane Rudolf
Allers quando ancora frequentava proprio i circoli freudiani
(confluite ed organizzate negli anni seguenti nell’imperdibile The
succesfull error, ora in traduzione in italiano – con soli
ottant’anni di ritardo!). Ognuno di questi testi si erge contro
alcuni dei molti aspetti della psicoanalisi che contrastano la natura
umana, la logica e persino l’esperienza. Qualche volta (raramente)
si azzardano a descrivere un ritratto arrivista e borghese del
personaggio Freud, sempre però curandosi di ben accentuare gli
aspetti positivi del suo lascito. Nessuno si spinge sino ad una
critica radicale della personalità come don Ennio Innocenti.
don Ennio Innocenti |
L’intento
di don Ennio Innocenti è, dunque, di fare luce sui punti oscuri,
quelli scomodi e volutamente rimossi, perché: “nella Chiesa c’è
bisogno di aprire gli occhi sul danno che la psicoanalisi può ancora
provocare” (p. 7). Il suo libro è l’antitesi perfetta a quei
tentativi di coniugare psicoanalisi e cristianesimo. Infatti, più
che ai freudiani doc, agli atei o ai nuovi massoni, se così possiamo
dire, il libro costituisce un pungolo per quei cattolici che si sono
alimentati delle dottrine psicoanalitiche senza una verifica dei suoi
fondamenti. Si tratta di una cospicua lista di psicologi che hanno
tentato di assimilare i due mondi, tra cui Leonardo Ancona
(freudiano) ed il celebre Anselm Grun (junghiano), ai quali vengono
dedicate nel testo due ampie critiche. Benché sfumato, è un
atteggiamento che ancor oggi va per la maggiore (“c’è del buono
in tutto”) e che don Innocenti, forte dei suoi studi sulla gnosi
moderna, smonta senza mezze misure. Del resto il “tao”, in cui il
bianco è sempre presente nel nero, e vice versa, è un simbolo
gnostico, non cattolico. Contro questo modo di pensare, don Innocenti
si discosta sin dall’introduzione: “Da giovani eravamo speranzosi
di audacissime appropriazioni ed intese e per questo la nostra
attenzione era tutta rivolta agli elementi in qualche modo
utilizzabili, se non assimilabili, che ci venivano offerti. Avendo
dovuto approfondire, per obbligo d’ufficio, il significato della
cultura moderna, abbiamo dovuto prendere atto della potenza logica di
certi suoi irriducibili sviluppi specifici, sicché il dialogo
l’abbiamo ormai riservato alle persone vive, disponibili e
meritevoli d’amicizia; ci guardiamo dall’estenderlo alle dottrine
del secolo, le quali non ne sarebbero per nulla capaci” (p. 16).
Questo è il motivo per cui il libro è “un serrato confronto”
piuttosto che “un fiducioso dialogo”.
Freud
ed il freudismo vengono denunciati da diverse prospettive. La prima è
quella della realtà dei fatti. Talvolta, infatti, basta leggere gli
eventi senza preconcetti per coglierne la portata. I fatti che
riguardano i seguaci del “maestro” sono stupefacenti: “[…] il
suo amico Weiss s’impiccò al ritorno dalla luna di miele; Otto
Gross, tanto stimato, divenne assassino e morì suicida; Frink,
tenuto in altissima considerazione, impazzì dopo il disastroso
matrimonio caldeggiato dallo stesso Freud; Tausk, ritenuto tanto
geniale, morì suicida sconvolto da una pazzia sconcertante, come
diremo; una sorte analoga toccò a Federn (il maestro del triestino
Eodardo Weiss, primo psicoanalista italiano); Rank stesso, il
devotissimo segretario di Freud, non poté sfuggire al suicidio,
esito d’una pericolosa pazzia che lo devastò per vari anni; pazzo
morì anche Reich; Stekel, cui erano state affidate alte
responsabilità nella promozione del movimento psicoanalitico, si
meritò da Freud la definizione di “alienato morale”; Ferenczi,
personaggio ancor più autorevole, morì completamente pazzo...”
(p. 16). I cristiani sono stati avvertiti dal vero Maestro di
guardarsi dai falsi profeti: “Dai loro frutti li riconoscerete”
(Mt 7, 16). Il libro snocciola anche alcuni particolari che
dovrebbero essere degni di maggiore attenzione. Ad esempio la
costituzione, da parte di Freud, di un gruppo di cinque fedelissimi,
“una specie di segretissima vecchia guardia”. “A ognuno di
questi pretoriani egli regalò un distintivo speciale: un anello
d’oro con un cammeo raffigurante la testa di Giove” (p. 94). Il
dettaglio non è irrilevante: parla dei rapporti che Freud ebbe con
le logge massoniche di stampo ebreo.
Il
secondo attacco è di tipo filosofico. Innocenti scrive: “A nostro
avviso – e salvo miglior giudizio – è d’importanza decisiva
l’identificazione filosofica della psicoanalisi come espressione
dello gnosticismo” (p. 95). I principali contenuti della dottrina
freudiana richiamano l’antica eresia secondo cui è con l’ingegno
umano che l’uomo può diventare padrone della propria vita: “Una
letteratura rinfrange questa tematica in tutti i toni: la notte è
guardiana del gran tesoro; l’inconscio è il santuario divino; il
sogno è il trasfiguratore del mistero: romanticismo, wagnerismo,
vitalismo, irrazionalismo: tutte maschere del neognosticismo” (p.
60). Il contesto in cui nasce la psicoanalisi Innocenti lo riassume
in questo modo: “In genere possiamo dire che Freud va collocato in
uno degli sviluppi della filosofia illuminista: questa, infatti,
degenera per due correnti parallele e concomitanti: la prima termina
con il trionfo del razionalismo, del positivismo e del materialismo;
l’altra termina con il predominio dell’inconscio e la riedizione
dello pseudospiritualismo gnostico ed occultistico. Fra le due
correnti ci sono scambi e parentele, essendo medesima la matrice.
Come la filosofia, però il freudismo appare meglio collocato nella
seconda corrente” (p. 82).
Molti
altri attacchi vengono scagliati dalle prospettive logiche,
psichiatriche ed epistemologiche anche grazie ai contributi di altri
esperti di cui il libro di Innocenti si arricchisce. Le pagine più
interessanti, a mio avviso, sono quelle dedicate ai rapporti con il
cristianesimo. Critica alla psicoanalisi è uno dei rari libri
in cui si può leggere una ricostruzione storica, approfondita, dei
giudizi del Magistero sulla psicoanalisi. Tra di essi spicca una
frase di Papa Paolo VI: “Quanto sarebbe meglio se certi cattolici,
anziché dallo psicoanalista, andassero dal confessore per un dialogo
costruttivo e liberatore sui problemi che lievitano nel fondo delle
loro anime” (p. 157). Si tratta di una citazione importante, perché
un’interpretazione tutt’ora in voga, diffusa da Leonardo Ancona,
stabilisce che Papa Montini fosse incline alla dottrina freudiana. A
noi invece paiono significative queste parole, specialmente se unite
alle dichiarazioni sul “torbido fondo” agitato dalla
psicoanalisi ed altri discorsi del Pontefice. Un altro elemento
storico interessante ripreso da don Innocenti è il limpido giudizio
di Luigi Gedda, allora Presidente dei Medici Cattolici:
“All’epidemico e inconsulto diffondersi della psicoanalisi, che
spesso rappresenta un esercizio abusivo dell’arte sanitaria,
dobbiamo opporci con una conoscenza approfondita della medicina
psicosomatica, la quale ci permette di affrontare sopra un terreno
obiettivo, e non pseudoscientifico, questi argomenti di confine tra
anima e corpo”. E sempre Gedda aggiunge: “Le vittime più
ingenue, e più compromettenti, dell’inflazione freudiana sono, in
genere, gli ecclesiastici, i quali pensano di aver un terreno
rigorosamente scientifico sotto i piedi quando citano Freud e parlano
di psicoanalisi” (p. 69). Che profezia!
Insomma,
per un cristiano il giudizio dev’essere chiaro: “Il sistema
[freudiano] non si presenta come redimibile, nel suo insieme” (p.
147). Innocenti lo attesta con una tabella semplice ed immediata, in
cui si comparano le concezioni di Freud con quelle di San Tommaso.
Ma il
libro di Innocenti non finisce qua. Tutta una seconda parte è
dedicata a Carl Gustav Jung. Anche nei suoi confronti gli aspetti che
destano maggiore sorpresa sono legati alla vita personale a
familiare. Che Gustav coltivasse l’idea di una “possessione”
del proprio spirito da parte degli antenati è cosa abbastanza nota.
Che il nonno parlasse con gli spiriti e che anche il padre esibisse
facoltà spiritiche è già meno conosciuto. Poi ci sono gli aspetti
psichici: dalle celebri “visioni”, alla depressione, sino ai
tentativi di suicidio. La poligamia: anche dai film recentemente
prodotti (A dangerous method, ad esempio) si intuisce come per
Jung il concubinato fosse ritenuto salubre, come scrive in una
lettera a Freud: “Sembra che la condizione per un buon matrimonio
consista nel garantire l’infedeltà” (p. 207). Anche qui non
possiamo parlare di santità per il personaggio. È proprio dalla
sessualità che “Jung ritrova l’opposizione gnostica dei
contrari” (p. 210), che costituisce il centro della sua dottrina.
Tra tutte queste informazioni, l’aspetto più inquietante di tutti
è il suo satanismo, coltivato con il metodo dell’immaginazione
attiva: “lasciarsi invadere, eliminata la vigilanza critica, da
emozioni, affetti, fantasie, qualsivoglia contenuto dell’inconscio,
confrontandosi come con una presenza oggettiva: una
immaginazione attiva che diventa magia nera (Franz) per conquistare
il proprio Sé attraverso l’inferno delle passioni” (p. 214).
In
conclusione: Critica alla psicoanalisi è un libro che il
cattolico impegnato nel campo della psicoterapia non può evitare.
Forse proverà imbarazzo e fastidio nel leggerlo. Ma questo non farà
altro che suscitare in lui la sana domanda se le verità del mondo in
cui viviamo, storiche e metafisiche, siano davvero tali, oppure
rappresentino il segno di quella coda mefistofelica che è bene
riconoscere, per se stessi e per tutti coloro che si desidera
aiutare.
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