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lunedì 31 ottobre 2011

I LIMITI DELLA PSICOLOGIA MEDICA - RUDOLF ALLERS

The Limitations of Medical Psychology è un testo del 1942 che il professor Allers ha pubblicato su Thought in piena seconda guerra mondiale. Eppure, avrebbe potuto esser scritto oggi, nel XXI secolo, senza neppure un cambiamento. "Psicologia medica" è una espressione poco comune. Con essa l'Autore indica quella parte della psicologia che confina con la medicina, e che viene sviluppata soprattutto da fisiologi, psichiatri, neurologi. Oggi, la psicologia medica si inscriverebbe nella psicoterapia o in quelle correnti della psichiatria che non elidono l'aspetto psicologico dalla malattia mentale (si pensi ai testi di Eugenio Borgna o al celeberrimo Psichiaria psicodinamica di Gabbard). «Questo articolo denuncia “l’imperialismo” della psicologia medica, così lungo da “tentare di imporre le sue categorie ed idee ad altre discipline dove queste ultime non hanno applicabilità”. E questa imposizione è attuata, da una parte, su alcune discipline particolari (come l’arte o la poesia, le scienze sociali o l’educazione) i cui parametri e nozioni stanno diventando distorti, nell’analisi degli oggetti a loro propri, a causa di alcune pseudo-spiegazioni psicologiche; ma anche, d’altra parte, è attuata sostituendo l’etica o l’antropologia filosofica nel determinare cosa sia bene o male, giusto o sbagliato, o definendo gli obiettivi di altre discipline umane tramite la “spiegazione” della natura umana» (Batthyany & Olaechea, in Allers, R. (2009), Work and Play, Marquette University Press, Milwaukee). L'analisi di Allers è ancora valida. Si pensi a quanto la terminologia freudiana influenzi direttamente ogni scienza umana (dalla pedagogia alla sociologia, fino alla filosofia ed alla teologia, per non parlare di una parte della pastorale cattolica). Si pensi a quanto la psicologia si arroghi il diritto di sconfinare in ambiti prettamente filosofici, giuridici, teologici pur senza una adeguata metodologia (ad es. nel caso dell'omosessualità, dell'aborto, dell'eutanasia). Si pensi a quanto le teorie che sono nate dalla pratica clinica abbiano spesso avuto l'intento di costruire una nuova idea di uomo, un'antropologia, volendo così scardinare quella precedentemente (ad es. Wilhelm Reich, Carl Rogers, ecc.).
Rudolf Allers
L'analisi di Allers, dunque, riporta l'attenzione sul fatto che la psicologia, come scienza medica, empirica e sperimentale, non può che affondare le proprie radici in un contenitore più ampio, quello della filosofia, da cui è direttamente influenzata e guidata, e da cui trae spunto per la formulazione delle teorie. Come ebbe modo di dire in un suo celebre testo: «Sovente è stato trascurato il fatto che una teoria è, in verità, la conclusione di un sillogismo. Ogni sillogismo richiede due premesse, una delle quali più generale della conclusione. Nessuna teoria è soltanto la conseguenza di un'osservazione; essa è sempre un'interpretazione dei fatti, ma alla luce di altre idee, più generali e preconcette» (Allers, R. (1961), Psicologia e pedagogia del carattere, Sei, Torino, pag. X). Dunque sono quelle premesse più generali che lo psicologo cosciente di sé deve tenere in considerazione. Premesse che possono riassumersi nel concetto di "antropologia filosofica".



I limiti della psicologia medica

     La psicologia medica ha beneficiato di una grande influenza in molti campi. Termini presi dalle varie scuole sono utilizzati da tutti i tipi di scrittori. Psicologi e sociologi, scrittori di fiction e di trattati educativi, ed autori che trattano di politica o di storia parlano di repressioni o di complessi d’inferiorità, di compensazione, di sublimazione, dell’inconscio collettivo o delle disastrose conseguenze della frustrazione. Molte di queste espressioni sono divenute parte del linguaggio quotidiano. L’infiltrazione di termini che hanno origine nella psicologia medica è avvenuta ad una velocità sorprendente. Ci volle molto più tempo ai termini della scienza per penetrare nel nostro linguaggio.
     E’ interessante indagare nelle cause di questo successo.
     Ma è forse ancora più importante sollevare la questio iuris, e chiedersi se tale accoglienza della psicologia medica sia o meno giustificata.
     Ogni branca della conoscenza ha confini definiti, al cui esterno sia le nozioni che le categorie speciali perdono il loro senso letterale o producono distorsioni e falsificazioni nel campo in cui sono illegittimamente adoprate. I confini possono non essere perfettamente visibili e, specialmente in una disciplina ancora giovane, spesso possono essere malamente definiti. In tali casi c’è bisogno di un chiarimento. Sfortunatamente, da parte di alcuni studiosi c’è la tendenza ad opporsi ad ogni tentativo di chiarificazione. Animati da uno spirito d’imperialismo, si sforzano di estendere il più possibile il dominio della loro particolare disciplina. Sostengono che i principi rivelatisi efficaci nel loro campo non solo possono ma soprattutto devono essere applicati in altri campi – eventualmente in tutti gli altri campi. Gli scienziati sono stati spesso obbligati a condannare i filosofi per la loro presunzione nel lasciarsi sfuggire giudizi su ogni altro tipo di conoscenza. Le critiche non erano immeritate. I filosofi sono stati spesso colpevoli di tale imperialismo. Non solo le scuole di Hegel e di Schelling, ma anche alcuni tra i Neo-Scolastici azzardarono a definire “impossibile” osservazioni e teorie che i fisici avevano descritto o proposto. I filosofi così hanno perso credito e non hanno ancora riguadagnato la stima dei loro avversari. Gli scienziati, di sicuro, hanno commesso esattamente lo stesso errore. Dipendendo da analogie che erano spesso molto superficiali, essi hanno vantato dei principi di applicazione universale della scienza.
     La pretesa degli scienziati ha avuto un successo più grande della pretesa dei filosofi. La scienza, almeno, ha potuto muoversi verso risultati grandiosi che hanno cambiato la faccia della terra e la forma della vita umana; così che “scienza” e “scientifico” diventarono gli slogan del diciannovesimo secolo. Divenne generalmente accettata anche l’idea che solo la scienza fornisca fatti attendibili, e che nessuna branca della conoscenza fosse degna di considerazione eccetto nella misura in cui potesse vantare di metodi scientifici. Quasi nessuno indagò sulla veridicità di questa pretesa; ed il successo della scienza spianò la strada ad un nuovo tipo di idolatria.
     La mente umana fu uno dei primi campi che l’imperialismo della scienza si propose di occupare. I padri della moderna psicologia, G. T. Fechner e W. Wundt, nutrivano la speranza di fondare una “psicologia scientifica”, una psicologia modellata in accordo con lo schema della fisica. Da qui il primo tentativo di stabilire una “formula psicofisica” che, così ci si aspettava, avrebbe posto la psicologia allo stesso livello della scienza, da quando la misurazione e la quantificazione erano state introdotte nella psicologia. Le psicofisiche fechneriare rivelarono di essere una illusione. Oggi c’è solo qualche psicologo che crede che gli stati mentali possano essere direttamente misurati come noi misuriamo i quanti in fisica.
     Il fallimento della psicofisica non scoraggiò l’escursioni della scienza nel territorio ancora non occupato della psicologia.
     Gli studi condotti nei laboratori di psicologia sperimentale, benché di valore, si dimostrarono totalmente insoddisfacenti a coloro che si aspettavano che la psicologia rispondesse alle domande sollevate in altri campi. Storici e psichiatri, studiosi delle arti e della letteratura così come sociologi distorsero lo sguardo dalla “psicologia” ufficiale e iniziarono a psicologizzare indipendentemente dagli psicologi ex officio. L’effetto fu la confusione. Le psicologie che ne risultavano non erano “scientifiche”. Erano, infatti, largamente speculative. Queste coprirono i buchi della conoscenza psicologica con teorie a volte sorprendentemente fantasiose. Comunque, l’interesse nelle questioni psicologiche crebbe nonostante la confusione. Un fervente ammiratore di Freud aveva potuto profetizzare che gli storici del futuro avrebbero parlato dei nostri tempi come dell’ “età di Freud” così come si dice dell’età di Galileo o di Newton. L’opinione è certamente esagerata. Ma c’è un pizzico di verità nell’affermazione. La nostra epoca è, si è tentati di dire, ossessionata dalla psicologia.
     La ragione di questo fenomeno straordinario è, forse, non troppo difficile da individuare. I tempi attuali hanno perduto la concezione vera ed esauriente della natura umana. La coesistenza di interpretazioni conflittuali ne è prova sufficiente. Queste interpretazioni variano da un semplice materialismo, che considera l’uomo come un mero agglomerato di particelle infratomiche, ad un naturalismo mitigato, che vede l’uomo come un animale in mezzo agli altri, fino a concezioni altamente immaginative ispirate dalla filosofia Indiana, o altre idee esotiche. Secondo un’altra prospettiva, esse vanno dall’individualismo assoluto ad una teoria che rende l’individuo un semplice elemento di un grande tutto, lo Stato, la nazione, o la razza; dall’immagine di uomo come un “fascio di istinti” ad una visione che fa di lui l’assoluto padrone del proprio destino. E così via.
     La filosofia aveva perso credito con le masse. Solo in forma diluita e lentamente le idee filosofiche penetravano nella mentalità generale. La religione si era ridotta ad un pallido deismo, o era stata rimpiazzata da un ateismo dichiarato o nascosto. La scienza sola dominava suprema. Dove avrebbe potuto trovare il genere umano un’immagine di se stesso? La scienza non soddisfava immediatamente questo desiderio; ma prometteva di farlo. Nel frattempo, le questioni scottanti che preoccupano e turbano la mente dell’uomo non potevano aspettare indefinitamente per una risposta. L’incertezza che si percepiva, benché vaga, esisteva ovunque, le tensioni economiche e sociali, le minacce politiche, la difficile situazione che precedeva la prima guerra mondiale, avevano creato un bisogno sempre più crescente di una migliore comprensione della realtà, e questo significava prima di tutto una migliore comprensione dell’uomo stesso.
     Esattamente in quegli anni, la psicologia medica faceva la sua comparsa. Questa, di sicuro, non era una semplice coincidenza. La nascita di una nuova disciplina con tali caratteristiche era conforme alla mentalità generale ed alla situazione culturale di fine diciannovesimo secolo. Sarà per sempre merito degli uomini che hanno inaugurato la psicologia medica, in senso moderno, il fatto di aver percepito la necessità di sviluppare una nuova concezione, che comprendesse la natura fisica dell’uomo, le sue caratteristiche personali, ed il suo destino, tutto in un unico punto di vista. I fondatori della psicoanalisi obbedirono al desiderio delle forze culturali generali. Questo non diminuisce il merito dei pionieri del nuovo movimento, come i due medici viennesi, Breuer e Freud.
     La psicoanalisi, come Freud successivamente chiamò il suo particolare sviluppo di idee che ha condiviso con Breuer (ed in parte cha ha appreso da lui), è solo una forma della psicologia medica. Fu la prima a svilupparsi. Non sarebbe rimasta l’unica e neanche la scuola più importante. Qualsiasi cosa i discepoli di Freud possano voler credere, le leggi della storia resistono alla psicoanalisi. Non c’è un esito finale nella conoscenza empirica, anche se gli psicoanalisti possono pensare di essere in possesso dei segreti ultimi della natura umana.
     Grazie a questa convinzione essi si dimostrano i veri eredi dell’ottimismo scientifico del diciannovesimo secolo. Su questo argomento il sottoscritto ha parlato altrove. [1] La dottrina psicoanalitica è qui riportata solamente come esempio di una tendenza molto diffusa volta a trasferire senza critica le nozioni e le categorie della psicologia medica a tutte le altre tipologie di campo.
     Questa tendenza è, di sicuro, una caratteristica non della sola psicologia medica. Anche la psicologia ha raggiunto una posizione dominante in campi in cui di solito è considerata una semplice disciplina subordinata. Oggi, la psicologia, normale o medica, non solo fornisce all’educazione mezzi e modalità, ma anche stabilisce obiettivi. L’esigenza di evitare la “frustrazione” e di coltivare “l’auto espressione” implica una peculiare definizione di salute mentale ed una peculiare concezione della natura umana in generale. Eppure dovrebbe essere evidente che gli obiettivi o le finalità non possono mai essere proposti da una semplice disciplina scientifica. La ricerca empirica non può determinare cosa dovrebbe essere.
     La medicina, curativa e preventiva, ha come suo obiettivo di preservare la salute della comunità. Ma questo obiettivo sarà legittimato solamente se l’etica generalmente accettata lo approva. Vediamo, ad esempio, che in Germania la vita e la salute solo di coloro che “meritano” di vivere è presa a cuore dai medici e dagli igienisti. Gli individui che non sono di valore per il popolo tedesco sono autorizzati a morire prematuramente; o possono essere anche uccisi se provano di essere dei pesi inutili per la comunità. L’idea non è nuova in Germania. E’ stata proposta molto prima che il regime di Hitler giungesse al potere. Due eminenti studiosi, uno psichiatra ed un giurista, discussero e suggerirono l’ “annientamento delle vite inutili” [2] – inutili, ovviamente, per la comunità – e chiarirono che essi consideravano tale misura come moralmente accettabile o anche buona. Così, l’ “obiettivo” della medicina diventa differente se la “moralità” generale prende una piega differente.
     Similarmente è immaginabile che un’altra epoca possa dar forma ad una diversa opinione sul “pericolo della frustrazione” e considerare l’ “auto espressione” meno desiderabile rispetto alla conformità a principi morali generalmente riconosciuti.
     Le categorie della scienza, sia della fisica che della psicologia, mantengono il loro significato e valore solo all’interno del campo per il quale sono destinate e dove sono, per così dire, a casa. Gli psicologi medici, tuttavia, pretendono che i loro metodi e le loro nozioni permettano una comprensione migliore dell’arte e della poesia di quanto facciano le nozioni utilizzate dagli studiosi di queste materie. Sorge qui un grave malinteso. Il massimo a cui gli psicologi possono eventualmente contribuire è una comprensione del perché un artista dipinga in un certo modo, un determinato quadro, in questo o quel periodo della sua vita, il perché un qualche evento acquisisca un particolare significato per un singolo poeta, e così via. Il punto di vista è meramente “fisiognomico”, cioè, considera un’opera esclusivamente come “espressione”, e non nel suo proprio essere. Un’opera d’arte è qualcosa, ha significato e valore, anche se non sappiamo nulla della personalità dell’artista, lasciando da parte i suoi “istinti”. L’ignoranza di tali contenuti non diminuisce, ad esempio, la nostra ammirazione per le statue egiziane.
     Lo psicologo può studiare il processo mentale del giudizio proprio come studia il processo della percezione. Ma è incapace di dirci qualcosa riguardo la cosa percepita, cioè la sua natura oggettiva, ed ugualmente incapace di dare qualsiasi giudizio di valore, che sia un’opera d’arte o un’azione morale.
     Nozioni come la bellezza (in estetica) o la virtù e il peccato (nella morale) sono irraggiungibili con i metodi e con le categorie della psicologia. La psicologia generale è meno colpevole di questa ingiustificata invasione di campo. La psicologia medica ha invece commesso questo errore molto frequentemente.
     L’errore fondamentale compiuto da molte scuole di psicologia medica consiste nel confondere la “spiegazione” dell’avvenimento di un fatto mentale con un giudizio sulla natura del fatto. Anche se una teoria psicologica dovrebbe spiegare perché una persona concepisce una particolare idea ad un determinato momento della sua vita, essa lascia ancora completamente inspiegata la natura di quest’idea. Si può chiarire perché un artista dipinga, o un poeta scriva, o uno scienziato indaghi, e come lo fanno, riferendosi alle loro esperienze passate, attitudini, complessi o altro; ma questo non contribuisce minimamente alla nostra comprensione della pittura, della poesia, della teoria.
     Il punto di vista generale della psicologia medica attuale può essere descritto come un soggettivismo estremo. Dati oggettivi, idee, valori non sono di alcun interesse a questa psicologia. La psicoanalisi va molto lontano in questo. Mentre la psicologia individuale almeno riconosce l’esistenza di leggi oggettive della vita sociale, radicate nella natura dell’uomo come essere sociale, il freudismo vede tutta l’oggettività come un semplice prodotto di forze soggettive che, ultimamente, portano ad una fine soltanto, la soddisfazione dei bisogni istintivi. La sconsiderata adozione di tali nozioni e teorie sarebbe un pericolo reale per la filosofia morale, per l’educazione, per tutte le ricerche che devono tener conto di fatti e leggi oggettivi. Il soggettivismo della psicologia medica rende i loro seguaci ciechi ai valori oggettivi. Al meglio diventano utilitaristi, al peggio diventano edonisti individualisti.
     Se l’intrusione della psicologia medica in altri campi non ha causato uno scompiglio ancor più grande di quanto ha fatto, ciò è a causa dell’incoerenza che permette a tante persone di avere idee contraddittorie. Continuano a difendere gli standard tradizionali dell’etica e, allo stesso tempo, sono soddisfatti di “tenersi al corrente degli sviluppi della scienza” parlando e pensando in termini che sono abbastanza incompatibili con il resto delle loro convinzioni.
     La psicologia medica ha rafforzato la tendenza a restringere quanto più possibile il range della responsabilità. Infrazioni di tutti i tipi, attitudini antisociali, criminalità ed immoralità della peggior sorta sono comprese sotto il titolo di nevrosi, stati psicopatici e nomi simili, tutti che rimandano a fattori patologici. Un uomo non si comporta male o commette un crimine poiché è la sua volontà ad agire così. Lui non può esser reso responsabile. Lui è la riluttante vittima dei suoi complessi d’inferiorità, dei suoi istinti che sono stati sfortunatamente “frustrati” e che ora, vista la situazione, si prendono la rivincita sulle forze che, anni prima, avevano inflitto la frustrazione.
     E’ chiaro che assieme alla nozione di peccato, la nozione di virtù perde ogni significato. Virtù e peccato, buone azioni e cattive, possono dirsi solo se c’è libera volontà e responsabilità. La filosofia morale non ha mai ignorato, di sicuro, il fatto che la libera volontà è ristretta da molti fattori, come la storia passata di una persona e le influenze che hanno formato il suo carattere. Senza dubbio, molti casi di criminalità sono dovuti a cattiva educazione, a modelli negativi, ad un segreto desiderio di vendetta. Non c’è dubbio anche che l’idea d’inferiorità possa condizionare molte forme di comportamento antisociale. E’ giusto indagare, in ogni caso individuale, se tali fattori siano o non siano all’opera. Ma c’è un’enorme differenza tra questa conoscenza e la generalizzazione secondo cui ogni caso di comportamento antisociale o immorale debba essere ricondotto a tali forze impersonali e che, di conseguenza, nessuno possa essere reso responsabile per le sue azioni, che siano buone o cattive.
     Educazione, scienze sociali, legge, e le altre discipline che troppo spesso hanno reso proprie le idee della psicologia medica hanno trascurato di indagare sulla loro affidabilità. Sono cadute preda del fascino di sistemi che vantano di essere “scientifici”. La psicologia generale ha fatto lo stesso. L’idea di basare sistemi interi, di psicologia, teorica ed applicata, sulla nozione di riflesso può servire come esempio. Il riflesso è ancora riportato dagli psicologi come un fondamento saldo per le loro teorie, mentre questa nozione è divenuta più che discutibile per neurologi e neurofisiologi. Così Sir Charles Sherrington ha messo in guarda psicologi e fisiologi sul fatto che non un singolo fatto, accertato dallo studio del sistema nervoso, giustifica un’interpretazione fisiologica o “spiegazione” della mente. [3] L’eminente fisiologo giunge alla conclusione che la mente è un fattore primario nella realtà, ed uno che non può essere ridotto alla materia. Richiederà un certo tempo agli psicologi divenire consci che nelle loro teorie riflessologiche, o nelle loro concezioni stimolo-risposta, essi hanno edificato sulla sabbia.
     Nessuna psicologia, che sia medica o no, può dare un resoconto soddisfacente dei contenuti e delle caratteristiche degli stati mentali. La psicoanalisi, malgrado tutti i suoi sforzi, non può negare che ci siano differenze qualitative nei fenomeni mentali che rimangono inspiegate. Anche se la psicoanalisi fosse nel giusto nell’affermare che tutti gli interessi umani, le valutazioni, gli sforzi, e via dicendo, siano trasformazioni di desideri istintivi, la domanda rimane ultimamente ancora non rispondibile: Da dove ha origine la molteplice varietà di interessi, sforzi, preferenze?
     La psicoanalisi e, in grado minore, molte delle altre scuole di psicologia medica sono colpevoli dell’errore dello “psicologismo”. Si potrebbe pensare che la sconvolgente critica di queste idee, da parte di E. Husserl nel suo Ricerche logiche, abbia allontanato l’errore dello psicologismo da molte menti. Il lavoro di Husserl fu pubblicato per la prima volta nel 1900. [4] Egli mostrò che la psicologia è totalmente incapace di fornire le basi della logica. E lo stesso è vero, rispettivamente, per le scienze basate sui fatti e per la conoscenza ideale. La matematica non tratta dei processi mentali attraverso cui la mente umana riesce a capire una somma o una differenza. La matematica ha a che vedere con le leggi della grandezza, o altri oggetti “ideali”. La logica non tratta dei modi in cui la mente che ragiona arriva a valide conclusioni, ma delle relazioni che si ottengono tra tutti gli oggetti in generale, che esistono o che non esistono, reali o ideali.
     La psicologia medica è essenzialmente psicologistica. Molti studenti di questa disciplina, infatti, affermano di “spiegare” la natura degli oggetti e le relazioni che si ottengono tra loro. Ignorano il fatto ovvio che questi oggetti, se la mente sta per divenirne consapevole, devono piacergli, desiderarli, ragionare su di essi.
     La psicologia medica diviene colpevole di “imperialismo” una volta che tenta di imporre le sue categorie ed idee ad altre discipline in cui esse non hanno applicabilità. L’assurda dichiarazione di “spiegare”, ad esempio, il fatto logico della negazione attraverso l’attività di alcuni istinti è un esempio di una tale ingiustificata escursione predatoria. La negazione è o un fatto, cioè la consapevolezza di qualcosa che non c’è o che non è qui ed ora, o una categoria della logica. E’ qualcosa che la mente può pensare, ma non una cosa che la mente può creare.
     Bisogna rendersi conto che la psicologia medica, così come la conosciamo, è un bambino con una mentalità definita che è già sul ciglio della tomba. E’ divertente, in un certo senso, notare che gli psicoanalisti che descrivono la psicologia del passato come il prodotto di certe condizioni sociali e culturali non si fermino a considerare le condizioni che hanno incoraggiato lo sviluppo della loro teoria. La psicoanalisi appartiene ad un’epoca di materialismo e di relativismo che, possiamo sperare, sta giungendo alla fine.
      La psicologia medica ha contribuito da parte sua, e non per una piccola parte, alla svalutazione della ragione. La ragione è considerata come un semplice epifenomeno. La ragione non determina l’azione umana, ma piuttosto nasconde le forze istintive o il complesso di inferiorità, che da un certo “luogo segreto del cuore” riesce ad avvelenare la mente. In questo, la psicologia medica, nonostante i suoi risultati positivi, si è unita alle forze che stanno minando le fondamenta della cultura Occidentale.
     Nessuno studioso di menti anormali negherà (ed il sottoscritto è lontano dal farlo) che la psicologia medica ci ha insegnato molte cose riguardanti la patologia della mente e le anormalità del comportamento. E neanche si negherà che i metodi curativi si rivelano utili e di aiuto in molti casi. Ma deve essere negato con enfasi il fatto che la psicologia medica abbia fornito a noi una qualche nuova o sostenibile concezione della natura umana.
     I fatti accertati dagli psicologi medici – nella misura in cui sono fatti – trovano il loro posto in una “antropologia filosofica”. Ma essi non sono tutto. Inoltre, si deve essere prudenti circa questi così definiti fatti. Molti sono conclusioni sostenute nel linguaggio di idee preconcepite.
     Così, “resistenza”, così spesso menzionata da altri aridi psicoanalisti che hanno adottato il gergo psicoanalitico, non è un fatto. Il fatto è che una persona, durante l’analisi, rifiuta di andare avanti con le libere associazioni o dichiara che c’è un vuoto nella sua mente. Chiamare questo col nome di “resistenza” è permesso solo se le concezioni fondamentali del freudismo vengono accettate in precedenza.
     E la psicologia medica può rimpiazzare neanche l’etica. Piuttosto, la psicologia medica, così come esiste oggi, è figlia di un teoria etica predefinita, per quanto il padre della psicoanalisi possa esser stato inconsapevole di questa dipendenza. Similmente, la psicologia individuale di Adler e la modifica di Jung alla psicoanalisi presuppongo una predefinita idea di etica.
     Il soggettivismo della psicologia medica rende impossibile riconoscere né la verità oggettiva né il valore oggettivo a coloro che aderiscono strettamente al sistema attuale. Le verità della scienza esistono indipendentemente dalle attività della mente, sia che queste siano state concepite come razionali sia come irrazionali (come Freud le immagina). Cos’è bene e cos’è male non dipende da principi psicologici. Bontà e cattiveria sono “scoperte”, tanto come sono scoperte i fatti delle cose materiali.
     L’infiltrazione continua della psicologia medica in così tanti campi merita accurata attenzione. Poco danno sarà fatto se si è consci dei limiti della psicologia medica. Grande danno potrebbe risultare se questi limiti sono ignorati. La scienza, anche se è generalmente più affidabile della psicologia medica, non deve soppiantare completamente il senso comune. E neppure deve sostituire i principi di filosofia generale e morale. Se lo scienziato aderisce ad una filosofia erronea, questo non è molto importante, dal momento che le sue dichiarazioni scientifiche sono indipendenti dalla sua filosofia. Ma uno psicologo che possiede una filosofia sbagliata è una minaccia. Ha a che fare direttamente con la vita umana. Dichiara che l’educazione e la formazione delle future generazioni deve essere modellata in accordo con i suoi dettami. La psicologia medica, per lo più basata su di una filosofia inaccettabile, è un pericolo reale.
     Questo pericolo è imminente. La psicologia dell’educazione è piena di nozioni che sono derivate dalla psicologia medica. Gli assistenti sociali sono formati secondo i principi della psicoanalisi e dicono di applicarli nel loro lavoro. Gli studenti di medicina vengono inculcati con idee psicoanalitiche. La psicologia medica è senza dubbio necessaria. Ma dovrebbe essere fondata su basi filosofiche sane. Le interpretazioni erronee della natura umana, del posto dell’uomo nel mondo, dell’origine della verità e del valore, tutte queste “eresie dialettiche” (come Sant’Anselmo le avrebbe chiamate) devono essere combattute come meglio si può. Attaccare non è mai un successo a meno che la forza del nemico non sia pienamente conosciuta, e a meno che il nemico non sia attaccato con armamenti equivalenti ai suoi. Non riferendosi alla tradizione, non enfatizzando l’incompatibilità di certe affermazioni con i principi di morale, filosofia, o religione, la posizione delle scuole materialistiche, edonistiche, soggettivistiche può essere rovesciata. Questo può essere fatto solo muovendo contro le loro indifendibili, sebbene suggestive, affermazioni lo studio impassibile dei fatti. E’ il momento che la psicologia medica sia studiata – e praticata da uomini non incatenati dai pregiudizi del diciannovesimo secolo e non accecati dall’idolatria di fronte alla teoria pseudo scientifica.

Note
[1] The Successful Error, New York, 1940.


[2] A. Binding und A. Hoche, Die Vernichtung lebensunwertes Lebens, Leipzig, 1929, A. Thieme.
[3] Sir Charles Sherrington, Man on His Nature, New York, 1940.
[4] E. Husserl, Logische Untersuchungen, 3d. ed. Halle 1913, Niemer (trad. it. Ricerche logiche, vol. 1, Net, 2005). Per un eccellente sommario vedere: E. P. Welch, The Philosophy of Edmund Husserl, New York, 1941, Columbia Univ. Press.

lunedì 11 luglio 2011

LA LEGGENDA DI FREUD - di RUDOLF ALLERS

Rudolf Allers
Il nostro viaggio all'interno dei lavori del Dottor e Professor Allers inizia da uno dei suoi ultimi articoli, pubblicato sulla rivista Thought (n° 9, 1964, pag. 199-209) dopo pochi mesi dalla sua scomparsa.
Molti psicologi cattolici si situano tra le fila della psicoanalisi (freudiana e lacaniana in primis). Si tratta di una scelta sorprendente se si considera la diversità di visioni dell'uomo proposte dalla psicoanalisi da una parte e dall'altra dal cristianesimo - cioè da una vita vissuta alla luce della fede, ossia della contemporaneità di Cristo (per un approfondimento Echavarria, M.F., Corrientes de psicologia contemporanea, Scire, Barcellona, 2008; Seligman, Z., Il relativismo morale nella psicologia di Jacque Lacan, nel blog; Larchet, J-C., L'inconscio spirituale, San Paolo 2006; e lo stesso Allers, R., Psicologia e cattolicesimo, D'Ettoris, 2009; The succesfull error, Sheed & Ward, New York, 1940).
Sigmund Freud
Forse molti degli aspetti legati alla psicoanalisi ed al suo fondatore sono entrati così pervicacemente nel substrato culturale della nostra società da essere diventati leggenda, da modificarsi e da assumere una posizione comoda, dialogante, politically correct. Sono scomparsi dai libri di psicologia i resoconti sul dogmatismo di Freud, sulla sua ingratitudine a Janet e Charcot, sul suo ateismo, sulla fondazione di una "società segreta" dai caratteri di una setta religiosa. Così come - misteriosamente - sono scomparse dalla pratica clinica il ricorso all'invidia penis (prima degli anni '70 - dice un professore di psicoterapia di mia conoscenza - non poteva non essere il "centro" dell'analisi), alla religione come nevrosi collettiva, alla ricerca dell'edonismo.
Questo articolo di Allers non entra nel merito delle questioni "tecniche", ma mostra come molti aspetti legati a Freud ed agli inizi della psicoanalisi siano soprattutto leggende. Si rende necessaria, di conseguenza, una sempre più attenta verifica delle idee proposte dalla communis opinio. Spero che l'articolo possa essere un aiuto per la formulazione di un giudizio più realistico sul personaggio e sulla disciplina da lui costruita.



L’immagine leggendaria di FreudCome un genio perseguitato che alla fine raggiunse
La fama che meritava a dispetto di poteri ostili
È completamente senza fondamento.


La leggenda di Freud

     Freud è conosciuto tanto dai suoi seguaci quanto dai suoi critici come colui che per primo ha sviluppato una interpretazione psicologica delle sindromi nevrotiche e ne ha ricavato un metodo di trattamento; come colui che ha allargato la sua concezione della nevrosi in una teoria generale della mente umana, e quindi ha fatto uso dei suoi principi per una spiegazione della storia della civilizzazione ed una critica dei fenomeni sociali e culturali. Così, il lavoro di Freud è culminato in una teoria omnicomprensiva della natura umana, a cui oggi spesso ci si riferisce come una “antropologia filosofica”.
     All’inizio le idee di Freud incontrarono dure critiche, furono rigettate ed a volte ridicolizzate. Gradualmente, tuttavia, ottennero riconoscimento e, in virtù della loro applicabilità ad ogni campo della vita umana, conseguirono un’influenza decisiva ben al di là dell’ambito della psichiatria o psicologia. Letteratura, antropologia culturale, educazione, sociologia utilizzarono ampiamente la dottrina di Freud.
     Benché il successo di Freud fosse grande, non fece mai cessare completamente le critiche. Neanche le sue idee rimasero immutate. Non solo Freud modificò ripetutamente le sue teorie, qualche volta sconcertando così i suoi discepoli più fedeli, ma anche molte delle sue nozioni furono reinterpretate, così che spesso solo i nomi erano tutto ciò che rimaneva delle originali. [1]
     Tutto ciò è storia. I molti volumi del lavoro di Freud, l’immenso numero di pubblicazioni elaborate sulle sue idee o anche di critica, sono come una prova oggettiva. Questa storia ha a che fare con il lavoro di Freud e non ha nulla da aggiungere sulle circostanze della sua vita e della sua carriera o sulla sua personalità ed i suoi tratti caratteristici.
     Ma c’è, ovviamente, un interesse naturale per la biografia e la persona di un grande uomo, anche se è uno scienziato, un creatore di un’arte, uno statista, un riformatore, o un leader in ogni altro campo.
     Freud stesso ha pubblicato una breve autobiografia che, tuttavia, non è sufficiente per una fotografia completa e soddisfacente. Ma esistono diverse biografie più o meno lunghe; l’ultima e presumibilmente “definitiva” è quella di Ernest Jones, [2] che in tanti anni non fu solo un fedele discepolo, benché a volte critico, ma un vero amico. Fu il Dott. Jones che rese possibile a Freud la partenza da Vienna, quando era governata dai Nazisti, e trovare asilo in Inghilterra.
     In queste biografie Freud appare come il genio perseguitato che alla fine ottiene il riconoscimento che si è meritato a dispetto di tutti gli sforzi per impedire la sua vittoria da parte dei poteri ostili. Invidia e gelosia, si sente dire, fecero il loro meglio per ostacolare la carriera di Freud. La facoltà della Scuola di Medicina e l’Università nel suo complesso, il Dipartimento dell’Educazione (Ministeriuna fur Unterricht) sono note per aver negato a Freud l’appoggio e la promozione al titolo che lui meritava. Più di tutto fu il sentimento anti-semita, che probabilmente stabiliva le politiche dell’Università e del Governo, a divenire un ostacolo insormontabile e a comportare il fatto che Freud divenne ancora più famoso e che trovò un sempre più grande apprezzamento, e che l’importanza delle sue scoperte ed idee fu riconosciuta all’estero più che nel suo paese. Infatti, Freud medesimo una volta sottolineò che la sua fama “iniziò al di là della frontiera Austriaca”.
     Questa è la leggenda. E’ una leggenda perché non ci sono fatti a supportarla.
     Questa immagine leggendaria è sempre apparsa come fortemente incerta a coloro che conoscevano l’Austria prima del 1918 – e per diversi anni dopo la fine della guerra – e che erano al corrente delle regole che governavano le procedure nelle questioni accademiche.
     Non c’erano, tuttavia, dati oggettivi disponibili che potessero servire per un ulteriore sviluppo di questa posizione di dubbio, e invece i biografi di Freud hanno presentato le loro ricostruzioni con la certezza di uomini che sentivano di essere in possesso di fatti accertati. La fotografia che dipingevano non è nient’altro che leggenda pura. L’interrogativo su come questa leggenda nacque sarà posto successivamente.
     Per prima cosa deve essere dimostrato che i dati oggettivi sono completamente in contrasto con la leggenda. Questo è reso possibile dalla pubblicazione di un lavoro in cui tutti i documenti relativi alla carriera accademica di Freud sono riprodotti parola per parola. Questi documenti erano, prima della comparsa di questo lavoro, abbastanza sconosciuti ed anche inaccessibili.
     Il Professor Joseph e la Sig.ra Renée Gicklhorn sono gli autori di un lavoro sulla carriera accademica di Freud, pubblicato nel 1960. [3] Il Professor Gicklhorn, che morì nel 1957, insegnava Storia della Scienza all’Università di Vienna. Lui e sua moglie iniziarono come botanici – lei è al momento un membro dello staff dell’Istituto per la Fisiologia delle Piante all’Università di Vienna – e furono portati a specializzarsi in storia della scienza dai loro studi sui lavori degli esploratori e dei botanici Austriaci.
     La Sig.ra Gicklhorn mise insieme tutti i documenti pertinenti, un compito che richiese l’esame di molte migliaia di resoconti, annotazioni delle sessioni o domande. Dopo il prematuro decesso di suo marito, dovette curare i documenti e aggiungere alcuni ulteriori commenti, anche se le sessanta pagine della “Introduzione ed Interpretazione” paiono chiaramente il lavoro del professore.
     Gli autori sottolineano che il loro obiettivo è esclusivamente di rendere fruibile la mancanza di evidenza oggettiva avuta sino ad oggi per una storia metodologicamente corretta delle relazioni di Freud con la Scuola di Medicina e, allo stesso tempo, “di confutare le accuse e le dichiarazioni veramente mostruose che tentano di screditare la fama di Vienna e delle sue istituzioni culturali e propagare falsi resoconti sulle procedure dell’Università?”. Loro enfatizzano che non sono in alcun modo interessati alla dottrina di Freud, e neanche alla sua personalità o alla sua vita familiare. La loro intenzione è solo di fornire i dati indispensabili ed affidabili per una futura biografia e di spiegare ai lettori l’importanza di alcuni documenti che non hanno familiarità né con le regole legali e procedurali che hanno determinato le azioni della facoltà e del governo né possiedono una conoscenza adeguata del clima culturale generale che esisteva a Vienna prima del 1918 e per molti anni dopo la fine della prima guerra mondiale e lo smembramento della monarchia.
     Messa a confronto con fatti obiettivamente accertati, la leggenda di Freud cade a pezzi. Non una di quelle dichiarazioni si dimostra sostenibile. Se un fatto brutale viene presentato correttamente, la sua importanza viene completamente fraintesa. Per esempio, dopo il suo ritorno dalla Francia, Freud si unì allo staff di un’istituzione privata dedita al trattamento dei bambini. Non era un ospedale; venivano esaminati e trattati solo pazienti esterni. Desiderò e richiese il permesso alla Facoltà di Medicina di essere autorizzato a tenere lì le classi di neurologia. Quando la sua richiesta fu respinta, la interpretò come un’espressione di malevolenza da parte della Scuola Medica. Non si curò, o non seppe mai, dell’esistenza di una legge che espressamente impediva che le lezioni fossero tenute in luoghi non direttamente controllati dalla Scuola di Medicina. Inoltre, si lamentò dell’ostilità della facoltà e del Dipartimento dell’Educazione poiché non aveva potuto ottenere la promozione a Professore Associato (Extraordinarius). Anche in questo caso non seppe o non considerò le regole adottate dal Governo e dalla Facoltà, secondo cui un professore associato si riteneva fosse in grado di sostituire o succedere ad un professore ordinario in una materia riconosciuta, essendo attribuita particolare enfasi all’esperienza di insegnamento.
     Ma Freud richiese e ricevette il diritto di insegnare neurologia, che non era una materia riconosciuta da quando era stata collegata alla psichiatria. Questo fatto di per sé squalifica Freud, il quale, d’altronde, aveva poco interesse nell’insegnamento. Inoltre, Freud interpretò il ritardo nella sua promozione ed il fatto che alla fine ricevette solo il titolo di professore associato, ma non lo status, come manifestazione di ostilità di una parte delle autorità.
     Questi dettagli, di cui molto altro potrebbe essere menzionato, sono importanti perché tutti i biografi hanno finora utilizzato come unica fonte le affermazioni dello stesso Freud che essi, per di più, fraintesero, nessuno di questi autori aveva mai direttamente conosciuto le procedure accademiche, nessuno si era preoccupato di verificare la verità delle informazioni ottenute, e il Dott. Jones, uno straniero, aveva solo una vaga idea e spesso erronea della situazione a Vienna.
     Deve essere sottolineato che tutte queste persone erano perfettamente in bona fide: non vedevano ragioni per dubitare delle parole di Freud. [4] E Freud stesso era non meno in bona fide: evidentemente era convinto che le cose fossero accadute proprio come gli erano apparse, spesso in retrospettiva. In ogni caso non c’era alcuna traccia di non sincerità. Ma la memoria di Freud non era molto affidabile quando erano coinvolte la sua vita personale e, specialmente, le sue aspettative non realizzate. D’altronde, egli proteggeva alcune idee preconcette profondamente radicate della cui verità fu così tanto convinto da considerare non necessario l’esame critico.
     La difettosità della memoria di Freud e la sostituzione di fatti dimenticati con creazioni della sua fallace immaginazione lo portarono qualche volta, nei suoi resoconti sugli eventi passati, ad essere completamente in discrepanza con l’evidenza documentata. Un esempio impressionante è la storia dell’accordo che permise a Freud di trascorrere diversi mesi a Parigi e di lavorare alla clinica di Charcot. Secondo Jones, questo accordo fu stabilito dalla Scuola di Medicina, il povero Jones non ha altre fonti di informazioni se non le storie raccontate da Freud. In realtà, l’accordo fu permesso dal governo su raccomandazione non della Facoltà ma del Senato Accademico. Inoltre, i soldi non erano destinati esclusivamente ai medici, ma erano fruibili alternativamente dagli scolari che appartenevano alle diverse scuole dell’Università. In terzo luogo, lo statuto diceva che la borsa di studio esisteva per permettere al beneficiario di studiare e lavorare presso un’università Austriaca o Tedesca; fu una eccezione in favore di Freud che gli fu permesso di andare a Parigi. Freud sapeva, certamente, che una metà dello stipendio doveva essergli dato prima del rilascio della borsa di studio e la seconda metà dopo il suo ritorno. Ma trascorsero diversi mesi prima che il secondo pagamento fosse effettuato. Nei suoi ultimi anni Freud vide in questo un’ulteriore prova di malevolenza e di ostilità da parte delle autorità. Aveva dimenticato che questo pagamento dipendeva dalla presentazione di un resoconto sulle sue attività durante la sua assenza. E fu lui che causò il ritardo poiché inviò questo resoconto solo diversi mesi dopo il suo ritorno (Documento 15; la prima pagina del resoconto di Freud è riprodotta in fig. 7).
     Questo è uno dei numerosi esempi in cui Freud riteneva responsabili alcune forze ostili, che credeva fossero all’opera contro di lui, per alcune esperienze più o meno sgradevoli, laddove questi eventi erano dovuti proprio alle sue azioni. Ma richiederebbe troppo spazio raccontare tutte le discrepanze tra i fatti oggettivi da una parte, e le affermazioni di Freud e dei suoi biografi dall’altra.
     Le affermazioni dei biografi di Freud soffrono di tre gravi difetti: (1) assoluta ed esclusiva fonte nelle affermazioni di Freud, (2) ignoranza delle regole e delle procedure universitarie – nessuno dei biografi ha alcuna conoscenza personale in quest’area – o anche, nel caso del Dott. Jones, della situazione in Austria durante il regno di Franz Joseph I ed i primi dieci anni ed oltre della Repubblica, (3) completa ignoranza di metodologia storiografica. In queste circostanze risulta comprensibile il fatto che autori di differenti biografie abbiano disegnato un ritratto distorto del loro eroe e della sua carriera.
     Questo è un esempio: quando il Dott. Jones si congratulò con Freud per aver ricevuto il titolo di professore ordinario (ordinarius), Freud sottolineò: “E’ solo un titolo”. Freud, ovviamente, sapeva molto bene che non poteva conseguire la posizione di professore ordinario, dal momento che tali posizioni erano ottenute solo dai responsabili di cliniche o d’istituti e né la Facoltà né il Governo potevano creare un nuovo professorato. Quindi, le sue parole avevano il significato di una spiegazione al fine di prevenire un’incomprensione da parte del Dott. Jones. Ma poiché quest’ultimo non sapeva nulla di tali questioni, fraintese le parole di Freud come se Freud avesse detto: “Ho ricevuto il titolo, sebbene dovessi esser stato fatto professore ordinario”. E in questo il Dott. Jones vide un’ulteriore indicazione di continua ostilità da parte delle autorità.
     In questo caso la colpa era interamente del biografo. Generalmente, tuttavia, era Freud stesso che vedeva ovunque manifestazioni di malevolenza. Conosceva, infatti, solo tre motivi per cui qualcuno poteva non riconoscere la verità delle sue idee e la grandezza delle loro scoperte. Primo, la naturale riluttanza (“resistenza”) di una persona ancora dominata dal suo “inconscio” e tirannizzata dal suo “super ego”, il cui ego era, come Freud una volta ammise, “non padrone in casa sua”. L’analisi avrebbe permesso ad una tale persona di realizzare l’influenza delle pulsioni, i continui effetti delle esperienze infantili, la natura “simbolica” dei suoi tratti caratteriali, ecc, e così di riconoscere le verità riguardanti la natura umana come rivelate dalla psicoanalisi. [5]
     Questa era una ragione veniale per l’ostilità che poteva essere risparmiata se il critico fosse stato d’accordo nel permettere di essere analizzato. Ma, secondo Freud, c’era una seconda ragione che faceva rifiutare alle persone la nuova dottrina poiché nel far così essi miravano proprio a Freud come persona. Questi nemici, credeva, erano animati dall’invidia, dalla malevolenza, dalla paura che le loro visioni tradizionali potessero essere screditate. Il libro dei Gicklhorns mostra chiaramente che Freud fraintese completamente la situazione. Da nessuna parte negli appunti della Facoltà, nei resoconti delle commissioni o nella corrispondenza col Governo si trova la minima traccia di ostilità. Al contrario, c’era quasi una forte inclinazione a favorire Freud, ed il suo fallimento nell’ottenere ciò che voleva non era il risultato di malevolenza, ma del suo essere allo scuro delle condizioni esistenti e della situazione legale.
     La terza e, nella visione di Freud, più potente ragione era l’antisemitismo. Il Dott. e la Sig.ra Gickihorn hanno svolto la loro accurata ricerca non solo con l’obiettivo di fornire un resoconto oggettivo sulla carriera di Freud, ma anche per correggere l’immagine distorta dell’Austria e della mentalità Austriaca di sessanta ed anche trentacinque anni fa che molte persone difendevano. Questa immagine, come sottolineano gli autori, è l’effetto di un modo di guardare indietro negli avvenimenti passati che si fece strada principalmente dal 1933 a causa dell’influenza del razzismo tedesco. Gli autori si mantengono nei limiti che hanno stabilito per il loro lavoro. Non dicono nulla della dottrina di Freud e della reazione che provocò o della sua personalità. Ma per comprendere la continua ed incessante denuncia di Freud di anti-semitismo come fonte principale di tutti gli ostacoli che incontrava, o che disse di aver incontrato, una piccola digressione in relazione alla sua personalità sembra indispensabile.
     In una conversazione che ho avuto con un eminente psicoanalista di Washington, D.C., recentemente deceduto, ho fatto riferimento al risultato sbalorditivo dell’autoanalisi di Freud. L’analista era d’accordo, ma ha aggiunto che Freud non fu mai in grado di scoprire le cause di certi suoi tratti, di cui egli, forse, non era neppure a conoscenza della loro esistenza, soprattutto della sua forte aggressività e della sua estrema intolleranza. Quest’ultimo termine può essere sostituito con rigido autoritarismo che forse descrive ancor meglio il comportamento di Freud.
     Presto nella sua carriera ebbe un violento conflitto con il capo del reparto al General Hospital a cui era affiliato. Come conseguenza il Dott. Scholz gli impedì di parlare dei pazienti nei suoi corsi sulle malattie nervose. Ruppe con il Dott. Breuer, verso cui era debitore per diversi aspetti. La storia di una paziente di Breuer – successivamente pubblicata come primo caso degli Studi sull’isteria di Joseph Breuer e Sigmund Freud, Vienna, 1895 – destò l’interesse di Freud per la psicologia dei disturbi nevrotici, anche prima di aver lasciato Parigi. Il capitolo sulla teoria delle nevrosi – o, come gli autori definiscono in quel testo, “isteria” – derivava da Breuer e fu espressamente progettato così. Breuer favorì il suo giovane collega meglio che potè ed anche lo aiutò con un cospicuo finanziamento quando le entrate di Freud erano ancora insufficienti. Potrebbe essere che questi favori fossero percepiti da Freud come intollerabili poiché il suo bisogno di essere indipendente e di governarsi sembra esser stato molto forte.
     Allo stesso modo ruppe con Fliess, dopo anni di amicizia e di lunga corrispondenza. [6]
     Le caratteristiche precedentemente riportate, tuttavia, divengono più evidenti nelle relazioni di Freud con i suoi seguaci. Lui aveva stabilito alcune asserzioni di base che chiunque volesse diventare o rimanere membro dell’Associazione Psicoanalitica doveva accettare. Ogni qual volta giungeva alla conclusione che una di queste asserzioni dovesse essere abbandonata o modificata, esigeva che la nuova dottrina fosse adottata senza dubbi. Era, ovviamente, disposto a discutere questi punti, a spiegarli, ma la decisione doveva essere ultimamente sua e sua soltanto. Se qualcuno rifiutava di seguirlo, era “scomunicato” nel senso letterale del termine. E Freud non solo rompeva ogni relazione con queste persone ma ne parlava in modo sprezzante e molto duramente. Freud era convinto che i “dissidenti” avessero imparato da lui tutto quello che avevano da dire. Di conseguenza, vedeva in loro non solo uomini che avevano abbandonato la strada della verità, ma anche che avevano dato prova di una scioccante ingratitudine.
     Il comportamento che Freud ha assunto nei confronti di Alfred Adler, C. G. Jung, O. Rank o W. Stekel è sufficientemente noto, tanto che gli esempi sono superflui. E’ doveroso, però, sottolineare che Freud anche qui agiva in optima fide.
     Non è nella finalità di questo articolo delineare una caratterizzazione della personalità fortemente complicata di Freud. Questo, probabilmente, non è fattibile; bisognerà aspettare finché ulteriori dati non saranno disponibili, ad esempio la corrispondenza presentata oggettivamente. Ma i pochi commenti riportati sembrano necessari poiché essi possono fornire la chiave di accesso alle affermazioni infondate di Freud e tenaciamente ripetute.
     Aggressività ed autoritarismo, di cui si è ignari, assieme alla coscienza di essere originali e superiori, conducono facilmente ad attribuire motivi di ostilità a chiunque, realisticamente o in modo supposto, diviene un ostacolo. Si può comprendere il fatto che Freud vedesse nelle difficoltà che incontrava manifestazioni di malevolenza o d’invidia. E’ molto meno facile comprendere perché fosse ossessionato – il termine non è troppo duro – dall’idea di essere una vittima di anti-semitismo.
     Né nella azioni della facoltà né in quelle del governo si può trovare alcuna indicazione di sentimento antisemita. In passato ci furono sempre alcuni professori ordinari (ordinarii), capi di cliniche o d’istituti, che erano Ebrei. Lo stesso è vero per la Scuola delle Arti e delle Scienze (Facoltà di Filosofia). L’imperatore Francis Joseph non aveva certamente alcuna predilezione per gli Ebrei; ma fu un uomo contrario a discriminare tra questi soggetti [7] – per esempio, nominò il famoso Grecista e storico della filosofia Greca, Theodor Gomperz, membro del Senato, rese cavaliere l’attore Ebreo Sonnenthal, consentì l’elezione di un Ebreo convertito come Arcivescovo di Olmutz; un altro convertito divenne prete e principale predicatore alla Cattedrale di St. Stephen.
     Francis Joseph disapprovò l’anti-semitismo, primo, poiché era un buon Cattolico, secondo, perché vedeva in questo atteggiamento una forza distruttiva. Ciò divenne evidente quando la maggioranza dei Cristiano Sociali del Consiglio Municipale Viennese elesse il Dott. Karl Lueger [8] come Sindaco. Il Sindaco di Vienna doveva essere confermato nella sua posizione dall’Imperatore che si rifiutò due volte di firmare il decreto e lo fece, con riluttanza, solo alla terza volta.
     L’anti-semitismo fu uno dei punti nel programma politico dei Cristiani Socialisti, che erano principalmente il partito delle classi sociali medie e più basse. Di conseguenza, fu soprattutto una questione di competenza economica, mentre gli elementi religiosi giocarono un ruolo minore ed il razzismo nessuno. Solo un piccolo ma vocifero partito di Nazionalisti Tedeschi professò un antagonismo raziale violento. Il suo leader era il Parlamentare von Schoenerer, da cui Hitler prese molti spunti.
     L’anti-semitismo dell’era Lueger fu molto meno aggressivo di qualsiasi periodo successivo; fu anche meno consistente. Il Dott. Lueger era solito partecipare a ricevimenti settimanali in alcuni locali, ed uno del gruppo era un Ebreo. Un giorno alcuni prominenti Socialisti Cristiani additarono a Lueger che non era giusto per loro ammettere un Ebreo nella sua compagnia. E allora il Dott. Lueger colpì il banco con il palmo della mano, esclamando: “Chi è e chi non è un Ebreo, questo lo devo decidere io!” Questo era, infatti, un sentimento diffuso, sebbene altre persone difficilmente lo avrebbero espresso allo stesso modo. Essi parlavano, così, degli “Ebrei” come un pericolo, come possessori di ogni sorta di qualità indesiderabile, li rendevano responsabili per molti incidenti, soprattutto economici; ma più o meno tutti avrebbero fatto un’eccezione per questo o quell’indivudo Ebreo che conoscevano.
     Questo tipo di anti-semitismo non aveva influenzato la carriera accademica di Freud, per le ragioni menzionate prima. L’idea di una cospirazione anti-semitica, se si può chiamare così, originata nella mente di Freud, fu propagandata da biografi e divulgatori incompetenti e ritenuta vera da un gran numero di coloro che non sapevano niente dello stato della vecchia Austria. Questa ignoranza rese possibile il fatto che la descrizione, che presentava l’Austria negli ultimi anni prima dell’invasione Tedesca, fosse proiettata indietro nel passato, come se fosse sempre esistita.
     Freud era cieco a tutti i fatti che non erano in accordo con le idee preconcette e, quindi, non divenne cosciente di alcune ovvie contraddizioni presenti nelle sue affermazioni. Da una parte, per esempio, rese l’anti-semitismo responsabile per il rifiuto delle sue idee, dall’altra reputò colpevole i circoli medici di Vienna perché vi incontrò incomprensione e critica. Ma omise il fatto che un grande numero di fisici a Vienna erano Ebrei e si opposero non meno alla sua dottrina di tanti loro colleghi non credenti. Accusò la Facoltà e il Governo perché non poteva ottenere cosa desiderava, ma non realizzò che le sue richieste non potevano essere soddisfatte a causa di ragioni legali.
     Sfortunatamente le persone credevano in lui a causa della comune abitudine di dar credito di autorità su ogni sorta di questione a chi è un’autorità in un campo specifico. Questa tendenza fu, ovviamente, particolarmente forte tra i suoi ammiratori. In questo modo la leggenda di Freud si sviluppò e fu presa per verità storica, sebbene apparisse improbabile ad alcuni anche prima la pubblicazione dei documenti. Ma dal momento che ora possediamo i mezzi per ricostruire i fatti storici, grazie al lavoro del Dott. e della Sign.ra Gickhorn, la leggenda ha perso tutta la sua credibilità. [9]
     La storia del movimento psicoanalitico deve essere riscritta. La fotografia della personalità di Freud così come è stata dipinta dai suoi biografi deve essere soggetta a nuove e minuziose indagini. Alcuni dettagli nelle biografie esistenti, specialmente in quelle del Dott. Jones, hanno già preso nuovo significato; forse si può prevedere la direzione che questi nuovi studi potranno prendere. [10] Ma tali argomenti fuoriescono dall’obiettivo di questo resoconto.

Note
    [1] Vedere, ad esempio, L. Salzman e I. H. Masserman, ed., Modern Concepts of Psychoanalysis (New York: Philosophical Library, 1962).
    [2] Ernest Jones, The Life and Work of Sigmund Freud, 3 vols. (New York: Basic Books, 1953-1956).
    [3] Joseph & Renée Gicklhorn: Sigmund Freuds akademische Laufbahn im Lichte der Dokumente (Wien-Innsbruck: Verlag Urban & Schwarzenberg, 1960).
     [4] Uno dei più vecchi seguaci di Freud, dopo aver formulato una certa frase, dichiarò: “Alla domanda, perché io sostengo che questa tesi sia vera, devo rispondere, perché Freud disse così”. E’ comprensibile che una tale fiducia incondizionata nelle verba magisteri, fosse diffusa, per così dire, dalle affermazioni sulla dottrina a qualsiasi parola. Questa potrebbe esser stata una ragione affinché i biografi considerassero i commenti di Freud sulla sua vita personale come una fonte sufficiente e tutte le ulteriori indagini come superflue. Ma c’erano anche altre ragioni.
     [5] Poiché Freud era convinto che senza l’auto-conoscenza che solo la psicoanalisi poteva fornire nessuno poteva liberarsi dalla tirannia sopra menzionata e quindi riconoscere le cause dei problemi nevrotici, rese un requisito per chiunque fosse desideroso di essere uno psicoanalista il fatto di essere prima di tutto analizzato lui stesso. Per una ragione o per un’altra fece, alla fine, una eccezione. Il professor Paul Schilder, forse il più dotato dei seguaci di Freud, mi disse che lui non era stato analizzato e che non avrebbe mai avuto l’intenzione di esserlo. Era un assistente di Wagner von Jauregg, e dopo il responsabile del reparto psichiatrico al Bellevue Hospital, New York, e fu ucciso in un incidente stradale nel 1939.
     [6] Apparentemente la sola persona che era in grado di rimanere in buoni rapporti con Freud al di là di alcune profonde differenze era Ludwig Binswanger. Perché fosse così non può essere accertato. Forse la ragione fu che i due uomini avevano qualcosa in più in comune che il solo interesse nella psicoanalisi. Come Freud, Binswanger fu un uomo di cultura universale, mentre gli altri discepoli difficilmente avevano trasceso i confini della psicoanalisi anche quando scrivevano di arte, letteratura o altri aspetti di cultura generale.
     [7] La Legge Penale Austriaca forniva la stessa protezione contro la diffamazione dei Protestanti (Luterani e Calvinisti) e la fede Ebraica così come quella della Chiesa Cattolica.
     [8] Pronunciato Loo-éhger.
     [9] Gli autori hanno reso le loro scoperte disponibili all’American Freud Archives. Essi riportano che in anni recenti i riferimenti alla “cospirazione anti-semita” sono diventati molto meno frequenti.
     [10] Si può trovare qualche commento sul posto del lavoro di Freud nella storia delle idee nella prima delle mie quattro lezioni su Esistenzialismo e Psichiatria (Springfield, Ill., 1961).

martedì 19 aprile 2011

RUDOLF ALLERS, PSICOLOGO CATTOLICO - MARTIN F. ECHAVARRIA


Continua la presentazione dell'uomo e dell'opera di Rudolf Allers. Come altre volte sottolineato, probabilmente il più importante psicologo cattolico del secolo scorso (e di sempre). Dopo le prefazioni al libro del 2008 a cura di Jorge Olaechea, è ora il momento di uno degli articoli più conosciuti ed importanti: Rudolf Allers, psicólogo católico, scritto dal professor Martin F. Echavarria, docente di Storia della Psicologia e di Psicologia della Personalità presso l'Università Abat Oliba (CEU) di Barcellona. Si tratta di un articolo apparso per la prima volta sulla rivista internazionale Ecclesia e che mira ad evidenziare i punti centrali del pensiero psicologico dell'autore.
Il professor Echavarria, che ringrazio personalmente per aver permesso la traduzione e la pubblicazione del suo articolo, è uno dei massimi esponenti mondiali di psicologia cattolica, ed ha all'attivo decine di pubblicazioni, tra le quali è importante riportare i seguenti volumi: "De Aristóteles a Freud. Historia Filosófica de la Psicología", Vida y Espiritualidad, Lima 2008; "La praxis de la Psicología y sus niveles epistemológicos según santo Tomás de Aquino", Documenta Universitaria, Girona 2005; "Corrientes de psicologia contemporanea", Scire, Barcellona 2010.

Rudolf Allers, psicologo cattolico

Tratto da una versione ampliata dell’articolo omonimo pubblicato in Ecclesia, 15 (2001) pag. 539 – 562.

Martin F. Echavarria
Università Abat Oliba, Barcellona

La nostra intenzione è di presentare in modo breve la persona e le idee fondamentali nel campo della pratica psicologica di Rudolf Allers. Lasciamo a lato, pertanto, altri aspetti del suo pensiero, come i suoi studi sulla percezione sensoriale, o le sue indagini nell’ambito della filosofia medievale. L’obiettivo che speriamo di raggiungere è duplice: in primo luogo, ricordare ed omaggiare l’autore che, a nostro giudizio, durante il XX secolo ha rappresentato, nel difficile ambito della psicologia e psicoterapia, con prodezza e fedeltà, i valori cristiani. Allers, un tempo molto conosciuto e apprezzato, non solo tra i cattolici, oggi è caduto in un’ingiusta dimenticanza, e per questo motivo ci sembra che meriti di essere richiamato alla memoria. In secondo luogo, le idee che presenteremo qui le consideriamo a tal punto basilari che crediamo non possano essere ignorate da nessun cattolico che investighi e lavori in questa area epistemologica.

1. Dati biografici [1]

Rudolf Allers, psichiatra e filosofo cattolico, nacque a Vienna nel 1883. Suo padre era un fisico, ma con interessi umanistici. Studiò medicina all’Università di Vienna, dove seguì le ultime lezioni di Sigmund Freud. Verso di lui e verso la psicoanalisi mantenne sempre una posizione radicalmente critica. Una volta laureato, nel 1906, combinò la pratica di medico clinico con gli studi biochimici di laboratorio. In questo modo, cominciò ad interessarsi alla neurologia, e realizzò importanti studi sulla percezione sensoriale. Infine, si specializzò in psichiatria (1908), e lavorò come assistente di Kraepelin, uno dei pilastri della moderna psicopatologia. Esercitò la sua professione e il suo lavoro di ricerca nelle Università di Praga e Monaco.

Nel 1908, contrasse matrimonio con Carola Meitner, sorella della Dottoressa Lisa Meitner, che studierà con Otto Hahn la fissione atomica. La Signora Allers era anche lei una persona con profondi interessi intellettuali e spirituali, e la sua casa fu centro di incontri con importanti figure della cultura dell’epoca. Già nel 1913, Allers era docente di psichiatria nella Scuola di Medicina dell’Università di Monaco, attività che fu interrotta nel 1914 all’inizio della Prima Guerra Mondiale. Durante il conflitto bellico, servì come medico nell’Armata d’Austria, e scrisse la sua prima opera, su di un tema strettamente medico: la cura delle ferite da pallottola.

Nel periodo del dopoguerra, Allers si convertì a discepolo di Alfred Adler, medico e psicologo viennese, inizialmente collaboratore di Freud dal quale si separò nel 1912, a causa del dogmatismo estremo del creatore della psicoanalisi e del pansessualismo che in quell’epoca sosteneva. Nelle decadi che vanno dal 1918 al 1938, Allers lavorò alla Scuola di Medicina dell’Università di Vienna, prima nel dipartimento di psicologia della sensazione e psicologia medica e, a partire dal 1927, nel dipartimento di psichiatria.

Attorno al 1925, si era formato un sottogruppo dentro la scuola di Adler, cosciente della necessità di un fondamento filosofico della psicologia, e scontento della poca apertura di Adler verso una visione antropologica integrale, aperta alla trascendenza e magari ad una prospettiva religiosa in psicoterapia. I punti di riferimento del movimento, che alcuni hanno definito “terza scuola di psicoterapia viennese”, erano lo stesso Rudolf Allers e il suo amico Oswald Schwarz. Tra gli psicoanalisti, inoltre, Allers contava sull’amicizia di Paul Schilder. Nel 1927, all’interno di un’accesa discussione, si verificò la rottura di questo circolo con Adler. Allers abbandonò l’Associazione di Psicologia Individuale (creata da Adler), accompagnato da Schwarz e dal giovane Viktor E. Frankl, discepolo di entrambi. Simpatizzante di questo gruppo, però senza rompere con Adler, fu Oliver Brachfeld, che dopo diffuse l’adlerismo in Spagna ed America Latina.

Cosciente della necessità di approfondire le sue conoscenze filosofiche, e sul suggerimento del suo amico Frate Agostino Gemelli O.F.M, si trasferì a Milano, e si laureò in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore (1934). Qui apprese la filosofia neoscolastica che si insegnava all’epoca, e si affezionò al pensiero di san Tommaso, autore che già precedentemente aveva letto, e di cui aveva tradotto in tedesco il De ente et essentia, come anche le opere di sant’Anselmo. Un’altra influenza importante, dal punto di vista filosofico fu quella della fenomenologia, in particolare di Max Scheler. Condivise anche con Edith Stein, che frequentò la sua casa e fece amicizia con la famiglia Allers, l’interesse per una relazione viva tra il tomismo e le tematiche del pensiero contemporaneo. Allers tradusse in inglese un articolo della santa carmelitana sulla conoscenza di Dio, e lei, da parte sua, in varie parti della sua opera citò le teorie di Allers nel campo della teoria del carattere. [2]

Prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale, nel 1938, lo psichiatra americano Francis Braceland, che aveva conosciuto nel 1934, lo invitò ad insegnare alla Catholic University of America (Washington D.C.). Convinto alla fine da Frate Ignatius Smith O.P., Allers si insediò con la sua famiglia negli Stati Uniti. Lì cominciò a dirigere le classi di psicologia presso la Scuola di Filosofia di quella Università. Dopo aver insegnato lì per dieci anni, si trasferì nel 1948 alla Georgetown University come professore di filosofia. Da questo momento in avanti, Allers si ritirò dalla pratica psicoterapeutica, dedicando gli ultimi anni della sua vita allo studio ed all’insegnamento della filosofia. Nel 1957 fu nominato professore emerito. Nel 1960 l’American Catholic Association lo premiò con la Cardinal Spellman-Aquinas Medal, un riconoscimento per il suo instancabile lavoro come intellettuale cattolico (questo premio lo ricevettero persone dal calibro di Maritain e Gilson). In fine, Allers lasciò questo mondo il 18 Dicembre del 1963.

Il nostro autore ha scritto moltissimo. Alla Georgetown University c’è un fondo dedicato alle sue opere, anche se non è stata edita una pubblicazione completa dei suoi scritti. Tra i suoi libri più importanti si ricordano: La evolucion de la persona moral [3] , El error exitoso [4] , Pedagogia sexual [5] , ecc. Inoltre scrisse innumerevoli articoli sui temi della psicologia e filosofia, in tedesco, francese ed inglese. Collaborò a riviste come Jahrbuch fur psychologie und psychotherapie, Estudes Carmélitaines, The Tomist, The new Scholastism, Franciscan Studies, The Homiletic and Pastoral Review, ecc.

Nonostante l’indiscutibile carriera accademica e psicoterapeutica del nostro autore, gli studi dedicati al suo pensiero sono scarsissimi, e di carattere generale.

2. La “psicologia delle vette”

La formazione psicologica di Allers è, senza dubbio, contrassegnata dall’influsso di Alfred Adler. Anche se, per i motivi sopra riportati, entrambi gli autori si separarono, Allers ebbe sempre rispetto per il suo maestro e conservò i punti fondamentali della sua psicologia, benché integrandoli nella prospettiva più ampia del pensiero cattolico.

La posizione di Adler nei confronti della psicoanalisi, dopo la disputa con Freud, fu sommamente critica. Adler rifiutava, primariamente, il suo schematismo. [6] Dal punto di vista teorico, critica la riduzione di tutte le motivazioni a quella sessuale, e la mancanza di finalità. Secondo Adler, il comportamento si deve interpretare in funzione del fine che l’individuo, cosciente o incoscientemente, persegue. Da questa prospettiva, le pulsioni sessuali, che tanto hanno catturato l’attenzione della psicoanalisi, paiono come fattori secondari, che devono essere interpretati nell’insieme della personalità, che si comprende dalla meta o fine. [7]

Questa è una prospettiva che Allers porrà al centro del suo modo di fare psicologia: gli aspetti parziali della personalità non si possono comprendere se non integrati nella personalità totale. [8] Su di questo torneremo presto.

Il nostro autore, alle critiche di Adler, aggiunge le proprie: la psicoanalisi si basa su di una filosofia incompatibile con il cristianesimo. La separazione sostenuta da alcuni autori, come Roland Dalbiez [9] e Jacques Maritain [10] , tra il metodo psicoanalitico e la filosofia di Freud, in modo che il primo, scientificamente corretto, sia accettabile, mentre la seconda possa essere rifiutata, senza influire minimamente sul nucleo delle tecniche psicoanalitiche, è fortemente rifiutata da Allers [11] . La psicoanalisi di Freud non è una scienza, bensì un’ideologia, che dipende da alcuni sviluppi della filosofia moderna (illuminismo, romanticismo, filosofia dell’inconscio). D’altra parte, si basa su paralogismi inaccettabili per la ragione e, ogni volta che si attacca logicamente la psicoanalisi, i suoi cultori rispondono con argomenti ad hominem. [12]

Il peggior difetto della psicoanalisi, e non solo, è la “ossessione per la parte inferiore”, lo “sguardo dal basso”:
Questo modo di considerare la natura umana non è che una delle numerose forme da cui si manifesta una tendenza generale che, dopo secoli, ha pervertito la mentalità occidentale. Potrebbe chiamarsi: lo sguardo dal basso. Tutto ciò che è inferiore, tutto ciò che si avvicina alla natura brutta o perfino morta, è giudicato come più vero, più naturale, più importante. Se uno getta lo sguardo su tante eresie, tante mode intellettuali, anche deviate, tante pseudo-filosofie, tante idee sociali contemporanee: dappertutto incontrerà questa idea funesta secondo cui l’inferiore costituisce il fondo e il centro della realtà, ciò che realmente importa, che cercarlo, è fare un atto di scienza, e che viverla è conformarsi alle esigenze più vere della natura umana. [13]
Lo “sguardo dal basso” è un pericolo enorme in psicoterapia e in pedagogia, perché annulla la possibilità di cambiamento o di progresso. Per questo bisogna assumere un’altra prospettiva, vedere le cose sotto un’altra luce: “Come in filosofia o in psicologia, non c’è un punto di vista più pericoloso, in materia di psicoterapia o di ascesi, che questo che abbiamo chiamato ‘lo sguardo dal basso’. E’ necessario elevare gli occhi verso le vette della nostra vita e dell’essere in generale”. [14] Cioè, la psicologia deve superare la stasi della chiusura in se stessa [15] , e osare di “guardare le cose ‘dall’alto’”, cioè, trasformarsi in una psicologia delle vette, e non solo, in senso psicoanalitico, una psicologia profonda. [16]

3. Nevrosi, peccato e “conflitto metafisico”

Allers distingue tra quei disturbi mentali che sono malattie in senso stresso, e la nevrosi, che è una malattia per analogia. Mentre le malattie propriamente dette sono disordini del corpo, la nevrosi non è per prima cosa e principalmente un disordine del corpo, ma dell’anima.

Secondo Allers, prima di tutto, bisogna distinguere i “sintomi nevrotici” dal “carattere nevrotico”. Quindi, una cosa è una nevrosi propriamente costituita, ed un’altra la comparsa di tratti, che integrano la nevrosi, in una personalità che è fondamentalmente sana. Qui si rende esplicita l’insufficienza di una diagnosi meramente descrittiva. Per diagnosticare la nevrosi è necessaria la conoscenza della personalità totale, del suo stile di vita, delle finalità che persegue, e la sua posizione di fronte alla vita come totalità.

E’ necessario saper distinguere tra la nevrosi che si manifesta con sintomi, siano organici o puramentmentali, e il ‘carattere nevrotico’ come diceva il Dr. Adler; a volte è necessario saper distinguere tra la nevrosi – evidente o no – e la comparsa di certi tratti più o meno nevrotici in una persona sana. Non si deve dichiarare nevrotico nessun individuo che soffre di qualche disturbo ‘nevrotico’; la diagnosi di nevrosi risiede sempre e senza alcuna eccezione sullo studio della personalità totale. [17]
Allers segue in generale la concezione adleriana della nevrosi. Per il fondatore della psicologia dell’individuo, il carattere nevrotico sorge dal tentativo ipercompensatorio del complesso di inferiorità attraverso la volontà di potenza, che ha come meta il senso di personalità. [18] Il nevrotico è una persona che cerca a tutti i costi, attraverso la debolezza e la malattia, di arrivare ad essere qualcuno, di raggiungere la cima. A questa meta, il nevrotico subordina tutte le sue forze cognitive (immaginazione, memoria, ecc.) e affettive. Questo fine di superiorità, si concretizza in particolare attraverso determinate immagini e figure, complessi di rappresentazioni, che si pongono come mete o finalità “fittizie” (la mascolinità, il potere, la ricchezza, ecc.). [19] In questo modo il nevrotico si sta creando una “tecnica di vita”, e perfino a volte la giustifica con una “filosofia di vita” [20] , che si traduce nello “stile di vita”, che configura il suo carattere.

Il nostro autore, in queste idee, si mantiene fedele ad Adler. Allers identifica la “volontà di potenza” del nevrotico, con la superbia, che molte volte può non essere cosciente, e che configura il carattere in senso negativo e distruttivo.

Il Dr. Adler vedeva più in là di quanto sapeva, quando insegnava che i tratti caratteristici del nevrotico sono l’espressione e la conseguenza di questa ambizione inaudita, ambizione senza dubbio velata agli occhi del “malato”. Però non ha potuto, a causa di certi limiti del suo pensiero, ed anche a causa di altri fattori, misurare tutta l’importanza della sua scoperta. A dir la verità, questa scoperta non era nuova; si incontra qui e là in diversi trattati, molto vecchi ed ignorati da psicologi e medici, passaggi che denotano una conoscenza sorprendente di queste cose. [21]
Il carattere fittizio della vita del nevrotico è chiamato da Allers, bugia esistenziale. Al fondo del carattere nevrotico ci sarebbe secondo Allers un sovvertimento, cosciente o no, dell’ordine assiologico. La realtà proviene da questa pretesa egoistica del nevrotico con il malessere.

Abbiamo detto che la ribellione cosciente o no, contro l’ordine assiologico o l’ordine della dignità conduce necessariamente alla menzogna. Questo è – tra parentesi – quello che fa sì che tanti nevrotici diano l’impressione di non essere realmente “malati” e per questo gli altri li accusano di cattiva volontà, di esagerazione ed anche di simulazione. Questa falsità è inestricabile perché per ribellarsi è necessario che l’uomo esista, e perché esistendo, è incorporato, per così dire, in questo ordine che rifiuta di accettare. [22]
 Nell’uomo c’è una dualità interiore. E’ la dualità constatata dalla tradizione cristiana, da san Paolo e da sant’Agostino, della carne che si ribella contro lo spirito. Dice Allers: “L’uomo trascinato da una forza misteriosa, non necessariamente demoniaca (cf. quello che dice Sant’Agostino circa la ‘seconda volontà’, Confessioni VIII, 9), verso un comportamento essenzialmente insensato, contrario alla oggettività [23] , diventa a causa di se stesso, in virtù di una legge inesorabile, preda della menzogna” [24] . Questa menzogna si installa quando la persona non vuole vedere la realtà: “Non solamente esiste la menzogna che sostiene una posizione contraria alla verità, ma anche quella che chiude volontariamente gli occhi davanti alla verità” [25] . La menzogna è anche chiamata da Allers “inautenticità”.

Secondo Allers, nel fondo del cuore dell’uomo esiste la tendenza alla ribellione, e questa è la causa profonda del disturbo caratteriale chiamato nevrosi. Allers parla persino di un “conflitto metafisico”, perché non si tratta semplicemente di una ribellione ad una cosa particolare, ma all’ordine totale dell’esistenza.

Non è possibile spiegare qui come questa attitudine di ribellione interiore, che generalmente il soggetto non riconosce come tale, costituisca un fattore di importanza centrale nell’evoluzione delle nevrosi. L’oggetto della ribellione non è un fatto isolato, una sofferenza, un conflitto, ma il fatto totale di non essere più che una creatura, limitata nel suo potere, nella sua esistenza, nei suoi diritti. Nonostante le migliaia o milioni di anni che sono trascorsi dopo che il serpente spinse i primi uomini alla ribellione, le parole del demonio non hanno smesso di farsi ascoltare silenziosamente nelle profondità del nostro io: eritis sicut Dii. [26]

Il riferimento di Allers al peccato originale non è ozioso. Secondo lo psichiatra viennese, la natura decaduta è la fonte di questa tendenza alla ribellione, di questa dualità che è alla base del disturbo nevrotico. Lasciato a se stesso, ogni uomo è virtualmente un nevrotico.

La nevrosi sorge dall’esagerazione accaduta nella divergenza – che esiste in tutta la vita umana – tra la volontà di potere e la possibilità di potere. In altre parole: è un risultato della condizione puramente umana, proprio come è costituita nella natura decaduta. Si può ugualmente dire che, l’orientamento verso ciò che è malato e pervertito, è conseguenza della ribellione della creatura contro la sua finitezza ed impotenza naturale. [27]
Questa virtuale nevrosi, che caratterizza ogni uomo per il fatto di avere una natura decaduta e di patire dentro di sé la ribellione dei suoi arti contro la legge della ragione, si attua, secondo Allers, quando si manifesta il “conflitto metafisico”.

Il carattere nevrotico si trasforma in nevrosi manifesta quando la situazione dell’individuo minaccia di porlo di fronte al “conflitto metafisico”. In certe condizioni, questo conflitto può essere assolutamente ignorato. E’ il caso dell’individuo che vive in un luogo dove le leggi della metafisica – e quindi della realtà – sono state abolite da qualche legge. (Realmente non possono essere abolite, questo si capisce, però può esser fatto credere alle masse perché sono eccessivamente credulone). Sarebbe possibile avere una diminuzione della nevrosi in un paese dove l’uomo, la razza, la società, lo Stato sono dichiarati il bene supremo. Però non si potrebbe concludere che queste ideologie siano più ‘sane’ della filosofia cristiana. Uno dovrebbe solamente giudicare che queste ideologie ostacolano l’insorgenza della nevrosi perché insegnano alla maggioranza degli uomini un proprio metodo di allontanare gli occhi dalla verità. [28]
4. La normalità: ordine, santità e amore

Essendo universale questa inclinazione alla nevrosi, ha senso parlare di normalità o di salute? In fondo, non ha ragione Freud, e coloro che lo seguono, a negare la possibilità di una cura totale? Nient’affatto. La posizione di Allers è molto lontana dal pessimismo psicoanalitico, che riduce la cura alla presa di coscienza del disturbo, senza possibilità di correggerlo.

In primo luogo, Allers mette in evidenza il limite di una concezione meramente statistica di normalità.

Supponiamo che in un paese ci siano 999 uomini affetti dalla tubercolosi ed uno solo non sia infermo. Si potrebbe concludere che “l’uomo normale” è quello a cui i polmoni sono marci per l’infermità? Il normale non va confuso con la media. Se dunque, secondo la media, l’uomo decide con l’istinto, questo non prova che non possa fare altrimenti, e neanche che i valori più alti sono per natura deboli. [29]
Se il criterio statistico fosse la norma decisiva, la normalità sarebbe la tristezza, il fracasso, la ribellione, il disequilibrio… Per Allers, il criterio di normalità si coglie dall’ordine della realtà, e questo già al livello della medicina.

La medicina, trattando un infermo, non ha soltanto l’intenzione di liberarlo dalle sue sofferenze e di renderlo capace di guadagnarsi la giornata; vuole invece e soprattutto restaurare lo stato “normale”, perché sa che “normale” è ciò che “deve” essere. […] La medicina non può che accettare, sia incoscientemente, sia contro la sua volontà, l’idea di un ordine al di là dei fatti, uno stato delle cose che non esiste sempre però che deve esistere e la cui realizzazione solamente costituisce lo stato “normale”. [30]
L’anormalità costituisce, quindi, una rottura dell’ordine, sebbene avvenga per far cadere l’uomo in un ordine inferiore a quello dovuto alla sua natura, pertanto l’uomo non può abolire assolutamente tutto l’ordine della realtà, ma ne è soggetto. [31] Il disordine e l’anormalità umana avvengono, secondo Allers, per tre ragioni: la volontà, l’alienazione mentale in senso stretto, e la nevrosi, che concorre un po’ ad entrambe.

L’azione anormale è il risultato o di una volontà cosciente, o di una alienazione mentale, o di questa curiosa modificazione del carattere che chiamiamo nevrosi. Ogni azione o ogni comportamento è determinato dal suo fine. Questo fine è, senza eccezione alcuna, la realizzazione del valore giudicato più alto di tutto il resto in quella circostanza. Le leggi che disciplinano la normalità delle azioni sono quelle dell’ordine oggettivo dei valori. L’anormalità di un’azione è, in certi casi, causata dall’ignoranza o da una visione erronea dell’ordine. E’ più o meno il caso dell’alienato. In altri casi – speriamo che siano molto rari – il soggetto opera contro alcune leggi non solo da lui conosciute, ma contro leggi di cui non pone in dubbio la validità. Questa allora è un’evidente ribellione, il satanismo dichiarato. Infine, c’è una terza posizione che si ubica in qualche modo tra le due precedenti: è la ribellione la cui natura ed esistenza il soggetto stesso ignora. [32]
Abbiamo visto nel punto precedente, che questa ultima forma di disordine esiste virtualmente in ogni uomo a causa del peccato originale, anche se non sempre si manifesta. Per questo torniamo alla domanda iniziale: è possibile la normalità? Nel caso di una risposta affermativa: in che consiste? Allers risponde alla seguente maniera.

Il fatto che l’inautenticità costituisce, come è dato intendere a tutto il mondo, un tratto essenziale del comportamento nevrotico, ne segue la conseguenza che solamente quell’uomo, la cui vita trascorre un’autentica e completa dedizione ai compiti della vita (naturali o soprannaturali), potrà essere libero interamente dalle nevrosi; quell’uomo che risponde costantemente con un ‘si’ deciso alla sua posizione di creatura in generale e di creatura con una specifica e concreta costituzione. O, detto con altre parole: “al margine della nevrosi non rimane che il santo”. [33]
Ciò può risuonare strano, ed in effetti, ha portato molte polemiche. Però, se si analizza bene la concezione allersiana della nevrosi, non ridotta al disturbo dichiarato ed esplicito, ma esistente radicalmente in ogni uomo a causa della natura decaduta, queste affermazioni sono del tutto logiche (per non dire, anche, che sono congruenti con l’esperienza cristiana). Però Allers non si ferma alla constatazione, per così dire, “negativa” dell’assenza della nevrosi in una vita santa o che tende realmente alla santità [34] , ma, “positivamente”, afferma che l’autentica “salute dell’anima” si incontra solo nella santità.

Situandoci, dunque – e per questo abbiamo delle buone ragioni -, nel punto di vista secondo cui il definitivo superamento dell’inautenticità, che caratterizza e definisce la nevrosi, non si ottiene se non in una vita veramente santa, otteniamo quest’altra conclusione: la salute psichica in senso stretto non può rafforzarsi che sul terreno di una vita santa, o per lo meno di una vita che tende alla santità. [35]
In questo modo Allers supera ampiamente le meschine definizioni di normalità della psicologia contemporanea, quando ci sono, inclusa quella del suo maestro Alfred Adler. Per Adler, il fine reale della vita umana, a cui si contrappone il fine fittizio della superiorità egocentrica del nevrotico, è indicato dal “sentimento di comunità”, che spinge all’altruismo e a dar la vita per il bene comune. In Adler, questa visione rimane rinchiusa in una attitudine immanentista, in modo tale che alla fine giunge quasi a divinizzare la comunità umana. [36] Invece, in Allers, la tendenza alla vita comunitaria, che lui non chiama “sentimento” ma “volontà di comunità”, si realizza nel modo più pieno nella comunità soprannaturale dei santi, nella Chiesa, che realizza totalmente la tendenza all’universalità per la sua intrinseca “cattolicità”.

L’educazione deve risolvere questo difficile compito: trovare la strada che media tra quelle misure che possono minare l’esperienza del proprio valore, e quelle che propendono ad instaurare una assolutizzazione di quella stessa persona. […] Questo paradosso ed antinomia (non maggiore, per il resto, che le restanti divergenze antinomiche della vita umana) trova la sua espressione, o meglio, il suo prototipo, nella presenza di Cristo nella Chiesa, in quanto comunità dei santi, potendo vivere anche nella persona umana individuale: “non vivo io, ma Cristo vive in me”. Così, dunque, il carattere ideale che unicamente può soddisfare per intero le condizioni dell’esistenza e della natura umana – per quanto varino nel concreto, in accordo con la costituzione individuale e la struttura culturale, nazionale, situazionale – deve rimanere inscritto nel quadro di una forma di vita che riduca ad unità le divergenze polari dell’individuo e della comunità, della persona con valore e della totalità fondatrice di valore, della finitezza creativa e della vocazione a partecipare alla vita divina. Non sono necessari molti chiarimenti per vedere che tutte queste esigenze si compiono in una vita cattolica profonda ed esattamente compresa. Così come Katholikè non solamente si estende su tutte le culture, popoli e tempi, ma anche abbraccia tutta la diversità qualitativa delle persone umane individuali, così anche la vita cattolica, una vita secondo il principio cattolico, può soddisfare le divergenze del nostro essere, riducendole all’unità dei contrari. Non solo la Chiesa deve poter vivere Kat’olon – al di sopra di tutto -, come infatti fa, ma anche ognuno dei suoi membri. [37]
Ciò che porta a trascendere in qualche modo la solitudine originale in cui l’uomo si trova [38] , e soprattutto il suo egoismo antinaturale, è la forza dell’amore. Il desiderio di unione sostanziale con l’amato, senza dubbio, non è possibile al livello creaturale, e neanche nell’unione nuziale, immagine dell’amore per eccellenza. [39] Solo l’amore di Dio è capace di colmare il desiderio di unione e completezza a cui aspira il cuore umano.

In effetti, che l’amore, attitudine dell’io, sia capace di portare l’uomo a trascendere il suo proprio io, è una cosa inimmaginabile. Affinché l’io sia tratto fuori da se stesso, è indispensabile l’intervento di una forza aliena a sé. Questa forza, l’amore non può esercitarla se non è, non soltanto l’atto, la passione, il comportamento dell’io, ma un essere nel quale l’io e l’amore si confondono. E’ necessario che sia l’Amore sostanziale, e non una modificazione di un essere essenzialmente differente da lui.
Quando opera questo Amore, di Dio, l’unione può realizzarsi (non per le proprietà della nostra natura, ma per la grazia che viene dall’alto) ad un grado che nessuna unione di quaggiù potrebbe mai produrre. La realizzazione dei desideri che l’amore desta nell’anima è possibile solamente nell’amore di Dio e per l’aiuto concesso alla nostra impotenza dalla bontà dell’Altissimo. [40]
5. Nevrosi e santità: aridità-stato e aridità-sintomo

Se questo è così, se la santità e la nevrosi sono incompatibili, come si spiegano certi fenomeni apparentemente nevrotici che possiamo osservare nella vita di alcuni santi, e sui quali ci sono abbondanti studi?

In primo luogo, dobbiamo tener presente che per importanti scuole di psicologia, tra le quali emerge il freudismo, il santo è il prototipo del nevrotico. Questa non è una conclusione, basata sull’esperienza, ma è una premessa, che dipende dall’influenza che filosofie come quella di Nietzsche hanno avuto nella psicoanalisi. [41] Non è raro che poi, analizzando la vita dei santi, incontrino ciò che stavano cercando, o ciò che i loro principi teorici obbligano a concludere.

D’altra parte, dobbiamo tener presente che secondo Allers, salvo Cristo e la Vergine Maria, che non hanno la macchia del peccato originale [42] , l’inclinazione alla nevrosi sia comune a tutti gli uomini. Il cammino alla santità, con l’aiuto della grazia, porta a superare questa inclinazione, però negli stati iniziali della propria vita cristiana, le manifestazioni del disordine possono essere evidenti. Non, al contrario, in quelli finali.

Per concludere, nell’evoluzione spirituale abbiamo questo periodo di tempo peculiare che san Giovanni della Croce ha chiamato “notte oscura”. Rudolf Allers propone di distinguere, per non cadere nell’equivoco e confondere la nevrosi con una purificazione spirituale, ciò che chiama “aridità-stato”, dalla “aridità-sintomo”. Questo ci rimanda alla distinzione fatta precedentemente tra il carattere nevrotico, i suoi sintomi, e tratti, e i comportamenti apparentemente nevrotici, che si verificano in una personalità fondamentalmente sana. L’aridità come stato, è ciò che si verifica nel percorso di una purificazione passiva dell’anima, durante la quale si possono manifestare alcuni fenomeni apparentemente nevrotici. La seconda, è sintomo di un disturbo veramente nevrotico alla base, un carattere nevrotico. Come li distinguiamo? Non è facile, a volte implica un’astuzia interiore e una saggezza veramente soprannaturale. Secondo Allers il criterio di base, principalmente, è il giudizio sulla totalità della personalità. [43]

Con quello si facilita la comprensione degli episodi e delle fasi nevrotiche che con tanta frequenza avvengono, o che per lo meno compaiono non ordinariamente, nel trascorso della vita di molti santi. Questi fatti non devono indurci a concludere che la vita santa sia un atteggiamento nevrotico o germogli sul terreno della nevrosi, come una certa posizione pseudoscientifica credette senza capire. Osservando attentamente queste vite, si vede che gli episodi nevrotici non sono più che semplici episodi di certi periodi della vita, stadi di passaggio, nei quali si fa forte la lotta con il “despote cupo dell'io” e il cui superamento porta sempre l'uomo ad un livello più alto di vita. Così si spiega anche che è possibile che tali episodi si ripetano, come che corrispondano a diversi passi dell'ascensione dell'uomo e che inizino sempre una sua “alta formazione” più completa in Dio – per servirci dell'espressione di Tauler -. […] Ci sembrerebbe perfettamente folle l'intenzione di spiegare la “Notte Oscura” e altri fenomeni analoghi, come nevrotici o semplicemente naturali. [44]
6. Psicoterapia e conversione

Nella scuola adleriana, da cui Allers proviene, la psicoterapia è in fondo pedagogia. Si tratta di educare o rieducare il carattere, affinché si conformi con il fine reale della natura umana. In questo modo, la psicoterapia si allea alle scienze mediche e naturali, iscrivendosi nella morale. [45]

Per questa scuola, la psicoterapia avrebbe due compiti: uno analitico, nel quale si rivela la finalità fittizia che l’individuo persegue, e i mezzi con i quali la sostiene; un altro sintetico [46] o pedagogico, che mira a riformare il carattere. [47]

Allers assume queste idee, però “dall’alto”, a partire da una visione molto profonda dell’essere umano, data dall’antropologia cristiana. Questo processo di trasformazione del carattere nevrotico, la cura, è considerato dal nostro autore essenzialmente come una conversione, o meglio “metanoia”, un cambiamento della mente. [48]

Per rimanere fermi davanti ai conflitti, alle difficoltà, alle tentazioni, è necessario essere semplici. Per curare una nevrosi non è necessario un'analisi che discenda nelle profondità dell'inconscio per tirar fuori non so quali reminiscenze, e neanche una interpretazione che veda le modificazioni o le maschere dell'istinto nei nostri pensieri, nei nostri sogni ed azioni. Per curare una nevrosi è necessaria una vera metanoia, una rivoluzione interiore che sostituisca l'orgoglio con l'umiltà, l'egocentrismo con l'abbandono. Se ritorniamo semplici, possiamo domare l'istinto con l'amore, il quale costituisce – se gli è davvero dato di svilupparsi – una forza meravigliosa ed invincibile. [49]
La trasformazione interiore che porta alla salute, comincia dall'umiltà, che vince la superbia, la volontà di potere che è il motore occulto del carattere nevrotico, secondo Allers. Questo non si può fare senza essere mossi dall'amore autentico, che è la forza più potente che spinge alla pienezza di vita. Assieme all'umiltà e all'amore, Allers colloca un terzo rimedio: la verità. Allers sempre aveva presente come motto del suo lavoro psicologico, la frase di Nostro Signore: “La verità vi farà liberi”.

Per poter raggiungere questa semplicità, questa attitudine verso il mondo e verso se stessi, è necessario far entrare in gioco la seconda tra le grandi forze messe a nostra disposizione dalla bontà divina: la verità. Queste due forze, la verità e l’amore, sono le uniche per essere invincibili. Per liberarsi dalle catene che ci legano ai valori inferiori, per poter resistere alle tentazioni che dall’esterno o dall’interno sorgono tanto frequentemente, per rimanere fermi tra gli inevitabili conflitti dell’esistenza, non bisogna fidarsi dello stoicismo che non è in fondo più di una forma raffinata di orgoglio, e neanche liberarsi alla ricerca delle cause incoscienti perse nella nebulosa lontana di un passato problematico. [50]
Il ruolo dello psicoterapeuta, del pedagogo o di chiunque sia che accompagna la persona in questo cambiamento, è secondario ed ausiliare. Si tratta di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di queste forze curative all’interno della persona, attraverso l’amore. [51] Questo implica un certo grado, non incipiente, di sviluppo morale e spirituale da parte del terapeuta, che molto spesso è preso come esempio da chi necessita aiuto. [52]

E’ per tutto questo che, nella prospettiva “dall’alto” adottata da Allers, psicoterapia e direzione spirituale non solo non si contrappongono, ma convergono. La seconda diviene la continuazione più logica ed adeguata della prima. [53]

Una direzione di anime comprensiva, affettuosa, rispettosa, paziente e puramente religiosa, può riuscire a correggere, contemporaneamente, il comportamento religioso e nevrotico; perché questa influenza raggiunge, in effetti, il problema più centrale di tutti. Ovviamente, non tutti questi uomini hanno la disposizione di conoscere e comprendere, senza se e senza ma, questo problema, e neanche di vedere che è un problema per loro. In tali casi, è necessario un doloroso lavoro di spiegazione ed educazione, al fine di portare questi uomini al punto dove è fattibile discutere questo problema, cioè, si richiede, giustamente, una psicoterapia sistematica. [54]
Rudolf Allers, da buon cristiano, è cosciente dei “limiti dei mezzi naturali. A nostro avviso, il dominio più perfetto di tutte le conoscenze e di tutti i procedimenti che da quelli seguitano, rischia di fallire, in ultima istanza, quando non si collega la connessione, fondamentale e superiore nei suoi limiti, del sapere religioso. Siamo convinti che è impossibile, tanto la pianificazione teorica di una dottrina sull’educazione del carattere, quanto di una teoria generale del carattere, senza riferirsi alle verità religiose e non radicare quelle in queste. Abbiamo visto come i fondamenti delle nostre questioni, sorte da una immediata necessità pratica, rimandavano sempre a problemi ultimi che unicamente si risolvevano nel terreno della metafisica e nell’ampio corso della fede basata sulla rivelazione”. [55]

Conclusione

Speriamo che questa breve esposizione di alcune delle idee di Rudolf Allers riferite alle tematiche psicoterapeutiche siano sufficienti per destare interesse nei riguardi dei suoi studi. Il nostro autore ha scritto su molte altre tematiche, psicologiche, filosofiche e pedagogiche, però pensiamo che quello che brevemente abbiamo presentato qui costituisca il suo apporto più personale ed originale.

Di sicuro, non è necessario essere d’accordo alla lettera con tutto quello che Allers dice. Si può tuttavia approfondire molto, completare e precisare molti aspetti. Però è opinione di chi scrive che i fondamenti principali che qui abbiamo esposto debbano essere punti fermi e fondamentali per una psicologia che voglia essere integrale ed efficace.

Da questo punto di vista, Rudofl Allers appare come una figura emblematica, come un esempio autorevole di psicologo cristiano, che in modo coraggioso e sincero non si accontentò di adeguarsi alla mentalità del secolo, ma che cercò sempre l’accordo tra fede e ragione. Per questo, ci sembra degno di essere ricordato ed imitato.

Note

[1] Allers ha scritto la sua autobiografia, che fu pubblicata nel volume The Book of Catholic Authors, W. Roming, Michigan, 1948.

[2] Cf. ad esempio E. STEIN, La mujer, su naturalezza y misiòn, Monte Carmelo, Burgos 1998, pag. 166-197 (in italiano in Opere complete, Edizioni OCD, Roma, 2010): “Poiché inoltre l’essere di una persona umana è sempre un essere nel mondo e il suo stato d’animo è continuamente determinato, la psicologia tende necessariamente, su di essa, ad una considerazione antropologica, sociologica e cosmologica”; e a pie di pagina aggiunge: “Rudolf Allers trattò questo argomento in modo molto adeguato nel suo Trattato di Psicologia sociale come prerequisito di una psicologia sessuale (Problema de pedagogia sexual scritto per l’Instituto Alemàn para la Pedagogia Cientifica, Munster, 1931). Generalmente i suoi scritti negli ultimi anni mostrano un passo avanti della Psicologia individuale verso l’Antropologia”.

[3] Pubblicato in italiano con il titolo Psicologia e Pedagogia del Carattere, a cura di R. Titone, SEI, Torino, 1961, 1967, 1970.

[4] Ultima edizione edita dalla Roman Catholic Books col titolo di What’s wrong with Freud? A Critical Study of Freudian Psychoanalysis. Inedito in italiano.

[5] Edito in lingua inglese col titolo Sex Psychology in Education, Herder, St. Louis MO. - London 1937. Inedito in italiano.

[6] Cf. A. ADLER, Prassi e teoria della psicologia individuale, Astrolabio Ubaldini, Roma (nella edizione spagnola, edita presso Paidòs, Buenos Aires, 1967, a pag. 28): “Nella descrizione sarà inevitabile incorrere in questo errore che è severamente proibito nella pratica: avvicinarsi alla vita psichica individuale equipaggiati da uno schema rigido, proprio come fa la scuola di Freud”.

[7] Ib. (pag. 146, edizione spagnola): “Un criterio fondamentale della nostra Psicologia dell’Individuo [nome della scuola Adleriana, in italiano Psicologia Individuale] è il considerare il comportamento sessuale del nevrotico come parabola del suo piano di vita”.

[8] Cf. E. STEIN, La mujer, su naturalezza y mision, (in italiano in Opere complete, Edizioni OCD, Roma, 2010), pag. 195-197: “La psicologia strutturale, principalmente la corrente che si chiama psicologia individuale, è convinta che i fatti spirituali, gli atti, le realizzazioni, le proprietà individuali non possono intendersi al di fuori di un insieme dipendente spirituale dal quale sorgono, nel quale si sviluppano e di cui essi stessi ne determinano il processo. Così deve delegare il compito di percepire, comprendere ed interpretare questa interdipendenza per comprendere i fatti di unità. […] Posto che la psicologia individuale non può accontentarsi di fissare un segmento momentaneo all’interno della vita dell’anima, e che deve aspirare ad abbracciarla nel modo più possibile conforme al suo sviluppo temporale, essa fugge dal pericolo di analizzare i tipi, come sempre paiono, come qualcosa di fisso ed immutabile. […] Come R. Allers segnala con ragione, il pedagogo deve cercare di investigare la mutevolezza dei tipi e fino a che punto è possibile influire su di essi. Non deve stazionare anzitempo davanti ad una disposizione presunta come immutabile, ma deve investigare in ogni comportamento se bisogna intenderlo come una reazione alle situazioni esterne e se potrebbe svilupparsi in un’altra maniera in altre situazioni”.

[9] Cf. Dalbiez R., La methode psychanalytique et la doctrine freudienne, 2ª ed., Paris, Desclée de Brouwer, 1949 (prima edizione 1936).

[10] Cf. J. MARITAIN, “Freudismo e psicoanalisi”, in Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione di incarnazione, Morcelliana, Brescia, 1978.

[11] Cf. R. ALLERS, The Successful Error. A Critical Study of Freudian Psychoanalysis, Sheed & Ward, New York, 1940 (dalla traduzione spagnola El psicoanalisis de Freud, pag. 8): “Io sono fermamente persuaso – e voglio esser chiaro sin dall’inizio – che la teoria e la pratica della psicoanalisi si compenetrano in tal modo che sono veramente inseparabili. Non si può accettare l’una senza l’altra. Chiunque desideri fare uso del metodo psicoanalitico non può fare a meno di abbracciare la sua filosofia. E posto che credo che la filosofia della psicoanalisi sia assolutamente erronea e che ciò si possa dimostrare, credo anche, di conseguenza, che usare i suoi metodi sia pericoloso”.

[12] Ib., pag. 10: “Raramente gli psicoanalisti hanno risposto a qualche critica e quando lo hanno fatto, hanno utilizzato un metodo molto curioso per disfarsi di qualunque obiezione. Invece di considerare l’oggettività delle argomentazioni che presentano gli avversari, si accontentano di dire a se stessi e a coloro che vogliono credere, che l’antagonismo alla psicoanalisi si deve per gli stessi fattori che già Freud aveva dichiarato presenti nella natura umana, e ripetono che quando uno non è psicoanalizzato è incapace di capire e di valutare la psicoanalisi e meno ancora di utilizzarla per studiare la mente o trattare le infermità mentali. […] Dunque mi sia ora permesso sottolineare che la considero assolutamente ingiustificata e infondata per quegli errori logici che si ripetono negli insegnamenti psicoanalitici”.

[13] R. ALLERS, “El amor y el instinto. Estudio psicologico”, in I. ANDEREGGEN – Z. SELIGMANN, La Psicologia ante la Gracia, EDUCA, Buenos Aires 1999, pag. 310 (originariamente pubblicato in Etudes Carmelitaines, 1936).

[14] Ib., pag. 339.

[15] Ib., pag. 304: “La psicologia per rimanere all’altezza dei suoi propri compiti si vede forzata a superare i suoi limiti. Questo può essere paradossale, però è vero. Non potremmo sperare di trattare bene il nostro tema, se non fossimo disposti a tale ‘trascendenza’ dalle considerazioni puramente psicologiche”.

[16] Ib., pag. 312.

[17] R.ALLERS, Reflexiones sobre la patologia del conflicto, en I. ANDEREGGEN – Z. SELIGMANN, La Psicologia ante la Gracia, pag. 298 (pubblicazione originale in Estudes Carmelitaines 1938, pag. 106 – 115).

[18] Cf. A. ADLER, Il temperamento nervoso, Astrolabio, Roma, 1971 (dall’ed. spagnola El caracter neurotico, Planeta-Agostini, Barcellona, 1994, a pag. 15 – 16): “Abbiamo trovato che l’obiettivo finale di tutta la nevrosi consiste nell’esaltazione del sentimento di personalità, la cui forma più semplice si manifesta come una esagerata affermazione di virilità (‘protesta virile’) […]. La libido, la pulsione sessuale e le tendenze perverse, qualsiasi sia la loro origine, sono subordinate alla stessa linea guida. La ‘volontà di potenza’ e ‘l’affanno dell’apparire’ di Nietzsche dicono al fondo la nostra medesima idea”; ib., pag. 80: “La linea dell’orizzonte, che in una ascensione quasi verticale segue il nevrotico, esige tutte queste risorse e forme di vita speciali comprese nel concetto per nulla omogeneo di ‘sintomo nevrotico’. Così, tutto il sistema nevrotico di sicurezze può mettersi in movimento, compresa la relazione con i punti lontani dalla realtà immediata, e stabilire dispositivi di sicurezza, barricate, camuffamenti di protezione, spesso incomprensibili, però che sempre cercano la vittoria dell’impulso centrale: la volontà di potenza”; Prassi e teoria della psicologia individuale, pag. 81 (ed. spagnola): “La vanità e l’orgoglio, si ergono in linee direttrici uniche, o quasi uniche, proprio come spariscono la capacità creativa, la logica della convivenza umana e la partecipazione all’anima collettiva”; ecc.

[19] Cf. A. ADLER, Il temperamento nervoso, Astrolabio, Roma, 1971 (dall’ed. spagnola, pag. 55): “Così, l’individuo trova che nel suo ambiente, a sua disposizione, gli si offrono come meta finale una innumerevole varietà di valori: la forza corporale o spirituale, l’immortalità, la virtù, la pietà, la ricchezza, la ‘morale dei maestri’, il sentimento sociale, l’autocrazia… obiettivi tra i quali ogni individuo, nel suo peculiare desiderio di perfezione, sceglie quelli che, a seconda della sua peculiare recettività, gli quadrano meglio […]. In un dato momento, tutte le forze vive, tutta l’energia del bambino si mettono al servizio del suo mondo soggettivo che, sotto l’ipotesi direttrice, distorce a suo beneficio tutte le impressioni e gli impulsi, i piaceri ed i dispiaceri, incluso l’istinto di conservazione, col proposito di raggiungere il suo obiettivo”; ib., pag. 58: “Somiglianti ad un idolo di argilla, queste astrazioni fittizie ricevono dalla fantasia quelle qualità generatrici di vita e di forza che quindi recuperano al creatore”; ib., pag. 67: “Potremmo dire, dunque, che il nevrotico si trova sotto l’influenza ipnotica di un piano di vita fittizio”; ecc.

[20] L’esistenzialismo ateo di un Sartre, ad esempio, è visto da Allers come molto vicino alla mentalità nevrotica; cf. R. ALLERS, Existencialismo y psiquiatria, Buenos Aires 1963, pag. 62 (Existentialism and Psychiatry: Four Lectures, Charles C. Thomas, Springfield - IL 1961): “La visione del mondo che ci fornisce Sartre assomiglia molto a quella di certi nevrotici, specialmente quei casi di nevrosi compulsiva. Il suo ritratto dell’uomo suona, quasi verbatim, come quello che Alfred Adler trattò circa la personalità nevrotica, quella dell’individuo che vuole essere Dio”; cf. R. ALLERS, “Bemerkungen uber das Weltbild in anankastichen Syndromen und in der Philosphie von Jean-Paul Sartre”, in Jahrbuch fur psychologie und psychotherapie (1959).

[21] Cf. R. ALLERS, Reflexiones..., pag. 297. Sul tema della superbia nella tradizione e nella psicologia contemporanea, cf. M. F. ECHAVARRIA, “La soberbia y la lujuria como patologias centrales de la psique segun Alfred Adler y santo Tomas de Equino”, in I. ANDEREGGEN – Z. SELIGMANN, La psicologia ante la Gracia, pag. 41 – 162.

[22] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 295.

[23] Sulla relazione di ciò che Allers chiama “oggettività” e la tradizionale virtù della prudenza, cf. J. PIEPER, “Sachlichkeit und Klugheit. Uber das Verhaltnis von moderner Charakterologie und thomisticher Ethik”, in Der Katholische Gedanke (1932), pag. 68 – 81.

[24] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 295.

[25] Cf. Ib., pag. 296.

[26] Cf. El amor…, pag. 337.

[27] Cf. Psicologia e pedagogia del carattere, a cura di R. Titone, SEI, Torino, 1970 (nell’edizione spagnola a pag. 306); Cf. L. JUGNET, Rudolf Allers o el Anti-Freud, Buenos Aires 1952, pag. 80: “Così come l’orgoglio fu il peccato originale, così come in un certo modo è l’obiettivo ultimo di tutto il peccato passato e presente, così occulto e privo di accesso alla coscienza, è la causa fondamentale di molte e molto probabilmente di tutte le anomalie e perversioni del carattere”. Lo stesso Freud non può evitare di ricorrere al peccato originale per spiegare la distrazione di malessere in cui si trova l’uomo; cf., per esempio, Totem e tabù. Secondo lo psicologo americano Paul Vitz, “Il concetto di Freud del complesso di Edipo è una forte evidenza psicologica della tendenza universale di essere come Dio, peccare attraverso la ribellione, e la disobbedienza; è una specifica rappresentazione della lotta per diventare un governatore autonomo della propria e di altre vite” (P. VITZ, “Christianity and Psychoanalysis, Part 1: Jesus as the Anti-Oedipus”, in Journal of Psychology and Theology, 12, 1984, pag. 8); cf. anche, “The vicissitudes of original sin: a reply to Bridgman and Carter”, ib., 17, 1989, pag. 10: “Una psicologia Cristiana è una sintesi in cui le descrizioni di patologie psicologiche di differenti prospettive teoriche possono essere integrate in un quadro di natura umana decaduta. I modi patologici differenti in cui il narcisismo si esprime possono essere compresi come vicende del peccato originale”.

[28] Cf. R. ALLERS, Reflexiones.., pag. 299.

[29] Cf. R. ALLERS, El amor…, pag. 324. Una simile indicazione la incontriamo nell’Enciclica di GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor: “Infatti, mentre le scienze umane, come tutte le scienze sperimentali, sviluppano un concetto empirico e statistico di «normalità », la fede insegna che una simile normalità porta in sé le tracce di una caduta dell'uomo dalla sua situazione originaria, ossia è intaccata dal peccato. Solo la fede cristiana indica all'uomo la via del ritorno al « principio » (cf Mt 19,8), una via che spesso è ben diversa da quella della normalità empirica”.

[30] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 292.

[31] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 294: “Le leggi che costituiscono l’ordine oggettivo delle cose sensibili, come quelle che regolano quello delle verità, sono dotate di una forza compulsiva. L’uomo non può negarle; gli è impossibile collocare il colore arancione in un altro luogo che non sia tra il rosso e il giallo. Può ragionare in un modo erroneo, però c’è in lui una coscienza logica per avvertirlo di questo errore che, d’altra parte, immediatamente si manifesta, posto che conduca a conseguenze contraddittorie. La ragione umana, dopo tutto, obbedisce alle leggi della logica. Accade allo stesso modo nei ‘valori’. Sembra che il potere che questo lato dell’oggettività esercita sullo spirito umano sia molto debole. Senza dubbio, ciò non prova per nulla che i ‘valori’ siano meno oggettivi delle cose o delle verità, ma che lo spirito umano possiede il dono di respingere il loro consenso ad un ordine che è più capace di riconoscere”.

[32] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 293 – 294; 297: “C’è un numero enorme – e sempre crescente – di uomini che, persino incoraggiati da tale seduttore, non osano ribellarsi apertamente contro Dio. Si incontrano in uno stato di ribellione silenziosa del quale essi stessi ignorano l’esistenza; molto frequentemente, sembra che accettino pienamente la condizione ontologica dell’uomo; si dicono umili, devoti, sottomessi alla volontà divina, però al fondo del loro essere c’è una ribellione nascosta. Sottomessi alla loro condizione umana però marci dall’orgoglio, chiedono di essere ‘uguali a Dio’. E’ questo lo stato fondamentale che si chiama nevrosi”.

[33] Cf. R. ALLERS, Psicologia e pedagogia del carattere, (ed. spagnola) pag. 310 (nota 1).

[34] Allers non afferma in assoluto che basta essere un semplice cristiano per non essere nevrotico, ma che nella vita veramente santa la nevrosi è totalmente superata.

[35] Cf. R. ALLERS, Psicologia e pedagogia del carattere, (ed. spagnola) pag. 310-311. Josef Pieper, mostrando la convergenza dell’etica tomista con la caratterologia di Adler e Allers, afferma: “Però è di grande valore per l’etica sperimentare che è dunque ciò che rende l’uomo psichicamente sano, perché appartiene a quei principi, certamente taciti, però profondamente radicati ed indistruttibili del nostro sapere pratico, che l’uomo buono non può essere psichicamente infermo e che l’uomo psichicamente sano non può essere pervertito (corrotto, depravato), che le strade verso il bene sono al tempo stesso quelle che conducono alla salute psichica e che, ciò che fa male all’uomo, lo fa ammalare: che allora, in un certo senso, etica e caratterologia (della tipologia) devono confermarsi mutuamente” (J. PIEPER, “Sachlichkeit und Klugheit”, 69).

[36] Cf A. ADLER, Aspirazione alla superiorità e sentimento comunitario, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2008 (dall’ed. spagnola, pag. 248): “Posto che il fracasso nella vita si deve all’errore, talvolta è comprensibile che occasionalmente (in rari casi) una persona possa liberarsi dell’errore se, nonostante quello, è rimasto forte nello spirito di una comunità ideale. Nella religione questo può succedere, come segnala Jahn, a partire del contatto dell’io con Dio. Nella Psicologia Individuale durante il suo soave bombardamento di domande, la persona sbagliata sperimenta la grazia, la redenzione e il perdono per mezzo della sua conversione nella parte del tutto”. Questa posizione, del superamento della colpa attraverso il mero intervento umano, Adler la condivide con lo stesso Freud e con Jung. Senza dubbio, questi ultimi vanno molto oltre, perché considerano il peccato come un passo dialetticamente necessario per ottenere una coscienza più profonda di sé, e del dualismo insuperabile che è al fondo della realtà. A partire da questi autori, questa posizione profondamente anticristiana si è ampliamente diffusa nella psicologia contemporanea; cf per esempio E. FROMM, El miedo a la libertad, Planeta-Agostini, Barcellona 1993, pag. 51: “Operare contro gli ordini di Dio significa liberarsi dalla coercizione, emergere dall’esistenza incosciente della vita preumana per elevarsi fino al livello umano. Operare contro il comandamento dell’autorità, commettere un peccato, è, nel suo aspetto positivo umano, il primo atto di libertà, come dire, il primo atto umano”.

[37] Cf. R. ALLERS, Psicologia e pedagogia del carattere, (ed. spagnola) pag. 213-214. Non solo si deve rifiutare una psicologia come quella di Freud, che concepisce un individuo precario diviso interiormente, in lotta con il mondo ed oppresso dalla cultura, ma anche una visione che riduce la religione a mezzo espressivo dell’individuo, senza riferimento ad un Dio trascendente ed alla comunità, come è il caso di Frankl, paradossalmente discepolo di Allers; cf. V. E. FRANKL, Dio nell’inconscio, Morcelliana, Brescia, 2000, (dall’ed. spagnola) pag. 96: “In un’occasione fui intervistato da una reporter della rivista ‘Time’. Mi chiese se la nostra tendenza naturale ci separi dalla religione. Io le risposi che la nostra tendenza non ci separa dalla religione, e semmai al contrario ci separa da quelle confessioni che sembrano non aver altro da fare se non lottare tra loro ottenendo che i loro fedeli finiscano per abbandonarle. La giornalista continuò domandandomi se per caso ciò significasse che presto o tardi giungeremo tutti ad una religione universale, cosa che io ho negato: al contrario, dissi, andiamo nella direzione di una religiosità personale, cioè, profondamente personalizzata, una religiosità da cui ognuno incontrerà il suo linguaggio proprio, personale, il più affine alla sua intima natura, quando si rivolge a Dio”. Questa “religiosità personale” di Frankl è perfettamente compatibile con l’ateismo, come lo stesso si premura di chiarire; cf. Homo patients. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia, 2007, (dall’ed. spagnola, pag. 271): “Ciò che uno pensa nella sua estrema solitudine – e quindi, nella sua massima sincerità con se stesso – e ciò che dice nel suo ‘linguaggio interiore’ lo sta dicendo a Dio (tibi meum loquitur); in questo senso è irrilevante che uno sia teista o ateo, perché in entrambi i casi si può definire Dio ‘operazionalmente’ come interlocutore di ognuno. Il teista differisce dall’ateo solamente per il fatto che non ammette l’ipotesi che l’interlocutore sia lui stesso, ma considera questo interlocutore come qualcuno che non è sé”. A partire da queste affermazioni, si può comprendere il carattere relativo del “senso della vita” (espressione già presente in Adler) nel pensiero di Frankl. La “responsabilità” verso cui la psicoterapia conduce il paziente, dice l’autore in uno scritto giovanile, è un valore puramente formale, senza contenuto oggettivo; cf. Le radici della psicoterapia, LAS, Roma, 2000, pag. 129: “Non si può pensare un sistema di valori, una scala di valori, una particolare concezione del mondo senza il riconoscimento della responsabilità come valore fondamentale, come valore formale rispetto a differenti definizioni di contenuto. A noi psicoterapeuti non interessa quale visione del mondo e della realtà abbiano i nostri pazienti, o che valori essi adottino; ciò che è necessario è portarli al punto da avere una visione del mondo e dell’essere responsabili di fronte ai valori”. Senza negare gli aspetti positivi che si possono incontrare nella psicologia di Frankl, e che in gran misura deve ad Allers (lui stesso, nel paragrafo seguente lo cita, dicendo che Allers definì la psicoterapia come “educazione al riconoscimento della responsabilità”; ib., pag. 130), è chiaro che su questo punto entrambi gli autori differiscono. Per Allers c’è un ordine oggettivo dei valori che, senza bisogno di violenza, è possibile portare il paziente a riconoscere. Al contrario, una visione del mondo e dei valori equivocata, perché contraria alla natura umana, porta giustamente alla nevrosi, come già aveva intravisto lo stesso Adler.

[38] R. ALLERS, El amor…, pag. 321-322: “Questa solitudine è ancor più profonda che quella sensazione banale di isolamento di cui gli uomini si lamentano quando non hanno compagnia, quando non hanno nulla che li soddisfi, quando si sentono incompresi. La solitudine che qui prendiamo in considerazione è una caratteristica costitutiva dell’esistenza della creatura e una conseguenza necessaria della sua struttura ontologica. L’essere razionale ha questa particolarità, che la sua esistenza e la sua essenza si riflettono nella sua coscienza. La solitudine percepita è il correlato soggettivo dell’isolamento ontologico”. Questi passaggi concordano, in modo sorprendente, con alcuni insegnamenti della Catechesi sull’amore umano, di Giovanni Paolo II.

[39] R. ALLERS, El amor…, pag. 319-320: “Esaminando i fatti si osserva che questa unione, porta qualche soddisfazione però tralascia il desiderare. Calma, senza dubbio, tutte le necessità dell’istinto; però questa comunione, questa identificazione di due esseri, questa volontà di essere ricevuto nell’altro, tale come la concepisce l’amore, non si ha. Per quanto facciano gli sposi non possono intrapenetrarsi, non possono fondersi l’uno nell’altro. Una barriera invalicabile li separa. Una gran quantità di gente – uomini e mogli – si lamentano del fatto che le gioie fisiche del matrimonio non possono, nonostante il godimento comune, nonostante l’abbandono supremo, soddisfare il desiderio di unione. Il piacere supremo fa dimenticare, per un momento, che l’unione non si realizza; però, non appena questo momento passa, ciascuno degli sposi diventa cosciente della sua individualità, dell’impossibilità di uscire realmente da se stesso. Anche se gli sposi dicono: ‘noi’ nel senso più profondo che può dirlo una coppia, questo ‘noi’ è sempre un plurale. Una coppia è ‘una caro’ (Mt 19,6), mai una persona o ens unum”.

[40] R. ALLERS, El amor…, pag. 321.

[41] F. NIETZSCHE, L’anticristo, Nuovi Equilibri, 2000 (ed. argentina, pag. 87-88): “Rendere infermo l’uomo è la vera intenzione occulta di tutto il sistema del procedimento salutare della Chiesa. E la Chiesa stessa – non è essa il manicomio cattolico come ultimo ideale? – […] Il momento in cui una crisi religiosa si impadronisce di un popolo è caratterizzato da epidemie nevrotiche; […] gli stati ‘supremi’ che il cristianesimo ha sospeso sopra l’umanità, come valore di tutti i valori, sono forme epilettiformi. La Chiesa ha canonizzato in maiorem dei honorem unicamente pazzi o grandi truffatori”.

[42] Per questo è assurdo tentare di comprendere l'anima di Maria, e molto di più di Cristo, a partire dalle leggi empiriche o dalle teorie come quella psicoanalitica, che non trascendono lo stato di natura decaduta. Sarebbe blasfemo, ad esempio, voler comprendere la psicologia di Cristo a partire dalla dinamica del complesso di Edipo, come fece Freud in Totem e tabù, senza tenere in conto che Cristo, mancando completamente del peccato, non solo non patì in assoluto tale complesso, ma neanche alcun altro, ma solo a partire dalla sua pienezza senza difetto ha il potere di liberarci dai nostri complessi; cf. P. VITZ, “Christianity and psychoanalysis...”, pag. 7: “Noi proponiamo che Cristo fornisca la risposta all'incubo edipico”.

[43] Cf. R. ALLERS, “Aridité symptome et aridité stade”, in Etudes Carmelitaines (1937), pag. 132-153.

[44] Cf. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 310-311.

[45] Cf. O. BRACHFELD, Los sentimientos de inferioridad, Miracle, Barcellona, 1959, pag. 179-180: “Era impossibile, quindi, prevedere la reazione del soggetto davanti all'handicap, organico, 'psichico' o 'sociale'; era impossibile prevederla, dedurla, dall'imponderabile; così questa reazione era dell'ordine morale, e non di ordine fisico, fisiologico o biologico, e una volta giunto a questa scoperta, la rottura con le idee ricevute dai suoi superiori, con l'ideologia imperante nella medicina del suo tempo, era totale, era irrimediabile. […] E' considerevole, naturalmente, che Adler arrivasse ai suoi risultati con alcuni mezzi tanto empirici e tanto razionalisti quanto gli altri, come i suoi avversari e futuri nemici; ed è giusto osservare che lui stesso non osò mai desumere tutte le conseguenze morali e filosofiche della sua scoperta”; secondo questo autore, “questo nuovo orientamento […] permette certi punti di contatto con la filosofia aristotelico-tomista”.

[46] Cf. O. BRACHFELD, Los sentimientos de inferioridad, pag. 172: “Adler, in effetti, rifiutando con la stessa energia di Freud i metodi ipnotici – che coprono e ricoprono invece di scoprire – non ha voluto perdersi mai nelle eccessive minuzie 'analitiche': andava sempre al sodo, cercava le grandi direttrici che guidano il comportamento, il pensiero, la vita affettiva della persona. Il suo modo di procedere è principalmente sintetico, invece di analitico. Non a caso la sua Psicologia è stata considerata dai suoi principi come una Psicologia: un ragionamento, mediante la Psicologia. […] Ciò che praticano i suoi discepoli autentici è una psicagogia”.

[47] Cf. E. WEXBERG, “El tratamiento por la psicologia individual”, in K. BIRNBAUM, Los metodos curativos psiquicos, Labor, Barcellona, 1928, pag. 197: “La comprensione della personalità del nevrotico, la riduzione di tutte le sue manifestazioni vitali, incluso il sintomo nevrotico, all'azione della sua linea direttrice è la prima parte e la più vasta della psicoterapia. La seconda parte pedagogica può caratterizzarsi con la parola 'incoraggiamento'”; cf. A. KRONFELD, “Psicagogia o pedagogia terapeutica”, ib., pag. 214: “Alfredo Adler, nella sua psicoterapia individuale psicologica, sviluppò la psicagogia tanto nei suoi fondamenti quanto nel suo aspetto pratico. 'Curare' e 'formare' sono per lui lo stesso essenziale processo”.

[48] Cf. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 258. Cf. Z. SELIGMANN, “Psicoterapia: un camino de conformidad”, in La psicologia ante la Gracia, pag. 29-39.

[49] R. ALLERS, El amor…, pag. 338.

[50] Ib., pag. 338-339.

[51] Cf. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 328: “Nella relazione tra colui che guida con colui che è guidato si forma, per la prima volta, una comunità reale, una unione da uomo ad uomo, che non si ferma ad una comunità di interesse e neanche a legami di famiglia, e neanche in una convivenza casuale o un vincolo erotico, ma negli strati più profondi della persona, incluso il nucleo essenziale o, per lo meno, sfiorandolo da vicino, fa largo alle principali forze morali della natura umana e permette di riconoscere gli antagonisti che incidono in essa”

[52] Cf. R. ALLERS, Pedagogia sexual, pag. 322-323: “La filosofia scolastica, invece di procedere come si è imposto nell'epoca moderna e limitare tutte le relazioni di causa ed effetto ad un'unica modalità, cioè, ciò che regna unicamente ed esclusivamente nella natura inanimata, è solita discriminare tra tutta una serie di tali concatenazioni. Una di esse si chiama causa exemplaris. Senza entrare qui in una esposizione dettagliata, potremmo osservare senza dubbio che questa forma di causalità occupa una parte importante in tutte le relazioni umane, soprattutto nell'educazione. Una persona con un brutto carattere può realizzare pienamente un compito scientifico o artistico, ma non potrà essere un buon educatore, per quanto essa stessa si sforzasse di esserlo. Se desiderassimo formare un carattere dovremmo permettere per prima cosa che ci testino il carattere. Nessuno è esente da difetti; però dobbiamo conoscere le nostre carenze, allo stesso modo in cui dobbiamo sapere come dobbiamo essere. Se coltiviamo i nostri difetti, non otterremo per nulla che i nostri figli diventino persone con pieni valori morali, e neppure se con un narcisismo farisaico ci opponessimo dal riconoscere le nostre mancanze”.

[53] Il tema della relazione tra psicoterapia e confessione sacramentale, è un tema diverso. Allers non la confonde mai, e neanche la contrappone. Su questo tema, cf. J. PIEPER, Psuchotherapie und absolution, Salvator Verlag Steinfeld, Leutesdorf am Rhein (Osterreich), 1978.

[54] Cfr. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 312 (nota 1).

[55] Cfr. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 339. Questa visione corrisponde fedelmente all'insegnamento che dopo terrà Pio XII; cf. Discorso al XIII Congresso Internazionale di Psicologia Applicata, Roma, 10 Aprile 1958, II, 11: