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venerdì 23 luglio 2010

PER VINCERE IL MALE: L'INSEGNAMENTO DEI PADRI DELLA CHIESA ALLA LUCE DELLA PSICOLOGIA - SECONDO ANSELM GRUN

L'incontro fervido tra psicologia e cristianesimo sta vivendo in questi ultimi decenni un momento particolarmente significativo nell'approfondimento dell'insegnamento dei Padri della Chiesa, in particolare dei Padri Orientali o Padri del Deserto. Ne sono esempio le importanti pubblicazioni di Jean-Claude Larchet, alcune edite anche in italiano presso San Paolo ("L'inconscio spirituale" e l'enciclopedico "Terapia delle malattie spirituali"), il libro di Jorge Luis Gonzales "Terapia spirituale" (Libreria Editrice Vaticana) e questo recente saggio del prolifico monaco benedettino Anselm Grun.

Tema del piccolo libro, che l'autore intitola genericamente al male ("Per vincere il male - la lotta contro i demoni", 2003, edizioni San Paolo), è l'accostamento tra la demonologia dei Padri della Chiesa - in particolare del pensiero di Evagrio Pontico (morto nel 399 d.C.) - con la riflessione psicologica moderna - in particolare con la psicologia analitica di Jung. Sin dalle prime pagine è evidente che più di un accostamento si tratta di un continuo dialogo. Non vi è, secondo l'autore, alcun tipo di contraddizione tra le descrizioni metaforiche dei Padri e l'indagine "scientifica" della psicologia: entrambi, con un linguaggio differente, tentano di afferrare una realtà difficilmente scrutabile come quella della dinamica dei demoni, del male, dell' "ombra". Mentre "i monaci descrivono realtà psichiche in una lingua mitologica [...] Jung cerca di avvicinarsi in modo empirico ai fenomeni descritti dai monaci nella loro demonologia" (pag. 20). "La psicologia spiega il male a partire dalla storia personale [...] cerca le cause del male nel passato, vorrebbe poter sottoporre a osservazione ed elaborare le ferite del passato, in modo tale che non generino altro male" (pag. 7). Invece "i monaci non si curano del modo in cui il male è sorto nell'infanzia, ma descrivono il male come qualcosa di presente, come attacco dei demoni" (pag. 7); "il linguaggio mitologico usato dai monaci antichi non vuole catturare le cose, ma solo essere d'aiuto nell'affrontarle" (pag. 88). "Entrambi i tentativi di avvicinarsi alla realtà dovrebbero essere semplicemente collocati l'uno accanto all'altro, senza esprimere un giudizio di valore riguardante il metodo che meglio spiega la realtà stessa. Proprio questa duplicità di approccio può contribuire a chiarire che la realtà, che si cerca di descrivere in una lingua scientifica o mitologica, può essere sì intuita, ma mai compresa del tutto" (pag. 20).

Un primo apsetto che il libro affronta è la natura dei demoni. Che cosa è un demone? "La deomonologia che i monaici antichi ci hanno tramandato è un insegnamento della prassi e non della teoria: per i monaci è più importante il corretto rapporto con i demoni che la speculazione sulla loro natura e sulla loro essenza" (pag. 17) pertanto i demoni sono definiti in base alle esperienze che i Padri Orientali hanno della loro presenza: "forze che li vogliono tenere lontani da Dio" (pag. 14). "Sulla nostra strada verso Dio faccimo esperienza del fatto che in noi sono presenti molte cose che ci vogliono tenere lontani da Dio: pulsioni, desideri violenti, esigenze nascoste, brame di potere, emozioni negative, che ci confondono e alterano il nostro sguardo verso Dio" (pag. 89). "Queste forze, che operano nei loro desideri, impulsi, motivazioni ed emozioni, vengono chiamate dai monaci "demoni" (pag. 14).

Caratteristica dei demoni è l'essere una forza "più forte" della volontà dell'uomo, della ragione dell'uomo, come avviene ad esempio nelle reazioni, negli istinti, nella co-azione: "un incidente, ad esempio se si rompe un attrezzo, è un fatto assolutamente normale, ma la reazione successiva può essere provocata da un demone. Se si reagisce in modo irato, per i monaci è il "demone dell'ira" che ci assale di soppiatto" (pag. 28). "Il punto di contatto fra le capacità cognitive umane e i demoni è la fantasia: i demoni suscitano in noi immagini fantastiche o sogni" (pag. 18). Questo implica una considerazione importante: "le cose non sono diaboliche in sé, ma possono provocare in me delle reazioni, che minano il mio equilibrio e mi spingono a pensare e agire in una certa direzione" (pag. 28). Tant'è vero che il test che conferma l'assenza di un demone è la capacità, da parte dell'intelletto, di conoscere senza la distorsione delle emozioni: "l'uomo conosce le cose, ma esse non lo toccano. Si potrebbe dire: è un uomo che vede le cose, ma senza proiettarvi sopra le proprie emozioni e i propri desideri. Può osservare le cose in modo rilassato, puro e non contaminato dalle proprie proiezioni" (pag. 85), "l'intelletto, infatti, è presso di sé e non è più appannato dalle emozioni, è capace di vedere Dio" (pag. 84).

L'autore riscontra una stessa modalità di intendere il dinamismo umano nel pensiero di Jung. "Jung ritiene che molti disturbi nevrotici vengano causati dal fatto che non nostro inconscio siano presenti contenuti per esprimere i quali oggi non possediamo una lingua adatta. Dato che questi contenuti non vengono né interpellati né espressi, non possono essere resi consci e, quindi, svolgono un effetto di disturbo sulla nostra coscienza. Quando i monaci parlano della lotta con i demoni, quando dànno un nome ai differenti attacchi, alle pulsioni ed emozioni e alle cause delle emozioni, allora dànno una forma linguistica a quei contenuti che rimangono nascosti nell'inconscio di ogni uomo e che da lì agiscono sulla coscienza" (pag. 88). "Jung giunge a parlare dei demoni in relazione alla sua teoria dei complessi autonomi e delle proiezioni" (pag. 21). "All'origine di un complesso si trova un contenuto particolarmente marcato dal punto di vista dei sentimenti, un contenuto che, non appena viene nominato, scatena in noi emozioni violente, ma rimosse dalla coscienza. Un complesso ci spinge in una <>" (pag. 22).

Il libro si sofferma anche nella descrizione che Evagrio evidenzia sulle tecniche dei demoni: "[...] la lotta che si svolge per mezzo delle cose e delle situazioni reali  e la lotta che si svolge mediante i pensieri e le immagini di fantasia" (pag. 27). La prima viene utilizzata principalmente contro le persone comuni, la seconda specificatamente contro i monaci. Inoltre "per Evagrio c'è differenza fra le tecniche usate dai demoni con gli anziani e con i giovani: con le persone giovani, i demoni fanno leva sulle passioni fisiche, sulle pulsioni, sulla parte concipisciente dell'anima; con le persone anziane, invece, i demoni attaccano prevalentemente la parte emozionale dell'anima attraverso le passioni interiori, attraverso emozioni come l'ira, la rabbia, il malumore, la tristezza e l'indolenza" (pag. 36).

"I monaci distinguono diversi tipi di demoni. Il criterio in base al quale viene stabilita la differenza è fornito loro dalla cosiddetta dottrina degli otto vizi" (pag. 39). Essi sono: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria, orgoglio. "Evagrio parla degli otto vizi in modo differenziato: può riferirsi a loro come pulsioni e stati d'animo, o come i pensieri dell'avarizia o dell'ira, o come il demone dell'avaria e dell'ira. Egli personifica il vizio, come se fosse un qualcosa che ci sta di fronte e che è indipendente da noi, un demone che cerca di provocare la pulsione, l'emozione, che ci abbaglia dal punto di vista spirituale" (pag. 40).

Infine Grun dedica un capitolo alle tecniche per combattere i demoni. "Il primo metodo che il monaco dovrebbe utilizzare nella lotta con i demoni risiede nell'osservare dettagliatamente i pensieri, le immagini e soprattutto il modo in cui pensieri e immagini si collegano gli uni alle altre" (pag. 54). Una volta identificato un demone "in primo luogo è importante chiamare i demoni per nome. [...] La seconda arma che Evagrio consiglia qui è il cosiddetto metodo antirretico, ossia delle "parole contro", cioè ributtare indietro al demone alcune parole precise" (pag. 59). Evagrio ne ha studiate e preparate di numerose, per ogni occasione specifica, riprendendo le Sacre Scritture. Oltre alle parole Evagrio descrive delle azioni che possono essere agite contro un singolo vizio: "i desideri e le pulsioni vengono tenuti a freno con l'astinenza, al contrario la parte irascibile attraverso sentimenti positivi: la generosità e la misericordia" (pag. 73).

Il libro di Anelm Grun, sin qui presentato, rappresenta un importante supporto per lo psicologo clinico cattolico. Nella sua brevità coglie il punto di incontro tra il pensiero di Evagrio, psicologo più che mai attuale, e la riflessione di Jung: l'uomo conosce le cose tramite l'intelletto e si indirizza a ciò che l'intelletto percepisce come bene tramite la volontà. Ma questo processo, questo percorso dinamico di conoscenza, può essere interrotto in più punti: nel conoscere, in quanto l'intelletto è schiavo di una emozione (schiavo, cioè succube, non libero, non in equilibrio con essa, come - ad esempio - ci insegna il cognitivismo moderno di Albert Ellis); nell'agire, quando subentra una forza "più forte" della volontà, che orienta la persona, la fa re-agire istintivamente (re-agire e non agire), la ostacola nell'adesione al bene, al vero ed al giusto, ossia alla presenza di Dio. "Non importa quale nome diamo alle resistenze che ci tengono lontani da Dio e, quindi dalla nostra autorealizzazione, decisivo è affrontare queste resistenze, non soccombere alla tentazione di non prestar loro attenzione o di rimuoverle, travolti da un idealismo lontano dalla realtà" (pag. 89).

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