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venerdì 29 aprile 2016

POCO MENO DI UN ANGELO - ERMANNO PAVESI

Il libro del professor Ermanno Pavesi, psichiatra e docente universitario in Svizzera, è uno di quei testi che uno psicologo cattolico non può esimersi dal leggere e dal custodire gelosamente nella propria libreria. Poco meno di un angelo - L'uomo soltanto una particella della natura? (Edizioni D'Ettoris, Crotone 2016, 312 pp., 20,90 euro) ripercorre le vicende storico-filosofiche della medicina, ed in particolare di quella parte della medicina che s'interessa della psiche, la psicoterapia/psichiatria o cura dell'anima, sin dalle origini fino al tempo presente. Evidenziando le riletture storiche fallaci, specialmente degli autori dell'Umanesimo e della Riforma Protestante - Pavesi evidenzia una linea di pensiero della modernità che, attraverso gli autori del rinascimento prima e della modernità poi, conduce al determinismo biologista della contemporaneità. Si tratta di un determinismo che a volte è dichiaratamente materialista (si pensi all'estremizzazione dell'importanza del cervello - neuroni e neurotrasmettitori - a discapito della mente - intelletto e volontà) altre volte è spiritualista (l'inconscio, l'occultismo, ma anche l'astrologia - nel libro è sorprendente scoprire come quest'ultima non abbia mai smesso di esercitare una forte influenza sui teorici della medicina).
Ne pubblichiamo la Prefazione, scritta dal professore Mauro Ronco.

Poco meno di un angelo

Prefazione di Mauro Ronco


Ermanno Pavesi
1. Lo studio che ho l’onore di presentare è il frutto della riflessione, condotta ininterrottamente nel corso della vita di scienziato, dello psi­chiatra Ermanno Pavesi.
Formatosi scientificamente in Italia nella nobile Università di Mo­dena, ove si laureò in Medicina nel 1973 e si specializzò in Psichia­tria nel 1977, egli è stato tra i fondatori, alla fine degli anni ’60, di Alleanza Cattolica, formandosi alla sequela di Giovanni Cantoni, che predicava ai giovani la conversione spirituale insieme con l’appro­fondimento culturale come via maestra per riguadagnare i fondamenti della civiltà cristiana.
Pavesi, senza mai dimenticare questa lezione, si è trasferito in seguito nella Svizzera di espressione linguistica tedesca, al fine di svolgere attività professionale e scientifica nelle cliniche psichiatri­che delle Università di Basilea e di Zurigo. E’ stato anche docente in Antropologia psicologica e in Psicologia della Religione all’Univer­sità germanica Gustav-Siewerth-Akademie di Weilheim-Bierbronnen, nonché in Psicologia alla Theologische Hochschule Chur presso la Facoltà di Teologia della Diocesi di Coira. Egli mai ha abbandonato l’impegno pubblico per la promozione e la difesa dei princìpi umani­stici nella medicina e nel diritto. Per vent’anni (dal 1988 al 2008) è stato Segretario dell’Associazione dei Medici Cattolici Svizzeri, nonché, dal 1992 al 1996, Segretario della Federazione Europea delle Associazioni dei Medici Cattolici e, dal 2010, Segretario generale della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici (FIAMC). Ha al­tresì profuso con generosità le sue conoscenze scientifiche per la difesa della verità del diritto e della medicina nell’ambito della militanza di Alleanza Cattolica.

2. Il titolo dell’opera di Ermanno Pavesi (“Poco meno di un angelo. L’uomo: soltanto una particella della natura?”) costituisce una guida precisa alla lettura. Nei ventitré capitoli dello studio, infatti, l’Autore, percorrendo gli itinerari della scienza psicologica lungo il corso del tem­po, dalla Grecia classica alla contemporaneità, coglie l’irriducibile con­flitto tra due opposte concezioni dell’uomo: quella di coloro che vedono in esso la creatura fatta da Dio a sua immagine e somiglianza e quella di coloro che lo riducono a un grumo di materia, prodotto casuale dell’e­voluzione.
Il filo rosso dello studio è la certezza metafisica dell’Autore in or­dine all’unità della persona umana, composta dall’unione indissolubile dell’anima e del corpo. Tale unità metafisica fonda epistemologicamente la stretta connessione tra la conoscenza universale e filosofica dell’ani­ma e la sua conoscenza sperimentale e fisiologica. La rottura dell’unità dell’anima e il disprezzo per la sua conoscenza filosofica costituiscono i punti dolenti della psicologia materialistica, che riduce l’uomo, pur sotto vesti diverse, a una particella della natura. Pavesi, consapevole dell’in­segnamento del Concilio Vaticano II in Gaudium et Spes, ove è detto che l’uomo «[...] non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città umana»[1], conferma le parole conciliari con la sua esperienza scientifica, passando in rassegna le varie visioni naturalisti­che che, spesso in contraddizione tra loro, cercano vanamente di spiega­re l’attività psichica dell’uomo senza il ricorso all’anima spirituale.

3. Nel primo capitolo dell’opera Pavesi focalizza la crisi della civil­tà come crisi della concezione dell’uomo. Vero è che, per comprendere tale crisi, occorre appuntare l’attenzione, oltre che sui fatti e sulle idee, soprattutto sulle tendenze[2]. Alla base delle tendenze, però, vi è un’op­zione fondamentale, più o meno chiara alla grandissima parte degli uo­mini, circa il significato del proprio stare nel mondo, a seconda che ci si consideri creature volute da Dio in un disegno d’amore, ovvero se ci si consideri un mero prodotto della natura. Dalla prima visione scaturisce lo stupore per l’incommensurabile grandezza di Dio, nonché il rispetto per se stessi e per gli altri; dalla seconda germina l’invidia verso Dio, la sfiducia verso se stessi e il sospetto verso gli altri.
Il tema relativo alla concezione circa l’uomo, la questione antropo­logica, in altri termini, riveste importanza cruciale, come ci ricorda san Tommaso d’Aquino nella Summa contra Gentiles sostenendo che l’er­rore sulle creature «[...] porta falsità nella scienza intorno a Dio, svia le menti degli uomini da Dio, verso il quale si sforza invece di indirizzare la fede, mentre esso le assoggetta a certe altre cause […]»[3]. Pavesi, in tale spirito, si interroga sulle ricadute, in filosofia e in psicologia, del rifiuto dell’insegnamento biblico in ordine alla creazione di Dio e al par­ticolare ruolo che Egli ha riservato agli uomini, a ogni uomo in partico­lare, nell’universo creato.

4. I quattro capitoli seguenti sono dedicati alla scoperta dell’anima nella filosofia e nella medicina dell’antica Grecia. Non è possibile qui addentrarsi nell’esposizione del pensiero dei grandi filosofi e terapeuti dell’antichità, che Pavesi tratta perspicuamente, anche se sinteticamente, alla luce soprattutto degli studi di Giovanni Reale[4]. Decisiva è la rifles­sione di Socrate, riferita da Platone nel Fedone[5], che distingue tra la causa materiale di un’azione e le ragioni per le quali essa è compiu­ta. Con ciò è superata, una volta per tutte, la visione deterministica dell’uomo. Una cosa sono i nervi e le ossa. Se fosse per essi Socrate sarebbe già fuggito lontano dai suoi carnefici. Ma un conto sono i mez­zi, altra e diversa cosa è la causa, che è la ragione per cui agisco, grazie all’intelligenza che mi guida alla decisione libera in virtù della scelta del meglio. L’uomo non è un semplice esecutore di istinti o impulsi naturali, né è schiavo di influssi astrali o di stimoli rivenienti da entità sopraterrene, ma è padrone di sé stesso, delle proprie azioni grazie alla sua anima, principio spirituale incorruttibile e inconcutibile, che è il suo vero tesoro.
Platone arricchisce il patrimonio della cultura con due ulteriori ri­flessioni. La prima concerne lo scopo dell’educazione, che deve for­mare l’anima dei giovani alla temperanza, al pudore e alla fortezza, distogliendoli dalle tendenze alla sopraffazione, all’anarchia, alle dis­solutezze e all’imprudenza[6]. La seconda concerne la scoperta della par­te irrazionale dell’anima, in cui si muovono passioni e istinti primitivi che, privi di un principio intrinseco di autoregolazione, debbono essere dominati dalla ragione.
Aristotele è il fondatore della psicologia per aver affrontato alla luce dell’esperienza il tema del rapporto tra il corpo e l’anima. La sua lezio­ne è ancora oggi attuale. Egli intende l’anima come il principio vitale di ogni essere vivente: «[...] quindi l’anima è l’entelechia prima di un corpo naturale che ha la vita in potenza»[7], ove l’entelechia è la poten­zialità di ogni essere vivente diretta verso un fine preciso. Pavesi mette in luce la fondamentale importanza di Aristotele per gli sviluppi successivi del pensiero occidentale in ordine all’uomo. Segna­la, però, oltre alla sua incommensurabile profondità filosofica, altresì i problemi da lui lasciati aperti, in particolare quelli sulla separabilità dell’anima razionale dal corpo e, conseguentemente, sull’immortalità dell’anima.
Nelle pagine dedicate a Ippocrate e a Galeno Pavesi individua la dialettica tra una medicina integralmente umanistica, espressa soprat­tutto nel Corpus Hippocraticum, tesa a favorire il rapporto armonico dell’uomo con la natura, tenendo conto dei vari fattori che caratte­rizzano la sua complessione fisica e psichica, e una medicina, che si riscontra in particolare nel medico e filosofo greco Claudio Galeno, che, radicalizzando la teoria umorale e mettendo in relazione gli umori con le influenze astrali inaugura un filone naturalistico, che svaluta la dimensione spirituale dell’uomo, destinato ad avere un notevole rilie­vo agli inizi dell’epoca moderna.

5. Nei capitoli 6 (“La svolta cristiana”), 7 (“La penetrazione dell’a­ristotelismo nell’Occidente latino e le reazioni della Chiesa”) e 8 (“S. Tommaso e la crisi della cultura nel XIII secolo”), l’Autore esamina alcuni tra i problemi concettuali più importanti dell’opera. Per un verso egli mette in luce che, grazie all’apertura della ragione alla fede, la filosofia è pervenuta nel XIII secolo a uno dei punti più alti di com­prensione della natura dell’uomo. La definizione di san Severino Bo­ezio del concetto di persona è, nella sua profondità e concisione, una conquista permanente della mente umana, che difficilmente potrebbe essere superata[8]. Per un altro verso, però, Pavesi mette in luce che an­che le verità più importanti guadagnate con la ragione non restano a lungo incontrastate. Invero, non appena la sintesi veritativa sulla natura dell’uomo è raggiunta, immediatamente essa è contestata e messa in di­scussione. Pavesi dischiude in tal modo il profilo di lotta per e contro la verità sull’uomo che segna ogni epoca storica. Poiché la mente umana, creata da Dio, ha in se stessa un lume di vero che viene dal suo Creato­re, l’uomo non può perdere del tutto e definitivamente la nozione della sua origine divina[9]. Tuttavia, questa conquista è sempre in pericolo.
Pavesi coglie le tracce di questa lotta soprattutto durante la crisi del XIII secolo. Il secolo vede con san Tommaso d’Aquino il subli­me inveramento del pensiero classico nella filosofia cristiana; tuttavia dall’interpretazione materialistica di Aristotele vengono gli attacchi più sottili e insidiosi alla visione cristiana dell’uomo come persona libera e responsabile.
L’Autore si sofferma al riguardo sul tema concernente la minaccia alla visione cristiana dell’uomo proveniente dai commenti ad Aristo­tele dei filosofi arabo-mussulmani Avicenna e Averroè, che mettevano in crisi l’individualità e l’immortalità dell’anima, ponevano limiti alla Provvidenza; negavano il libero arbitrio, contraddicendo alcuni inse­gnamenti fondamentali del Cristianesimo.
Nel descrivere la “crisi della cultura nel XIII secolo”, l’Autore ri­leva la problematicità dell’incontro di Aristotele con la cultura cri­stiana richiamando il memorabile discorso di Benedetto XVI alla Cu­ria romana del 22 dicembre 2005: «[...] fu soprattutto san Tommaso d’Aquino a mediare il nuovo incontro tra fede e filosofia aristoteli­ca, mettendo così la fede in una relazione positiva con la forma di ragione dominante nel suo tempo»[10]. Dalla lettura immanentistica di Aristotele germina una linea di pensiero caratterizzata da una partico­lare «vivacità materialista», che «non porta a Tommaso e allo spirito dell’Aldilà, ma a Giordano Bruno e alla materia universale vivente»[11].
È merito di Pavesi attirare l’attenzione sull’influenza che la «sinistra aristotelica» ebbe nella storia del pensiero occidentale. L’idea, tratta dall’interpretazione arabo-mussulmana di Aristotele, che la sostanza dell’anima razionale o intellettiva non è veramente la forma del corpo umano, ma che essa è mortale o unica per tutti gli uomini, è il fomite di varie forme di materialismo e sta all’origine della decadenza del concetto di persona come ente spirituale e libero[12].

6. I capitoli 9 (“L’Umanesimo”), 10 (“Francesco Petrarca e la nascita dell’Umanesimo”) e 11 (“Umanisti cristiani”) sono dedicati all’esame di un fenomeno culturale, spesso equivocato o, almeno, let­to impropriamente con gli occhiali deformanti dell’illuminismo agno­stico e dello storicismo tedesco del XIX secolo. L’esame, nelle sue varie sfaccettature, di quel complesso movimento di pensiero che va sotto il nome di Umanesimo consente infatti a Pavesi di porre in luce le aporie e le deficienze della lettura consueta, che vede nell’Umane­simo la discontinuità radicale con la tradizione cristiana, quasi che il movimento fosse un’anticipazione dell’illuminismo deistico ormai distaccato dalle fonti cristiane. Jacob Burckhardt esprime paradig­maticamente il pregiudizio fallace circa l’orientamento globalmente anticristiano dell’Umanesimo[13]. Pavesi, riproponendo la lettura accu­rata delle fonti, in modo particolare dei tre umanisti italiani Francesco Petrarca, Coluccio Salutati e Giovanni Pico della Mirandola, spiega che la loro attenzione per i classici latini e greci non è frutto di un mero interesse filologico, ma, soprattutto, dell’amore per il contenuto morale e formativo delle opere antiche. La critica alla cultura accade­mica dominante, tanto medica quanto giuridica, non si rivolge contro la sintesi tomistica di teologia e filosofia, ma si oppone all’interpreta­zione materialistica di Aristotele e all’infiltrazione nell’insegnamento universitario di concezioni naturalistiche e deterministiche.
In questi capitoli Pavesi approfondisce il tema della lotta perma­nente, viva in ogni epoca storica e in tutti i settori della cultura, tra il determinismo e il libero arbitrio e, prima ancora, tra la concezione del Dio trinitario e personale e il «deus sive natura». Pavesi dedica un esame puntuale allo scritto di Petrarca Invective contra medicum[14], ove sono contestate le influenze averroistiche delle teorie mediche del tempo ed è affermato che la conoscenza raggiunge la sua pienezza con l’aiuto della Grazia[15].
Anche Coluccio Salutati, cancelliere di Firenze dal 1375 fino alla morte nel 1406, combatte per il libero arbitrio ed esalta il primato della giurisprudenza sulla medicina, perché alla legge spetta definire positi­vamente il comportamento retto alla luce del fine dell’uomo: «[...] per il bene perseguito, il diritto è superiore alla medicina, che si occupa e preoccupa della salute, cioè di un bene naturale»[16]. Pavesi riscatta infine il pensiero di Giovanni Pico della Mirandola dall’accusa di an­tropocentrismo, mettendo in luce la profondità teologica del Discorso sulla dignità dell’uomo, imperniata sull’immagine e somiglianza di Dio[17]. Per questo l’uomo è persona, dotato di intelletto e di libero ar­bitrio, da cui sgorga la responsabilità per le proprie azioni, tanto che l’uomo può degradarsi al livello delle bestie, ovvero di ascendere con la grazia di Dio fin verso le creature divine.

7. Il capitolo 12 (“Martin Lutero e la Riforma protestante”) è crucia­le nell’economia dell’opera. Pavesi ricorda che il cuore della riforma luterana risiede nel pessimismo antropologico, che scuote tanto l’edifi­cio dell’uomo quanto quello della società. Citando la risposta di Lutero a Erasmo da Rotterdam sul tema del libero arbitrio, Pavesi osserva che il riformatore tedesco, scagliandosi contro le tesi di Erasmo a favore della libertà dell’uomo, riconosce tuttavia a quest’ultimo il merito di aver capito il nucleo essenziale della sua rivolta, che si annida nella negazione della volontà e della libertà umana. Il De servo arbitrio – sottolinea Pavesi – è un testo fondamentale nella storia del cristianesi­mo e della civiltà europea. Per Lutero affermare la libertà della volontà umana sarebbe empietà, perché ciò implicherebbe la pretesa di porre limiti alla volontà divina[18]. Il determinismo teologico conduce Lutero a svalutare tanto la ragione quanto la volontà umana: la prima incapace di distinguere il bene dal male; la seconda, schiava della concupiscenza della carne: «[...] non una parte soltanto dell’uomo, sia essa la miglio­re o la principale, è carne, ma [...] tutto l’uomo è carne; e, come se non bastasse: [...] tutto il genere umano è carne»[19]. Richiamandoci a una lettura realistica di Lutero, che ne mette a fuo­co il determinismo e il pessimismo antropologico, Pavesi riannoda i fili di una storia ininterrotta di empietà, che si distende dai tempi antichi alla postmodernità, storia in cui si consuma, a causa della negazione della libertà, lo sfiguramento dell’uomo. Lutero non rappresenta sol­tanto un evento interno alla storia della Chiesa, bensì anche un evento della storia dell’umanità in cui si concretizza quella sfiducia nell’uo­mo, siccome sarebbe totalmente compromesso dal peccato originale, che è germe di allontanamento da Dio, nonché di solitudine e di dispe­razione.

8. Nei capitoli 13 (“Dall’astrologia alla concezione meccanicistica dell’universo”), 14 (“L’affermazione del modello meccanicistico”), 15 (“Sviluppi del dualismo cartesiano”) e 16 (“Thomas Hobbes, teorico dell’Assolutismo”), Pavesi si addentra nell’esame del determinismo moderno che si sviluppa all’interno della concezione meccanicista dell’universo.
I temi trattati sono molteplici. Tra i tanti mi preme metterne in evi­denza almeno tre. Il primo riguarda la persistenza agli inizi dell’e­ra moderna di concezioni astrologiche, magiche ed ermetiche. Esse, lungi dallo scomparire rapidamente con l’avanzare dei «lumi», costi­tuiranno dapprima il veicolo verso la nuova scienza empirica e, suc­cessivamente, andranno a rappresentare il volto «caldo», nascosto, esoterico, irrazionalistico della modernità.
Il secondo tema, più noto, concerne la definitiva frattura, avvenuta con Cartesio, all’interno dell’uomo, diviso in due sostanze differen­ti, l’una completamente soggetta alle leggi della natura materiale (res extensa), l’altra (res cogitans), immateriale e libera. Le ricadute con­traddittorie della concezione cartesiana sulla psicologia sono evidenti. Le funzioni psichiche apparterrebbero in parte alla macchina del cor­po e in parte all’anima razionale. Separata così l’unità psicosomatica dell’uomo, il dialogo tra le due parti dell’anima diventa impossibile.
Pavesi mette in luce le problematiche che scaturiscono nella filoso­fia moderna dal dualismo cartesiano, che oscilla dagli occasionalismi che cercano di far coincidere l’attività della mente con quella del cor­po, all’armonia prestabilita di Leibniz fino all’opzione ateista e ma­terialistica di Spinoza e di La Mettrie. Spetta a quest’ultimo il passo conclusivo, che Pavesi così stigmatizza: «Se Descartes aveva parlato della macchina del corpo, La Mettrie fa un passo ulteriore e considera non solo il corpo ma tutto l’uomo, quindi anche le funzioni psichiche, come una macchina con una concezione materialista senza più alcun riferimento a Dio»[20].
Il terzo tema concerne i risvolti sociali e politici del determinismo antropologico, particolarmente chiari in Hobbes. Come l’individuo così la società è sottoposta alle leggi ferree della natura. La lotta con­tro la dignità della persona, la negazione della peculiarità dell’attività mentale umana rispetto a quella degli animali, il rifiuto del libero arbi­trio e la cancellazione della differenza tra il giusto e l’ingiusto vanno a costituire i pilastri della vita sociale e politica dominata dall’ingiusto potere dell’orrendo Leviatano[21].
Pavesi mostra, per un verso, le analogie tra Hobbes e Lutero sul «servo arbitrio», sul pessimismo antropologico e sulla natura a-mo­rale = immorale del potere politico. Per un altro verso, egli osserva lucidamente che in Hobbes si annidano i germi anticipatori delle varie psicologie contemporanee del profondo, in cui le forze istintive ca­valcano la ragione e la volontà come se esse fossero le loro bestie da soma. Hobbes costituisce, secondo Pavesi, il ponte tra le tendenze de­terministiche antiche, di tipo superstizioso, e quelle immanentistiche caratteristiche della modernità.

9. L’ultima parte dello studio, dal capitolo 17, sul sorgere di una nuova religiosità tra il ‘700 e l’ ‘800 nell’opera di Schleiermacher, al capitolo 23 sulla “Crisi della modernità”, presenta una diagnosi della condizione attuale dell’antropologia, stretta tra determinismo biolo­gico, psicologico e sociologico. L’Autore accompagna l’esame del pensiero dei «maestri del sospetto», tra cui spicca l’approfondimento condotto su Nietzsche e Freud, alla speranza del ritorno a una conce­zione dignitaria della persona.
In questa prospettiva, alla desertificazione dell’umano conseguente alla «morte di Dio» e all’ «eclissi del padre», Pavesi oppone che l’ab­bandono di Dio e l’esautorazione dei genitori dal profilo educativo dei figli non hanno affatto liberato l’uomo, ma l’hanno vieppiù schiaviz­zato, lasciandolo in balìa di istinti e di forze irrazionali. Alle pretese dell’evoluzionismo radicale e dell’eugenismo materialistico, Pavesi risponde mostrando l’irriducibilità delle azioni umane al dato mera­mente materiale. Il riferimento scientifico è all’opera Persona e atto di Karol Wojtyla – il futuro Papa san Giovanni Paolo II – che, richiaman­dosi alla tradizione filosofica di Aristotele e di san Tommaso, valorizza l’atto umano come «[...] concretizzazione del dinamismo proprio della persona umana»[22], caratterizzato dal libero arbitrio, in cui le dimen­sioni somatiche e psichiche sono trascese nella dimensione spirituale della persona, tesa nel suo compimento in Dio[23].Al determinismo della psicologia del profondo, al riduzionismo del comportamentismo e alle correnti materialistiche presenti nelle neuroscienze e nella contempo­ranea filosofia della mente, Pavesi contesta l’arbitrarietà delle ipotesi esplicative alla base delle varie concezioni; la loro contraddittorietà intrinseca; la loro inconciliabilità reciproca e la loro incapacità di dar conto della complessità dell’umano.
L’Autore rileva, sulla scorta delle lezioni tenute da Romano Guar­dini negli anni 1947-1948 all’Università di Tübingen (raccolte nel volume “La fine dell’epoca moderna”)[24], che il riduzionismo mate­rialistico e antidignitario dell’uomo si accompagna invariabilmente all’elaborazione di una cultura non cristiana, che caccia Dio fuori dal mondo o addirittura lo rifiuta in modo implacabile. Per molti secoli la cultura moderna ha convissuto con i valori umani illuminati dalla Rivelazione cristiana, ritenendo che essi potessero sussistere anche autonomamente da essa. Senonché, come rileva Guardini: «[...] questi valori ... sono legati alla Rivelazione, la quale si trova in un partico­lare rapporto riguardo a ciò che è immediatamente-umano. […] Il ca­rattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo ed accettabile alla volontà, quando, in grazia della adozione a figli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale»[25].
Ma questa credenza sta svanendo. E alla «morte di Dio», consuma­ta «idealmente» nelle teoriche ultimative della modernità, si accompa­gna il tentativo post-moderno di distruggere concretamente «l’umano nell’uomo».

In questo frangente così drammatico per il destino dell’umanità la lezione di Ermanno Pavesi si rivela preziosa.

I cattolici impegnati nello studio delle scienze hanno il compito arduo, ma entusiasmante, di ricostruire, sulle rovine dello scientismo riduzionistico, e con i frammenti di verità via via guadagnati nel corso del tempo, l’edificio grande di una scienza che riconosca l’unità del­la persona in cui si integrano indissolubilmente anima e corpo, alla luce della verità luminosa che l’unità costituisce l’impronta nell’uomo dell’immagine e somiglianza del Dio creatore. Quell’unità infranta che, dopo, la caduta nel peccato, Dio ha voluto restaurare facendo prendere per mano gli uomini dal suo Figlio unigenito e inviando loro a sostegno e consolazione il suo Santo Spirito. Per l’avvenuta reden­zione e per la vittoria definitiva di Gesù Cristo sul «mondo», come in­segna Pavesi, non v’è ragione di lasciarsi prendere dalla disperazione neppure nell’ora oscura della post-modernità in apparenza trionfante.





[1] Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale sul mondo contemporaneo, Gau­dium et Spes, n. 14, 7 dicembre 1965.
[2] Come insegna magistralmente la scuola di pensiero contro-rivoluzionaria. Cfr. in particolare Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, con lette­re di encomio di S. E. Mons. Romolo Carboni, arcivescovo titolare di Sidone e nunzio apostolico, e con L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo di Giovanni Cantoni, 3a ed. it. accresciuta, Sugarco, Milano 1977.
[3] S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles ossia La verità della fede Catto­lica, Società Editrice Internazionale, Torino 1930, vol. I, L. II, cap. II, p. 191.
[4] Cfr. in particolare Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’“uomo europeo”, Raffaello Cortina, Milano 2003.
[5] Platone, Fedone, 98 C-99 B, in Idem, Tutti gli scritti, a cura di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1997, pp. 76-130.
[6] Platone, Repubblica, in Idem, Tutti gli scritti, cit., 559 A - 560 D, pp. 1067-1346 (p. 277).
[7] Aristotele, De anima, II (B), 1, 412 A, p. 128, in Opere, v. IV, Della gene­razione e della corruzione, Dell’anima, Piccoli trattati di storia naturale, Laterza, Roma-Bari 1973.16
[8] Severino Boezio, “[...] Personae est definitio: naturae rationabilis individua substantia”, Idem, Contra Eutychen, III, in The theological tractates, Harvard Uni­versity Press, Cambridge, Massachusetts 1997, p. 84.
[9] Giambattista Vico, De universi iuris uno principio et fine uno, in Opere giuri­diche. Il diritto universale, a cura di P. Cristofolini, Sansoni, Firenze 1974, cap. XXXIV, pp. 17-343 (52): «Laonde, nell’uomo corrotto non sono del tutto spenti i semi della verità, e questi coll’aiuto d’Iddio, valgono a fargli dispiegare una forza che contrasta alla corruzione della natura».
[10] Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, giovedì, 22 dicembre 2005.
[11] Cfr. Ernst Bloch, Das Materialismusproblem, seine Geschichte und Sub­stanz, [Il problema del materialismo, la sua storia e la sua sostanza], Suhrkamp, Francoforte sul Meno 1985, pp. 480-481. È stato soprattutto il filosofo marxista Ernst Bloch a individuare, accanto alla ricezione aristotelica di Tommaso (che inau­gurerebbe il sorgere di una «destra aristotelica»), la forte presenza di una «sinistra aristotelica», che interpreta in modo materialistico Aristotele, alla sequela di Avi­cenna e Averroè.
[12] Per due secoli, ininterrottamente, il Magistero della Chiesa combatte questo pernicioso errore, che erode la radice della dignità della persona e del libero arbitrio dell’uomo. Pavesi riporta opportunamente nella sua opera i dettami del Concilio di Vienne del 1312 e del Concilio Lateranense V del 1513, alla vigilia della scissione luterana. Così recita il Lateranense V: «Ora … il seminatore di zizzania, l’antico ne­mico del genere umano [cf. Mt 13,25], ha osato seminare e moltiplicare nel campo del Signore alcuni errori estremamente perniciosi, che i fedeli hanno sempre respinto, soprattutto sull’anima razionale, secondo cui essa sarebbe mortale o unica in tutti gli uomini. Poiché alcuni, che si dedicano alla filosofia con leggerezza, sostengono che questa proposizione è vera, almeno secondo la filosofia, desiderando prendere gli opportuni provvedimenti contro questo flagello, con il consenso di questo santo concilio, condanniamo e riproviamo tutti quelli che affermano che l’anima intellettiva è mortale o che è unica per tutti gli uomini, o quelli che avanzano dei dubbi a questo proposito: essa infatti non solo è veramente, per sé ed essenzialmente, la forma del corpo umano, come si legge in un canone del nostro predecessore papa Clemente V [1305-1314], di felice memoria, pubblicato nel concilio generale di Vienne, ma è anche immortale, e, data la moltitudine dei corpi nei quali è infusa individualmente, essa può essere, deve essere ed è moltiplicata […]». Concilio Lateranense V, sotto Leone X (1513-1521), Sessione 8a, 19 dicembre 1513: Bolla Apostolici regiminis, in Heinrich Denzinger, Enchiridion symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Edizioni Dehoniane, Bologna 2001, nn. 1440-1441, p. 621.
[13] Jakob Burckhardt, La civiltà del Rinascimento in Italia, trad.it., Newton Compton, Roma 2010.
[14] Francesco Petrarca, Invective contra medicum, testo latino e volgarizzamento di ser Domenico Silvestri [1335 ca. - 1411 ca.], Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1950.
[15] Ibidem, p. 71: «Infatti la perfetta conoscenza di Dio non è raggiungibile con gli studi umani, ma è una grazia celeste».
[16] Coluccio Salutati, Vom Vorrang der Jurisprudenz oder der Medizin. De nobi­litate legum et medicinae, edizione bilingue latino-tedesca, Fink, Monaco di Baviera 1990, p. 100.
[17] Giovanni Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo. Oratio de hominis dignitate, a cura di Francesco Bausi, 2a ed., Fondazione Pietro Bembo/Ugo Guanda, Milano-Parma 2007.
[18] Martin Lutero, Il servo arbitrio (1525), a cura di Fiorella de Michelis Pin­tacuda, trad. it., Claudiana, Torino 1993.
[19] Ibidem, p. 330.
[20] Ermanno Pavesi, in questa opera, p. 194.
[21] Thomas Hobbes, Leviatano, testo inglese del 1651 a fronte, testo latino del 1688 in nota, a cura di R. Santi, Bompiani, Milano 2001, II, XVII, 13, pp. 281-283. «[...] quel Dio mortale a cui dobbiamo la nostra pace e la nostra difesa».
[22] Karol Wojtyła, Persona e atto, trad. it., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, pp. 45-46.
[23] Ibidem, pp. 224-228.
[24] Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, trad. it., in Idem, La fine dell’e­poca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 2007.
[25] Ibid., pp. 98-100.

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