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venerdì 1 aprile 2016

Incorporare la filosofia in ogni corso di psicologia, e perché sia importante - Amy Fisher Smith

Amy Fisher Smith
Capita spesso d'incontrare un interlocutore che difende a spada tratta l'autonomia della psicologia dalla filosofia. "La psicologia è una scienza indipendente!" sostiene, magari aggrappandosi a qualche fonte autorevole, come il Legrenzi che, nel suo manuale di psicologia generale, fa propria l'idea secondo cui il laboratorio di Wundt a Lipsia rappresenti lo «spartiacque tra due millenni psicologia "filosofica" e centoventi anni di psicologia scientifica» (Legrenzi P., Psicologia generale, Il Mulino, Bologna 1996, p. 18). L'obiettivo può anche essere nobile: difendersi dalle cattive filosofie che, specialmente nella modernità, hanno introdotto delle concezioni mistificatorie dell'uomo e del cosmo. Per proteggersi da esse, la psicologia dev'essere scienza pura, autonoma, indipendente da qualsiasi influenza. Sul piano clinico tale concezione si declina nella ricerca di una neutralità massima: il terapeuta non deve consigliare, né guidare, né (a ben vedere) curare. Non si parla di valori (li si rispetta, si dice), non si entra nel merito delle scelte. Quando fronteggio una simile posizione, quasi sempre oppongo alla tesi sostenuta l'antitesi. Talvolta è la via più semplice, poiché l'indipendentismo e la neutralità prestano facilmente il fianco ad osservazioni paradossali. Proteggersi da una cattiva filosofia significa negare la filosofia stessa (principio rivoluzionario)? Verso un paziente che ha per mira il suicidio, il terapeuta (direttamente o indirettamente) non lo aiuta a modificare le proprie concezioni? E verso un omicida, un pedofilo, un sociopatico, il terapeuta non va alla ricerca delle cause di tali 'sintomi'? Altro che neutralità: che lo ammetta o non lo ammetta coscientemente, il terapeuta è animato nel suo compito da un giudizio di valore verso ciò che gli porta il paziente. Certamente non deve imporlo, ma non s'illuda d'evitare di proporlo...perché non è così (ed è bene che non lo sia, altrimenti cosa ci sta a fare?). 
Mi rendo però conto che, forse, è più utile provocare l'interlocutore a chiedersi se la sua posizione, apparentemente neutrale ed a-filosofica, non nasconda invece una filosofia implicita. Domandiamoci infatti: l'idea di una psicologia incontaminata dalla filosofia, non è essa stessa una concezione "filosofica"? Cioè, un'idea non psicologica (che cos'ha di psicologico una riflessione epistemologica quale quella sin ora sviluppata?) bensì metodologica, ovvero filosofica. Se l'interlocutore ha la disponibilità d'animo di rendersene conto, la domanda successiva allora verterà su quale sia la filosofia che sostiene la sua posizione, quella secondo cui la scienza (ogni scienza, anche quella che ha per oggetto l'uomo) debba essere incontaminata da preconcezioni d'ogni genere, filosofiche in primis, ma religiose e teologiche specialmente. E' il positivismo, ovvero una delle declinazioni dell'illuminismo, che diviene scientismo in campo speculativo e relativismo in campo pratico. L'idea secondo cui la realtà sia solamente il misurabile, che l'uomo si autodetermini, che la felicità consista nella ricerca del piacere. Siamo sicuri, però, che questa concezione sia cristiana? E più ancora, che sia umana? Io credo di no. Credo che la psicologia sia una scienza che possa adottare il metodo sperimentale solo parzialmente, e che abbia bisogno della speculazione filosofica per completarsi. Che sia una ancilla philosophiae, come diceva Rudolf Allers. Credo che la psicoterapia sia una branca dell'educazione, una pedagogia speciale, come scrive Martin Echavarria (De Aistoteles a Freud, Vida y Espiritualidad, Lima 2008, p. 152). Ma torniamo al nostro interlocutore scientista. Abbiamo detto che la sua posizione non è poi tanto neutra com'egli crede. Anche lui, inconsapevolmente, sta facendo il filosofo, sostenendo che la realtà sia conoscibile solo tramite l'esperimento, la misurazione o, in ambito clinico, che il paziente si autodetermini, che non vada "sporcato" con delle osservazioni "aliene". Sono rimasto piacevolmente colpito da un articolo che la professoressa Amy Fisher Smith, dell'Università di Dallas, ha scritto a riguardo. Ella si è accorta che l'esclusione dei corsi di filosofia nelle università di psicologia non ha comportato un passo in avanti, bensì una retromarcia poiché ha favorito l'emergere di un pensiero unico, quello dettato dalle convinzioni implicite dello scientismo. Così ha deciso di correre ai ripari, proponendo ai suoi studenti degli spunti di riflessione, come delle esercitazioni, volte a stanare le convinzioni implicite insite nel loro modo di pensare un problema. Ed anche sottese ad alcuni grandi classici della psicoterapia. Questo articolo "didattico", pubblicato sulla rivista Observer (vol. 23, n° 2, Febbraio 2010) oltre ad essere semplice e didascalico, pone bene la questione che qui si vuole proporre. Ringrazio l'autrice per la concessione della traduzione e pubblicazione.

Incorporare la filosofia in ogni corso di psicologia e perché è importante

Di Amy Fisher Smith

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Aristotele
Gli studenti universitari di psicologia hanno spesso la nozione che la filosofia è ormai morta e sepolta. Dico questo perché molti di questi stessi studenti hanno apertamente espresso questa opinione quando ho tentato di introdurre concetti filosofici all'inizio di un corso sulle Teorie della Personalità. Sono Psychology Majors, sostengono gli studenti, e spesso chiedono a voce alta cosa potrebbero guadagnarci dall’esplorare varie ipotesi filosofiche all'inizio di un corso di personalità. In questo corso particolare, mi capita spesso di iniziare con una disamina delle quattro cause di Aristotele, e in molti casi la risposta dello studente è di chiedere specificamente, “Aristotele? Chi è di nuovo? La Grecia antica mi dice qualcosa, ma perché dobbiamo fare uno studio su di essa?”. Anche quando gli studenti possiedono una conoscenza generale o specifica, in questo caso, dei contributi di Aristotele, spesso non riescono a capire il motivo per cui tali contributi filosofici potrebbero essere applicati ad una disciplina come la psicologia.

Ho insegnato Psicologia sia presso una università statale e, attualmente, ad una università privata di arti liberali. In genere, gli studenti di arti liberali sono spesso più ferrati in filosofia greca dato il curriculum richiesto nel campo delle arti liberali. Tuttavia il rapporto tra filosofia e psicologia spesso rimane inafferrabile anche per gli studenti di arti liberali, e sono genuinamente perplessi su come le due discipline (cioè, la filosofia e la psicologia) possono collegarsi.

La mia risposta alle proteste degli studenti è di solito duplice. La prima cosa, e probabilmente la più importante per gli scopi di questo articolo, è di dimostrare agli studenti la natura pervasiva e molto viva della filosofia e delle ipotesi filosofiche. Io cerco di rendere molto chiaro per i miei studenti che la filosofia non è ferma all’età d’oro dove essi possono immaginarsi uomini in toga a discutere l’un l’altro nel mezzo di un’antica residenza greca. Piuttosto, sostengo che la filosofia è viva e vegeta, animando e vivendo nelle nostre teorie psicologiche, ma spesso facendolo in modo nascosto e tacito. La sfida è di scoprire tali nascosti presupposti e cornici filosofiche che forniscono l’intelaiatura alle teorie psicologiche. Infatti, ricordo ai miei studenti che ognuna di esse possiede una filosofia (Jaspers, 1954). La questione è se essi (a) sappiano che possiedono una filosofia, e (b) se sia possibile articolare gli aspetti pertinenti di tale filosofia. Quindi, se non c’è modo di scappare dalle ipotesi filosofiche, probabilmente è meglio essere filosoficamente informati di essere filosoficamente ignoranti.

Secondo, spiego agli studenti che se desiderano imparare a pensare in modo critico - se vogliono sottoporre le teorie delle scienze comportamentali ad un’analisi critica e precisa - allora devono imparare il modo in cui identificare le ipotesi filosofiche soggiacenti ed incorporate. Tuttavia, questo tipo di pensiero critico è complesso. Data la spesso tacita e nascosta natura delle ipotesi filosofiche, esse hanno la tendenza a concretizzarsi come aspetti della realtà dati per scontati. Albert Einstein (come citato in Slife, 1993) ha espresso qualcosa di simile, sebbene come un avvertimento, quando ha affermato che la “strada del progresso scientifico è spesso bloccata per lunghi periodi” da concetti o supposizioni che “assumono una così grande autorità su di noi che ci si dimentica della loro origine terrestre e li si accetta come fatti inalterabili” (p. vi).

Filosofie ineludibili in Psicologia

Un primo modo per aiutare gli studenti a iniziare a pensare sia filosoficamente che criticamente è per presentare loro una vignetta o una narrazione con ipotesi nascoste e chiedere allo studente di reagire alla vignetta. Lo scopo pedagogico ultimo è di aiutare gli studenti ad individuare alcuni dei presupposti filosofici nascosti nelle loro filosofie in quanto evidenti all’interno delle loro risposte. Come menzionato in precedenza, questo può essere difficile, poiché tali ipotesi filosofiche sono spesso occulte e sottaciute. Per aiutare gli studenti a capire la natura segreta delle ipotesi, dico loro che le ipotesi filosofiche sono state descritte come “le idee dietro le idee” (Slife & Woolery, 2006, p. 218). Detto in modo diverso, le ipotesi filosofiche sono le idee che sono “logicamente necessarie” affinché “un’idea sia valida o di successo” (Slife & Whoolery, 2006, p. 218). Il risultato è che gli studenti (e in realtà ognuno di noi) fa affidamento su di convinzioni che sono già collegate logicamente a cornici ideative più grandi, sebbene queste cornici siano spesso nascoste. Queste cornici sono nascoste perché si presume che siano dati della realtà, e come la luce di una stanza, tali dati presupposti spesso sono essi stessi invisibili.

La vignetta dell’amicizia: aiutare gli studenti ad identificare una filosofia nascosta e personale

Una particolare vignetta – la vignetta dell’amicizia - è stata già discussa come strumento di insegnamento (Yanchar & Slife, 2004), e analogamente, la trovo molto utile in aula per personalizzare il problema dei presupposti filosofici ed aiutare gli studenti ad individuare le proprie filosofie nascoste. La vignetta dell’amicizia descrive una situazione in cui un amico è stato scortese ed offensivo verso uno studente. La questione posta agli studenti è come ciascuno dovrebbe rispondere alla situazione relazionale. Gli studenti possono scrivere le risposte. Segue una discussione basata sulle risposte degli studenti, iniziando un dialogo in merito al motivo per cui gli studenti ritengano che le proprie risposte alla vignetta dell’amicizia varino. Cioè, perché le loro risposte sono così diverse?

Questa è la parte dell'esercizio maggiormente rilevante per aiutare gli studenti ad identificare la propria filosofia personale. Come menzionato, ci saranno probabilmente varie risposte da parte degli studenti, ma le loro differenze possono verosimilmente essere rapportate aiutando gli studenti ad identificare le tacite ipotesi filosofiche che guidano le loro convinzioni. Per esempio, alcuni studenti potrebbero insistere sull’affrontare l'amico ed oppugnare le sue responsabilità per le azioni compiute; alcuni studenti potrebbero trascurare il comportamento dell’amico per vari motivi (ad esempio, fattori ormonali o neurochimici, fattori di stress psicosociale); alcuni studenti potrebbero evitare totalmente l'amico, inviando un messaggio che non hanno apprezzato tale comportamento. Mentre l'insegnante può rendersi necessario per favorire la discussione critica, ciascuna delle risposte alla vignetta dell'amicizia rende tacite le ipotesi circa la “natura” o il carattere della natura umana. E sono queste ipotesi e la tacita approvazione da parte loro che necessitano di essere portati ad un livello esplicito di consapevolezza.

Supposizioni filosofiche personali

Gli istruttori possono utilizzare un grafico simile a quello visualizzato in Tabella 1 nella successiva discussione in classe (per un grafico relativo, si veda Yanchar & Slife, 2004). Gli studenti possono essere incoraggiati a prendere in considerazione le loro risposte alla vignetta dell’amicizia e il ruolo che le ipotesi possono avere o non avere svolto nelle loro concettualizzazioni. Gli studenti e l'istruttore possono quindi compilare la tabella secondo il ruolo che le ipotesi filosofiche hanno svolto nelle loro risposte. Nelle risposte degli studenti, l'amico era visto come agente (ad es., in quanto avente una libera volontà)? Era visto come determinato (cioè, non in grado di comportarsi altrimenti)? L'amico era influenzato o meno dall'ambiente (cioè, l'ambiente era inteso come una forza che agisce in termini di fattori ambientali di stress o di altri fattori ambientali psicosociali? O l'amico è stato percepito come una forza indipendente che agisce sull'ambiente?). Era percepito  come egoista o altruista? Qual è stato il ruolo della biologia nel comprendere il comportamento dell’amico, se c’è stato?

Una volta che alcune di queste ipotesi vengono identificate dallo studente, alcune delle implicazioni delle ipotesi guida possono anch’esse essere identificate. In altre parole, le idee che guidano le altre idee non sono semplicemente neutrali - hanno reali conseguenze. Per esempio, se uno studente trascura il comportamento dell’amico perché lo vede in termini di prodotti chimici neuronali e di altri eventi neurali del cervello, quali sono le implicazioni di questa ipotesi per la comprensione della responsabilità personale del suo amico? È possibile possedere un certo tipo di presupposto deterministico ed integrare la responsabilità personale? Quali sono le implicazioni per la comprensione del cambiamento del comportamento in un contesto professionale alla luce di questa ipotesi materialistica? Bisogna ammettere che questo esercizio identifica e concettualizza le ipotesi filosofiche in termini concreti e non riesce a riconoscere le sottigliezze e la complessità che sono spesso parte integrante delle posizioni filosofiche. Tuttavia, l'esercizio serve di solito agli studenti come un punto di riferimento per un’iniziale sensibilizzazione e l'identificazione dei punti di vista filosofici.

Incorporare la filosofia come un aspetto del pensiero critico

Una seconda possibilità pratica per incoraggiare la consapevolezza filosofica nella psicologia è di incorporare i presupposti filosofici come aspetto di una riflessione maggiormente formale e critica in aula. Il pensiero critico è stato molto apprezzato, sia all'interno che all’esterno della disciplina, come una caratteristica essenziale, intellettuale e professionale (Halpern, 2003; McLean et al., 2007; Sternberg, Roediger, & Halpern, 2007). Secondo alcuni studiosi, il pensiero critico richiede almeno due fasi (Slife, Yanchar, & Reber, 2005). In primo luogo, il pensiero critico richiede che gli studenti siano in grado di identificare le ipotesi sottostanti e le visioni del mondo di una particolare teoria o disciplina. In secondo luogo, il pensiero critico richiede di concettualizzare ipotesi alternative ed idee rispetto a quelle che sono state identificate nella prima fase di analisi.

Come istruttori psicologica, nutriamo probabilmente tutti il desideriamo che i nostri studenti pensino in modo più critico. Una parte di ciò che viene proposto in questa sede è che gli studenti siano in grado di pensare filosoficamente al fine di pensare in modo critico . Un modo attraverso cui ho tentato di affinare le competenze dei miei studenti al pensiero critico è quello di far loro conoscere  Aristotele e le quattro cause come ho accennato nella premessa. Le quattro cause di Aristotele (cioè, l' efficiente, materiale, formale, e le cause finali) sono presupposti filosofici basilari per aiutare gli studenti a capire i significati di causalità dati per scontato che sono incorporati nella teoria psicologica e nel metodo. In altre parole, l'apparentemente ovvio concetto di causalità è posto all’analisi critica e filosofica.

Applicazione delle assunzioni filosofiche di causalità alla teoria psicologica: uno strumento di analisi critica

Uno strumento pedagogico relativamente facile che ho usato in classe per aiutare gli studenti a imparare, comprendere e applicare le ipotesi di causalità alla teoria psicologica è l’esercizio della discussione in gruppo. Gli studenti sono suddivisi in gruppi (a seconda delle dimensioni della classe) e vengono forniti di un foglio di lavoro con brevi citazioni tratte da varie fonti psicologiche. Io di solito uso sia fonti di ricerca contemporanee (ad esempio, citazioni dalle ricerche su American Psychologist o altre riviste con peer review) sia le fonti storiche, come citazioni dai teorici della personalità e del counseling (es., Carl Rogers, B.F. Skinner, S. Freud, Albert Ellis). Gli studenti hanno il compito di individuare l’assunzione filosofica di causalità Aristotelica che è tacitamente presunta nella citazione.

A rischio di essere ridondante, vorrei brevemente definire ciascuna delle quattro cause e fornire alcuni esempi del tipo di citazioni che desidero includere sul foglio di discussione. La causa efficiente si riferisce al movimento lineare nel tempo che va dall’antecedente al conseguente, un nesso di causalità di cui molti di noi sono già tacitamente familiari; la causa materiale si riferisce al materiale o alla sostanza di cui qualcosa è costituito; la causa formale si riferisce alla forma, al disegno, o all’organizzazione globale (l’intero o gestalt) che è dentro qualcosa; e la causa finale si riferisce alla fine o scopo che è associato a qualcosa. Sebbene ciascuna di queste “definizioni” sia corretta, esse sono ovviamente molto formali ed astratte. Affinché tali definizioni siano significative per gli studenti, ogni definizione richiederà una precedente discussione che si centri sull'applicazione. Per esempio, cosa la significa davvero la causa materiale quando è applicata alle scienze comportamentali? Il punto è che gli studenti avranno bisogno di capire il nesso tra la definizione filosofica astratta del nesso di causalità e l'applicazione, affinché l'esercizio sia significativo.

Una volta che gli studenti hanno presenti le informazioni sulle assunzioni filosofiche di causalità, segue l'attività di gruppo. Il foglio di discussione potrebbe includere le seguenti indicazioni:
Parte I. Qui sotto ci sono citazioni che fanno supposizioni circa il nesso di causalità. Identifica quale “causa” è implicata in ogni citazione e spiega il motivo per cui hai scelto quella particolare “causa” (cioè, efficiente, materiale, formale, finale). Difendi la tua posizione.
Alcuni esempi di citazioni sono i seguenti:

Se esaminiamo la questione più strettamente, troveremo il possesso della seguente legge nello sviluppo di tutti gli avvenimenti psichici: non possiamo pensare, sentire, o agire senza la percezione di alcuni obiettivi. (Causa finale).
Adler, A. (1968), The practice and theory of individual psychology. Totowa, N. J. Littlefield, Adams, & Co [tr. italiana Prassi e teoria della psicologia individuale, Astrolabio, Roma 1949].

Durante gli ultimi due decenni del ventesimo secolo, sia gli psichiatri che i loro pazienti hanno costantemente riconosciuto che le malattie mentali sono malattie del cervello…Potremo capire come le cellule nel nostro cervello vanno male quando le loro molecole vanno male, e capiremo come questo si esprime a livello di sistemi quali l’attenzione e la memoria nel modo in cui gli esseri umani sviluppano malattie come la schizofrenia e la depressione. (Causa materiale).
Andreasen, N. (2001). Brave new brain: Conquering mental illness in the era of the genome. Londra: Oxford University Press.

La personalità è sagomata dal temperamento e dagli schemi cognitivi. Gli schemi cognitivi sono strutture che contengono le assunzioni e le credenze fondamentali dell’individuo. Gli schemi si sviluppano nei primi anni di vita dall’esperienza personale e dall’identificazione con gli altri significativi. Queste concezioni sono rinforzate da ulteriori esperienze di apprendimento e, a sua volta, influenzano la formazione di credenze, di valori e di atteggiamenti. (Causa efficiente).
Beck, A. & Weishaar, M. (2005). Cognitive therapy. In R.J. Corsini & D. Nozze (Eds). Current psychotherapies (7° ed.). Il Belmont, CA: Thompson Brooks/Cole.

Analisi critica in azione

Una volta che gli studenti sono in grado di identificare l’assunzione causale predominante nascosta nella spiegazione o nella teoria psicologica (come esemplificato nelle citazioni precedenti), l'istruttore può condurre delle discussioni fruttuose per quanto riguarda le implicazioni che logicamente conseguono dalle stesse assunzioni filosofiche. Questa è una parte integrante del processo del pensiero critico. Per esempio, le spiegazioni materiali del comportamento umano (es., spiegazioni che si concentrano sui processi neurocognitivi, neurobiologici o neurochimici) stanno diventando preminenti nelle scienze comportamentali (Bennett & Hacker, 2003; Garza & Fisher-Smith, in stampa). Come possiamo capire la crescente preminenza di assunzioni di causalità materiale nelle spiegazioni psicologiche? Qual è il ruolo di forme alternative di causalità nella spiegazioni psicologiche?

In aggiunta, gli studenti possono applicare tali competenze di pensiero critico alle proprie filosofie personali. Tale analisi critica offre agli studenti la possibilità di esaminare in che modo le proprie filosofie personali producano assunzioni simili o dissimili rispetto ad altri studiosi (es., studiosi come quelli riportati sul foglio di discussione). Questo tipo di analisi e di confronto è utile perché in grado di fornire agli studenti con una capacità di insight il motivo per cui essi possono provare intuitivamente piacere o dispiacere verso alcuni studiosi e ricercatori, ma senza essere in grado di articolare il perché.

Per esempio, dopo un’attenta analisi critica, gli studenti possono scoprire un’implicita commistione o una collusione tra le proprie assunzioni personali e le assunzioni di una teoria o di un teorico della personalità. B. F. Skinner può avere perfettamente senso intuitivamente per lo studente, perché presuppone di già la causalità efficiente nella sua filosofia personale (analogamente a Skinner e ai rinforzi-comportamentistici che si verificano un po’ alla volta nel corso del tempo). In alternativa, uno studente può provare ripulsione per Skinner ed il comportamentismo (sebbene la “logica” della teoria sembri adeguata). Dopo alcune analisi critiche, lo studente scopre che ciò per cui prove repulsione da non è tanto la teoria di Skinner in sé, ma le differenze nelle assunzioni filosofiche sottostanti. Considerando che il comportamentismo di Skinner poggia sulla causalità efficiente, forse lo studente (dopo una propria valutazione filosofica) si rende conto che egli insiste maggiormente sulla causalità finale, e non sorprendentemente, si sente maggiormente attratto dal campo psicoanalitico (es., la patologia possiede uno scopo o un’intelligenza).

Il risultato è che tutte queste domande, e la sofisticata discussione che esse potrebbero suscitare, richiede un’analisi critica che si impernia sulla consapevolezza filosofica. Mentre l’esempio di discussione riportato prima sottolinea le assunzioni di causalità aristotelica, il punto non è di sottolineare Aristotele, ma piuttosto di evidenziare l’opportunità e l’applicabilità delle assunzioni filosofiche per la psicologia. Un istruttore potrebbe facilmente condurre un’analisi critica della teoria psicologica orientando gli studenti alle assunzioni epistemologiche (cioè le assunzioni circa la conoscenza) o ai presupposti logici, formali (cioè, le assunzioni circa la logica). Ciò che è importante è che gli studenti riescano a vedere come i presupposti filosofici - qualunque sia la loro appartenenza - animano le teorie psicologiche. Questo è il motivo per cui la filosofia non è morta e sepolta - piuttosto, come suggerito in precedenza, è viva e vegeta. La questione è se come istruttori possiamo aiutare i nostri studenti ad identificare i presupposti essenziali e le loro conseguenze per la teoria e la pratica psicologica. Questa astuzia filosofica è ciò che rende gli studenti dei pensatori critici migliori e, nel lungo termine, ciò che serve come sfida per i potenziali ostacoli al progresso scientifico che Einstein ha precedentemente articolato. ♦

Tabella 1: Tabella campione per le assunzioni filosofiche personali degli studenti
Presupposti filosofici
Implicazioni per la responsabilità personale
Implicazioni per la psicoterapia e il cambiamento
Libera volontà


Il determinismo


Influenza dell'ambiente


Non influenza dell'ambiente


L'altruismo


L’edonismo


Il ruolo della biologia (materialismo)



Riferimenti

Bennett, M.R., & Hacker, P.M.S. (2003). Philosophical foundations of neuroscience. Malden, MA: Blackwell Publishing.
Bunge, M. (1959). Causality. Cambridge, MA: Harvard University Press.
Curd, M. & Cover, J.A. (1998). Philosophy of science: The central issues. New York: W. W. Norton.
Halpern, D.F. (2003). Thought and knowledge: An introduction to critical thinking (4th ed.). Mahwah, NJ: Erlbaum.
Garza, G., & Fisher-Smith, A. (in press). Beyond neurobiological reductionism: Recovering the intentional and expressive body. Theory & Psychology.
Jaspers, K. (1954). Way to wisdom: An introduction to philosophy. New Haven, CT: Yale  University Press [tr. Italiana Introduzione alla filosofia, Cortina, Milano 2010].
McLean, C., Miller, N., Lilienfield, S, Lohr, J., McNally, R., & Stickle, T.R.. (2007). Teaching students to think like scientists. Behavior Therapist, 30, 84-87.
Robinson, D.N. (1985). Philosophy of psychology. New York: Columbia University Press.
Slife, B.D. (1993). Time and psychological explanation. New York: SUNY Press.
Slife, B.D., Yanchar, S., & Reber, J.S. (2005). Thinking critically about critical thinking. In B.D. Slife, J.S. Reber, & F.C. Richardson (Eds.), Critical thinking about psychology: Hidden assumptions and plausible alternatives (pp. 3-14). Washington, DC: APA Press.
Slife, B.D., & Whoolery, M. (2006). Are psychology’s main methods biased against the worldview of many religious people? Journal of Psychology and Theology, 34, 217-231.
Slife, B.D. & Williams, R.N. (1995). What’s behind the research: Discovering hidden assumptions in the behavioral sciences. Thousand Oaks, CA: Sage.
Sternberg, R.J., Roediger, H.L., & Halpern, D.F. (Eds.). (2007). Critical thinking in psychology. New York: Cambridge University Press.
Yanchar, S.C. & Slife, B.D. (2004). Teaching critical thinking by examining assumptions. Teaching of ­­Psychology, 31, 85-90.


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