“L’ultima
felicità non va ricercata in nessun’altra cosa che nell’esercizio
dell’intelletto, poiché nessun desiderio porta così in alto come il
desiderio di conoscere la verità. Infatti, tutti i nostri desideri, o
del piacere o di qualsiasi altro bene bramato dagli uomini, possono
anche acquietarsi in queste cose: ma questo desiderio non si acquieta
che in Dio, sommo cardine e creatore di tutte le cose” (Summa Contra Gentiles, III, c. 50 n. 6).
Alessandro Beghini, Contemplazione e conoscenza mistica – La dottrina di Tommaso d’Aquino nella Summa Contra Gentiles.
Ad invertire la tendenza ci pensa un bel libro di Alessandro Beghini, docente di economia ma dottorando in filosofia, che da anni approfondisce il tema della spiritualità. Contemplazione e conoscenza mistica – La dottrina di Tommaso d’Aquino nella Summa Contra Gentiles, edito un paio d’anni fa per la Casa editrice Leonardo da Vinci (Roma, 154 pp., 20 euro), si fonda su di un assunto di Pio XI: “A questo tende tutta la teologia di San Tommaso: a condurci a vivere una vita intima con Dio” (p. 11). Ovvero: non solo l’Aquinate può aiutare il teologo ed il filosofo, ma anche l’uomo impegnato nella quotidianità lavorativa e familiare. L’autore sostiene che la dottrina tommasiana “in ogni sua parte trasuda elementi di una tale ricchezza spirituale troppe volte messa in disparte se non addirittura osteggiata veementemente”. Essa ci aiuta a scorgere “quella fragilità strutturale che diventa la porta di ingresso della Grazia che redime e salva” (p. 10). Il percorso che Beghini propone consiste nel rileggere una delle due opere più note e divulgate del Santo Dottore, ovvero la Summa Contra Gentiles, per evidenziarne gli elementi educativi della spiritualità, ovvero del rapporto personale con Dio. “Questi non sono di certo gli aspetti per cui solitamente è noto il nostro autore”, avverte Beghini, ma “riteniamo che si possa rinvenire anche in quest’opera una ricchezza spirituale che, seppur esposta con il linguaggio impersonale della dottrina, ci lascia intendere e scoprire la ricchezza del vissuto cristiano, nonché il vissuto intimo dell’autore” (p. 12). È possibile percorrere questo tipo di lettura perché l’opera di Tommaso è “una riflessione che ruota attorno al tema del fine dell’uomo che consiste nella conoscenza e nell’amore di Dio” (p. 13). In altre parole, la preoccupazione principale dell’Aquinate è di dire che le persone sono mosse dalla ricerca di un fine, la beatitudine o felicità, che questo fine esiste e si chiama Dio, e che è possibile avere un legame personale con Lui in una forma di conoscenza che viene chiamata contemplazione. “È sulla base di quanto detto che il Dottore Angelico può essere compreso come un teologo mistico non nel senso di essere interessato alle esperienze mistiche, come le visioni o le estasi, ma nel senso di essere interessato a delineare, di fatto, le condizioni di possibilità dell’unione con Dio” (p. 63). Si potrebbe dire che Tommaso fu animato da una preoccupazione educativa, che Beghini intercetta ed approfondisce coadiuvandosi da un ampio ricorso agli studiosi classici e contemporanei. La medesima preoccupazione educativa che fece definire l’Aquinate come il “Doctor Humanitatis” da Giovanni Paolo II (Inter Munera Academiarum, 28 gennaio 1999). Un’espressione poco utilizzata che Beghini rispolvera in tutta la sua portata. “San Tommaso mistico, ci sentiamo di affermare – dice Beghini – è San Tommaso mistico della quotidianità e nella quotidianità, con animo umile, aperto e disponibile alla Grazia Divina tende all’unione con il suo Creatore facendola vivere nel proprio cuore” (p. 64). Che tale tensione personale e l’impeto educativo dell’umano siano oggettivi e non una ricostruzione a posteriori, risulta evidente dall’inizio della Contra Gentiles, quando l’Aquinate precisa: “Io penso che il compito principale della mia vita sia quello di esprimere Dio in ogni mia parola e in ogni mio sentimento” (I, c. 2).
Beghini descrive tre aspetti della Contra Gentiles in cui emerge una pedagogia spirituale. Il
primo è indiretto e si desume dalla forma dell’opera. I primi tre libri
sono strutturati secondo la dinamica dell’exitus-reditus, ovvero della
storia della salvezza dell’umanità: “Dio, l’uscita della creazione da
Dio, il ritorno della creazione a Dio” (p. 29). Solo l’ultimo libro
presenta le verità di fede, quelle per cui è necessaria la Rivelazione,
cioè la Presenza Viva di Cristo nel tempo degli uomini. La struttura
vuole dirci: da soli ci siamo condannati, da soli tentiamo di redimerci,
ma solo grazie all’intervento divino la salvezza è possibile. Questo
intervento di Dio è conoscibile personalmente dall’uomo, anzi, di più, è
fortemente desiderabile: è la conoscenza di Dio per essentiam, la visione beatifica, l’amicizia intima con Dio.
Le
due dottrine del “desiderio naturale” e della “visione beatifica”
costituiscono il secondo aspetto pedagogico. La prima insegna che l’uomo
ha un desiderio naturale di conoscere la verità ed amare il bene, ed “è
impossibile che un desiderio naturale possa essere frustrato” (II, c.
79, n. 4). Deve esistere un oggetto in grado di soddisfarlo, e questo
oggetto è Dio: “L’ultima felicità non va ricercata in nessun’altra cosa
che nell’esercizio dell’intelletto, poiché nessun desiderio porta così
in alto come il desiderio di conoscere la verità. Infatti, tutti i
nostri desideri, o del piacere o di qualsiasi altro bene bramato dagli
uomini, possono anche acquietarsi in queste cose: ma questo desiderio
non si acquieta che in Dio, sommo cardine e creatore di tutte le cose”
(III, c. 50, n. 6). Come raggiungere tale conoscenza di Dio? Tommaso
specifica che l’uomo conosce Dio in tre modi: “Il primo è quello con
cui, mediante la luce naturale della ragione, arriva alla conoscenza di
Dio attraverso le creature. Il secondo è quello in cui la verità divina,
che trascende l’intelletto umano, discende in noi sotto forma di
rivelazione, ma non di ordine visivo, bensì di ordine discorsivo in modo
da poterla credere. Il terzo tipo è quello in cui la mente umana verrà
elevata a vedere perfettamente le cose rivelate” (IV, c. 1). È
quest’ultima tipologia che Tommaso chiama contemplazione o visione
beatifica. Conoscere Dio non solamente in modo indiretto, impersonale,
concependo la sua esistenza, riconoscendo che ha fatto il mondo,
credendo che si è incarnato tanti anni fa, ecc.; ma in modo diretto,
personale, in un rapporto a-tu-per-tu, proprio come si conosce un amico.
Come è possibile questo? Tommaso, oltre che un grande teologo è anche
un superbo psicologo: “La perfetta beatitudine consiste nell’immediata
visione di Dio. Ebbene, a qualcuno potrebbe sembrare che l’uomo non
possa raggiungere mai tale stato, che l’intelletto possa unirsi
direttamente con l’essenza divina come l’intelletto con il suo oggetto
intellegibile, per l’immensa distanza delle due nature: e così potrebbe
raffreddarsi nella ricerca di questa felicità, restando paralizzato
dalla disperazione” (IV, c. 54, n. 1). La luce della ragione è incapace
di contemplare l’essenza divina, per cui si rende necessario un
intervento della Grazia che elevi l’intelletto umano, senza annullarne
alcuna parte, affinché possa conoscere l’essenza divina. Il
raggiungimento di questo stato avverrà pienamente solamente dopo la
morte, ma già in via, cioè durante la vita sulla terra, ne
avremo un anticipo, benché in modo imperfetto e parziale. Ad esso
Tommaso dà il nome di vita contemplativa: “A tale ultima e perfetta
felicità niente in questa vita somiglia maggiormente che la vita
contemplativa. […] Infatti la contemplazione della verità inizia in
questa vita, ma viene perfezionata in quella futura” (III, c. 63, n. 7).
Il terzo aspetto pedagogico che Beghini riprende dall’opera
dell’Angelico riguarda, quindi, la vita contemplativa. Essa non si
oppone alla vita attiva, come un’antica polemica tendeva a credere,
bensì la presuppone: “La vita activa è quindi vita morale, è pratica di virtù morali che dispongono alla contemplazione: la vita attiva, nel senso di vita moralis
è ordinata alla vita contemplativa come un proprio fine” (p. 125).
L’uomo che tutti i giorni va al lavoro, vive in famiglia, è attivo nella
comunità, può svolgere una vita di contemplazione all’interno delle
opere che compie, in quanto ricerca e persegue le virtù, che sono “come
una premessa necessaria alla visio” (p. 99), e pone come fine
del suo agire l’incontro con Dio, il vederLo: “La vita attiva, potremmo
dire, non ha per fine se stessa, ma la contemplazione” (p. 126). C’è una
collaborazione tra l’agire umano, che ricerca Dio, e Dio che accoglie e
redime i singoli uomini attraverso un rapporto personale. Tale rapporto
è veicolato dalla Presenza di Cristo: “Il ritorno dell’uomo a Dio,
quindi, è collegato sicuramente alla sua libertà e alla sua
intelligenza, ma questa si arricchisce del dato rivelato attraverso
Cristo che rappresenta la sicura via per giungere alla visio Dei”
(p. 112). Perché “alla fine l’uomo sa bene cosa desidera anche se nella
sua ricerca, per passare dal generale allo specifico, l’oggetto si è
dovuto mostrare a lui nell’Incarnazione per rendersi visibile e
conoscibile ai suoi occhi” (p. 118). E, con Tommaso, aggiungiamo: per
essere continuamente sollecitato: “La beatitudine perfetta consiste
nella fruizione di Dio, era necessario che l’affetto dell’uomo venisse
predisposto al desiderio di questa fruizione […], ma il desiderio di
gustare una cosa nasce dall’amore di essa […] dunque era necessario che
l’uomo venisse sollecitato all’amore di Dio” (IV, c. 54, n. 4).
In
conclusione: “Si può ben rilevare come la contemplazione pervada tutta
l’opera di Tommaso se non ci si ferma ad una lettura superficiale dei
suoi scritti” (p. 119). L’obiettivo principale del Doctor Humanitatis
“non era tanto di insegnare la contemplazione – a questo scopo ben altri
autori si sono dedicati in maniera più significativa – quanto,
piuttosto, di precisarne le premesse e la ratio profonda” (p.
119). Il libro di Beghini, che è di taglio squisitamente filosofico ma,
proprio per il tema che sviluppa, è allo stesso tempo universale (per
tutti gli uomini, grandi e piccoli, dotti ed ignoranti), riprende e
rivitalizza una corrente di studio oggidì davvero nascosta, per non dire
dimenticata: la spiritualità tomista. Vi sono altri autori, che
sapientemente Beghini presenta in un ultimo capitolo, che hanno
approfondito il lascito pedagogico e spirituale dell’Aquinate, come
Jean-Pierre Torrell e Jean Leclercq. Forse è il caso di riscoprire
questa vena d’oro, questo “fiume carsico”, come dice Beghini, che è in
grado di aiutare l’uomo contemporaneo, assetato (inconsapevole) di
Cristo all’interno delle esigenze di razionalità. Per evitare pericolosi
spiritualismi disincarnati che non permettono di dar ragione né
dell’intelligenza né della libertà umana.
Stefano Parenti
Stefano Parenti
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