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mercoledì 1 maggio 2013

PSICOLOGIA CONTEMPORANEA E FEDE CRISTIANA

Dopo aver affrontato il tema della "normalità", con un testo di R. Allers ed uno di Martin F. Echavarria, torniamo all'argomento "principe" del rapporto tra la psicologia e la fede cristiana, senza soluzione di continuità. Preso atto che concetti come "norma" e "normalità" così come vengono divulgati dalle scienze positive si rivelano fondati su filosofie false, come il relativismo (cfr. Il relativismo nella psicologia e psicoterapia contemporanea, di M. F. Echavarria), e che essi stessi presuppongono un'assiologia, la quale però viene formalmente negata (cfr. Riflessioni sulla patologia del conflitto, di R. Allers), quale posizione può/deve assumere lo psicologo cattolico, potendo fruire non solo della psicologia scientifica, ma anche di quella filosofica e, soprattutto, di quella teologica - derivante, cioè, dalla Rivelazione? L'articolo Sulla problematica e pistemologica e pratica della psicologia contemporanea nella sua relazione con la fede cristiana di M. F. Echavarria inizia con una semplice ma lucida categorizzazione delle psicoterapie contemporanee - basandosi sulla prospettiva antropologica accennata da un discorso di Giovanni Paolo II - per poi introdurre il contributo della Rivelazione come elemento indispendabile per superare i limiti delle psicoterapie contemporanee e rispondere così al quesito. Al contrario di quanto sostengono alcuni nomi importanti della psicologia accademica, non c'è solamente lo psicologo cristiano, la persona che è membro della Chiesa, ma anche una psicologia cristiana, ossia una disciplina teorica e pratica che coniuga tre piani epistemologici distinti: empirico, filosofico e teologico. Anche se il professore ammette che una psicologia cristiana nelle "circostanze attuali è quasi tutta da sviluppare". L'articolo sviluppa un secondo punto particolarmente importante: la psicoterapia si dimostra una forma moderna di filosofia, ed in particolare di quella parte della filosofia che si occupa del comportamento: l'etica. Ethos è la traduzione del termine personalità o carattere. Echavarria sostiene che la psicoterapia, in quanto disciplina della personalità, assume le forme di una pedagogia, e quindi di un intervento direttivo, volto ad aiutare l'intelletto e la volontà del paziente. E' questo un tema particolarmente importante, su cui da sempre mi interrogo: curare significa educare? Ed educare, significa insegnare? Un tema su cui dovremo tornare in futuro.



Sulla problematica epistemologica e pratica della psicologia contemporanea nella sua relazione con la fede cristiana

Martin F. Echavarria

Direttore del dipartimento di Psicologia presso l'Università Abat Oliba di Barcellona

            In questo articolo ci proponiamo, brevemente, di segnalare gli aspetti fondamentali della problematica epistemologica e pratica della psicologia contemporanea nella sua relazione con la fede cristiana. Lo faremo basandoci sulle affermazioni esplicite del Magistero della Chiesa, così come sulle basi filosofiche e teologiche ispirate da San Tommaso d'Aquino.

1. Il fondamento ideologico della psicologia contemporanea

            A nessuno sfugge che la psicologia pone un problema speciale al credente, in primo luogo di tipo pratico (in che misura alcune pratiche e metodi di importanti correnti della psicologia contemporanea sono compatibili con la vita di fede?) e, poi, di tipo epistemologico (è la psicologia una scienza? Di quale tipo? Qual è la sua relazione con la filosofia e la teologia?).
            Come è noto, la gran parte della psicologia sperimentale contemporanea è stata costruita sulla base della filosofia positivista in netta opposizione dialettica con la tradizionale scienza dell'anima. Però la psicologia non è solo la psicologia accademica. Un problema speciale, e con enormi conseguenze nella vita di molte persone, lo pongono le teorie della personalità che sono a fondamento della pratica della psicologia e in particolare della psicoterapia.
            Giovanni Paolo II, in un discorso ai membri della Rota Romana, avvertiva del pericolo che corrono alcune psicologie basate su antropologie contrarie alla fede:
Questo pericolo [che il giudice ecclesiastico si lasci “suggestionare da concetti antropologici inaccettabili] non è solamente ipotetico, se consideriamo che la visione antropologica, a partire da cui si muovono molte correnti nel campo della scienza psicologica nel mondo moderno, è decisamente, nel suo insieme, inconciliabile con gli elementi essenziali dell'antropologia cristiana, perché si chiude ai valori e significati che trascendono il dato immanente e che permettono all'uomo di orientarsi verso l'amore di Dio e del prossimo come sua ultima vocazione.
        Questa chiusura è inconciliabile con la visione cristiana che considera l'uomo un essere «creato ad immagine di Dio, capace di conoscere ed amare il suo Creatore» (Gaudium et spes, 12) e allo stesso tempo diviso in se stesso (si veda Gaudium et spes, 10). Al contrario, queste correnti psicologiche partono dall'idea pessimista secondo cui l'uomo non può concepire altre ambizioni che quelle imposte dai suoi impulsi, o dai condizionamenti sociali; o, al contrario, dall'idea esageratamente ottimista secondo cui l'uomo avrebbe in sé e potrebbe raggiungere grazie a se stesso la sua propria realizzazione[1].

                In questa critica rientrano la maggior parte delle correnti psicologiche più divulgate, e, prima di tutte, la psicoanalisi di Freud. Nella sua ispirazione ultima, essa non è che una realizzazione pratica del progetto nietzscheano di inversione dei valori e di superamento del cristianesimo e della morale[2]. Nel suo aspetto teorico è una mescolanza tra la visione romantica dell'inconscio, la dinamica delle rappresentazioni di Herbart e l'evoluzionismo. La dottrina psicoanalitica, tanto nei suoi aspetti antropologici, come in quelli religiosi e morali, è francamente incompatibile con la visione cristiana dell'uomo. Qui faremo riferimento alla sua applicazione psicoterapeutica.
                Quello che accade con la psicoanalisi è quasi un esempio di ciò che succede con la maggior parte delle correnti attuali di psicoterapia, benché mentre in Freud e nella psicologia profonda in generale – Jung, Lacan, ecc. - prevale «l'idea pessimista secondo cui l'uomo non potrebbe concepire altre aspirazioni che quelle imposte dai suoi impulsi», nelle correnti di psicologia umanista – Moreno, Rogers, Maslow, Fromm, Perls – ed esistenziali – R.May – predomina «l'idea esageratamente ottimista secondo cui l'uomo avrebbe in sé e potrebbe raggiungere grazie a se stesso la propria realizzazione». Generalmente questi ultimi autori considerano le influenze familiari e morali come repressive della spontaneità vitale e fomentano una specie di libertà assoluta di autorealizzazione, che come essi la espongono è incompatibile non solo con le richieste morali del cristianesimo, ma con le esigenze stesse dell'etica naturale[3]. Di fatto, se la psicoanalisi di Freud si presenta in ultima analisi come un intento di superamento nietzschiano della morale, queste psicologie sembrano intente a proporre una nuova forma di etica, sperimentale o clinica.
                Nelle psicoterapie sistemiche, a questo intento si aggiunge una distruzione della nozione di causalità e dell'idea di persona come soggetto sussistente, e la sua dissoluzione ontologica e morale in una rete di relazioni che sarà il vero soggetto del disturbo e del cambiamento, oltre a una concezione costruttivista della conoscenza – che riguarda anche altre aree ed autori della psicologia contemporanea – in cui si annulla la nozione di verità e di realtà oggettiva.
                Le psicoterapie comportamentali, benché più pragmatiche, hanno un'origine scientista e tecnocratica nell'ideologia comportamentale, anche se con l'incorporazione di elementi cognitivi sembrano essersi evolute nelle cosiddette psicoterapie cognitivo-comportamentali. Ad ogni modo, ed al di là degli elementi rilevabili che si possono segnalare, si sospetta la presenza di un'attitudine ostile per la morale cristiana, o a volte – come in A. Ellis – un intento esplicito di proporre una nuova morale[4].
                Queste che abbiamo menzionato sono le principali correnti di psicoterapia. È molto difficile, per non dire totalmente impossibile, in quasi tutti i paesi, conseguire una formazione sistematica in psicoterapia al di fuori di queste scuole.
                Credo che questo panorama, necessariamente rapido, sia sufficiente per notare che qui esiste un problema che necessita di essere risolto.

2. Lo statuto epistemologico della psicologia

                Come abbiamo detto, una delle questioni che si devono risolvere per introdurre il tema della relazione tra ragione e fede nella psicologia contemporanea è quella epistemologica: dal principio non è chiaro che cosa sia la psicologia nel senso attuale del termine.
                La nostra opinione è che sia necessario fare una prima grande distinzione: una cosa è la psicologia come sapere speculativo ed un'altra cosa sono le psicologie pratiche. Non sempre c'è una relazione – almeno diretta – tra di esse.
                La psicologia accademica degli ultimi centocinquanta anni ha compiuto un'enorme parabola che comincia con l'intento, fondato nell'ideologia positivista, di separarsi oggettivamente e metodologicamente dalla filosofia – a volte negando completamente il suo valore di verità – per, recentemente, ritornare a mettere in evidenza la connessione con essa – specialmente per quelle che sono chiamate “scienze cognitive”. Però distinguendo tra la conoscenza universale e necessaria dell'anima, propria della psicologia chiamata filosofica – e malamente definita da Wolff “razionale” -, e il descrittivo ed il contingente, proprio della psicologia sperimentale e fisiologica – nei loro rami distinti -, non bisogna rompere l'unità epistemologica che ci deve essere tra questi modi diversi di conoscere l'anima e dalla cui separazione sono proprio questi saperi che più escono sconfitti. In questo senso bisogna ricordare l'unità che anticamente avevano queste discipline all'interno della filosofia naturale, proprio come le svilupparono Aristotele e San Tommaso[5].
                Queste psicologie teoriche possono diventare applicate attraverso la tecnica. Di fatto, la psicologia classica era un insieme di discipline riferite alla vita, non solo umana, ma anche vegetale ed animale. In modo che una scienza tecnica come la medicina – e la psichiatria come ramo di essa – non fosse in alcun modo un'applicazione della psicologia, in senso ampio. Di questo tenore sono alcune tecniche psicologiche e psicopedagogiche basate sulla conoscenza teorica del funzionamento delle facoltà psichiche, come i sensi, l'immaginazione o la memoria.
                Bisogna anche ricordare che la conoscenza teorica circa l'anima – in particolare quella del primo tipo – è il fondamento dell'etica, che in senso classico è la scienza pratica della personalità, per quanto il termine greco ethos – da cui proviene ethica – significhi “personalità” o “carattere”[6]. Un libro come l'Etica Nicomachea di Aristotele era qualcosa di molto lontano da un catalogo di regole su quello che si deve fare o non fare; era uno studio di come si forma il carattere virtuoso – tema ritornato oggi, da un altro punto di vista, per opera di Martin Seligmann e della psicologia positiva[7]. Come abbiamo già detto, molte delle attuali psicologie pratiche – che le si chiami psicoterapia o counselling – sono versioni alternative di etica, a volte esplicitamente – si vedano alcuni detti di autori come C. Rogers, E. Fromm o A. Ellis – altre implicitamente ed a volte anche tentativi di superare la morale in una specie di praxis postmorale – come è il caso della psicoanalisi di S. Freud.
                Su questa connessione tra parte della psicologia e la morale richiamava l'attenzione già da tempo il filosofo Y. Simon: «Tra le materie normalmente sudiate oggi sotto il titolo di psicologia, alcune corrispondono in realtà ad una conoscenza propriamente morale, e non possono essere comprese se non alla luce di principi morali. Tre quarti di secolo addietro, Ribot, i cui sforzi sono noti per aver assoggettato la vita affettiva ai procedimenti totalmente speculativi e positivi della psicologia moderna, scriveva che per la psicologia moderna non ci sono passioni buone né cattive, come per il botanico non ci sono piante utili o nocive, a differenza di quello che accade con il moralista e con il giardiniere; paragone affascinante, però sofista, poiché se è accidentale per una pianta soddisfare o contrariare lo sguardo dell’amante dei giardini, una passione, considerata nel suo agire concreto, cambia natura a seconda che favorisca o contrasti il libero agente. Orbene, la psicologia moderna della vita affettiva, sondando il mondo del vizio e della virtù proibendosi ogni giudizio di valore morale, ma trascinata dal gioco concreto della libertà in un ordine delle cose in cui la natura della realtà considerata varia con i motivi della scelta volontaria, presenta generalmente un penoso spettacolo di sistematica mancanza di intelligenza. Qui, come in sociologia, troviamo l’ultima parola dello scientismo. Dopo l’arrogante pretesa di sottomettere i problemi metafisici al giudizio della scienza positiva, era riservato al nostro tempo l’assistere alla fiscalizzazione delle cose morali. Molte persone allarmate per la devastazione che causa nelle giovani intelligenze la lettura dei sociologi, vogliono reagire reclamando semplicemente un utilizzo più libero e lungimirante dei principi metodologici considerati come intangibili, o come l’introduzione di riforme metodologiche discrete, lasciando da parte il carattere completamente positivo e speculativo delle scienze morali distinte dalla morale normativa. Noi crediamo che non si possa fare niente contro l’influenza tossica di una certa sociologia se non si comincia dal riconoscere che ogni scienza del comportamento umano, dell’essere morale, per comprendere il suo oggetto deve ricevere dalla filosofia morale la conoscenza dei valori morali»[8].
                Il tema delle scienze sociali e del comportamento – le quali pur essendo a volte descrittive, non cessano di essere discipline morali e raggiungono tutto il loro vigore poiché unite alla loro radice[9] – deve essere completamente ripensato sulla base epistemologica di una retta filosofia. Per quel che ci spetta, un tema sul quale è stata richiamata scarsamente l'attenzione è quello della necessità di tornare a fondare la psicologia della personalità – ed altre discipline psicologiche come la psicologia sociale – sulla solida base che epistemologicamente la corrisponde: l'etica.
                Bisogna ricordare che nell'etica classica convivevano di fatto vari livelli distinti di conoscenza – come si vede nei libri di etica aristotelica -: 1) Un primo livello propriamente scientifico (in senso classico), ossia che raggiunge la verità circa le cause prime delle cose umane con certezza (come il fine dell'uomo, degli abiti, delle virtù e dei vizi comuni, ecc.); 2) Un livello sperimentale, nel quale si descrivono i fatti morali come si danno ut in pluribus (come quando si afferma che «il pensiero mitiga le concupiscenze», che «ci sono conflitti nei superbi», ecc.); 3) Un livello di spiegazione delle cause prossime dei fenomeni morali, che non si basa sul sillogismo scientifico, ma su quello dialettico, che genera una conoscenza ipotetica o probabile (opinabile nel senso classico di opinione fondata); 4) Un livello “praticamente pratico”, che è l'esercizio della virtù morale sotto la direzione razionale della prudenza – che può supporre in alcuni casi anche il dominio di alcune tecniche – che è ciò verso cui tende ed in cui culmina ogni conoscenza precedente. Le attuali scienze sociali e del comportamento si situano generalmente ai livelli 2) e 3), pur esplicitando a volte anche il livello 1), e sviluppando il livello 4) maggiormente in modo tecnico piuttosto che prudenziale.
                Crediamo che, in modo simile, la pratica della psicologia si basi su di: 1) una filosofia della personalità; 2) una conoscenza descrittiva della personalità, basata sull'esperienza clinica o in studi di tipo statistico; 3) una teoria probabile delle cause del comportamento, appoggiata su di 1) e 2). In se stessa, benché la sua applicazione professionale implichi il dominio di alcune tecniche – di valutazione e di intervento -, le quali per essere efficaci non possono costituire un metodo universale utile per ognuno, questa pratica dipende principalmente dalla virtù della prudenza.

3. Lo psicologo necessita la Rivelazione

                Ora, nella misura in cui quello che tentiamo è intendere la dinamica del carattere delle persone concrete, il ricorso alla fede ed alla teologia è obbligato perchè:
                1. Come dice S.S. Pio XXII in un discorso diretto agli psicologi, la personalità concreta – specialmente cristiana -, si fa incomprensibile se si ignorano determinati fatti conosciuti tramite la Rivelazione.
                Quando si considera l'uomo come opera di Dio si scoprono in lui due caratteristiche importanti per lo sviluppo ed il valore della personalità cristiana: la sua somiglianza con Dio, che procede dall'atto creatore, e la sua filiazione divina in Cristo, manifestata grazie alla Rivelazione. In effetti, la personalità cristiana si fa incomprensibile se si dimenticano questi dati, e la psicologia, soprattutto quella applicata, si espone spesso ad incomprensioni ed errori se li si ignora. Poiché si tratta di fatti reali e non immaginari o supposti. Che questi fatti siano conosciuti grazie alla Rivelazione non toglie nulla alla loro autenticità, perché la Rivelazione pone l'uomo o lo situa in posizione di superare i limiti di una intelligenza limitata per abbandonarsi all'intelligenza infinita di Dio[10].
                La psicologia contemporanea, particolarmente in alcuni dei suoi campi come la psicoterapia,  pone alcuni problemi che non ottengono una adeguata soluzione se non si alza lo sguardo fino ai fondamenti filosofici e teologici. Se lo psicologo – particolarmente lo psicologo pratico – non tiene in conto che l'uomo è immagine di Dio e che è chiamato alla vita della grazia filiale di Cristo, non comprenderà del tutto le persone o anche sbaglierà, ci dice il Santo Padre. Ci sono dati che conosciamo grazie alla Rivelazione, o grazie alla teologia che approfondisce il dato rivelato, e che, se non si tengono in contro, portano lo psicologo pratico ad errare in ciò che gli è più proprio, il giudizio sulla personalità e, conseguentemente, nell'aiuto che si basa su questo giudizio.
                2. Perché, dovuto allo stato attuale della natura – decaduta a causa del peccato originale -, la legge naturale non si può compiere perfettamente senza la grazia[11]. È di più, ciò che è normale ed anormale per l'uomo non lo si termina di capire se non dopo la Rivelazione. Questo stesso aspetto lo ricorda S.S. Giovanni Paolo II riferendosi ad un altro aspetto del mistero dell'uomo; non quello della sua grandezza – immagine di Dio e figlio di Dio in Cristo -, ma della sua miseria: lo stato di natura decaduta. In questo senso, il Papa ci dice che le scienze umane (come la sociologia o la psicologia, che a volte sono scienze morali descrittive o ipotetiche, e molte altre volte sono autentiche visioni filosofiche del cosmo – come è il caso del marxismo o della psicoanalisi -) non ci possono far conoscere ciò che è l'uomo normale, e per tanto non sono normative. Solo se sono sviluppate correttamente, possono farci conoscere lo stato di fatto dell'uomo. A volte si confonde la normalità empirica (la media statistica) con la normalità umana secondo la natura e la grazia. L'uomo normale ci è noto solamente grazie alla Rivelazione: «Mentre le scienze umane, come tutte le scienze sperimentali, partono da un concetto empirico di “normalità”, la fede insegna che questa normalità porta con sé le conseguenze di una caduta dell'uomo dalla sua condizione originaria, cioè,  è affetta dal peccato. Solo la fede cristiana insegna all'uomo il cammino di ritorno “al principio” (si veda Mt 19, 8), un cammino che spesso è ben diverso da quello della normalità empirica»[12].
                Uno studio meramente empirico, per quanto corretto sia metodologicamente e filosoficamente – non ci riferiamo qui alla empiria contaminata da pregiudizi ideologici falsi -, non solo non può dirci come sia l'uomo normale, ma neanche che, dice Papa Giovanni Paolo II, spesso la normalità empirica e la normalità reale sono molto distinte. Questo ricorda la critica sollevata dallo psichiatra e filosofo cattolico Rudolf Allers al criterio statistico di normalità (sostenuto a quel tempo, tra gli altri, dal famoso psichiatra Kurt Schneider): «Supponiamo che in un paese ci siano 999 uomini affetti da tubercolosi e solo uno che non sia malato. Si potrebbe concludere che “l'uomo normale” sia quello i cui polmoni sono marci a causa della malattia? Il normale non si confonde con la media. Se però, secondo la media, l'uomo decide per istinto, questo non prova che non possa fare un'altra cosa, e neppure che i valori più elevati siano per natura deboli»[13].
                È necessaria la purificazione dell'intelletto e dell'affetto che produce la grazia, che ci pone in contatto personale con Cristo, per giungere a conoscere realmente l'uomo. Non dice una cosa diversa il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes 22: «In realtà, il mistero dell'uomo si chiarisce solo nel mistero del Verbo incarnato. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione».
                In questo senso, senza negare tutti i livelli epistemologici naturali che abbiamo menzionato, che possiedono la propria autonomia, crediamo che si possa parlare di una “psicologia cristiana”, che nella sua traduzione “professionale” nelle circostanze attuali è quasi tutta da sviluppare.

4. Psicoanalisi e psicoterapia

                Si è già detto che tra tutte le specialità psicologiche la psicoterapia pone un problema speciale, e per questo l'abbiamo lasciata alla fine. Il problema ha origine nel fatto che storicamente la psicoterapia moderna sorse nel seno della pratica medica. La maggior parte dei primi psicoterapeuti erano medici neurologi o psichiatri (una eccezione importante è Pierre Janet, che cominciò a praticare la psicoterapia da filosofo ancor prima di laurearsi in medicina). Senza dubbio, come già abbiamo segnalato, le grandi scuole di psicoterapia, da Freud in avanti, non solo implicano una visione antropologica, ma molte volte presentano un'etica alternativa quando non una completa visione del mondo. Da qui sorge la questione se la psicoterapia sia una specialità medica, o se appartiene alla filosofia o alle scienze sociali.
                Per risolvere questo problema, bisognerebbe approfondire la natura della malattia psichica, cosa che non possiamo fare in questo contesto[14]. Evidentemente, gran parte delle malattie chiamate “mentali” sono malattia in senso stretto della parola e assoggettabili ad un trattamento medico. Però disordini specifici o principalmente psichici o psicogeni, che per di più sono trattati per via psichica – come il carattere nevrotico e i disturbi di personalità -, ci permettiamo di dubitare che possano essere chiamati malattie nel medesimo senso. D'altra parte, ogni disturbo di personalità o del carattere, nella misura in cui parliamo di personalità umana in quanto tale, ha un aspetto morale fondamentale che non si deve trascurare se si deve comprendere la personalità come un tutto. Così lo segnala Pio XII: «C'è un malessere psicologico e morale, l'inibizione dell'io, di cui la vostra scienza si occupa di disvelare le cause. Quando questa inibizione penetra nel dominio morale, per esempio, quando si tratta di dinamismi come l'istinto di dominazione, di superiorità, e l'istinto sessuale, la psicoterapia non potrà, senza dubbio, trattare questa inibizione dell'io come una sorta di fatalità, come una tirannia della pulsione affettiva, che scaturisce dal subcosciente e che scappa assolutamente al controllo della coscienza e dell'anima. Che non si abbassi frettolosamente l'uomo concreto con il suo carattere personale al rango del bruto animale. Nonostante le buone intenzioni del terapeuta, gli spiriti delicati risentono fortemente questa degradazione al piano della vita istintiva e sensitiva. Che non si trascurino troppo le nostre osservazioni precedenti sull'ordine del valore delle funzioni e il ruolo della sua direzione centrale»[15].
                Qui si tratta evidentemente del “carattere nevrotico” e dei temi centrali della psicoterapia classica, cioè di Sigmund Freud (“l'istinto sessuale”) e di Alfred Adler (“l'istinto di dominazione, di superiorità”). Ed è giustamente riferendosi esplicitamente a questi temi che Papa Pio XII dice: «Attenzione! Quando entrano in gioco questi “dinamismi”, non si possono trattare i disordini dell'immaginazione e dell'affettività come se ci trovassimo di fronte ad una fatalità, qualcosa di inevitabile ed ingovernabile. Non bisogna ridurre l'uomo al livello dell'animale. Bisogna pensare che, anche in questi casi, la ragione e la volontà, che possono essere oscurate e debilitate, non hanno perso il loro ruolo centrale. Cosa che implica non solo che la responsabilità non è scomparsa completamente – benché nei casi concreti possa essere difficile o impossibile da determinare -, ma soprattutto che la psicoterapia non deve degradare l'uomo ad un semplice o complesso meccanismo, o ad un essere tutto pulsione ed immaginazione. In questo modo danneggeremo specialmente “gli spiriti delicati”, ossia i migliori».
                Per questo motivo, Pio XII allerta sui pericoli di una terapia che, come quella psicoanalitica, fa che l'individuo si sommerga senza difesa nelle sue fantasie e che, eventualmente, non solo porti alla coscienza immagini sessuali represse, ma che debba ritornare a viverle come requisito indispensabile per la cura, con il pericolo che questo suppone per la purezza morale della persona:
                «Per liberarsi delle repressioni, delle inibizioni, dei complessi psichici, l'uomo non è libero di ridestare in sé, con fini terapeutici, ognuno di questi appetiti della sfera sessuale, che si agitano o si sono agitati nel suo essere (…). Non può renderli oggetto delle sue rappresentazioni e dei suoi desideri pienamente coscienti, con tutte le fratture e le ripercussioni che implica tale modo di procedere. Per l'uomo ed il cristiano esiste una legge di integrità e di purezza personale di sé, che gli proibisce di sommergersi completamente nel mondo delle sue rappresentazioni e delle sue tendenze sessuali. “L'interesse medico e psicoterapeutico del paziente” incontra qui un limite morale. Non è stato provato, ed ancor più, è inesatto, che il metodo pansessuale di una certa scuola di psicoanalisi sia una parte integrante indispensabile di ogni psicoterapia seria e degna di tal nome; che il fatto di aver negato nel passato questo metodo abbia causato gravi danni psichici, errori nella dottrina e nelle applicazioni nell'educazione, in psicoterapia e ancor meno nella pastorale; che sia urgente colmare questa lacuna ed iniziare tutti coloro che si occupano di questioni psichiche, alle idee direttrici, ed anche, se è necessario, all'uso pratico di questa tecnica della sessualità»[16].
            Oltre il dettaglio della maggiore o minore adeguatezza di questa critica al pensiero di Freud, è chiaro che per questo autore la terapia suppone il riaffioramento senza censura delle rappresentazioni represse. In alcun modo, la psicoanalisi è una terapia in cui il soggetto analizzato si deve riconciliare con i propri oggetti immaginari interni. Per questo, l’analista non svolge un ruolo educativo, se non che deve servire da schermo per il trasferimento. Contrariamente a ciò che si è soliti pensare, il trasferimento, così come lo concepì Freud, non è la relazione personale tra analista ed analizzato. Questa relazione personale è impossibile, perché il soggetto non può superare le proprie immagini interne. La nostra relazione con gli altri è fatalmente sempre la ripetizione della nostra relazione con le nostre immagini genitoriali[17]. D’altra parte è chiaro che, anche dopo esser pervenuto al represso lo si possa rifiutare coscientemente come moralmente inaccettabile, questo avviene solo dopo di: a) essersi sottomesso senza controllo razionale al suo influsso; b) averlo vissuto coscientemente, dal momento che nella terapia psicoanalitica non solo bisogna riconoscere intellettualmente il complesso di Edipo come “complesso nucleare”, ma bisogna “riviverlo” nel transfert. La critica, rivolta da Papa Pio XII principalmente alle rappresentazioni ed ai desideri sessuali si può rivolgere anche alle immagini ed alle tendenze aggressive, benché queste siano meno pericolose per essere l’appetito irascibile, per sua propria natura, più vicino alla ragione.
            Questa critica è perfettamente congruente con le linee fondamentali dell’antropologia cristiana: la ragione e la volontà sono il centro direttivo della personalità.
            Però Pio XII non si arresta alla semplice critica della psicoanalisi, ma propone una alternativa: partire dalla visione cristiana dell’uomo per sviluppare la psicoterapia. In questo senso, dice Pio XII, bisogna dare priorità a quelle modalità di intervento che si focalizzano nell’azione dello “psichismo cosciente”, ossia della ragione e della volontà, al di sopra della vita immaginativa ed emozionale; ossia, si deve preferire una psicoterapia “dall’alto”.
            Sarebbe meglio, nel dominio della vita istintiva, concedere più attenzione ai metodi indiretti ed all’azione dello psichismo cosciente sull’insieme dell’attività immaginativa ed affettiva. Questa tecnica evita le devianze segnalate. Tende a fare chiarezza, curare e dirigere; influenza anche la dinamica della sessualità, su di cui si insiste tanto, e che si incontrerebbe o anche si incontra realmente nell’inconscio o nel subconscio[18].
            La vita umana sensitiva ed emozionale è fatta per essere guidata dall’alto, dalla ragione. Non è la vita di uno spirito incarcerato in un animale, ma una unità ilemorfica, che è anche, dal punto di vista operativo, una unità gerarchica. La vita sensitiva ha una certa autonomia; però non è assoluta; è stata creata per essere guidata dalla ragione e dalla volontà. La “vita immaginativa ed affettiva” può essere guidata da ciò che è più umano in noi. La visione psicoanalitica è atomista, da molti punti di vista. In primo luogo perché vede lo psichismo come un aggregato di rappresentazioni, che si riuniscono in “complessi”. D’altra parte, perché considera che la vita psichica superiore risulti o emerga dall’organizzazione meccanica degli elementi psichici inferiori. Per l’antropologia cristiana, al contrario, la vita psichica umana, che include e dipende dalla vita sensitiva, immaginativa ed affettiva – come anche, da quella vegetativa -, si costruisce senza dubbio dall’alto, dall’intelligenza e dalla volontà, che sono coloro che individuano la finalità e che di conseguenza devono dirigere l’organizzazione dinamica della personalità. La personalità si concepisce e si costruisce da qui.
            Nel testo citato, Pio XII dice anche che questa terapia dall’alto, non solo implicherà un chiarimento intellettivo, ma che anche sarà direttiva. Si tratta di porre in primo piano la relazione del terapeuta con il paziente, relazione che è personale, che va da spirito a spirito, e che è anche pedagogica. Il motore di tutto questo processo deve essere la carità. In questo modo, senza negare la pertinenza dell’utilizzazione di strumenti strettamente tecnici di diagnosi e di trattamento, la psicoterapia si converte, per la sua finalità ultima e per il suo intervento principale, in una rieducazione della vita emozionale della persona dalla ragione e dalla volontà, aperte all’influenza della grazia; come dire in una forma di pedagogia morale differente[19]. Solo l’uomo si comprende e si sana radicalmente dal profondo[20]. Questa idea l’ha espressa chiaramente Josef Pieper con le seguenti parole: «Sarà raro che abbia successo la cura di una malattia psichica nata dall’angustia per la propria sicurezza, se non la si fa accompagnare da una simultanea “conversione” morale dell’uomo intero; la quale a sua volta non sarà fruttuosa, se consideriamo la questione dalla prospettiva dell’esistenza concreta, fin tanto che si mantiene in una sfera separata della grazia, dai sacramenti e dalla mistica»[21].

Conclusione

            La nostra intenzione era di esporre una serie di questioni specialmente epistemologiche circa la psicologia contemporanea nella sua relazione con la fede. Evidentemente nel nostro discorso siamo solo riusciti ad enunciarle e proporre alcuni suggerimenti di soluzione, che richiederanno un lavoro più ampio del presente per essere correttamente fondate. Noi ci accontentiamo se le nostre riflessioni hanno risvegliato l’interesse per un tema che merita tutta l’attenzione del pensiero cristiano. Al di là di tutte le difficoltà, chi scrive è convinto che lo sviluppo di una buona psicologia e di una buona psicoterapia, secondo principi filosofici e teologici giusti, possa apportare un bene enorme per la Chiesa e per tutti gli uomini.


[1]    Si veda Giovanni Paolo II, L'incapacità psichica e le dichiarazioni di nullità matrimoniale, Discorso al tribunale della Rota Romana, 5/2/1987, 481-486.
[2]    Si veda P. Laurent Assoun, Freud et Nietzsche, Quadrige-Presses Universitaires de France, Parigi 1998; Martin F. Echavarria, La psicologia di F. Nietzsche ed il suo influsso nella psicoanalisi, in Informacion Filosofica. Revista Internacional de Filosofia y Ciencias Humanas, I (2004) pag. 202-221 (pubblicato anche su Psicologia e Cattolicesimo http://psicologiacattolicesimo.blogspot.it/2012/09/la-psicologia-di-nietzsche-ed-il-suo.html); Martin F. Echavarria, La psicologia antihumanista y posmoral de F. Nietzsche y su influencia en el psicoanalisis, in AA. VV., Bases para una psicologia cristiana, Universidad Catolica Argentina, Buenos Aires 2005, pag. 31-50.
[3]    Si veda Paul Vitz, Psicologia e culto di sé, EDB, Bologna, 1992.
[4]    Albert Ellis e René Grieger, Manual de terapia racional-emotiva, Desclée de Brouwer, Bilbao 2000 [non tradotto in italiano. In originale: Ellis A., Grieger R. (1977), Handbook of rational-emotive therapy, Springer, New York], pag. 204: «L'approccio della terapia razionale-emotiva molte volte è più filosofico che psicologico. I terapeuti della RET più che mostrare semplicemente ai clienti la psicodinamica del loro comportamento disturbato, mostrano loro ciò che potrebbe chiamarsi la dinamica filosofica del loro comportamento. Cioè, mostrano loro che le ragioni vere del loro comportamento auto-distruttivo non si radicano nelle loro esperienze primarie o nella loro storia passata, ma nelle attitudini filosofiche o supposizioni che stanno facendo e tuttora si fanno circa queste esperienze e a questa loro storia.
Ma anche, i terapeuti razionali presentano molto didatticamente ai clienti una filosofia di vita abbastanza nuova e di orientamento esistenzialista. Essi insegnano che è possibile per le persone accettarsi nella vita come esseri preziosi e felici per il semplice fatto che esistono e che stanno vivendo. Attaccano con fermezza l'idea che il valore intrinseco delle persone dipenda dai criteri normalmente riconosciuti nella società, come l'esito, i risultati acquisiti, la popolarità, il servizio agli altri, la devozione verso Dio e altre cose del genere. Al contrario, dimostrano ai loro clienti che saranno migliori, se realmente desiderano superare i propri turbamenti emotivi profondamente radicati, nell'accettarsi senza dare importanza al fatto che siano competenti o che ottengano molti successi e senza guardare se gli altri li stimino molto o per nulla».

[5]    Si veda San Tommaso d'Aquino, Commento al libro sul senso ed il sensibile, 1. I, n. 6; Martin F. Echavarria, La praxis de la psicologia y sus niveles epistemologicos segun Santo Tomas de Aquino, Documenta Universitaria, Girona 2005, pag. 717-730.
[6]    Erick Fromm, Psicologia per non psicologi, in L'amore per la vita, Mondadori, Milano, 1992, pag. 82: «Generalmente si ritiene che la psicologia sia una scienza relativamente moderna, e questo perché il termine è entrato nell'uso generale solo negli ultimi cento, centocinquanta anni. Però si dimentica che ci fu una psicologia premoderna, la quale durò più o meno dal 500 a.C. fino al secolo XVII, ma che non si chiamava “psicologia”, ma “etica” o, più frequentemente ancora, “filosofia”, anche se trattava giustamente di psicologia. Quali erano la sostanza ed i fini di tale psicologia premoderna? La risposta può essere sintetizzata così: era la conoscenza della psiche umana che aveva come meta il miglioramento dell'uomo. Essa aveva, quindi, un proposito morale, si potrebbe dire anche religioso, spirituale.
Mi limito ad offrire solo alcuni brevi esempi di psicologia premoderna. In primo luogo il buddismo, che implica un'ampia psicologia, molto complessa e differenziata. Aristotele ha scritto un manuale di psicologia che ha intitolato, però, Etica. Gli stoici hanno elaborato una psicologia di altissimo interesse; molti conosceranno sicuramente le Meditazioni di Marco Aurelio. In Tommaso d'Aquino si incontra un sistema psicologico da cui si può probabilmente apprendere molto più che dalla gran parte degli attuali manuali di tale disciplina; si incontrano in lui trattati interessantissimi e molto profondi di temi come il narcisismo, superbia, umiltà, modestia, sentimenti di inferiorità, e molti altri. Lo stesso vale per Spinoza, che scrisse un'opera sulla psicologia, intitolata da lui, al pari di Aristotele, Etica».
[7]    Si veda Martin E. P. Seligmann, La costruzione della felicità, Sperling & Kupfer, 2010, pag. 12; Christopher Peterson e Martin E. P. Seligmann, Chacter Strenghts and Virtues: A Handbook and Classification, Oxford University Press, Oxford, 2004.
[8] Y. Simon, Critique de la connaissance morale, Desclée de Brouwer, Parigi, 1934, pag. 136-141.
[9]    Si veda Jacques Maritain, Science et sagesse, in Jacques et Raissa Maritain, Oeuvres complètes, vol. VI, Editions Universitaires, Fribourg – Editions Saint-Paul, Parigi, 1984, pag. 175-177: «L'esperienza che giungiamo a ricordare, gioca un ruolo fondamentale nel sapere morale. Un gran numero di discipline scientifiche si stanno sviluppando ai nostri giorni – nell'ordine sociologico, economico, ecc., come in quello che si chiama Kulturwissenchaften – che sono come una indagine metodica e scientifica del campo dell'esperienza preparatoria al sapere morale ed incluse in esso. Queste concernono le cose morali; e si presentano come scienze “positive”, impegnate in ciò che è, e non in ciò che dovrebbe essere; molti dei nostri contemporanei pensano che esse possano costruirsi come scienze senza alcuna connessione con la filosofia se non la fisica e la chimica.
>>Queste discipline e queste tecniche speciali di indagine e di constatazione di alcuni comportamenti umani, sono scienze d'informazione sperimentale non sono scienze autonome: (…) perché questo dominio soffre interamente, anche nelle regioni specializzate più lontane da tutto il pensiero filosofico e meno occupate in considerazioni normative, l'attrazione di un termine finale e di una funzione tipica che è l'intellezione realizzante, e la regolazione dell'azione umana; regolazione che dipende dal fine dell'essere umano, tanto dal fine ultimo come dai fini prossimi. La scienza delle cose morali – nel senso forte che la tradizione aristotelica e tomista riconosce alla parola scienza – non può pertanto essere costituita ed organizzata senza la conoscenza di questi fini, e deve anche consistere in un sapere o in un corpo di saperi di ordine filosofico. La concezione positivista delle discipline di osservazione e di constatazione di cui si tratta qui appare così come una grande illusione; queste discipline non sono assolutamente scienze autonome comparabili alla fisica o alla chimica.
>>Prese separatamente da ogni considerazione teologica, per quanto distante sia, e da ogni giudizio di valore, per quanto implicito sia, prese separatamente dalla conoscenza dell'uomo, non possono in nessun modo essere chiamate scienze eccetto che in senso improprio, e poiché nel linguaggio moderno si chiama scienza ogni disciplina che procede secondo metodi rigorosi di verifica. Ci sono, di conseguenza, a dire la verità, preparazioni empiriche alla scienza, materiali ed archivi di esperienza per il sapere morale propriamente detto; e i fatti che esse classificano hanno un valore fisico o tecnico, non propriamente “culturale” o sociologico.
>>Le scienze di cui parliamo possono essere scienze nel senso proprio della parola, a condizione di svilupparsi  in continuità con qualche parte costitutiva della filosofia morale – adeguatamente accettata – e di integrarsi in essa a titolo di scienze connesse. Ed è da questa integrazione, da cui deriva il loro valore propriamente culturale, ed a cui esse tendono normalmente».
[10]  Si veda Pio XII, Discorso ai partecipanti del XIII Congresso Internazionale di Psicologia Applicata, 10/04/1958.
[11]  Si veda San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 109, a. 2, co.
[12]  Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n° 112.
[13]  Rudolf Allers, El amor y el instinto, in Ignacio Andereggen e Zelmira Seligmann, La psicologia ante la gracia, EDUCA, Buenos Aires, 1999, pag. 324.
[14]  Si veda Martin F. Echavarria, La enfermedad psiquica (aegritudo animalis) segun Santo Tomas, negli Actas del Congreso Internacional “El Humanismo Cristiano ante el III Milenio: Prospectiva de Tomas de Aquino”, vol. 3, Libreria Editrice Vaticana, Roma, 2006.
[15]  Pio XII, Locuzione ai partecipanti del V Congresso Internazionale di Psicoterapia e Psicologia clinica, 13/04/1953.
[16]  Pio XII, Locuzione ai partecipanti del I Congresso Internazionale di Istopatologia del Sistema Nervoso, 14/09/1952.  La medesima idea si ripete nella Locuzione ai partecipanti del V Congresso Internazionale di Psicoterapia e di Psicologia Clinica: «Ciò che abbiamo detto ora sull’iniziazione sconsiderata per fini terapeutici, vale anche per certe forme della psicoanalisi. Non si dovrebbe considerarle come il solo mezzo per attenuare o guarire turbamenti psichici. Il principio riaffermato che i turbamenti sessuali dell’incosciente, come tutte le altre inibizioni di identica origine non possono essere soppressi che rievocandoli alla coscienza, non vale se si generalizza senza discernimento. La cura indiretta ha pure la sua efficacia, e spesso è più che sufficiente. Per ciò che riguarda l’impiego del metodo psicoanalitico nel campo sessuale, la Nostra allocuzione del 13 Settembre, citata sopra, ne ha già indicato i limiti morali. Infatti non si può considerare, senz’altro, come lecita l’evocazione alla coscienza di tutte le rappresentazioni, emozioni, esperienze sessuali che erano assopite nella memoria e nell’incosciente e che si attualizzano così nello psichismo. Se si dà ascolto alle proteste della dignità umana e cristiana, chi si arrischierebbe di pretendere che questo procedimento non comporti alcun pericolo morale, sia immediato sia futuro, quand’anche, se si affermi la necessità terapeutica di una esplorazione senza limiti, questa necessità, peraltro, non è provata».
[17] Si veda Jean Laplanche e J. B. Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, Laterza, 2005, 9° ed., [nell’edizione spagnola a pag. 439]: «[Transfert] designa, nella psicoanalisi, il processo in virtù del quale i desideri inconsci si attualizzano su alcuni oggetti, dentro un determinato tipo di relazione stabilita con essi e, in modo speciale, dentro la relazione analitica. / Si tratta di una ripetizione di prototipi infantili, vissuta con un marcato senso di attualità. Quasi sempre ciò che gli psicoanalisti chiamano transfert, senza aggettivo qualificativo, è il transfert nella cura. / Il transfert si riconosce classicamente come il terreno in cui si sviluppa la problematica di una cura psicoanalitica, caratterizzandosi questa per l’instaurazione, le modalità, l’interpretazione e la risoluzione del transfert».
[18] Si veda Pio XII, Allocuzione ai partecipanti del  I Congresso Internazionale di Istopatologia del Sistema Nervoso.
[19] Si veda Paul Vitz, Psychology in Recovery, in First Things, 151 (2005), pag. 17-22: «Gli psicologi nel mondo della terapia contemporanea hanno riconosciuto che la loro comprensione della persona umana non è diventata più scientifica. Più ancora, essi non credono più che etichettare la propria disciplina come una scienza sia possibile né nella pratica né desiderabile nella teoria. Invece, gli psicologi hanno compreso che la psicoterapia meglio comprende se stessa e meglio serve i suoi clienti collocandosi nelle discipline umanistiche e facendo utilizzo di concetti e di approcci tradizionalmente lì presenti. Per esempio, teorici recenti come Roy Shafer, Donald Spence, Jerome Bruner, e Dan McAdams hanno enfatizzato una comprensione narrativa della personalità, così come degli aspetti narrativi della conoscenza in generale e dell’incontro terapeutico in particolare. Altri hanno posto la psicologia nel campo dell’ermeneutica, in cui essa diviene parte di cornici interpretative maggiormente vicine alla teologia, alla filosofia, ed all’etica piuttosto che alla scienza tradizionale. Il risultato è che la psicoterapia ha iniziato a ritornare alle sue radici dell’era premoderna, quando la psicologia era concepita come una sottodisciplina della filosofia. / C’è ancora una certa quantità di osservazione genuinamente scientifica ed una modesta proporzione di ricerca sperimentale presente oggi nel campo della psicoterapia – per esempio, la ricerca che mostra come alcune delle esperienze infantili contribuiscano alle patologie mentali. Nel futuro vedremo facilmente maggiori contributi dalla ricerca sulle esperienze che costruiscono la forza del carattere e della virtù (al cui riguardo dirò altro in seguito). Ma una volta che la psicologia lascia la sua base scientifica ed oggettiva, essa inizia ad utilizzare concetti e cornici interpretative che sono intrinsecamente non scientifiche – e, quindi, di natura filosofica. Il risultato è che la psicologia è diventata una filosofia di vita applicata».
[20] Sull’utilizzo di psicofarmaci per il trattamento di disturbi psichici, si veda Pio XII, Discorso al Collegio Neuro-Psico-Farmacologico del 25/09/1958: «Certi autori segnalano che l’esperienza tanto ampiamente progredita durante questi ultimi anni ha portato in rilievo cause fisiche ignorate in altri tempi. Gli psichiatri, da parte loro, segnalano la natura psicogenica delle malattie mentali. Si rallegrano che l’utilizzo di sedativi faciliti il dialogo tra il malato ed il suo medico, però richiamano l’attenzione sul fatto che il miglioramento del comportamento sociale ottenuto grazie a loro non significa in alcun modo la soluzione delle difficoltà profonde. E’ tutta la personalità quella che bisogna raddrizzare e a cui bisogna ridare l’equilibrio istintivo indispensabile all’esercizio normale della sua libertà. Esiste, soprattutto, il pericolo di occultare al paziente i suoi problemi personali, procurandogli un sollievo completamente esteriore ed un adattamento superficiale alla realtà sociale».
[21] Josef Pieper, Temperanza, Morcelliana, Brescia, 2001, nell’edizione spagnola a pag. 214.

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