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venerdì 7 agosto 2015

LA PSICOLOGIA E L'IMMAGINE DELL'UOMO - MAGDA B. ARNOLD


Rudolf Allers è stato probabilmente il più importante psicologo cattolico del XX secolo. La sua profonda curiosità per l'umano, destata dal lavoro di medico e di ricercatore, lo aveva spinto a cercare una teoria della psiche - normale e patologica - che non fosse ridotta dalle filosofie positivistiche del suo tempo. E' così giunto al tomismo, scoprendone le potenzialità in quanto fondamento filosofico di una psicologia integrale dell'uomo. Il professor Allers, però, non è stato l'unico psicologo cattolico ad aver adottato la filosofia perennis come fondamento del proprio operare: sino agli anni cinquanta del secolo scorso erano numerosi gli psicologi che conoscevano profondamente i postulati della filosofia tomista e da essi attingevano per confrontarsi con le impostazioni a sé circondanti. In particolare negli Stati Uniti diversi gruppi di lavoro si fondavano sull'antropologia tomista. Uno dei nomi più noti, ed a mio avviso uno dei più interessanti, è quello di Magda B. Arnold.
Ricercatrice della Loyola University, Magda Arnold si è specializzata nello studio delle emozioni. Forse intuendo che la modernità stava costruendo il proprio modo di pensare sulla dicotomia tra ragione ed emozione - che oggi vediamo ampliata sino all'estremo, con uno sbilanciamento a favore dell'emotività - ha condotto un importante approfondimento sul tema, che ha dato luce a due importanti volumi (Emotion and personality, 1960-1961). L'analisi delle dinamiche dell'azione, sia volontaria che automatica o istintiva o su base emotiva, ha portato alla rivalutazione di un concetto caduto in disuso - e ben presente, invece, nell'antropologia tomista - quale quello di arousal.
In questo bellissimo ed importantissimo testo, la Arnold passa al vaglio le immagini di uomo sottese dalle principali correnti della psicologia. Nel primo paragrafo evidenzia i postulati antropologici impliciti nelle visioni di Freud, Adler e Jung. Nel secondo paragrafo si concentra su quelli avanzati dalla psicologia accademica, con particolare riferimento alla corrente comportamentista e, all'opposto, umanista. Nel terzo paragrafo, invece, delinea un modello di uomo che includa le dimensioni tipicamente religiose: un uomo libero dai condizionamenti e responsabile delle proprie azioni poiché attratto (e non solamente spinto) dai valori. La conclusione stabilisce come la visione cristiana del mondo e dell'uomo favorisca una crescita sana ed armonica dell'uomo. Tale concezione viene sviluppata dall'autrice assieme ad altri colleghi in un'opera corposa (The human person, 1954) che ha l'obiettivo di fondare una teoria ed una prassi psicologica degna dell'essere umano integrale.

La psicologia e l’immagine dell’uomo

Di Magda B. Arnold
Loyola University, Chicago, Illinois

Qualsiasi siano i problemi che lo psicologo indaga, che siano in psicoterapia o nella ricerca, implicano alcune assunzioni sulla natura dell’uomo. Ogni psicologo possiede un’immagine dell’uomo nella sua mente che determina il suo approccio, sia nei confronti del problema di un paziente che di una ricerca. Ogni teoria psicologica designa una fotografia dell’uomo, esplicitamente o implicitamente. È molto spesso iperseplificata, ancor più spesso distorta, e raramente è di conforto a chi ha un orientamento religioso.
                Per Freud, l’uomo è essenzialmente una creatura dagli impulsi irrazionali. Le sue forze motivazionali interiori sono spinte istintive che lo muovono all’emozione ed all’azione nella polarità dell’amore e dell’aggressione (Eros e Thanatos). La psicoanalisi ha a che fare con le tendenze appetitive dell’uomo ed il loro sviluppo genetico, dipingendo una “odissea della libido” in cui l’energia psichica è diretta prima al corpo, poi alla mamma, dopo al padre, per essere infine a disposizione della cathexis dell’oggetto, da cui aumenta la consapevolezza e la simbolizzazione. Quando il bambino si identifica con il padre, egli incorpora l’immagine del padre nel “superio”, che soppianta la funzione punitiva del padre. Secondo Freud, le minacce genitoriali e le punizioni sono ora “internalizzate”, così che il bambino compie ciò che deve a causa della paura del superio, proprio come faceva originariamente a causa della paura della punizione genitoriale. Allo stesso tempo, il superio rappresenta anche il suo ideale dell’io, formatosi dal padre. Così il bambino ama e contemporaneamente teme il superio, proprio come amava e temeva il padre. L’id, fonte della libido, è repressa dal superio, mentre l’io apporta un valido sostegno nel riconciliare i bisogni istintivi con le necessità della realtà e le strutture del superio. Per Freud, la felicità dell’uomo sembra giacere nel raggiungimento della più alta soddisfazione istintuale nelle circostanze della vita. Tuttavia Freud nota che la felicità non può essere trovata completamente nel piacere istintuale, poiché c’è un verme nella mela (anche se non un serpente nel Giardino dell’Eden) che impedisce la piena e finale soddisfazione.
                La psicologia individuale di Adler presenta una differente fotografia dell’uomo. L’enfasi centrale di Adler è sull’ “inferiorità costituzionale” del bambino in paragone all’adulto: per molti anni, il bambino è completamente dipendente dai suoi genitori, non solo per la vita ma anche per la realizzazione della maggior parte dei suoi desideri. Questo genera una lotta per il potere, un desiderio di rimediare alla sua percezione d’inferiorità, che lo porta in un conflitto permanente non solamente con i suoi genitori ma anche con i fratelli e le sorelle maggiori. La ribellione della generazione più giovane contro gli adulti ha trovato in Adler un eloquente portavoce. Allo stesso tempo, egli enfatizza il sentimento di comunità di base tra tutti gli uomini, che bilancia la lotta per il potere e previene i suoi eccessi. Quando il sentimento di comunità è troppo debole per bilanciare l’affermazione per la superiorità, o quando questa affermazione è particolarmente intensa, si apre un conflitto ed una eventuale nevrosi. Più o meno allo stesso modo, Freud vede l’origine della nevrosi e dell’infelicità umana nel conflitto tra la libido e le barriere reali e culturali che la confinano, così Adler li vede nel conflitto tra la lotta per il potere e i limiti della cultura e dell’affetto. Per Adler, un obiettivo di vita dell’uomo è di raggiungere il buon esito delle sue capacità senza perdere il contatto con i suoi fratelli uomini. Egli raggiunge la superiorità sviluppando il suo “stile di vita”, che è formato dalle esperienze infantili.
                Jung, un altro dei primi discepoli di Freud, si è allontanato dal maestro ancor più di Adler. Per Jung, l’obiettivo di ogni uomo è la sua “individuazione”, un processo in cui emerge dall’inconsapevolezza infantile attraverso un periodo di caratterizzazione sociale, soprattutto la regolamentazione, alla luce della consapevolezza e del pieno sviluppo dei suoi poteri. L’uomo pienamente individuato ha sviluppato le quattro funzioni (pensiero, sentimento, sensazione, intuizione) piuttosto equamente, e può utilizzarle con uguale facilità. Un tale uomo si sente a casa nel suo inconscio tanto quanto nel suo conscio. È in grado di attingere dalla saggezza cumulativa dell’ “inconscio collettivo” per correggere gli errori del suo inconscio. In questo modo, l’uomo si rende un intero, integrato, individuato, che vive non solamente grazie alle sue risorse coscienti ma anche a quelle inconsce. L’uomo pienamente individuato è maestro delle forze psichiche che tanto tempo fa, nell’infanzia della razza umana, ha utilizzato per uscire fuori di sé tramite la proiezione, sotto forma di dei e di demoni. Ora li può controllare invece di essere alla loro mercé. Per Jung, la personalità si sviluppa in accordo con le leggi poste nell’inconscio. Il conscio deve fare un passo indietro ed aspettare finché l’inconscio emerga, o piuttosto, finché non sia l’inconscio a vivere nel conscio. Dunque, questo è il modo in cui Jung interpreta le parole di San Paolo: “Non io ma Cristo vive in me”.

I

Paragonata a queste immagini dell’uomo, colorate ed anche affascinanti, la fotografia scattata dalla psicologia accademica è particolarmente poco accattivante. Per i neo-comportamentisti con tendenze positivistiche, l’uomo è semplicemente un animale molto complesso che può essere compreso sulla base di una semplice proposizione: l’uomo è spronato all’azione da forze viscerali su cui si sono innestate delle forze apprese di second’ordine; l’apprendimento serve per riuscire a ridurre la forza tensiva, sia che questa sia primaria o secondaria. Quindi l’uomo è inevitabilmente ego-centrato, sebbene possa sviluppare motivazioni utili alla socializzazione se questo serve a ridurre la tensione. L’uomo può progettare o pensare, ovvero manipolare i simboli piuttosto che gli oggetti, e così i suoi obiettivi inevitabilmente dipendono dal milieu sociale in cui vive e da cui è stato condizionato. Quindi il comportamentista è sicuro che una piena conoscenza delle situazioni di stimolo permetterebbe l’esatta predizione dell’azione umana. Per lui, la libertà umana è una delusione, la responsabilità umana una trappola.
                Ci sono solamente piccole differenze tra questa fotografia dell’uomo e quella scattata da altri teorici della psicologia. Una immagine più promettente si trova in alcune delle teorie cliniche più recenti che vedono l’uomo come un essere capace di auto-attualizzazione. Per Goldstein, l’uomo sviluppa le sue potenzialità scegliendo i modi di azione, di percezione, di valutazione, che eventualmente diventano abitudini, “costanti comportamentali”. L’auto-attualizzazione è limitata dal tentativo di auto-attualizzazione degli altri. Quindi l’individuo limita se stesso volontariamente e soffre tale limitazione volontaria. Per Goldstein, libertà significa scegliere l’auto-attualizzazione e l’auto-limitazione. Questo crea una difficoltà nel mantenimento di un giusto equilibrio tra quello che un uomo vuole e quello che può avere o si permette di avere. Così l’uomo differisce dagli animali a causa del suo speciale problema di “centrarsi”, di trovare l’equilibrio. Ma Goldstein crede che questo sia un fenomeno transitorio e che l’impulso evoluzionista alla fine vincerà, assicurando la piena auto-attualizzazione per chiunque.
                Maslow, con un concetto simile di auto-attualizzazione, tenta di precisare le forze che la favoriscono. Sul livello più basso dello sviluppo ontogenetico egli colloca i bisogni biologici che devono essere soddisfatti, almeno in qualche grado, prima che i bisogni collocati più in alto, i bisogni di sicurezza, possano emergere. Quando questi vengono soddisfatti, emerge il bisogno di amore, e poi il bisogno di valore, ed infine, quando tutti i bisogni inferiori sono soddisfatti, il bisogno per l’auto-attualizzazione comparirà sulla scena e solleciterà l’individuo ad azioni creative che sono impossibili fin quando un uomo è motivato semplicemente dai bisogni di sicurezza, di amore e di valore. Nella visione di Maslow, è una questione di fortuna il fatto che i bisogni di base siano stati soddisfatti nell’infanzia così che il bisogno di auto-attualizzazione possa emergere. Mentre la scelta individuale e l’auto-determinazione è una caratteristica degli “auto-attuatori”, non è sicuro come tale libertà sia innescata. L’implicazione sembra portare al fatto che la natura umana possieda le potenzialità per la libertà e per l’auto-determinazione ma che essa dipenda interamente da circostanze ambientali favorevoli per giungere alla fruizione.
                Per l’uomo religioso, nessuna di queste immagini dell’uomo è realmente adeguata, non importa quanto popolari esse siano in psicologia. L’immagine più pietosamente distorta è dipinta dai neo-comportamentisti, per i quali non esiste né libertà né responsabilità, né aspirazione culturale o estetica o religiosa, e neppure auto-consapevolezza e riflessione. Dove ogni cosa è ridotta ad espediente, neppure l’arte né la religione possono fiorire. Ciò che passa come attività culturale o religiosa è semplicemente il risultato di un riflesso condizionato appreso, basato sull’associazione meccanica piuttosto che su di un vero riconoscimento di valore. L’adorazione per Dio diventa un prodotto accidentale dell’apprendimento sociale; la questione della sua esistenza non potrà mai sollevarsi. Per un uomo che vede questo sistema non solo come un metodo più o meno utile all’indagine ma che lo assume come una spiegazione generalmente valida, la religione non è niente di più di un dispositivo sociale da poter cambiare o abolire a piacimento.

II

Alcuni degli altri sistemi non sono più ben disposti verso una religione genuina. L’immagine freudiana dell’uomo avrebbe bisogno di correzioni consistenti. Alcuni analisti moderni (ad. es. Stern, Mailloux) suggeriscono che lo sviluppo psicosessuale, come postulato da Freud, descriva solo l’organizzazione di personalità del nevrotico, o la personalità prima della sua organizzazione razionale finale. Essi lamentano che la psicoanalisi abbia descritto solamente le leggi dell’inconscio; che il conscio dell’uomo sia razionale e che possa essere aiutato a controllare l’inconscio. Così la psicoanalisi potrebbe essere utilizzata per rompere le catene dell’inconscio, per rendere in grado il paziente di agire in accordo con validi principi etici. Ma alla meglio questa sembra una soluzione raffazzonata che invoca una ricostruzione dalle fondamenta.
                La fotografia dell’uomo di Jung può sembrare più congegnale a prima vista, ma rinchiude dei pericoli al suo interno. Il suo “inconscio collettivo” sembra essere la riserva di tutte le grandezze, di tutte le immagini di eccellenza, ma anche di tutto il male. L’uomo letteralmente produce i suoi dei ed i suoi demoni, e deve essere istruito ad indietreggiare da queste proiezioni, dice Jung, se vuole raggiungere la maturità. Jung spesso sottolinea che ci potrebbe davvero essere qualcosa di reale dietro queste proiezioni ma tutto questo è inaccessibile all’investigazione psicologica; dunque potrebbe essere possibile prenderlo alla lettera e credere in tale realtà extra-psicologica. Ma questo significa che dobbiamo rivolgerci ad un’altra immagine di uomo per avere un’adeguata fotografia della realtà. Per quanto gli psicologi parlino di “proiezioni”, che siano del tipo freudiano o junghiano, ciò implica certamente che esse sono immagini prodotte dalla persona che le proietta fuori di sé, piuttosto che un’esperienza di una qualche realtà extra-soggettiva. Al meglio, accettare l’immagine freudiana o junghiana di uomo significa che dobbiamo aggiornarla con un’altra, che tenga conto della realtà religiosa, e le due non sono completamente compatibili.
                L’uomo attualizzatore, come Goldstein e Maslow lo dipingono, riduce l’uomo ad un adoratore. Dalle premesse di Goldstein, l’aspirazione religiosa dovrebbe essere parte del continuo progresso dell’umanità; ma non abbiamo risposte per coloro che sostengono di non esser stati toccati da esso. Possiamo solo aspettare e vedere se l’avanzamento progressivo dell’umanità porterà eventualmente la sensibilità religiosa a tutte le persone. La spiegazione di Maslow potrebbe permetterci di includere l’attività religiosa nell’auto-attualizzazione, proprio come sono incluse le realizzazioni artistiche, scientifiche e culturali. Infatti, Maslow dice che gli individui auto-attualizzanti possiedono un senso religioso forte anche se non ortodosso. Mentre le persone che non sono auto-attualizzatrici? Maslow ha trovato che esse sono la schiacciante maggioranza. Esse non hanno senso religioso? E Dio non esiste per loro?
                È chiaro che tutte queste immagini dell’uomo si basano sull’assunto che l’uomo possa essere spiegato su di una base puramente meccanicistica e deterministica, come se fosse un animale o una macchina. Ogni tentativo di correggere queste immagini senza correggere le loro assunzioni di base introdurrebbe una spaccatura che minerebbe le basi della teoria o distruggerebbe l’immagine correttiva sovraimposta.
                Certamente dovrebbe essere possibile costruire una teoria psicologia che riconosca l’uomo come essenzialmente differente dagli animali malgrado tutte le somiglianze; una teoria che ammetta che l’uomo possiede delle abilità che trascendono la conoscenza sensoriale, e delle aspirazioni che vanno oltre gli istinti e gli appetiti. A meno che l’immagine dell’uomo tratteggiata nella teoria psicologica includa l’uomo razionale tanto quanto l’uomo guidato dall’impulso, a meno che includa il riconoscimento da parte dell’uomo di cosa è bene e la sua determinazione ad agire di conseguenza, non c’è possibilità di spiegare né le sue realizzazioni culturali né le sue aspirazioni morali e religiose.

III

Una teoria che incorpora un’immagine di uomo accettabile è stata recentemente delineata (Gasson, 1954; Arnold, 1958). Secondo Gasson, l’essere umano può ed organizza le sue forze, le azioni e le abitudini nella ricerca attiva del suo ideale. In questo modo, sviluppa la sua personalità che è il frutto delle sue azioni e la radice dei suoi sforzi futuri. C’è un’organizzazione naturalmente determinata, uno schema di base, come dire, che stabilisce lo sviluppo umano normativo. Ma questa tendenza naturale verso la perfezione, questo desiderio indefinito di essere migliore, deve essere implementato dall’azione deliberata e dalla scelta razionale se si vuole raggiungere la perfezione umana. Ogni uomo si muove verso le cose e le persone per conoscerle, per apprenderle, e quindi per apprezzarle o non apprezzarle. Amando una persona, ci si approccia a lei, si coopera con lei, si ha diletto con lei. Apprezzando le cose, le si acquisisce, le si forma, le si incrementa. Nell’acquisire ciò di cui si ha bisogno e che si vuole, si guadagna il dominio sull’ambiente e così si arricchisce la personalità. Quindi le funzioni attive di conoscenza, di apprezzamento, di volontà, costituiscono una tendenza naturale per il possesso delle cose. Stabilizzando se stesso nel loro possesso, l’uomo non solamente si arricchisce ma stabilisce una base per i risultati futuri.
                D’altra parte, non ogni cosa nell’ambiente è di valore o utile. Le cose possono essere pericolose o minacciose o semplicemente inadatte agli obiettivi naturalmente determinati. (Non ogni cosa è commestibile, non ogni persona che si incontra è da amare, non ogni luogo una casa). Ci sono difficoltà ed ostacoli sulla strada della realizzazione e della crescita. Queste un uomo le deve evitare o superare. Anche attraverso un qualche tipo di saggezza naturale inconscia (come l’ “istinto” degli uccelli e delle api) o in altro modo, egli deve essere in grado di riconoscerle, di valutarle e di sceglierle o rifiutarle a seconda che le stimi come appropriate o inappropriate per sé.
                Le tendenze istintive (le “forze” o i “bisogni” di altre teorie) servono a rendere sensibile l’uomo per degli oggetti particolari che egli vuole conoscere, approcciare, possedere. Esse dipendono da un impulso (mangiare, bere, accoppiarsi, ecc.) suscitato da un cambiamento ormonale che viene percepito, stimato ed agito. Un tale impulso è di “base” non di più del desiderio di conoscere qualcosa, ad esempio, di seguirlo, di approcciarlo o di conoscerlo. Ma c’è una differenza tra una tendenza istintiva come l’appetito e una tendenza emozionale come la rabbia o la paura: l’appetito incita a cercare il cibo mentre la rabbia e la paura urgono a combattere o fuggire qualcosa che si è già conosciuto. L’istinto rende sensibile la percezione mentre l’emozione è la risultante della percezione e della valutazione. Postulando delle funzioni attive, non abbiamo bisogno di cercare poche forze “di base”, e neppure di far derivare tutte le motivazioni umane da tali forze. Piuttosto, scopriamo che l’essere umano è motivato da quello che conosce, che valuta come bene, che vuole e che decide di ottenere.
                Quindi i motivi possono avere una base istintiva, una emozionale o una razionale. Quando un uomo concepisce qualcosa come bene (piacevole, utile, di valore) lo vuole e passa all’azione, possiede un motivo per quest’azione. La sua stima della situazione può anche essere una semplice valutazione intuitiva oppure può basarsi su di considerazioni razionali. Nell’adulto e nell’adolescente, c’è sempre una certa deliberazione prima dell’azione, eccetto quando l’emozione è imprevista ed irresistibile. Dopo la prima infanzia, i motivi sono solitamente razionali, sebbene spesso abituali e non-riflessi. Anche la decisione di cedere all’emozione è una decisione razionale.
                Si sviluppa gradualmente una gerarchia di motivi quando il bambino inizia a comprendere cosa è più e cosa è meno importante. Il bambino di due anni può desiderare ogni cosa che vede e deve essere istruito ad evitare le cose pericolose. Ma quando il bambino inizia a comprendere quello che riguarda l’avvertimento della madre e realizza le conseguenze che seguono il tocco di un fornello acceso o di un coltello affilato, inizia ad essere prudente anche senza il suo avvertimento. Gradualmente, inizia a realizzare che non può avere o fare qualsiasi cosa semplicemente perché non ogni cosa è bene che la abbia o la faccia. Inizia a sentire il bisogno di un’autodisciplina, per negarsi una cosa così da possederne un’altra. Il giovane ragazzo può realizzare che rimpinzandosi di dolci e acquistando troppo peso si giocherà le chance di entrare a far parte della squadra di calcio. Se vuole far parte della squadra, deve rinunciare ai dolci e deve essere preparato a negarseli ancora ed ancora. Quella che di solito viene chiamata una “volontà forte” è semplicemente la prontezza ad aderire ad una delle scelte di azione per quanto sia un desiderio spiacevole ed inappagante.
                Formazione del sé ideale. Tale scelta razionale di condotta d’azione alla fine stabilisce una gerarchia dei valori: ciò che è molto stimato è quello che vogliamo così intensamente da rinunciare ad ogni altro piacere o soddisfazione pur di non perderlo. Questo oggetto così desiderato è il nostro obiettivo di vita, ciò che aneliamo nel nostro cuore e ciò che, desiderandolo, alla fine conseguiamo: il nostro sé ideale. Esso inizia a formarsi non appena il bambino può ammirare l’eccellenza e vuole modellarsi su di essa.
                Come Freud ha osservato, il bambino assume primariamente i genitori come modello perché nel conoscerli e nell’amarli scopre che sono ammirevoli, che possiedono delle qualità che al bambino mancano. Il papà o la mamma sono grandi, forti, di valore, del tutto ammirabili. Essere come papà o come la mamma è conveniente, anche se può richiedere fatica ed abnegazione. Dal momento che l’ammirazione e l’amore, come altre emozioni, sono tendenze all’azione, esse solleciteranno il bambino a fare quello che è necessario per raggiungere il suo obiettivo.
                Con l’inizio della riflessione, e incrementandosi sempre più lungo lo sviluppo, il bambino inizia a correggere la gerarchia dei valori stabilita dalle sue azioni. L’adolescente inizia a realizzare che deve prenderci la mano nel raggiungere il suo sé ideale. Immagazzina le informazioni su se stesso e sul mondo attorno a sé, decide quello che vuole fare con la sua vita, sceglie il suo lavoro e compara come è con come sa che dovrebbe essere. Il sé ideale di un uomo è l’indice della sua maturità.
                Sebbene il sé ideale sia scelto in parte in modo involontario, in parte dopo la riflessione, esso non è puramente soggettivo. Per quanto il suo ideale rifletta il meglio che è possibile raggiungere per questo individuo, date le sue doti, i suoi pregi ed i suoi limiti, le sue particolari circostanze di vita, esso è obiettivamente valido come termine del suo sviluppo. Ogni individuo può solamente aspirare (e raggiungere) la sua perfezione, la perfezione sia della sua individualità che della sua umanità. Quando il sé ideale di un uomo è errato o perverso, sta agendo in realtà contro i requisiti più profondi della sua propria natura. Quando utilizziamo inappropriatamente qualcuna delle nostre funzioni, raccogliamo insoddisfazione e malessere, come quando tentiamo di muovere i muscoli in un modo che porta dolore, o come quando tentiamo di leggere al buio. In modo simile, non saremo né felici né contenti se scegliamo un sé ideale che è inappropriato o anche uno che è inferiore a quello che la nostra natura può raggiungere. Proprio come il lavoro monotono porta tedio a chi è troppo intelligente per esso, così il puntare a qualcosa di meno al meglio che c’è in noi porterà noia, malessere, disillusione ed alla fine disperazione.
                Un uomo può scegliere un ideale di sé che sia oggettivamente valido e che rappresenti idealmente l’umanità per come è incorporata in quel particolare individuo; ma è anche libero di scegliere un ideale di sé per soddisfare la propria convenienza, per perseguire un’attrazione particolarmente emozionante. Se il suo ideale di sé è oggettivamente valido, farà esperienza di un rimorso agonizzante ogni volta che agisce contrariamente a questo ideale, e così recupererà velocemente la direzione verso il suo ideale. Se il suo ideale di sé è al di sotto delle sue potenzialità o è soggettivo e distorto, egli può fuggire il rimorso quando agisce in modo contrario ai suoi interessi ma non può scappare dal conflitto inconscio tra la tendenza all’auto-perfezione inerente alla sua natura e il sentiero personale che ha tracciato per se stesso. Essenzialmente, tale conflitto è uno scontro tra le potenzialità naturali della persona e la sua volontà, tra il suo desiderio inconsapevole di scorgere qualcosa al di fuori di sé stesso e la voglia di trovare una scorciatoia per la realizzazione e l’immediata soddisfazione.

IV

Nell’insieme, gli uomini sono attratti dalle comodità che promettono le delizie dei sensi, dall’amore della propria carne e del sangue, quelle connesse ad esse attraverso i vincoli di sangue e di affetto, e da quello che possono realizzare nel mondo che porta loro valore o fama. Il “mondo e la carne” suscitano un’attrazione che è difficile da resistere, però è fuori scala per il loro valore genuino in quanto esseri umani.
                È qui che la religione corregge i nostri valori e dirige la nostra attenzione verso un ideale che sorpassa lungamente ciò che l’uomo può creare per se stesso. La Rivelazione dice che l’uomo possiede un destino che va al di là di ogni bene che può raggiungere in questo mondo; che il desiderio di una conoscenza perfetta, di un amore infallibile e di comprensione, di una felicità senza fine, può e troverà appagamento in Dio che è tutto in tutto. Questo pone il fine della vita umana nell’unione con Dio. Un tale ideale organizzerà le azioni dell’uomo e lo porterà all’armonia. Se l’unione con Dio è un nostro scopo, i conflitti della vita umana possono risolversi perché essa non solamente promette una completa soddisfazione ma anche riduce l’attrazione per le cose buone della vita che possono distrarre la nostra attenzione. Riconoscendo il carattere simbolico della nostra gioia nella compagnia umana e il piacere della buona salute e del benessere fisico, anche dei successi artistici, scientifici e culturali, noi ora possiamo sopportare la loro precarietà senza frustrazione e soffrire la loro mancanza o perdita senza disperazione.
                Prima di poter scegliere un tale ideale di sé, dobbiamo possedere la convinzione che esso possa essere raggiunto e che sia stato raggiunto almeno da qualcuno della razza umana. Ma l’uomo più ammirevole possiede evidenti imperfezioni che diminuiscono il suo valore in quanto modello; e gli ideali più elevati non sono abbastanza attraenti in astratto per ispirare la volontà a sottomettersi all’infinita disciplina necessaria per agire consistentemente come l’ideale richiede. Per il Cristiano, che riconosce Dio come l’obiettivo ultimo e Cristo come la Via e la Vita, è facile stabilire e preservare la propria gerarchia dei valori se segue le orme di colui che è il modello di tutta la perfezione umana.
                Un uomo può perseguire la strada che Dio ha preparato per lui se deve raggiungere il suo destino ultimo, ma anche se deve trovare l’armonia interiore e la pace della mente di cui ha bisogno nella vita quotidiana. Non importa quanto buone siano le sue doti o quanto favorevoli siano le circostanze, un essere umano non può raggiungere la perfezione possibile se semplicemente segue le sue inclinazioni in modo indiscriminato. La sua tendenza emotiva naturale a possedere ogni cosa che gli piace inevitabilmente lo porta dentro un conflitto con il suo desiderio di obiettivi più utili. Se si distoglie da un valido ideale di sé e continua a piegarsi ad ogni attrazione che passa, la sua personalità rimarrà infantile, embrionica, e sarà ostinato ed auto-centrato per tutta la vita. Che gli esseri umani non necessariamente sviluppino una personalità matura è dimostrato dal bisogno crescente di psicoterapia e di altri metodi di correzione e di re-educazione. Ma l’uomo la cui vita è centrata in Dio raggiungerà non solamente la maturità ma anche la santità.
                Una tale teoria psicologica presenta un’immagine dell’uomo che prende in considerazione i suoi istinti e le tendenze emotive ma anche la sua responsabilità, la sua auto-determinazione ed il suo desiderio di felicità. Nello stabilire un valido ideale di sé, la religione diviene un fattore essenziale senza di cui un uomo sarà al di sotto delle sue potenzialità. L’obiettivo dell’uomo diventa la perfezione della sua individualità e della sua umanità che è raggiunta seguendo il meglio che conosce. Una tale immagine di uomo è aperta all’indagine scientifica proprio come ognuna delle immagini rivali che abbiamo descritto. Non dobbiamo postulare concetti esplicatori che non possono essere provati, come le forze o i bisogni, l’energia psichica, la libido, o una volontà universale per il potere, piuttosto siamo liberi di esaminare il modo in cui l’uomo percepisce, apprende e decide l’azione; siamo liberi di scoprire le sue aspirazioni, la sua gerarchia dei valori, di vedere cosa vuole fare di se stesso. Per finalità cliniche proprio come per la ricerca, un simile approccio è sia più realistico sia più promettente che un’immagine dell’uomo costruita sul modello del topo, della macchina, o della mente infantile.

Riferimenti

Adler, A., Understanding Human Nature. New York: Greenberg, 1927. Tr. It. La conoscenza dell’uomo nella psicologia individuale, Newton & Compton, Roma 1994.
Arnold, M. B., Emotion and Personality (in preparation) [testo edito in due tomi per la Columbia University Press, nel 1960 e 1961].
Freud, S., A General Introduction to Psychoanalysis. London: Boni & Liveright, 1920 [tr. It. Introduzione alla psicoanalisi, Bollati Boringhieri, Torino 2002].
Gasson, J. A., “Personality Theory: A Formulation of General Principles”, in Arnold and Gasson (eds). The Human Person. New York: Ronald Press, 1954.
Gasson, J. A., “Religion and Personality Integration”, in Arnold and Gasson (eds), The Human Person. New York: Ronald Press, 1954.
Goldstein, k., Human Nature in the Light of Psychotherapy. Cambridge: Harvard University Press, 1940.
Jung, C. G., Collected Works. New York: Pantheon Books, 1953-58 [in italiano l’opera omnia di Jung è edita da Bollati Boringhieri, Torino].
Mailloux, N., “Psychic Determinism, Freedom and Personality Development”, in Arnold and Gasson (eds.), The Human Person. New York: Ronald Press, 1954.
Maslow, A., Motivation and Personality. New York: Harpers, 1954 [tr. It. Motivazione e personalità, Armano, Roma 2010].
Rogers, C. R., Client-Centered Therapy. Boston: Houghton, Mifflin, 1951 [tr. It. La terapia centrata sul ciente, La meridian, Bari 2007].

Stern, K., The Third Revolution. New York: Harcourt Brace, 1954.

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