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venerdì 29 aprile 2016

POCO MENO DI UN ANGELO - ERMANNO PAVESI

Il libro del professor Ermanno Pavesi, psichiatra e docente universitario in Svizzera, è uno di quei testi che uno psicologo cattolico non può esimersi dal leggere e dal custodire gelosamente nella propria libreria. Poco meno di un angelo - L'uomo soltanto una particella della natura? (Edizioni D'Ettoris, Crotone 2016, 312 pp., 20,90 euro) ripercorre le vicende storico-filosofiche della medicina, ed in particolare di quella parte della medicina che s'interessa della psiche, la psicoterapia/psichiatria o cura dell'anima, sin dalle origini fino al tempo presente. Evidenziando le riletture storiche fallaci, specialmente degli autori dell'Umanesimo e della Riforma Protestante - Pavesi evidenzia una linea di pensiero della modernità che, attraverso gli autori del rinascimento prima e della modernità poi, conduce al determinismo biologista della contemporaneità. Si tratta di un determinismo che a volte è dichiaratamente materialista (si pensi all'estremizzazione dell'importanza del cervello - neuroni e neurotrasmettitori - a discapito della mente - intelletto e volontà) altre volte è spiritualista (l'inconscio, l'occultismo, ma anche l'astrologia - nel libro è sorprendente scoprire come quest'ultima non abbia mai smesso di esercitare una forte influenza sui teorici della medicina).
Ne pubblichiamo la Prefazione, scritta dal professore Mauro Ronco.

venerdì 1 aprile 2016

Incorporare la filosofia in ogni corso di psicologia, e perché sia importante - Amy Fisher Smith

Amy Fisher Smith
Capita spesso d'incontrare un interlocutore che difende a spada tratta l'autonomia della psicologia dalla filosofia. "La psicologia è una scienza indipendente!" sostiene, magari aggrappandosi a qualche fonte autorevole, come il Legrenzi che, nel suo manuale di psicologia generale, fa propria l'idea secondo cui il laboratorio di Wundt a Lipsia rappresenti lo «spartiacque tra due millenni psicologia "filosofica" e centoventi anni di psicologia scientifica» (Legrenzi P., Psicologia generale, Il Mulino, Bologna 1996, p. 18). L'obiettivo può anche essere nobile: difendersi dalle cattive filosofie che, specialmente nella modernità, hanno introdotto delle concezioni mistificatorie dell'uomo e del cosmo. Per proteggersi da esse, la psicologia dev'essere scienza pura, autonoma, indipendente da qualsiasi influenza. Sul piano clinico tale concezione si declina nella ricerca di una neutralità massima: il terapeuta non deve consigliare, né guidare, né (a ben vedere) curare. Non si parla di valori (li si rispetta, si dice), non si entra nel merito delle scelte. Quando fronteggio una simile posizione, quasi sempre oppongo alla tesi sostenuta l'antitesi. Talvolta è la via più semplice, poiché l'indipendentismo e la neutralità prestano facilmente il fianco ad osservazioni paradossali. Proteggersi da una cattiva filosofia significa negare la filosofia stessa (principio rivoluzionario)? Verso un paziente che ha per mira il suicidio, il terapeuta (direttamente o indirettamente) non lo aiuta a modificare le proprie concezioni? E verso un omicida, un pedofilo, un sociopatico, il terapeuta non va alla ricerca delle cause di tali 'sintomi'? Altro che neutralità: che lo ammetta o non lo ammetta coscientemente, il terapeuta è animato nel suo compito da un giudizio di valore verso ciò che gli porta il paziente. Certamente non deve imporlo, ma non s'illuda d'evitare di proporlo...perché non è così (ed è bene che non lo sia, altrimenti cosa ci sta a fare?).