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"Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili visto il loro spirito di materialismo puro e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici. (Rudolf Allers, 1936, lettera a P. Agostino Gemelli).

lunedì 28 novembre 2016

Tommaso d'Aquino e la Psicologia Positiva - Craig Steven Titus

Dopo aver approfondito il contributo di Paul Vitz al modello dell'Institute for the Psychological Sciences di Arlington (recentemente divenuto parte della Divine Mercy University), ci concentriamo ora sul pensiero di un altro importante autore del medesimo gruppo: Craig Steven Titus. Già professore all'Università di Friburgo, ora insegna antropologia filosofica approfondendo il tema delle virtù in riferimento allo sviluppo emotivo e morale, focalizzandosi sulla psicologia della virtù ed integrando i dati provenienti dalle tre branche del sapere che si occupano di tali tematiche: la psicologia, la filosofia e la teologia. E' autore di diversi testi molto interessanti. In Resilience and the virtue of fortitude - Aquinas in dialogue with the psychosocial sciences (Catholic University of America Press, 2006) confronta il concetto di resilienza delle psicologie contemporanee con la virtù della fortezza descritta dall'Aquinate. Nei tre testi collettivi Philosophical psychology - Psychology, emotions and freedom (The IPS Press, 2009), The psychology of character and virtue (IPS Press, 2009) e Philosophical virtues and psychological strenghts - Building the bridge (Sophia Intitute Press, 2013) cura una visione d'insieme dell'umano in cui trovano spazio le virtù, la loro formazione, l'educazione ed anche la terapia. Cura anche la pubblicazione degli insegnamenti di Servais Pinckaers, OP, intitolati The Pinckaers reader - Renewing Thomistic Moral Theology (Catholic University of America Press, 2005), in cui si riprende la lezione dell'Aquinate sulla persona, nonché altri testi più squisitamente filosofici.
Il suo apporto mi pare decisivo per due motivi. Primo perché tenta esplicitamente di collegare la tradizione filosofica e teologica tomista - ciò che si dovrebbe chiamare etica o morale - con la psicoterapia contemporanea. Questo fa sì che lo psicoterapeuta cattolico possa attingere alla tradizione bimillenaria della Chiesa senza vivere una frattura ideologica con le teorie contemporanee (essa è giustificata solo quando queste ultime si distanziano dalla prima, spesso opponendovisi radicalmente). In secundis per il suo approfondimento specifico della virtù che, nel modello dell'IPS - ed in questo senso in sintonia con Allers, Arnold, Echavarria ed altri psicologi tomisti - svolge un ruolo chiave nella risoluzione della patologia, ovvero nella psicoterapia.
La cultura contemporanea, fortemente influenzata da Cartesio, crea continuamente la contrapposizione tra ragione ed emozione, tra intelletto ed affezione. Il sentimento è inteso quasi sempre come irrazionale, e la ragione è vista come freddo calcolo. Così, se un ragazzo è timido (emozione) gli si suggerisce di riflettere (ragione), perché non "bisogna avere paura", non c'è "nulla di cui vergognarsi". Al meglio, gli si indica di "essere coraggioso", senza però riuscire a comprendere che il coraggio non è semplicemente un'emozione, che va e che viene, irrazionale, relativista, ma una virtù, che contiene una conoscenza ed una spinta affettiva, e va coltivata ed allenata. Nel testo che ci apprestiamo a leggere, Titus dirà che: "Questo suggerisce che lo sviluppo della virtù non sia completa con il raggiungimento di un livello di maturità di ragionamento". Si rende necessario, quindi, riprendere il concetto di carattere come risposta preferenziale agli eventi, così come lo definisce Allers, e di virtù quale azione abituale che mira alla prosperità. Ma anche di ideale di sé in quanto linea guida di sviluppo, così come ne parla la Arnold, e di cammino terapeutico come percorso di sviluppo delle virtù umane
L'articolo qui riportato è la traduzione di una lezione tenuta il 14 Settembre 2012. Un articolo più strutturato che ne sviluppa ulteriormente i contenuti è liberamente visibile al seguente indirizzo. Ringrazio l'autore per l'autorizzazione.


Tommaso d’Aquino e la Psicologia Positiva: un approccio Cattolico all’uso delle virtù in psicologia

Craig Steven Titus Institute for the Psychological Sciences (Arlington, VA)


Introduzione
In questa discussione[1], vorrei proporre un confronto sullo sviluppo e l’utilizzo della virtù in psicologia tra due leader nei loro rispettivi campi: primo, Martin E. P. Seligman, che ha dato il nome e, per certi aspetti, ha lanciato il movimento della psicologia positiva, e, secondo, Tommaso d’Aquino, che è considerato il leader perenne nella teoria Cristiana della virtù costruendola dalle fonti bibliche e patristiche, così come dalla filosofia classica. L’Aquinate è il terreno comune per molti Cristiani – ma in modo differente rispetto alla Bibbia (le Sacre Scritture) e la tradizione Patristica. In particolare, presenterò una visione Cattolica dell’Aquinate e delle fonti che i Cattolici Romani considerano essere parte della tradizione vivente e del Magistero che lo Spirito Santo continua ad utilizzare per guidare la Chiesa (al di là degli errori morali dei suoi membri particolari).
            Come contributo finalizzato ad una Psicologia Positiva Cristiana proveniente da questa prospettiva comune (Cattolica), vorrei operare diverse distinzioni nell’utilizzo delle virtù nella psicologia. Queste distinzioni ci aiuteranno a comprendere meglio il cosiddetto approccio della psicologia positiva (come descritto da Seligman e Christopher Peterson) e l’approccio Cattolico alla Psicologia Positiva Cristiana (ispirato alla teoria della virtù di Tommaso d’Aquino e alla sua teoria della natura e della grazia).
Invece di iniziare con un trattato sulle virtù a se stanti (in quanto funzioni delle potenze cognitive ed affettive – la causa materiale della virtù), questo approccio richiede di giudicare prima la nozione di prosperità (l’efficacia - causa formale e finale). Infatti, devo prima dedicarmi ai tipi di prosperità (felicità e beatitudine) al fine di collocare le basi morali o della grazia o normative e teologiche della teoria della virtù e rispondere ad alcuni interrogativi etici importanti per i pensatori Cattolici che utilizzano la virtù in psicologia. In particolare, mi addentrerò nella nozione di prosperità e di sviluppo morale dell’Aquinate, operando una triplice distinzione della virtù che include: (1) le disposizioni personali ad agire (aspetto disposizionale), (2) la tipologia degli atti (aspetto operativo), e (3) gli standard per l’azione (aspetto normativo) – ovvero i modelli e le norme legali, professionali, etiche e religiose necessarie per la prosperità. Queste distinzioni ci permettono di andare al di là della semplice funzione (delle capacità umane personali o della causa materiale della virtù), perché dobbiamo anche prenderci cura del contenuto della virtù (ossia, gli aspetti formali e finali necessari a comprendere una visione Cristiana sulla virtù e sul vizio).
Secondo, collocherò le nozioni di prosperità e di normatività della psicologia positiva nella loro visione complessiva della persona.
Terzo, analizzerò le differenze concernenti l’uso delle virtù in psicologia basandomi sulla nozione di “integrità” della psicologia positiva e la visione della “connessione delle virtù” dell’Aquinate.
Nella conclusione, valuterò alcuni dei punti di forza e dei limiti dell’approccio alla virtù dell’Aquinate e della psicologia positiva come input Cattolico per una Psicologia Positiva Cristiana. Per prima cosa, mi rivolgo all’Aquinate per la prosperità, l’operosità, le disposizioni e le norme.

1. L’Aquinate: i contributi normativi, disposizionali ed operativi della virtù alla prosperità

L’Aquinate fu uno straordinario pensatore medievale (1224-1274) la cui nozione di virtù e di vita Cristiana continua ad essere d’interesse, specialmente nella ripresa contemporanea della teoria della virtù, e ad offrire un contributo alla Psicologia Positiva Cristiana. Farò un’introduzione molto semplice di questo pensiero filosofico e teologico sulla prosperità e sulle virtù (Torrell, 2005; Pope, 2002).
            Desiderio sostenere che l’Aquinate non viene sempre rappresentato per la piena ricchezza del suo pensiero. Egli è conosciuto (1) in alcuni ambiti per il suo approccio alla virtù  e (2) in altri per il suo approccio normativo (alla natura ed alla legge naturale); a volte, (3) per la sua prospettiva eudeimonica o di prosperità nella teleologia del comportamento morale ed etico, ed altre volte, (4) per il suo accento religioso sulla beatitudine divina, la grazia, e l’esemplarità di Gesù Cristo nell’etica teologica Cristiana.
            Ciononostante, vorrei suggerire che solo quanto tutti questi elementi sono integrati in una più ampia visione della creazione, della caduta e della redenzione (exitus e reditus) questa nozione di prosperità e di sviluppo morale della virtù diviene chiara.
            Anche se in modo non incontrovertibile tra gli approcci all’etica Cristiana, la teoria della virtù dell’Aquinate merita attenzione a causa della sua abilità di mettere in relazione i domini di sviluppo e normativi, e per la sua capacità di favorire il dialogo tra la fede e le pratiche religiose (teologia), la ragione e le pratiche sapienziali (filosofia), e le osservazioni quantitative e le applicazioni terapeutiche (le scienze umane, ovvero, la psicologia).
            Come l’Aquinate definisce la virtù? L’Aquinate (S.Th. I-II q. 55 a. 4) utilizza una definizione di virtù che Lottin (1942-1960) ha attribuito a Sant’Agostino: “La virtù è una qualità positiva della mente, attraverso cui viviamo rettamente, di cui nessuno può far cattivo utilizzo, che Dio usa in noi, senza di noi” (Agostino, 387-395/1993, II. 19: PL 32.1268). L’ultima frase si riferisce alla virtù infusa, cioè, al tipo di virtù che è informata attraverso i doni di Dio di fede, speranza e carità. L’Aquinate (S. Th. I-II q. 55 a. 4) definisce la virtù in generale come una disposizione operativa positiva (habitus operativus), che include una solida e stabile qualità per l’azione morale. La sua definizione filosofica di base dice che: “La virtù denota una determinata perfezione di una potenza” (S. Th. I-II q. 56 a. 1).

1.1 La norma della prosperità (la beatitudine come norma per la virtù Cristiana)

Radicata nell’insegnamento del Libro della Genesi (1:27), la capacità umana di prosperità e di virtù si fonda nel nostro essere creati ad immagine di Dio. Questa capacità è evidente nell’intelligenza umana, nella libera volontà, e nell’auto-determinazione (S. Th. I-II prologo); ovvero, la relativa autonomia della natura umana, che partecipa del dono divino di essere creata ad immagine di Dio, da una parte, ed è limitata in un altro modo dagli effetti del peccato, dall’altra. L’immagine di Dio prospera nella persona umana attraverso la perseveranza e la creatività delle virtù, costruite come delle disposizioni che soddisfano la persona umana in modo parziale, completo ed ultimo. L’Aquinate tratta queste differenze prima rivolgendosi alle virtù teologali ed infuse, poi nei temi delle virtù morali (ed intellettuali). Il suo (ed il nostro) interesse è più di un interesse funzionale. Include il funzionamento delle virtù, ma anche la loro portata normativa (che per il Cristiano Cattolico è Cristologica e Trinitaria) che non si identifica semplicemente con l’esempio delle facoltà psicosociali di una persona virtuosa, ma nell’interazione tra la finalità, gli obiettivi ed i beni che soddisfano a livello personale e sociale, naturale e della grazia (S. Th. I-II, q. 1-5). Infine, la visione dell’Aquinate di una virtù completa e perfetta deve essere compresa come un’imitazione di Cristo informata dalla fede e dalla grazia, il quale è il modello divino, il mentore e l’esemplare primario di ogni vera e completa virtù.
            Al fine di comprendere questo approccio Cattolico, abbiamo bisogno di essere attenti all’argomentazione dell’Aquinate non solo su come la grazia informi la natura nella creazione (ad imaginem Dei), ma anche come la grazia curi e trasformi (divinizzi) la natura dopo la caduta, nella redenzione. Non ho bisogno di convincere gli psicoterapeuti della necessità di evidenziare “La Caduta”. Mentre il peccato non è direttamente la causa di ogni malattia mentale, l’effetto della Caduta e l’effetto del peccato personale continua ciononostante a flagellare la prosperità umana e la salute mentale (S. Th. I q. 49 a. 1). La Redenzione portata da Cristo offre nuove fonti – fonti di grazia, fonti sacramentali – per la cura ed il perdono che giungono attraverso le virtù della fede, della speranza e della carità come San Paolo ci ricorda (in Rom 5:15 e 1 Cor 13), tanto che queste virtù teologali influenzano tutte le altre virtù nella vita dello Spirito (Rom 8).
            Il referente primario, secondo la visione della virtù dell’Aquinate, è il fine ultimo della persona, la completa felicità o beatitudine che possiede Dio in quanto sua origine, mezzo e fine (Dio Incarnato in Cristo, il Dono dello Spirito Santo, e il dono della contemplazione di Dio) (S. Th. I-II q. 5; II-II q. 188 a. 6). La prosperità ultima come descritta nelle Beatitudini (S. Th. I-II q. 69) serve come norma per la virtù; la vocazione alla prosperità deve essere in accordo con la legge divina, specialmente la legge divina dell’amore (S. Th. I-II q. 106-108).
            In aggiunta a questo obiettivo finale, un altro tipo di parametro per la prosperità e lo sviluppo morale è stabilito dalla normatività dovuta all’origine umana (S. Th. I q. 75-102; I-II q. 94 a- 2; De veritate, V. 5). Alla luce della sociobiologia evoluzionistica, questa posizione è tutt’altro che incontrovertibile. Il dibattito sulla natura comune, il valore etico e la normalità psicologica è complesso e lungo. Anche nel mezzo di una moltitudine di contingenze e di disordini (a livello personale, interpersonale/sociale e ambientale), una visione Tomista Cattolica conserva, ciononostante, una posizione non relativista. Dei numerosi contributi dell’Aquinate su questo perenne dibattito, uno è particolarmente d’aiuto: la distinzione tra natura di base e seconda natura; ovvero, tra il sottosuolo comune degli esseri umani-come-noi (la natura di base) e i diversi percorsi di sviluppo che gli esseri umani possono percorrere (la seconda natura).

1.2 Aspetti dell’azione delle virtù: la base per gli atti liberi e responsabili

Una focalizzazione sulla virtù psicologica dell’operatività, secondariamente, deve interessarsi dell’importanza degli atti, delle loro conseguenze, e della natura della libertà.
            Nell’approccio metafisico e cristiano alla virtù dell’Aquinate, l’esperienza della libera volontà (e del libero esercizio degli atti virtuosi) non può essere spiegata solamente dal corpo (cause materiali, ovvero solamente dal genoma e dal sistema neurale della persona). Spiegare le esperienze di libera volontà richiede allo stesso tempo più di una descrizione fenomenologica. Richiede delle cause formali e finali (o condizioni; Spitzer, 2010) che da sole siano sufficienti a complementare le cause materiali che si trovano nel corpo (cervello, geni, ambiente) e nei processi non-consci. Da una parte, la libera volontà richiede che la persona umana possieda una capacità di auto-dirigersi (causa formale o condizione). La prospettiva Cristiana, inoltre, riconosce il lavoro dello Spirito Santo attraverso la grazia divina (in atti particolari, come il coraggio, la speranza, la fede…). Inoltre include il come l’azione sia formata (condizionata) dalla conoscenza e dall’amore di Dio e del prossimo (esplicitamente per ogni Cristiano) che la persona guadagna apprendendo e rispettando i Dieci Comandamenti, insegnando i Vangeli (specialmente il Discorso della Montagna [Matteo 5-7] e le Beatitudini) ed altre esortazioni morali e spirituali (specialmente quelle di San Paolo (paraclesis) che si trovano in: Romani 12-15, 1 Corinti 12 e 13, Colossesi 3 e 4, Efesini 4 e 5, Galati 5; Pinckaers, 2006; Sherwin, 2005). L’Aquinate richiama San Paolo per ricordarci che la conoscenza di base e l’amore di Dio è comprensibile attraverso la legge scritta nel cuore di ogni persona (Rom 1-2: 14).
            D’altra parte, questa conoscenza e questo amore includono anche la tendenza verso la prosperità quotidiana e la prosperità ultima (causa finale). Per il Cristiano, l’approccio alla virtù includerà l’essere recettivo ed attivo nell’annunciare il Regno di Dio, l’imitazione di Cristo, il movimento dello Spirito Santo, …
            Con entrambi questi elementi (causalità formale e finale), la persona possiede la capacità non-invasiva di essere influenzata dalla grazia divina (come compresa da una visione del mondo Cristiana Cattolica) senza compromettere la libera volontà umana (Schmitz, 2009).
            Poi, questa discussione degli atti morali umani, in quanto aspetto base della prosperità umana, richiede un’ulteriore considerazione del carattere morale, cioè, della disposizione dell’agente ad agire virtuosamente, ancora una volta ispirato dalla norma che mira alla prosperità.

1.3 Aspetto disposizionale delle virtù: il carattere nella prosperità

La direzione generale di ogni atto virtuoso e vizioso di ogni cliente e terapeuta ha fonti passate di condizionamento, influenze presenti, ed obiettivi futuri. Essi includono diverse combinazioni di materia, ragione, e disposizione (corpo, intenzione e carattere). Ovvero, essi non implicano solo “quello che facciamo” (materia dell’atto) e “perché lo facciamo” (l’intenzione e la motivazione dell’atto), ma anche “chi diventiamo attraverso i nostri atti” (il carattere definito dalle azioni). Gli atti virtuosi e viziosi costituiscono il nostro carattere morale e la nostra disposizione ad agire. Come Giovanni Paolo II dice nella Veritatis Splendor n° 71, mentre cita l’Aquinate (S. Th. I-II q. 1 a. 3), “Gli atti umani sono atti morali perché esprimono e decidono della bontà o malizia dell’uomo stesso che compie quegli atti”. Essi delineano i “tratti spirituali più profondi”, le caratteristiche di bene e di male che sono inscritti nella persona che li compie. Questo è il perché l’aspetto disposizionale della virtù e del vizio è di massimo interesse per l’utilizzo Cattolico della virtù in psicologia.
            Per l’Aquinate (S. Th. I-II, q. 51 a. 3; q. 63 a. 1; Commento al Corpus Paulinus, 2 Tessalonicesi 2:13), l’aspetto disposizionale della virtù (o del vizio) è legato allo sviluppo morale e alla santificazione (o deificazione, o theosis come direbbero l’ortodosso e il metodista). Questi cambiamenti disposizionali sono possibili solo perché, condotti dalla grazia divina, possiamo influenzare ed anche costruire un carattere virtuoso, sebbene non senza sforzo ed assistenza né con l’estrazione del genoma, dei neuroni e dell’ambiente.
            In quanto habitus operativo o disposizione, una virtù è lo sviluppo positivo di una potenza umana naturale – le varie cause materiali dell’unità tra corpo ed anima spirituale: intelletto, volontà ed emozioni/passioni secondo l’ordinamento di base della sua natura (S. Th. I-II q. 94 a. 2), anche se la fomes peccati [l’inclinazione al peccato, n.d.t.] costituisce un’autonomia disordinata all’interno di queste inclinazioni. Ciononostante, le disposizioni verso la virtù o il vizio possono essere dirette (con più o meno successo) dalla ragione umana e dalla legge divina o grazia (cause formali). Inoltre, le disposizioni virtuose trovano un supporto sicuro nella grazia dello Spirito Santo (cause efficienti), attraverso cui l’agente umano muove se stesso mentre è mosso (S. Th. II-II q. 52 a. 2 e 3).
            San Tommaso definisce una disposizione operativa (habitus) come una qualità acquisita che possiamo cambiare solo con un grande sforzo (S. Th. I-II q. 55 a. 1); una simile disposizione ad agire (per la giustizia e la dignità di base di ogni persona, ad esempio) diventa una seconda natura (connaturalis) internalizzando il bene nelle nostre capacità di conoscere e di amare (ragione, volontà, emozione) (S. Th. I-II q. 49-54). Le disposizioni implicano una qualche stabilità, continuità e flessibilità nelle potenze razionali, volitive o emotive. Comunque, esse non sono né inaccessibili ad ulteriori cambiamenti (verso il meglio o verso il peggio), né deterministiche e meccaniche. Al fine di essere considerate virtuose, esse devono essere fedeli e creative all’interno della legge morale e divina.
            Il vizio anch’esso opera a livello delle disposizioni dell’emozione, della volontà e della ragione. Ma, al contrario della virtù, il vizio internalizza il bene semplicemente apparente o il male evidente che in realtà opera contro la natura umana e la prosperità. Per esempio, l’aspetto disposizionale del male si trova nelle dipendenze da sostanze e negli attaccamenti disordinati (pornografia, adulterio, masturbazione). Sia gli atti che le disposizioni delle virtù e dei vizi possiedono caratteristiche normative; mentre le virtù sono in accordo con la ragione e dipendono dalla grazia per una coerenza con Cristo, i vizi riguardano una privazione della ragione che potrebbe essere la causa di un atto o di una disposizione.

2. La psicologia positiva

L’approccio della psicologia positiva è di particolare interesse perché ha focalizzato la ricerca bio-psico-sociale contemporanea su ulteriori dimensioni dello sviluppo morale rispetto a quelle che si trovano nelle teorie della fase esclusivista (Titus, in pubblicazione). La psicologia positiva ha introdotto nella psicologia morale un concetto più ampio di virtù di quello di Jean Piaget (1932) o di Lawrence Kohlberg (1981, 1984). In particolare essa impiega una vasta gamma di virtù, di forze del carattere, e di temi situazionali al fine di descrivere la prosperità psicologica, lo sviluppo morale e il benessere sociale. Questo approccio è meta-teoretico. Raggiunge diverse aree di ricerca di differenti terminologie che possiedono un interesse condiviso per l’esperienza e i tratti positivi. Il risultato è spesso meno coerente, da un punto di vista concettuale, di quello che si trova nelle fonti religiose e filosofiche che si fondano sulle osservazioni basate sull’evidenza delle esperienze di vita (APA Presidential Task Force on Evidenced-Based Practice, 2006; Gubbins, 2008), e sulla rivelazione Biblica e sul Magistero.

2.1 Martin Seligman sulla prosperità e lo sviluppo morale

Qui vorrei presentare brevemente la teoria della virtù e la ricerca empirica sulla prosperità e sullo sviluppo morale di Martin Seligman. Dopo aver dato avvio alla sua carriera con l’argomento dell’impotenza, nel 1975, e della psicologia dell’anormalità, nel 1982, negli anni '90 Seligman ha virato verso lo studio dell’ottimismo e della speranza. Nel 1998, come Presidente dell’American Psychological Association (APA), ha annunciato che il momento era giunto per una trasformazione radicale nel dominio della psicologia (Fowler, Seligman & Koocher, 1999). Da allora, ha continuato a studiare empiricamente la prosperità e la felicità ed a stabilire una tassonomia del buon carattere (2002); ha inspirato un vasto progetto di ricerca sulle virtù (2004 – Values in Action Institute), che include contributi dalle implicazioni cliniche (Peterson & Seligman, 2002; si veda anche Joseph & Linley, 2006; Linley & Joseph, 2004; Snyder & Lopez, 2002, 2007). Questo movimento della psicologia positiva cerca di appropriarsi del fondamento concettuale più maturo delle diverse tradizioni filosofiche e religiose sulle virtù, sui tratti del carattere e sulla natura umana. Come complemento al DSM-IV-TR (Manuale Diagnostico e Statistico nella sua quarta versione riveduta, 2000) dell’American Psychiatric Association, la psicologia positiva ha proposto se stessa come Manuale della Salute (2004).
            Anche se la scuola della psicologia positiva è stata identificata come tale solo nel 1998 (quattordici anni fa), essa si è impadronita di una teoria e di una ricerca: dalla psicologia dello sviluppo (John Piaget, dagli anni ’30), dalle teorie umanistiche (Maslow, 1956; Rogers, 1959), dalla ricerca sulla resilienza [dagli anni ’60, Emmy Werner e Ruth Smith (1986); e dagli anni ’70, Norman Garmezy, Ann Masten, Lois Murphy, Michael Rutter], e dagli studi sull’eccellenza, la felicità (ed il benessere soggettivo), la speranza, e la creatività, ed altri tratti del carattere e virtù che non cessano di affascinare i ricercatori (Snyder, 1994; Peterson & Seligman, 2004) – tutto nella linea di confutazione della negatività di alcuni modelli medici e psicologici (incluso quello di Sigmund Freud).
            Come prospettiva bio-psico-sociale, la psicologia positiva pone la sua attenzione al di là della patologia per comprendere lo sviluppo umano. Invece di cercare di rilevare semplicemente i sintomi o di rendere le persone meno infelici, essa tenta di trovare i segni della salute, di promuovere la prosperità personale, tanto quanto di prevenire le patologie e di curare le malattie. Essa è l’unica – nella psicologia moderna – ad impiegare le virtù e le forze del carattere come una base concettuale generativa per organizzare un progetto di ricerca empirico e globale.
            Peterson, Seligman, e l’approccio della psicologia positiva hanno immesso il concetto di virtù al servizio della psicologia teoretica ed empirica [ed anche delle applicazioni cliniche]. In particolare, la psicologia positiva si focalizza sulle forze del carattere e sulle virtù che aiutano la cura umana, la crescita e la prosperità, utilizzando le scienze neurologiche, cognitive ed evoluzionistiche [ed anche gli studi comparativi pre-empirici]. Essa offre specialmente delle osservazioni pertinenti sul funzionamento e la crescita di uno spettro di virtù e, secondo Martin Seligman, serve  in quanto “scienza sociale equivalente all’etica delle virtù, utilizzando il metodo scientifico per dare forma alle affermazioni filosofiche sui tratti che appartengono ad una buona persona” (Peterson & Seligman, 2004, p. 89).

2.2 Le virtù nella psicologia positiva

In aggiunta ad una definizione consensuale, la disamina delle virtù della psicologia positiva attribuisce ad ogni virtù: (1) una presentazione comparativa delle tradizioni teoriche (psicologiche, filosofiche e religiose); (2) le scoperte degli studi empirici (valutazione e misurazioni delle virtù); (3) una discussione sullo sviluppo della virtù con i suoi fattori abilitanti ed inibenti; (4) un’analisi degli aspetti culturali e di genere, ed infine (5) dei dettagli sugli interventi mirati e di ricerca che dovranno essere fatti in futuro.
            Peterson e Seligman situano i vari aspetti delle virtù e del buon carattere a tre livelli di astrazione: primo, la virtù; secondo, le forze del carattere; e terzo, i temi situazionali (o pratiche). Questi tre livelli iniziano con il più generale ed universale e si muovono verso il più specifico e diversificato culturalmente.
            Primo, le virtù sono le caratteristiche centrali che sono state valutate per millenni dai filosofi morali e dai pensatori religiosi. Essi identificano sei virtù principali: saggezza, coraggio, (amore e) umanità, giustizia, temperanza, (spiritualità e) trascendenza. Essi sostengono che gli individui vengono ritenuti dei buoni caratteri perché possiedono almeno un livello base di queste virtù.
            Secondo, ad un livello più particolare, le forze del carattere sono i processi psicologici o i meccanismi che costituiscono le virtù. “Essi sono i percorsi più evidenti che manifestano una virtù dall’altra” (Peterson & Seligman, 2004, p. 14). Al momento, Peterson e Seligman hanno identificato un totale di 24 forze del carattere. Queste forze del carattere sono importanti per due ragioni. Primo, esse sono la base per determinare la virtù: “Le forze del carattere sono gli ingredienti psicologici – processi e meccanismi – che definiscono le virtù” (Peterson & Seligman, 2004, p. 13). Secondo, la manifestazione di una o due di queste forze all’interno di un gruppo di virtù riferisce di una persona che possiede un buon carattere.
            Terzo, i temi situazionali sono gli “abiti specifici” e le loro pratiche associate che portano le persone a sviluppare ed esibire determinate forze del carattere in situazioni specifiche. Per esempio, l’empatia, l’inclusività e la positività al lavoro sono temi legati alla prosperità in una situazione particolare; ad un livello più astratto, questi temi situazionali particolari costituiscono la forza del carattere della gentilezza, che cade nell’ampia classe della virtù dell’umanità (ed amore). Questi temi permettono e necessitano dello studio dei luoghi come il lavoro, la famiglia, la scuola, e così via. Questi temi e le loro pratiche sono situazioni-specifiche; quindi, descriveranno consistentemente la condotta solo in un dato setting ed in una data cultura.
            Questa distinzione tra virtù, forza del carattere e tema situazionale aiuta la psicologia positiva a spiegare la diversità (all’interno dell’interconnesione) della bontà e della prosperità a livelli differenti e tra costrutti socioculturali. La psicologia positiva tratta “la relazione dei tratti con l’azione e la fusione di tratti diversi [che costituiscono] gli interessi della moderna psicologia della personalità” (Peterson & Seligman, 2004, p. 88). Peterson e Seligman sostengono che “una variazione esista a livello dei temi, meno a livello delle forze del carattere, e nessuna a livello delle virtù” (Peterson & Seligman, 2004, p. 14). Al fine di comprendere la specificità di questo “ricco contenuto psicologico e […] potenza esplicativa” (Peterson & Seligman, 2004, p. 13), ed il suo utilizzo potenziale in un approccio alla psicologia Cristiano Cattolica e le sue relazioni con le concezioni filosofiche e normative della virtù, in generale, e delle virtù, in particolare, dobbiamo comunque chiederci: la psicologia positiva impiega un’antropologia normativa ed una nozione di prosperità come base pre-empirica per il suo utilizzo delle virtù?

2.3 Basi normative per la psicologia positiva

Nella sua analisi delle esperienze soggettive di tipo positivo (includendo la prosperità) e dei tratti individuali, e in aggiunta alle istituzioni positive che favoriscono le esperienze positive ed i tratti, la psicologia positiva ricerca i riferimenti morali ed i criteri per il buon carattere in due modi: (1) attraverso la natura della virtù ed i suoi criteri e (2) attraverso la nozione di natura umana positiva.
            Per prima cosa, Peterson e Seligman (2004) situano la classificazione della psicologia positiva
in una lunga tradizione filosofica impegnata con la moralità spiegata nei termini delle virtù. I primi filosofi Greci si chiedevano, “qual’è il bene di una persona?”. Questo inquadramento della moralità li condusse ad esaminare il carattere, in particolare le virtù. Socrate, Platone, Aristotele, Agostino, l’Aquinate, ed altri hanno numerato tali virtù, guardandole come i tratti del carattere che rendono la persona una buona persona (p. 9-10).
Mentre adottano questa antropologia morale di tipo pre-empirico, però, Peterson e Seligman separano la motivazione interiore delle virtù dalle leggi morali, che considerano come semplici imperativi esterni. Essi criticano la teoria della legge morale, che trovano nelle teorie dell’egoismo etico, dell’utilitarismo, del contratto sociale e del comando divino. La loro iniziativa psicologica, come essi dicono, “necessita di minimizzare le prescrizioni per la vita buona (le leggi morali) e invece di enfatizzare il perché ed il come del buon carattere”, che si trovano nelle virtù e nelle forze del carattere (Peterson & Seligman, 2004, p. 10). Essi così separano il normativo dal descrittivo.
            Cercando di giustificare ed enfatizzare la competenza specifica della psicologia nel dominio della virtù, essi utilizzano il lavoro di Lee Yearley (un Tomista dalla formazione originale) per identificare tre ambiti dell’etica filosofica che costituiscono un buon carattere. Questi tre ambiti sono:
  1. Ingiunzioni, comandi e proibizioni, per esempio, il “non avrai” o il “non dovrai” dei Dieci Comandamenti.
  2. Le predisposizioni virtuose ad agire in modi che portano ad un’eccellenza umana evidente o ad occasioni di prosperità (solitamente organizzate gerarchicamente); e
  3. I modi di vita [o pratiche] protette dalle ingiunzioni e identificate dalle virtù (Yarley, 1990, citato in Peterson & Seligman, 2004, p. 85).
Peterson e Seligman notano che il secondo ed il terzo ambito (le virtù come predisposizioni e i modi di vita o pratiche collegate), molto più vaghi del primo (i comandamenti morali pre-empirici), sono di competenza del progetto di classificazione della psicologia positiva. Sebbene la gerarchia delle virtù sia ambigua, le virtù continuamente attestano (1) il bisogno di razionalità e di scelta; (2) il bisogno di riflettere sulle disposizioni personali e l’espressione delle aree maggiori della virtù; e (3) l’influenza degli impegni di vita e della cultura sullo sviluppo e sull’espressione delle virtù. Ogni virtù, nel linguaggio psicologico, è “una proprietà dell’intera persona e la vita che la persona conduce”, nelle parole di Peterson e Seligman (2004, p. 87). La forza di questa psicologia morale della teoria della virtù è la sua capacità di descrivere la motivazione morale e la risoluzione dei conflitti psicologici in termini di virtù relative; per esempio, a riguardo dei conflitti di parzialità, Seligman, non senza controversie (Pope 1994; Benedetto XVI, 2005), sostiene che la risoluzione proviene dal riconoscere che “dovremmo amare i nostri amici e i membri familiari (parzialità) ed essere benevolenti con le persone in generale (imparzialità)” (Peterson & Seligman, 2004, p. 88).
            Questo quadro concettuale generale è inoltre concretizzato da dieci criteri utilizzati per identificare le virtù ed i tratti del carattere che devono: (1) portare a prosperare grazie ad una buona vita; (2) corrispondere ai valori morali; (3) non sminuire gli altri; (4) avere un opposto infelice; (5) essere un tratto di carattere o un tratto simile; (6) essere identificabile concettualmente; (7) apprezzare il supporto consensuale; (8) essere identificabile nei prodigi e (9) nelle assenze selettive; e (10) essere supportato da pratiche culturali, istituzionali e sociali (Peterson & Seligman, 2004, p. 17-28). Questi criteri (specialmente dall’uno al quattro) possiedono una dimensione morale esplicita.
            Sebbene i tratti del carattere e le virtù siano plurali, Peterson e Seligman fanno riferimento alla stabilità della natura umana e alla possibilità di verificare empiricamente i tratti di personalità basati sulla virtù e le virtù. La classificazione della psicologia positiva così resiste al riduzionismo positivista dei primi anni del ventesimo secolo (Peterson & Seligman, 2004, p. 59). Al di fuori dello stesso progetto dell’Istituto dei Valori in Azione (su cui si fonda il volume di Peterson e Seligman del 2004), Linley e Joseph (2004) sono ancora più chiari riguardo a come le assunzioni implicite sulla natura umana dirigano la pratica della psicologia positiva; poiché essi riconoscono esplicitamente l’influenza restrittiva dell’individualismo liberale Occidentale sulla costruzione della psicologia positiva delle forze del carattere, della natura umana e della società (Peterson & Seligman, 2004, p. 719).
            Nella loro affermazione più audace, Peterson e Seligman, da parte loro, richiamano la nozione di una “natura umana positiva” al fine di giudicare i conflitti morali e i desideri maligni (Peterson & Seligman, 2004, p. 270). Benché esistano molte strade per la prosperità, il male non è una di esse. Loro dicono che coloro che fanno il male “devono prosperare in modo improbabile perché i loro motivi e le loro disposizioni di personalità sono incongruenti con la natura umana positiva e i bisogni psicologici universali” (Peterson & Seligman, 2004, p. 269-270). Quest’argomentazione probabilistica fa riferimento alla natura umana positiva e fa un appello generale alle virtù basate sul valore. Seligman ammette che questa concezione di teoria della virtù non soddisfa il filosofo, il quale argomenta in supporto ai principi morali, anche spiegando cosa dovrebbe essere fatto, e debba giudicare tra norme conflittuali. Peterson e Seligman, in particolare, situano il loro “contenuto psicologico più ricco e il potere esplicativo più grande” non al livello normativo della filosofia e della teologia, ma come una descrizione delle forze del carattere, che essi cercano di espandere attraverso nozioni più ampie di virtù e studi di parvenze di virtù (Peterson & Seligman, 2004, p. 88).

3. L’Aquinate e la Psicologia Positiva sull’uso delle Virtù nella psicologia (prosperità)

Il nostro interesse principale in questo scritto si focalizza su come l’approccio dell’Aquinate, un approccio alle virtù fondato filosoficamente e teologicamente (un’antropologia ed un’etica religiosa della virtù), sostenga una Psicologia Positiva Cristiana. Lo fa perché è radicata nella Scrittura e nel Magistero, nella preghiera e nel sacramento. Questo è un esempio in cui una tradizione particolare offre una nozione morale di carattere e di prosperità della comunità più ricca rispetto alla nozione moralmente più piccola (ma funzionalmente ricca) che si trova nella versione di Peterson e Seligman della psicologia positiva (Gubbins, 2008).
            Al fine di dimostrare come la psicologia positiva di Seligman si confronti col pensiero dell’Aquinate sull’utilizzo della virtù e sulla prosperità e sullo sviluppo morale, mi focalizzerò prima sulla nozione di integrità degli psicologi positivi.

3.1 Peterson e Seligman sull’integrità

Peterson e Seligman (2004) intendono la virtù del coraggio avente quattro forze del carattere, che “implicano l’esercizio della volontà per adempiere le finalità a fronte di un’opposizione” (p. 199). L’integrità è una delle forze del carattere del coraggio, ed essa è d’interesse specifico per comprendere il tessuto morale e la visione della prosperità racchiusa nell’approccio della psicologia positiva. Peterson e Seligman (2004) definiscono l’integrità come:
un tratto del carattere in cui le persone sono vere con se stesse, presentando accuratamente – privatamente e pubblicamente – i propri stati interiori, le intenzioni e gli impegni. Tali persone accettano e si prendono la responsabilità per le proprie emozioni e comportamenti, riconoscendole per come sono e raccogliendo i benefici sostanziali nel farlo” (p. 249-250).
In una definizione riassuntiva di integrità, essi dicono che essa include “l’integrità morale e l’unità di sé” (p. 250).
            In entrambe queste definizioni d’integrità, Peterson e Seligman sostengono l’ideale “dell’essere veri con se stessi”, che – in varie scuole di pensiero – è a volte influenzato dagli errori dell’individualismo, sia come stadio transitorio nello sviluppo morale sia come fenomeno di relativismo culturale. Comunque, come Charles Taylor ha sostenuto nel suo The Ethics of Authenticity (1991), l’ideale morale di essere veri con se stessi non necessita d’essere identificato con forme degradate di relativismo o con un individualismo dell’auto-soddisfazione. Mentre l’integrità può possedere dei fini specificatamente psicologici (il calmare le emozioni distruttive o un senso di unità di sé) e dei fini morali (la perseveranza nell’intendere e nel fare il bene), la nostra domanda è: la nozione di integrità di Peterson e Seligman evita la trappola dell’individualismo – la prosperità selfista – e l’eclissi relativista dei fini morali? Ovvero, essa svela un’antropologia che possa essere considerata congruente con quella tomista e che possa essere integrata con essa? (La loro visione della persona e della società è adeguata ad una Psicologia Positiva Cristiana?).
            Primo, per quanto possiamo vedere nella loro definizione di integrità, Peterson e Seligman tentano di connettere i domini emotivi e morali. Essi collegano l’etico alle intenzioni, agli impegni, alla responsabilità, alle emozioni ed al comportamento. Altrove, essi sostengono che le emozioni di integrità psicologica potrebbero correlarsi con le misure comportamentali basate sull’osservazione dell’onestà e dell’autenticità (Peterson & Seligman, 2004, p. 270).
            Secondo, Peterson e Seligman impiegano la nozione del sé per valutare moralmente il contenuto dell’integrità psicologica. Ma riconoscendo il ruolo degli obiettivi, dei talenti e dei valori nello sviluppo dell’identità e dell’integrità, essi effettivamente contrastano le teorie che interpretano il sé come una semplice finzione o una serie di immagini o di sentimenti in evoluzione (Peterson & Seligman, 2004, p. 250-265). Secondo loro, apparentemente ognuno lotta per una maggiore integrità. Ciononostante, la questione del male pone dei problemi per questa concezione e per la prosperità umana in generale. Tentando di contrastare una posizione libera dal valore, Peterson e Seligman (2004) dicono che:
Dalla nostra prospettiva, le persone malvagie possono essere autentiche; ovvero, il loro senso di sé può essere vero per motivazioni antisociali e disposizioni di personalità. Però, queste persone possono difficilmente prosperare perché le motivazioni e le disposizioni di personalità sono incongruenti con la natura umana e i bisogni psicologici universali. Così, lo sviluppo di un senso che rappresenti accuratamente la personalità di una persona potrebbe costituire un primo passo importante nel cambiamento della personalità – le persone malvagie che realizzano chi sono diventate possono quindi essere motivate a diventare qualcosa di diverso (p. 269-270).
Peterson e Seligman si muovono così dal giudizio sulla coerenza psicologica della funzione ad un’affermazione normativa del contenuto della prosperità. Al fine di affrontare il problema del male e del referente – verso chi uno dovrebbe essere vero – essi distinguono tre livelli: primo, il (senso di sé e sue rappresentazioni); secondo, le disposizioni di personalità e gli impegni; e terzo, la natura umana positiva e i bisogni psicologici universali. I primi due (il sé ed i suoi impegni storici e le disposizioni incarnate) si basano normativamente sul terzo, “la natura umana positiva”, che è la fonte delle norme e dei valori fondamentali per Peterson e Seligman (2004) (sebbene, come menzionato prima, la loro concezione di psicologia positiva tragga queste nozioni da fonti pre-empiriche) (p. 270).
            Inoltre, essi compiono una meta-analisi degli studi che misurano l’integrità morale, l’onestà e l’autenticità e dei fattori che li promuovono o li inibiscono (Peterson & Seligman, 2004, p. 255-270). Le seguenti intuizioni provenienti da questi studi sono d’interesse per la teoria della virtù in generale e per la prospettiva della virtù dell’Aquinate in particolare. Primo, gli studi sullo sviluppo da quando Piaget (1932) ha identificato i diversi stili di ragionamento morale che indicano che le tendenze verso l’aumento dell’onestà e dell’integrità, mentre si incrementano durante l’infanzia, non necessariamente continuano nell’adolescenza (Gallup News Service, 2000, citato da Peterson & Seligman). Questo suggerisce che lo sviluppo della virtù non sia completa con il raggiungimento di un livello di maturità di ragionamento. Anche se la teoria dello sviluppo cognitivo indica che le astrazioni di ordine superiore (il pensiero operativo formale) sono un fattore cruciale per l’integrità, alti livelli di intelligenza razionale e di educazione universitaria non correlano con più alte prestazioni d’integrità (Harter, 1999; Harter e Monsour, 1992, citati da Peterson & Seligman). Questo indica che l’integrità è determinata più da altri fattori, ovvero dai valori e dall’esperienza di vita, che dall’abilità cognitiva (Peterson & Seligman, 2004, p. 265).
            A questo riguardo, gli studi (come la Moral Integrity Survey: Olson 1998 citato da Peterson & Seligman, 2004, p. 262) suggeriscono che una persona necessita non solo di riflessione circa l’integrità morale ma anche di percepire attrazione per essa ed un comportamento coerente. Questo studio ed altri sull’integrità come compimento dello stato dell’identità (Peterson & Seligman, 2004, p. 264-265, citazione di Waterman, 1999) suggeriscono che un’interconnessione di cognizione morale, affezione e comportamento passi attraverso degli stadi, sebbene nessuna teoria dello stadio sembri predominante al momento.
            Gli studi sullo sviluppo hanno inoltre indicato il significato che i modelli di ruolo e le culture giocano nel portare verso l’onestà o la disonestà e verso delle nozioni di autenticità più o meno individualiste o sociali (Peterzon & Seligman, 2004, p. 265-267). Inoltre, la psicologia positiva (attingendo alle scienze empiriche e biologiche) ha iniziato a correlare le condizioni neurobiologiche ed ambientali “che entrambe promuovono e impediscono l’autentica esperienza di sé e lo sviluppo di sé” con la soggiacente integrazione neurale (Peterson & Selgiman, 2004, p. 260).
            In sintesi, la nozione di integrità della psicologia positiva promuove l’unità delle affezioni, delle intenzioni e degli impegni che sono congruenti con “la natura umana positiva e i bisogni psicologici universali” (Peterson & Seligman, 2004, p. 269). Nell’integrità, intesa come la nozione della psicologia positiva di saggezza pratica (in quanto base per le intenzioni, gli impegni e la possibilità di tutte le virtù) noi vediamo una ricca descrizione della funzione psicologica del buon carattere e della virtù.

3.2 L’Aquinate sulla connessione delle virtù

Anche l’antropologia filosofica dell’Aquinate riconosce il bisogno sia dell’unità personale (unitas personae) sia un’interconnessione delle forze del carattere e delle loro virtù principali (o cardinali) (S. Th. III q. 19 a 2 e 4). Senza un approfondimento degli stati psicologici e delle loro vie di sviluppo verso la prosperità, l’Aquinate costruisce la connessione delle virtù in modo normativo poiché ogni virtù aiuta a garantire l’eccellenza delle altre. Ai livelli filosofico e teologico, l’Aquinate, assieme ad Aristotele e Sant’Agostino prima di lui, ha sostenuto che la connessione delle virtù fosse il cuore di una vita di eccellenza, una vita buona e prosperosa finalizzata alla contemplazione amorosa del divino (S. Th. I-II q. 65 a. 1-5).
            La ‘psicologia positiva Cristiana’ (PPC) dell’Aquinate pone le virtù teologali in un posto d’onore. Fede, speranza e carità, seguendo San Paolo (1Cor 13) costituiscono l’intreccio centrale della vita Cristiana; “e la più grande di queste è l’amore”. Queste virtù teologali informano la vita intera del Cristiano, e per l’Aquinate, informano in modo particolare le altre capacità che sono le sedi della virtù: le capacità cognitive, volitive ed affettive che soggiacciono alle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, con le loro virtù associate.
            La teoria classica della virtù costruisce il ruolo della saggezza pratica o della ragione assicurando la scelta cosciente e la connessione con le aree principali della vita umana, poiché la ragione pratica è necessaria in ogni azione conscia e libera. Ma questa non è una visione razionalista. Ogni aspetto del carattere virtuoso non solo partecipa alla ragione pratica ma anche è richiesto dalla ragione pratica. Abbiamo bisogno delle forze virtuose della ragione, della volontà e delle emozioni – ovvero, ogni aspetto della virtù è necessario per una consapevolezza completa di ciò che è vero, buono e giusto al fine di scegliere ciò che promuove il benessere personale ed il bene sociale. A loro volta, le virtù principali forniscono le condizioni necessarie per la funzione propria della ragione pratica. Così, la funzione psicologica (prontezza, agilità e gioia; o al meno l’essere liberi dallo stress o dalla compulsione) prende il proprio appoggio morale dalle disposizioni virtuose, in quanto strumenti adeguati per i giusti fini, includendo quelle personalizzate e così le interazioni con gli altri e con il fine ultimo, divino. Questo punto d’interconnessione delle virtù principali e di quelle collegate è intellettualmente convincente ed umanamente praticabile solo se le virtù incarna sia la funzione psicologica matura sia il contenuto normativo (più che “una soglia” tra le virtù che costituiscono “un buon carattere”); per il Cristiano, questo contenuto normativo è il Verbo di Dio incarnato, Gesù Cristo.
            La teoria dello sviluppo delle virtù dell’Aquinate identifica non solo un comportamento, un fine, o un principio normativo ma anche stati generali intermedi che si avvicinano praticamente ad una piena connessione delle disposizioni virtuose. Non è tutto o nulla; la virtù o il vizio (felicità o tristezza, come potrebbe essere). Il fine stabilisce un insieme di virtù che si dispongono appropriatamente per partecipare al bene della ragione pratica (S. Th. I-II q. 58 a. 1, 2; II-II q. 47-56). La linea di sviluppo (e correttiva-terapeutica) implica il connettere una forza-virtù (per esempio, dominando la paura attraverso il coraggio) con le altre virtù. Però, tali virtù sono connesse in modo imperfetto quando altre capacità sono disposte per l’esecuzione di obiettivi trasversali (ad es. quando uno domina la paura al fine di compiere il male, come quando uno controlla la propria ansia nel momento in cui è colto nell’atto dell’adulterio). Tali virtù connesse in modo imperfetto che non possiedono ancora il pieno supporto degli altri domini della virtù combattono una contro l’altra. Così, la virtù parziale della continenza riguarda la certezza della volontà nel compiere una buona azione (S. Th. II-II q. 143) ma anche un’inconsistenza o un conflitto a livello delle emozioni e dell’immaginazione. Ovvero, essa esprime desideri disordinati (gola, adulterio, invidia, o desideri fratricidi) che minano la percezione, l’affezione ed il giudizio, pur non soggiogando la volontà né falsificando il giudizio.
            L’insegnamento dell’Aquinate sulla connessione delle virtù rende manifesta una dimensione normativa in tre modi (S. Th. I-II q. 65 a. 1). Primo, le virtù acquisite sono connesse direttamente alla virtù della ragione pratica, che discerne, sceglie ed esegue il mezzo razionale verso un fine buono (S. Th. I-II q. 64 a. 2). Secondo, ogni virtù specifica connette le altre virtù indirettamente attraverso la partecipazione al bene della ragione nel suo modo proprio; così tende in modo ordinato verso i beni specificatamente alle proprie capacità, in quanto disposta per essere obbediente alla ragione ed in quanto principio dell’azione virtuosa. Terzo, le disposizioni generali al bene delle facoltà operative, anch’esse indirettamente, supportano ogni atto della virtù comunicando una misura della ragione o obbedendole come una forza generale della ragione, della volontà o dell’emozione.
            Più ancora, a livello teologico, l’Aquinate identifica il motore principale per la connessione delle virtù infuse, ovvero la carità, che, con le virtù della fede e della speranza, permette l’assunzione di una norma teologica e un livello di consistenza potenziato dalla grazia che non è possibile con i soli mezzi razionali (S. Th. II-II q. 24 a. 4-9). Cristo è l’esempio che, attraverso l’amore, muove l’agente a compiere ciò che è bene, in imitazione di Cristo e del Padre (che è perfetto; Mt 5:48) nello Spirito Santo che è amore (Gal 5:22).

3.3 Valutando Seligman e Arricchendo l’Aquinate

A questo punto del nostro studio, vorrei domandarmi: come può l’Aquinate ed ogni altra mentalità specificatamente Cristiana (una psicologia positiva Cristiana) appropriarsi criticamente delle intuizioni di Seligman sull’integrità e sulla prosperità? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo distinguere l’aspetto funzionale, dove Seligman e l’Aquinate hanno qualcosa in comune, da quello normativo, dove le loro competenze differiscono.
            Primo, l’approccio di Seligman è specificatamente descrittivo, basato su studi empirici (o meta-analisi di tali studi) che identificano i fattori che illustrano il funzionamento e lo sviluppo di temi situazionali specifici per la virtù a livello sociale, cognitivo, volitivo, motivazionale e neurobiologico. Per esempio, il discorso sull’integrità di Seligman può aiutare a spiegare la connessione delle virtù a livello dei temi situazionali o delle pratiche concrete che effettivamente rendono questa connessione abituale. L’efficacia morale richiede una tale base psicologica nell’acquisizione della virtù che cerca di integrare il pensiero, il sentimento, la motivazione e il comportamento, come Seligman ha descritto. Inoltre aiuta a spiegare come la diversità a livello situazionale (basata su predisposizioni genetiche individuali, fattori ambientali ed educativi, impegni personali, e via dicendo) non contraddica la connessione tra le virtù principali (e le forze del carattere) ai livelli più elevati.
            Un altro esempio di arricchimento si trova nel punto in cui Seligman spiega il fenomeno dell’internalizzazione dei fini nei termini dell’efficacia psicologica degli “scopi autentici”. Studi sugli scopi interiorizzati (Sheldon & Elliot, 1999, citati in Peterson & Seligman, p. 263) indicano che l’auto-concordanza dello scopo predice un investimento perdurante della fatica e un maggiore raggiungimento degli scopi, che a loro volta contribuiscono alla soddisfazione dei bisogni ed ad un senso di benessere globale e di prosperità. Questa intuizione arricchisce, ad un livello psicologico di funzionamento, la comprensione dell’Aquinate dell’internalizzazione delle norme e delle leggi morali (da una fonte semplicemente esterna ad una fonte interna, personalizzata), e questa come una caratteristica primaria dello sviluppo morale e della prosperità (Pinckaers, 1998, Giovanni Paolo II, 1993). Questo è il modo che l’Aquinate trova nello sviluppo della carità e delle altre virtù, dove la legge è inizialmente gravosa ed esterna. Secondo, il suo significato e senso vengono progressivamente interiorizzati nella comprensione, nella motivazione e nel sentimento. Infine, essa è espressa nell’impegno interiore di tipo maturo, un tipo di prosperità che è esso stesso utile per il supporto comunionale e della grazia a livello acquisito ed infuso (S. Th. II-II q. 23 a. 1; Pinckaers, 1995).

Conclusione: la virtù che interconnette la psicologia morale descrittiva e la psicologia positiva Cristiana (etica)

In conclusione, l’esercizio della saggezza pratica e della carità teologale assicura il contenuto normativo specificatamente Cristiano dello sviluppo morale acquisito e teologale (infuso) e della prosperità, secondo l’Aquinate. Egli afferma la necessità sia della conoscenza che dell’amore – cognizione ed affezione che sono compendiati nella prudenza (e nella giustizia) da una parte e nella fede e nella carità, dall’altra. Tale decisione normativa non è praticata in un vuoto antropologico, libero dalla psicologia morale o dal contenuto morale. Neppure è praticata fuori da una visione del mondo e da un sistema di valori. Per l’Aquinate, la prudentia non è semplicemente una virtù formale, ridotta ad una funzione cognitiva di tipo psicologico o alla bontà della volontà. Piuttosto, l’Aquinate riconosce che la prudenza Cristianamente infusa cerca di discernere le norme della legge divina in quanto incarnate nella retta ragione e nella legge naturale ma anche in quanto rivelate in una comunità di fede, dipendente dalla Sacra Scrittura – la Bibbia – e dalla tradizione vivente / Magistero nella tradizione Cattolica e Tomista. Ad entrambi questi livelli, l’Aquinate tiene assieme il dominio funzionale con quello normativo attraverso la sua dottrina della connessione delle virtù e della mutua dipendenza della conoscenza e dell’amore attraverso le virtù acquisite, e della fede e della carità per le virtù infuse. La teoria morale dell’Aquinate copre così lo sviluppo morale in modo completo, senza essere esaustiva per quanto riguarda la funzione morale. Ovvero, l’etica normativa Cristiana dell’Aquinate in quanto approccio alla teoria della virtù è “più completa” di quanto lo siano le sue descrizioni del funzionamento delle virtù e dei vizi. È soprattutto a livello della psicologia morale e della descrizione dello sviluppo delle forze del carattere e dei temi situazionali o pratiche che gli studi di Seligman della psicologia positiva apportano un’ulteriore luce alla comprensione dell’Aquinate dello sviluppo morale e della prosperità.
            L’Aquinate ed una robusta Psicologia Positiva Cristiana possono criticamente appropriarsi di queste scoperte poiché tali scoperte si basano su studi empirici che sono totalmente consistenti con una visione Cristiana (filosofica e teologica) della persona umana-in-relazione (creata, caduta e redenta da Gesù Cristo). L’Aquinate, ed i Cattolici assieme a lui, credono che ci sia una unità di verità in Dio, anche se potremmo non comprenderne specialmente le applicazioni pratiche. Gli effetti del peccato (la Caduta) costituiscono una sfida nella nostra ricerca comune alla comprensione dell’interdipendenza teoretica e pratica delle virtù e dell’influenza della fede, della speranza e della carità Cristiana sul credente e sulla Chiesa nella loro vita pratica. Umiltà e coraggio sono così necessarie.
            Questo scritto ha tentato di dimostrare il bisogno di ascoltare sia la psicologia morale che l’etica normativa cristiana al fine di comprendere il modo di utilizzare le virtù in psicologia, specialmente al fine di comprendere lo sviluppo morale in una più ampia nozione di prosperità ultima. Lo stile particolare (secolare) di Peterson e Seligman (2004) di “moralità spiegata in termini di virtù” (p. 10) in quanto scienza sociale e psicologia, non è in se stessa robusta abbastanza per soddisfare gli eticisti secolari né per decidere in caso di conflitti morali, e neppure per rivolgersi alla dimensione teologica, né per fondare una Psicologia Positiva Cristiana. Comunque, essa non pretende di essere diversa, in quanto fa appello a fonti filosofiche e teologiche per le sue nozioni di virtù pre-empiriche (e di normatività, a cui essa rimane legata). Contribuisce significativamente alla comprensione della psicologia del funzionamento morale e per aiutare gli approcci specificatamente normativi alla teoria della virtù nel comprendere la prosperità acquisita nella forma dello sviluppo morale e dell’integrità. Gli studi empirici della psicologia positiva, come quelli di Peterson e Seligman (proprio come quelli di Linley e Joseph e dei loro collaboratori), portano nuove intuizioni riguardo la funzione, le pratiche e la motivazione delle virtù. Questi studi, però, potrebbero avere uno scopo ancor più descrittivo, se essi controllassero il contenuto morale più profondo operante nelle virtù attualmente osservate, nelle forze del carattere e nelle pratiche che sono influenzate dall’intenzionalità di costrutti morali e spirituali della vita buona. Il contenuto normativo di per se, probabilmente il dominio proprio degli approcci filosofici e religiosi alla psicologia ed all’etica (che stabilisce le norme sulla base della ragione pratica e delle credenze / autorità religiosa), necessita di essere rappresentato negli studi empirici al fine di correlare la funzione psicologica ed il contenuto morale. È solamente una nozione più chiara del contenuto morale e della motivazione e dell’intenzione che aiuterà a spiegare alcune distorsioni della psicologia morale, le parvenze della virtù, e le diverse strade dello sviluppo morale e della prosperità umana (pre-teologale). Questo è il lavoro futuro per le comunità di fede, e per noi alla ricerca di una robusta Psicologia Positiva Cristiana.

Come post-scriptum, vorrei menzionare che i programmi accademici (e clinici) all’IPS hanno favorito un approccio Cristiano Cattolico teorico e pratico all’uso delle virtù nella pratica della psicoterapia. Un certo numero di progetti di ricerca si sono focalizzati sull’utilizzo della virtù in psicologia ed in psicoterapia.

•  Eric Gudan: (The Practice of the virtue of gratitude as therapeutic for moderate and obsessive depression), “Gratitude-Based Interventions for Treating Ruminative Depression”.
•  Leslie Trautman: (Altruism and humility as therapeutic for narcissistic clients) “Virtue as a Support for Psychological Health in the Treatment of Narcissistic Personality Disorder”.
•  Michael Horne: “Video Games and the Formation of Virtue: An Examination of the Content of Video Games and Their Effect on Compassion.”
•   Nick Stevens, 2012: “Hope and Courage as Foundational Elements for a Virtue-Based Group Therapy”

Tali dissertazioni sono segni ulteriori di speranza per un utilizzo fruttuoso di un approccio Cattolico alla virtù nella psicologia.

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[1] Vorrei ringraziare un buon numero di persone per i loro input che hanno ‘positivamente’ influenzato questo testo, specialmente Frank Moncher ed i miei colleghi all’Institute for the Psychological Sciences (Paul Vitz, William Nordling, Phil Scrofani, Alex Ross, per non menzionarli tutti). Vorrei inoltre riconoscere l’input ricevuto dai partecipanti di due conferenze (al Blackfriars Hall, Università di Oxford e la convention annuale della Society of Christian Ethics), dove ho sviluppato le precedenti versioni di questo testo.

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