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"Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili visto il loro spirito di materialismo puro e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici. (Rudolf Allers, 1936, lettera a P. Agostino Gemelli).

domenica 14 febbraio 2016

CRISTO E LA SUA RELAZIONE CON LA PSICOLOGIA - di IGNACIO ANDEREGGEN

Tra qualche mese festeggeremo sei anni di attività. Abbiamo iniziato la nostra avventura da un sentimento d'insoddisfazione: nessuna delle psicologie contemporanee pare adeguata a descrivere sufficientemente l'uomo, particolarmente la persona sofferente ed affetta da disturbo psichico. Molte di esse, inoltre, propongono delle terapie che sembrano contrastare l'ontologia e la morale cristiana. L'adozione indiscriminata delle psicologie contemporanee da parte dello psicologo che si professa cattolico genera una pericolosa scissione: la vita di fede da una parte, la vita professionale dall'altra. 
Abbiamo così iniziato a contrastare tali tendenze recuperando l'eredità del Magistero e della cultura cristiana, in particolare la filosofia tomista. Seguendo l'esempio di alcuni precursori - come Rudolf Allers - e di chi ci precede in quest'opera - come Ignacio Andereggen, Martin Echavarria ed altri - abbiamo portato alla luce le antropologie sottese ai vari sistemi di pensiero contemporanei, per coglierne valori e limiti. Sintetizzando le verità presenti in essi con la filosofia tomista, abbiamo iniziato a costruire una vera e propria psicologia cristiana, benché - ne siamo consapevoli - essa attenda ancora gran parte della sua edificazione.
Ora ci apprestiamo a compiere un passo in avanti: ci chiediamo come l'adozione di una sana teoria di riferimento, antropologica e clinica, si applichi alla prassi. Desideriamo capire in che modo lo psicologo cattolico possa intervenire col paziente senza contraddire le premesse che fondano il suo essere ed il suo agire. Si tratta di un ambito ancora meno esplorato del precedente. Trovare esempi che mettano in evidenza la corrispondenza tra la teoria e la prassi pare davvero arduo. Siamo chiamati tutti a offrire un contributo.
L'articolo del Professor Ignacio Andereggen persegue questa direzione: pone al centro dell'opera dello psicologo cattolico la Persona di Cristo, senza soluzione di continuità con la vita della persona di fede che ha nell'incontro con Cristo il suo fondamento ed il suo fine. Così che l'agire dello psicologo diventi un'espressione del sacerdozio comune dei fedeli. Il brano è tratto dal libro di Ignacio Andereggen Antropologia profunda, Educa, Buonos Aires 2010. Si ringrazia l'autore per la concessione.

Cristo e la sua relazione con la psicologia

Capitolo XVI - Antropologia Profunda

Ignacio Andereggen

Professore presso l'Università Gregoriana di Roma e presso l'Universidad Catolica Argentina di Buenos Aires


Lo studio di Cristo è il culmine di tutto il corso teologico, dice San Tommaso nel prologo della terza parte della Somma Teologica. Con queste parole vuole dire, seguendo l’ordine della stessa Somma, che è Lui la perfezione del viaggio di ritorno della creatura verso il Creatore.
Nella terza parte della Somma, si trova il culmine della vita morale. Si dice che non si può giungere alla pienezza umana se non attraverso Cristo, non solo perché la grazia ci viene da Cristo, e senza la grazia la natura non si restaura né si perfeziona, ma anche perché il fine della stessa grazia che ricompone la natura è Cristo; perché Cristo è Dio e perché in Cristo abbiamo accesso a Dio, nostro vero fine. Di modo che non si può pensare un compimento della vita umana a partire dalla fede fuori dalla Persona di Nostro Signore Gesù Cristo; e di questo, evidentemente, deve tener conto la psicologia.
È chiaro che non ci riferiamo qui alla psicologia così come comunemente intesa, ma in un senso più profondo, che è quello che dovrebbe illustrare ogni considerazione di una psicologia cristiana e cattolica, che scende anche fino agli infimi dettagli della vita umana.
Possiamo considerare questa idea a partire da ciò che esprime il Concilio Vaticano II. In una frase molto famosa, dice “In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo” (Gaudium et Spes, 22). Vedremo, con l’aiuto di San Tommaso, le ragioni di questa affermazione così importante.
È chiaro che tutte le cosiddette scienze umane dovrebbero essere considerate da questa prospettiva che stiamo qui segnalando, specialmente le scienze pratiche o le considerazioni pratiche della vita umana. La filosofia ha la sua autonomia rispetto alla fede perché è un sapere propriamente razionale, però le altre attività – connesse con la filosofia, che si realizzano nella pratica – richiedono un livello di concretezza maggiore di quello che si può raggiungere con l’attività razionale naturale: una attenzione al fine reale, unico, soprannaturale. Richiedono anche una attenzione ai mezzi, che non possono essere del tutto compresi senza una connessione con la Rivelazione, perché il fine ultimo dell’uomo è Dio raggiunto soprannaturalmente con un atto di conoscenza e amore, e i mezzi che conducono a questo fine devono esserne proporzionati.
Una psicologia che sia cristiana, che abbia una visione panoramica e unitaria della realtà umana, dovrebbe essere costruita a partire dal fine.
Gli psicologi, tuttavia, nella loro attività pratica, non potranno sempre raggiungere la pienezza nella realizzazione del fine e del cammino verso il fine, considerato che le disposizioni soggettive dei loro pazienti sono molto diverse e le loro capacità naturali e soprannaturali anche. Però nella considerazione concreta della situazione di una persona, dei cambiamenti necessari ad essa e dei mezzi necessari per il suo sviluppo, è sempre opportuna e perfino necessaria la considerazione del fine dal punto vista soprannaturale.
Questa posizione è l’unica che conferisce quella visione unitaria, e che produce la capacità di risolvere i problemi profondi dell’uomo; anche se, ovviamente, la soluzione dei problemi più profondi dipende, in ultima istanza, da una soluzione divina, cioè dalla grazia di Dio.
D’altronde questa grazia arriva da molti mezzi, e tra questi mezzi sono fondamentali i sacramenti: soprattutto i sacramenti del Battesimo, della Penitenza e dell’Eucarestia. Questi sacramenti hanno una connessione molto speciale con la psicologia.
Bisogna dire che, comunque, l’attività psicologica non si riduce ai sacramenti, così come neanche l’attività della grazia divina si riduce ad essi. D’altronde esistono sempre fattori naturali che non dipendono dai sacramenti, ma dalla natura umana e dai mezzi per raggiungere la sua realizzazione. Questo non significa, però, che i sacramenti non occupino un posto centrale nello sviluppo di una vita umana integrale. In condizioni normali, è inintelligibile l’ordine al fine vero, unico e soprannaturale senza un’accettazione piena di questi sacramenti, almeno implicitamente. Per questo, dopo aver considerato la figura di Cristo faremo alcuni riferimenti ai sacramenti, e specialmente ai sacramenti nominati.
Dicevamo, quindi, che il mistero dell’uomo, come dice il Concilio Vaticano II, trova vera luce solamente nel mistero del Verbo incarnato, perché Cristo è l’uomo perfetto. Se mai c’è stato un uomo normale in questo mondo – certamente ce ne sono stati molti dopo di Lui – quest’uomo è Cristo; e anche la sua Santissima Madre, per la sua relazione speciale con Cristo. Tuttavia sorvoleremo sulla Vergine Maria poiché ci focalizzeremo unicamente sulla Persona di Cristo.
Come segnalavamo Cristo è l’uomo perfetto. È colui del quale si può dire che è assolutamente normale. Quindi qualsiasi normalità psichica deve essere misurata in relazione a Cristo. Ed è utile chiarire che non c’è nessuna persona che nasca normale dal seno di sua madre, non solo perché si nasce con il peccato originale, ma anche perché d'altronde si aggiungono difetti che provengono dalla storia culturale e anche dalla storia genetica di un determinato individuo, che influiscono sul vigore della sua anima.
È tanto vero quello che stiamo dicendo che una verità fondamentale dell’antropologia teologica è che l’uomo non può fare il bene connaturale alla sua propria essenza senza la grazia divina. Cioè non si possono compiere neanche i comandamenti della legge naturale senza la grazia di Dio. È necessario il suo aiuto per essere normale come uomo, vale a dire per avere un’attività razionale pienamente tale e un’attività volontaria che non sia disordinata ma che segua la ragione.
San Tommaso spiega con molta chiarezza che l’uomo dopo il peccato originale è incorso nello stato di natura corrotta. Che la natura sia corrotta significa che ha un difetto nei suoi principi essenziali. Ciononostante non è totalmente corrotta, perché l’uomo può comunque continuare a fare alcune cose, come dice Sant’Agostino citato da San Tommaso: può piantare alberi, costruire case, avere amici. Ma non può realizzare il bene proporzionato alla sua natura; non può giungere a una perfetta contemplazione e, soprattutto, non può essere giusto, non può essere forte, non può essere temperante, non può essere prudente senza la grazia di Dio.
Nello stato attuale, dunque, erra nelle virtù umane fondamentali, che sono costitutive del ben operare umano. E quando uno opera in modo non conforme alla sua natura prepara la sua propria infelicità psichica. L’uomo senza la grazia di Dio non può che essere infelice. Perché? Perché senza la grazia di Dio non può che cadere nel peccato. Tuttavia non diciamo qui che si debba necessariamente cadere in tutti i peccati, o che non si possano evitare i peccati singolari, ma che l’uomo non può non cadere almeno in un peccato grave nel complesso della sua vita e anche in molti peccati gravi, perché un peccato causa un altro peccato.
Un peccato grave consiste in una disobbedienza alla legge divina e in una avversione a Dio, e entrambi gli atteggiamenti sono causa di infelicità. La avversione a Dio è ciò che causa soprattutto inquietudine, proprio perché l’uomo è fatto da Dio. L’atteggiamento contrario a Lui causa un’infelicità molto profonda perché, per di più, non si tratta di una semplice avversione all’ordine naturale, ma di una avversione a Dio anche come fine soprannaturale. Cioè un’avversione verso Dio che è amabile, verso Dio che è credibile, verso Dio che si presenta come amico dell’uomo. È un’avversione verso l’amicizia divina liberamente offerta.
D’altra parte, causa infelicità anche il mancato compimento della legge, dato che questa legge costituisce dinamicamente la natura umana. È proprio come il compimento della natura umana e tende, proprio per natura, a essere compiuta. L’uomo, per natura, ha un anelito profondo e costitutivo alla giustizia, alla prudenza, e alle altre virtù umane. Quando l’uomo decade da questa tendenza è fragile nella sua volontà e nella sua intelligenza e non raggiunge il suo bene connaturale, che è il bene di queste virtù acquisite con l’esercizio delle attività umane; quando l’uomo non lo raggiunge cade nell’infelicità perché è fatto per operare, e la felicità si raggiunge – la felicità umana proporzionata – con l’operazione appropriata, virtuosa o forte. In latino virtù viene proprio da forza.
Quando l’uomo decade a questo livello prepara la sua propria distruzione. Ogni atto che è disordinato è un atto che va contro la sua stessa natura. Dunque come si rimedia a ciò? Bisogna dire, dal punto di vista dell’individuo, attraverso l’azione della grazia, che è la partecipazione della vita divina in noi, e che possiede due funzioni: restaura la nostra natura e poi la eleva.
In ultima istanza si rimedia a quel decadimento con l’unione a Cristo.
La grazia non è solamente un dono per l’individuo ma possiede una dimensione che trascende l’individuo, che unisce a Dio e agli altri che hanno la grazia, e, in questa maniera, si costituisce il Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa.
La salvezza ci viene dalla nostra incorporazione alla Persona Divina di Cristo. Noi e Cristo, dice San Tommaso in diverse sue opere, “formiamo come un’unica persona mistica”1. Una persona mistica che è per lui la descrizione della Chiesa unita al suo Capo. Questa persona così conformata è, chiaramente, divina. Di modo tale che, quando siamo incorporati a questa persona mistica, siamo anche divinizzati, e questo è ciò che realizza la grazia.
Però siccome Dio è l’autore della natura umana, quando siamo divinizzati siamo anche restaurati nella nostra natura umana. Giungendo alla fonte di questa natura umana, che è Dio e la sua idea dell’uomo – come dicevano i Padri della Chiesa e gli autori scolastici – acquistiamo nuovamente la nostra idea. Quando ci uniamo a Dio, che possiede la nostra idea e la nostra realtà piena, realizziamo la nostra propria idea. Il modello, a partire dal quale noi siamo, lo acquistiamo con la nostra unione a Dio, però lo acquistiamo sopra-naturalmente, perché con le nostre forze umane non riusciamo a realizzarlo.
Sovente si suole dire che la grazia presuppone la natura; tuttavia non è un’espressione così perfetta, giacché può lasciar intendere erroneamente – e alcuni cattolici lo hanno inteso così – che c’è un livello naturale che può essere ricomposto per mezzo delle forze naturali, eventualmente di uno psicologo, per poi giungere al livello soprannaturale; di modo tale che non si può giungere a questo livello soprannaturale senza la previa restaurazione del livello naturale con metodi umani. Questa prospettiva non è adeguata alla fede, come non è neanche adeguata all’azione della grazia, all’esperienza e alla verità di una antropologia teologica profonda.
Cioè, la natura umana non può essere restaurata a nessun livello senza l’influsso della grazia. Sebbene nelle tappe iniziali di questa restaurazione non sia presente in pienezza la grazia santificante – non ci sia la presenza piena di Dio -, tuttavia tutto ciò che si realizza a questo livello iniziale si realizza in ordine alla grazia di Dio. È così, benché molte volte quello che si osserva sia puramente di ordine naturale, e benché la persona sia eventualmente aiutata da uno psicologo – o da chicchessia – apparentemente solo nell’ordine naturale.
Con questo vogliamo dire che c’è sempre un’azione nascosta della grazia e, soprattutto, c’è una ordinazione alla grazia di Dio con la quale unicamente la natura umana si restaura in pienezza.
San Tommaso possiede un’analisi molto profonda di questo tema, proprio in relazione a Cristo. Il dottore comune insegna che poiché Cristo è l’uomo perfetto – perché è Dio come Persona ed è piena e perfetta natura umana, perché è l’uomo perfetto -, possiamo acquistare la nostra perfezione umana solamente in unione con Lui. Quando ci uniamo a Cristo per la grazia, che è un dono soprannaturale, ci uniamo anche all’umanità di Cristo.
Precisamente, unendoci a questa umanità in un modo misterioso – per la grazia – acquistiamo la sua perfezione. E non soltanto la perfezione di questa umanità di Cristo, ma anche una perfezione più grande, perché questa umanità è quella di Dio, e così anche la nostra umanità comincia ad essere un’umanità che appartiene a una realtà superiore. Questa realtà è quella della nostra persona elevata dalla grazia e in relazione con le Persone divine. Così come le Persone divine si trovano in relazione tra loro – e soprattutto sono relazione reciproca: il Padre in relazione con il Figlio, il Figlio con il Padre, lo Spirito con il Padre e il Figlio, etc. – anche noi cominciamo a vivere in relazione con le Persone divine. Acquistiamo così un livello di realtà e di personalità che è superiore. Questa è la vera pienezza della vita umana e, inoltre, è l’unico modo per acquistare la perfezione della natura umana: l’unione con l’umanità piena di Cristo.
Per illustrare in modo più dettagliato ciò che abbiamo appena detto, faremo alcuni riferimenti alla terza parte della Somma, nella quale San Tommaso tratta della mente di Cristo2.
Si dice lì che la mente di Cristo è la parte principale della sua umanità dal punto di vista naturale. In essa, chiaramente, l’essenziale è la sua intelligenza.
Cristo ci salva con la sua mente, cioè, principalmente ci salva con la sua intelligenza. Però non si tratta di una intelligenza qualsiasi, ma la sua intelligenza è l’intelligenza umana di Dio, di una Persona divina. Ci salva, quindi con la sua intelligenza pienamente elevata dalla grazia e configurata a Dio, fatta contemplatrice della stessa essenza di Dio. In Cristo -nell’intelligenza di Cristo – si compie anticipatamente il destino di tutta la natura umana e di ogni persona umana, che è contemplare Dio, vedere faccia a faccia Dio.
Perciò l’affermazione della visione beatifica dell’umanità di Cristo rappresenta una dottrina molto importante di San Tommaso. Questo vuol dire che Cristo con la sua intelligenza umana, anche prima della sua risurrezione e nella sua vita mortale, vedeva l’essenza di Dio. E San Tommaso offre vari argomenti per dimostrarlo.
Lo dimostra in primo luogo a partire dalla pienezza della grazia. Essa implica la visione di Dio, perché è quella che possiedono i santi nel cielo. Cristo, essendo il Figlio di Dio, ha, senza dubbio, la pienezza della grazia. L’umanità di Cristo è unita ipostaticamente alla Persona divina, e così ha in pienezza la grazia di Dio, perché averla è essere come Cristo è. Dunque, Cristo aveva la visione beatifica, dato che è inclusa nella grazia di Dio. Avere la visione beatifica è come il coronamento della grazia.
Un secondo argomento per dimostrare la visione beatifica di Cristo è la sua missione salvatrice. Cristo è la Persona del Verbo di Dio fatto uomo perché Cristo è il salvatore di tutti gli uomini. Per questo si incarnò; non si incarnò per acquistare una perfezione di cui non ha bisogno (perché già ha ogni perfezione, proprio per il fatto di essere Dio), ma per attrarre noi alla sua perfezione, il che significa salvarci. Cristo ci salva attraverso la sua umanità, ci salva come uomo. Questa è, in effetti, la sua funzione di Salvatore. E Cristo ci salva con la parte principale della sua umanità, che è la sua anima e, pertanto, la sua intelligenza. Nella sua intelligenza ci salva per mezzo di questa funzione principale che è la visione di Dio, perché salvarci vuol dire condurci alla visione di Dio. Gesù Cristo ci salva con la sua intelligenza perché Lui ci dà ciò che ha in pienezza.
Certamente possiede in pienezza la visione di Dio e, per questo, la consegna a noi: Cristo ci dà la sua contemplazione. In questo modo restaura la nostra mente, cioè la nostra intelligenza. L’intelligenza di Cristo è un’intelligenza più grande di quella di qualsiasi uomo che sia esistito sulla faccia della terra. E così la nostra, quando siamo uniti alla natura di Cristo per mezzo della grazia, si restaura e si eleva, si fa perfino più perfetta anche dal punto di vista naturale. Per questo le persone che stanno in grazia di Dio tendono a diventare più intelligenti di altre, le quali naturalmente sono intelligenti, ma perdono l’uso della loro intelligenza a causa delle tenebre del peccato.
In altri termini, quando ci uniamo all’intelligenza di Cristo la nostra mente si restaura. Questo è il fondamento dell’ordine sacramentale, dato che i sacramenti sono come un ponte tra noi – situati qui, in questo luogo e in questo tempo – e Cristo – che esiste ora in cielo e anche in terra, per il fatto di essere Persona divina -. Egli è esistito prima nel tempo: l’azione di Gesù Cristo come uomo, anche quando era in questa vita mortale, ci giunge fino ad oggi ininterrotta nella Chiesa, sacramento fondamentale, e nei sacramenti, che sono i mezzi attraverso i quali ci uniamo a Cristo e riceviamo la sua azione.
Vogliamo inoltre aggiungere che la mente di Cristo è la mente più unificata. Quando ci disponiamo a pensare alla mente di Cristo è indispensabile fare il percorso contrario a quello che si fa in alcune teologie, che è questo: partire dalle affermazioni di una psicologia modellata sui dati empirici di una normalità anch’essa empirica, per applicare successivamente questi dati a Cristo. In effetti, se prendiamo questa strada – e facciamo ciò che suole denominarsi una “teologia dal basso” o una “Cristologia dal basso” – il risultato, in ultima istanza, è la proiezione dei difetti della mente umana, specialmente dei più gravi, come l’ignoranza e il peccato, alla mente di Cristo. Ed è per questo motivo che molte persone immaginano la mente di Cristo come la mente di un qualsiasi peccatore avvolta nell’oscurità e per di più, in un certo modo, indebolita dal peccato. Per fare un vero esame di Cristo dobbiamo ricorrere al cammino opposto, che è quello che fa San Tommaso. Dunque, la dottrina dell’Angelico è di una teologia dall’alto, una teologia che comincia dal fatto che Cristo è Persona divina – come crediamo noi cristiani -; cioè del fatto che
Cristo sta in cielo e non ha mai smesso di starci e che è veramente Santo. Infine si tratta di una Cristologia che parte dal fatto certo – per la fede – della condizione divina di Cristo.
Cristo non solo non assume i difetti dell’ignoranza e del peccato, ma Lui, proprio perché non ha questi difetti, può liberare noi da questi difetti. Per questo si è incarnato, cioè per liberarci dall’ignoranza e dal peccato. Per questo se abbiamo l’esperienza di una mente umana segnata dal dolore dell’ignoranza e dal peccato, non possiamo proiettare la stessa cosa su Cristo, ma fare proprio il contrario. Si tratta piuttosto di pensare che se Cristo è assolutamente Santo nella sua mente ed è lucido nella sua intelligenza e nella sua coscienza – nella sua conoscenza di sé -, noi, unendoci a Lui, acquisiamo il suo stato di coscienza, il quale è assolutamente unificato. In Cristo la mente è tutto il contrario che divisa in sé; ha tutto il contrario di una dualità psichica. Cristo, invece, ha un modo di vedere totalmente unificato, nel rispetto, ovviamente, della diversità di nature, e pertanto, della diversità di scienze o abiti di conoscenza che ci sono nelle sue nature. Ma nessuno di questi abiti di conoscenza entra in contraddizione con l’altro.
Pertanto, seguendo San Tommaso, Cristo ha la scienza divina. Questa fa sì che Lui – che, insistiamo, è Persona divina ma che è un uomo, perché ha natura umana – conosca assolutamente ciò che è Dio senza che gli manchi di conoscere nulla di quello che Lui è. Perciò non manca in Cristo conoscenza di tutto ciò che c’è nella creatura; ma soprattutto di tutto ciò che sono tutte le cose, proprio perché le ha create Lui. Bisogna attribuire questa conoscenza divina a Cristo – a Cristo Dio e a Cristo uomo -, perché questa Persona che è uomo ha tutta questa conoscenza divina, vale a dire, la conoscenza del Creatore. Perciò Cristo conosce assolutamente se stesso e ha una coscienza chiarissima e assoluta – sino a comprendere tutto – di chi Lui è. Diciamo quindi che la conoscenza umana di Cristo appartiene alla sua natura umana, e con questa conoscenza umana ci ha salvato. Dunque, in che consiste la conoscenza umana? Passiamo ad analizzare questa questione.
In primo luogo bisogna dire che consiste nella visione beatifica. In effetti la sua intelligenza è così elevata dalla grazia che diventa capace di vedere l’essenza divina. È come il prolungamento nell’ordine operativo di quello che succede nell’ordine ontologico. Certamente, nell’ordine ontologico Cristo è Persona divina; la sua umanità è unita ipostaticamente alla divinità in una stessa Persona o Sostanza. Allo stesso modo nell’operazione c’è una conoscenza umana perfettissima che è unita alla conoscenza divina: è, esattamente, la visione beatifica. Con questa conoscenza vede l’essenza di Dio.
In secondo luogo, c’è in Cristo una conoscenza che consiste nella scienza infusa. Per mezzo di essa, Cristo conosce tutto ciò che può conoscere qualsiasi intelligenza; anche quella degli angeli più elevati. Ma perché succede questo? Perché l’intelletto possibile di Cristo, come spiega San Tommaso, è in potenza a tutti gli intellegibili. Questa potenza, perché Cristo abbia una conoscenza perfetta, deve passare all’atto, cioè, deve essere realizzata. E per questo Cristo – in modo soprannaturale, perché ciò non si può realizzare naturalmente – ha l’intelligenza di tutte le cose, e tale è la scienza infusa.
Analogamente al modo in cui gli angeli ricevono le idee da parte di Dio senza necessità di ragionare e senza necessità di fare un processo di astrazione, Cristo possiede anche una scienza che possiamo chiamare sperimentale o acquisita. Certamente Cristo ha un intelletto agente come il nostro, cioè una capacità intellettuale di astrazione, di attuazione di ciò che sta in potenza nelle immagini sensibili delle cose. Cristo, dice San Tommaso nella terza parte della Somma, nella questione 7, non potrebbe passare all’atto ed essere perfetto senza usare il suo intelletto agente. E per questo Cristo, pur essendo la seconda Persona della Trinità, comprende come noi, fa esperienza delle cose come noi. Con questa conoscenza sperimentale può crescere, proprio perché prima conosce una cosa, poi ne conosce un’altra diversa, dopo ne conosce una terza, e così successivamente.
Bisogna tuttavia chiarire che la Persona divina del Verbo, considerata globalmente, totalmente, non cresce in conoscenza. È così perché sa già assolutamente tutto, perché è Dio e ha scienza divina. Sicché come si inseriscono le conoscenze umane? Ebbene, le conoscenze umane si uniscono alle conoscenze divine senza annullarsi. E proprio qui troviamo il mistero. Così come nella unione ipostatica la natura umana si unisce alla natura divina nella Persona, che è la totalità di ciò che Cristo è, e che è divina, così anche la conoscenza umana si unisce alla conoscenza divina di Cristo. E non la fa crescere, ma aggiunge qualcosa di nuovo, dà qualcosa di nuovo alla creatura. Di fatto tutto il cambiamento che avviene sta nella creatura. È la creatura che adesso comincia ad essere uomo in Cristo. Ed è così anche per la conoscenza creata che adesso comincia ad essere in Cristo, ad essere con l’essere divino della Persona di Cristo.
Ovviamente questo è misterioso. Si tratta di qualcosa che supera l’intelligenza umana perché è il mistero dell’Incarnazione. In modo tale che non possiamo comprendere come Cristo conosce, perché siamo persone umane e Cristo è una Persona divina.
Come abbiamo sottolineato, Cristo non è una persona umana; tuttavia la coscienza appartiene alla persona. Per questo dobbiamo concludere che la mente di Cristo è totalmente unificata come Persona divina, ma non come persona umana – che non è -. In modo tale che non possiamo proiettare la nostra condizione di persone umane e la nostra coscienza umana a quella che è la Persona divina di Cristo. Dobbiamo fare proprio il contrario, e unendoci al mistero della Persona divina di Cristo, scorgere e sperimentare cosa significa l’unificazione della nostra personalità: perché Cristo è uno, è Dio e uomo in uno, ed è la Persona del Verbo. Così, unendoci a Cristo mediante la fede, possiamo sperimentare l’unificazione della nostra personalità, cioè l’unificazione del nostro lato soprannaturale e del nostro lato naturale; e dentro al nostro aspetto naturale, anche l’unificazione dei nostri diversi livelli di personalità.
Dobbiamo allo stesso tempo affermare che Cristo è perfettamente uno, non solo nella sua divinità, ma anche nella sua umanità. Diciamo “uno” nel senso di “unificato”, di “unito”. Così anche noi acquistiamo l’unità, l’assenza di molteplicità (che è una imperfezione) grazie all’unione a Cristo e, specialmente, alla sua mente. Per questo ci dice San Paolo che “dobbiamo conformarci al pensiero di Cristo”3, vale a dire, giungere, in un modo soprannaturale, ad avere la stessa forma della mente di Cristo.
Cristo ha sia la pienezza della scienza divina che la scienza umana.
Dunque, questo costituisce un vero mistero, poiché come può Cristo avere una scienza umana? È quello che si domandavano i medievali, ed è quello che si domanda San Tommaso. Come può essere che Dio abbia una scienza umana? Questo è il mistero, ma è un mistero anche il fatto che Dio possa essere uomo. Si tratta, esattamente, dello stesso mistero che continua nell’ordine operativo.
Nell’articolo secondo della questione nona della terza parte della Somma, San Tommaso si chiede se Cristo aveva la scienza che hanno i beati. Risponde dicendo:

“Ciò che è in potenza, passa all'atto per mezzo di ciò che è in atto: bisogna che sia caldo ciò che scalda le altre cose. Ora, l'uomo è in potenza alla scienza dei beati che consiste nella visione di Dio ed è destinato ad essa come a suo fine, essendo la creatura razionale, fatta com'è a immagine di Dio capace di quella conoscenza beata”4.

Cioè l’uomo, come dicevano i Padri della Chiesa, “est capax Dei”, è capace di Dio perché è immagine di Dio.

“Ma gli uomini giungono a questo fine della felicità per mezzo dell'umanità di Cristo, secondo il testo paolino: "Era giusto che colui per il quale e dal quale sono state create tutte le cose, avendo condotto alla gloria molti figli, elevasse alla perfezione con le sofferenze l'autore della loro salvezza". Perciò era necessario che la conoscenza consistente nella visione di Dio fosse in Cristo nella maniera più eccellente, perché la causa deve sempre superare l'effetto”5.

Cristo è causa della nostra salvezza e, pertanto, è necessario che sia superiore a ciò che noi acquistiamo. Inoltre Cristo è causa della salvezza in quanto è uomo. In effetti, è in quanto uomo che Lui dà a noi la visione di Dio.
La nostra salvezza si può quindi intendere come una attrazione della nostra mente verso la mente di Cristo, o meglio, da parte della mente di Cristo. Quando la nostra mente rimane unita alla mente di Cristo, rimane divinizzata, ma insieme alla divinizzazione rimane restaurata, pienamente realizzata, e per questo gli uomini in senso pieno, sono i santi. Lo psicologo cattolico Rudolf Allers affermava, giustamente, che “al di là del nevrotico c’è solo santo6. Ora, che significa nevrosi? Senza dubbio si tratta di uno squilibrio psichico.
Conformemente a questo, chiunque non è santo è nevrotico. Dobbiamo dire che ogni uomo nasce, almeno, con il germe della nevrosi o dello squilibrio psichico. Se questo squilibrio psichico non è restaurato prontamente dalla grazia, tende a crescere, a svilupparsi in modo a volte incontrollabile. Altre volte tende a svilupparsi in modo apparentemente equilibrato, ma con un equilibrio che non risponde alla natura umana ma, al contrario, è un sistema artificiale di vita che l’individuo si costruisce. Questo lo fecero notare alcuni psicologi acuti, anche non cristiani, come Alfred Adler, che mostrava come l’uomo costruisce un’immagine di se stesso, che in fondo è come un succedaneo della salvezza.
D’altra parte è come un succedaneo della salvezza ciò che sostiene Sigmund Freud. Freud, in ultima istanza, si riferisce alla salvezza dell’uomo, benché questa salvezza per Freud sia piuttosto una “auto-salvezza”. Si tratta di una salvezza mediante la mente, ma non proprio mediante la mente di Cristo. O forse dobbiamo dire che è mediante la mente di Cristo, però interpretata in un modo assolutamente differente dal modo ortodosso che abbiamo visto in San Tommaso.
In Freud si tratta di un adattarsi alla mente di quell’uomo che si è messo al posto di Dio e che si è fatto lui stesso Dio, mentre noi sosteniamo che l’Incarnazione è il mistero di Dio che viene verso l’uomo e che assume una natura umana. In Freud è l’uomo che si salva da solo grazie a un processo mentale che, in certo qual modo, è transpersonale, e che supera l’individuo personale.
In altre parole, nel pensiero di Freud, come in modo più radicale in Hegel, è un processo quello che salva l’uomo, non già una persona. Nel Cristianesimo è una Persona che salva l’uomo, quella che dà la vera salute psichica all’uomo: questa persona è Cristo, la Persona divina del Verbo di Dio.
Altri tipi di pensiero come quello che abbiamo segnalato, al contrario, intendono sempre la salvezza come l’ingresso in un processo, che in definitiva è un processo dialettico – come nella filosofia idealista -, o un processo analitico interminabile – come dice Freud; cioè, una psicoanalisi, che è interminabile e che non giunge mai a nessuna perfezione, proprio perché non c’è la perfezione metafisicamente parlando -. In questo genere di pensiero, ogni perfezione è imperfezione, il processo che continua all’infinito, la “cattiva infinitezza” come direbbe Hegel. Un processo che non termina mai e, come direbbe Freud, una piena coscienza di questo processo: questa è la salvezza umana.
In Cristo, al contrario, assimiliamo una salvezza assolutamente diversa. Si tratta della partecipazione alla pienezza di questa scienza che Cristo ha nella sua umanità, nella sua intelligenza, e che è la visione piena di Dio. Ci assimiliamo così a una Persona e ci facciamo, anche, persone superiori. Così siamo partecipi della Personalità divina di Cristo e, per questo, siamo fratelli di Qualcuno che è il Capo, è il Primogenito di tutti i fratelli e di tutta la creazione, come dice San Paolo: ὅς ἐστιν εἰκὼν τοῦ θεοῦ τοῦ ἀοράτου, πρωτότοκος πάσης κτίσεως 7.
Orbene, come giunge a noi questa grazia di Cristo? Bisogna dire che ci giunge dai sacramenti.
Evidentemente qui non abbiamo tempo sufficiente per trattare dei sacramenti, però ci basta di sapere che i sacramenti concretizzano, per la nostra situazione particolare, il significato della salvezza. Neanche affronteremo qui il problema della salvezza dei non cristiani o di coloro che non hanno ricevuto esplicitamente il Vangelo, in quanto non rientra negli scopi di questo capitolo.
Consideriamo, piuttosto, cosa significa in sé stessa la salvezza.
Per ricevere la salvezza è necessaria l’incorporazione a Cristo, e questa incorporazione viene data dal Battesimo, che è il primo dei sacramenti. Grazie ad esso siamo fatti membra del corpo di Cristo e siamo divinizzati con Cristo. Perciò nel Battesimo si lascia il peccato e si riceve la grazia, la quale è incompatibile con il peccato grave. Quando qualcuno riceve il Battesimo gli vengono cancellati i peccati, a qualsiasi età lo riceva. Non esistono più, per il fatto stesso di venire battezzato, in più, non ha bisogno di confessarli. Si è fatti uomini nuovi, come dice San Paolo8.
Ma che vuol dire “uomo nuovo”? Vuol dire che la natura corrotta ha lasciato posto a una natura restaurata. Tuttavia succede che questa natura è restaurata solo nel più profondo dello spirito. Ma questa restaurazione psichica non è ancora giunta a tutti i livelli della personalità, più periferici ed esteriori. E per questo nella questione 109 della Prima Secundae San Tommaso dice che lo spirito riceve la grazia e si restaura, ma la carne non è stata ancora restaurata come lo è stato lo spirito. È necessario, pertanto, un lungo lavoro di purificazione delle deformazioni che esistono ai livelli inferiori della personalità.
In questo senso la grazia è compatibile, non già con il peccato mortale ma con i peccati veniali, che sono le deformazioni della vita umana che non implicano una avversione a Dio e una conversione alle creature. Significano piuttosto un deterioramento, un raffreddamento del cammino verso Dio. Ma questi peccati veniali possono strutturarsi e convertirsi in vizi: precisamente in vizi di peccati veniali. Questi vizi sono la base di quello che potremmo chiamare la nevrosi di chi è in grazia di Dio. Si tratta di diverse dimensioni della personalità che possono chiamarsi, come abbiamo detto, “vizi di peccato veniale”.
A volte non si tratta solo di peccati veniali. In effetti può succedere che la persona sia apparentemente cristiana, ma che abbia un peccato nel fondo della sua anima e che per questo sia separata da Dio. Però supponiamo per un momento che si tratti di una persona che sia in grazia di Dio. In primo luogo bisogna dire che il fatto che sia in grazia non implica che sia totalmente unificata. Al contrario, deve crescere fino a configurarsi a Cristo per ottenere la perfetta unificazione e, pertanto, far sì che spariscano questi peccati veniali. Questo certamente esige un lungo lavoro, una fedeltà alla grazia, che si manifesta anche a livello naturale come una iniziativa dell’individuo stesso. L’individuo deve lavorare perché vengano cacciati questi peccati con l’impulso della grazia; ma deve lavorare lui stesso.
I peccati sono come una fonte di pigrizia mentale, e senza il lavoro profondo della persona sul suo proprio spirito, -eventualmente con l’aiuto di qualcun altro, che può benissimo essere uno psicologo che capisca quello di cui parliamo qui – cioè, senza l’aiuto del lavoro proprio, o di un altro, non ci si può liberare di questi vizi profondi e degli atti dei peccati veniali.
Soltanto il santo, cioè colui che ha la vita di grazia pienamente sviluppata, è liberato da tutti questi vizi e, pertanto, da tutte queste deformazioni della personalità. Però, come sappiamo, i santi sono veramente pochi; in effetti, quelli che giungono alla pienezza della vita spirituale sono pochi, proprio perché sono pochi quelli che vogliono essere generosi e vogliono intraprendere il duro cammino che porta alla trasformazione personale, alla liberazione da tutti i peccati – anche i minimi -, da tutti i vizi che rendono pesante la personalità anche dei cristiani.
La realtà è che sono pochi i santi e, per questo, abbondano i nevrotici. E se a volte i cristiani sembrano più nevrotici dei non cristiani è perché sono spesso più incoerenti degli altri. I non cristiani sembrano meno nevrotici semplicemente per il fatto che sono appiattiti sui loro vizi gravi; pertanto sono ben radicati e da lì nessuno li stacca/schioda, e sono coerenti a quello che sono. Il cristiano è qualcuno che, se non è santo, è in un certo modo incoerente perché, da un lato, tende alla santità e, dall’altro lato, possiede i vizi, per lo meno residuali, dell’uomo vecchio.
Si rende, quindi, necessaria, per il fatto che siamo cristiani, una profonda coerenza, un profondo cammino di coerenza che conduca alla santità. Lo psicologo può aiutare la persona a prendere coscienza della necessità di coerenza e la può anche aiutare affinché noti i suoi propri vizi, si renda conto delle sue strutture disordinate e della mancanza di coerenza tra i suoi ideali e i mezzi che mette in campo per raggiungerli. Questo è, in effetti, il vero compito di uno psicologo o di un direttore spirituale che, a questo livello, non sono per nulla contrapposti; perché un direttore spirituale fa le veci di psicologo, e uno psicologo fa le veci di direttore spirituale, in questo senso.
Non in quello di applicare tecniche e attrezzi – la cui efficacia suole essere relativa -, ma nel senso di aiutare la persona a cogliere la profondità del dinamismo della sua personalità. Poiché anche il sacerdote quando aiuta una persona, non lo fa sempre in quanto sacerdote – benché, di fatto, intervenga la grazia sacerdotale – ma in quanto è un cristiano. Ogni cristiano ha il dovere di aiutare l’altro, e questo lo fa sia il sacerdote che il laico.
Però bisogna chiarire che né il laico né nessuno psicologo può fare ciò che fa il secondo dei sacramenti ai quali ci riferiremo, che è il sacramento della Penitenza. In effetti nessuno psicologo può togliere la colpa. Molte volte vediamo che le persone ricorrono agli psicologi, specialmente agli psicoanalisti, perché tolgano loro la colpa, come si dice abitualmente. Però gli psicologi non possono fare questo. Ed è proprio questo il problema degli psicologi, vale a dire, che non hanno la forza di togliere la colpa, perché la colpa la può togliere solo Dio.
È così proprio perché il peccato è un’offesa a Dio. Questa implica la perdita dell’amicizia con Lui. L’uomo, quando è liberato dalla sua colpa recupera l’amicizia perduta con Dio; e perciò l’uomo che è in stato di peccato grave sente un profondo vuoto, un profondo disordine che proviene dal fatto che si trova contro Dio, volta le spalle a Dio. Soltanto Dio lo può richiamare alla sua amicizia, perché essere amico è una cosa volontaria: non è un processo dialettico, non è porsi “in sintonia con Dio”, ma è essere amico di Dio. Certamente solo le persone sono amiche e niente altro, di modo tale che l’amicizia è un atto personale.
Soltanto Dio può offrire di nuovo la sua amicizia quando è perduta. Ed è questo che fa il sacramento della Riconciliazione o Penitenza: fa recuperare l’amicizia con Dio e pertanto cancella la colpa.
La colpa è incompatibile con l’amicizia con Dio. Per questo il sacramento della Riconciliazione, da una parte, instaura l’amicizia con Dio e, dall’altra, restaura la natura, nel senso che fa compiere nuovamente l’ordine naturale e dà la forza per compierlo. Se la persona era ingiusta perché aveva peccato, nel sacramento della Riconciliazione diventa giusta, cosa che include restituire ciò che ha rubato; così si restaura la natura. Se la persona era poco prudente, diventa prudente con il sacramento della Confessione. Se la persona ha peccato contro la castità, diventa casta con il sacramento della Confessione, che implica sempre l’abbandono del peccato.
Il sacramento restaura la natura e la eleva, conferisce la grazia. Quando qualcuno accede al sacramento della Riconciliazione, dice San Tommaso, può ricevere la grazia nello stesso grado in cui l’aveva prima, in misura minore, o in misura maggiore. È così perché si tratta di nascere una seconda volta. Per questo diceva San Girolamo, citato da San Tommaso nella Somma Teologica: “la penitenza è la seconda tavola dopo il naufragio"9. In effetti, nel naufragio abbiamo la nave o la barca per andare verso Dio in mezzo al mare di questo mondo, come dice San Tommaso; dopo il naufragio, durante il quale perdiamo la nave, ci aggrappiamo alla tavola. Ed è questo che fa la Confessione: ci restaura nell’amicizia con Dio.
Orbene, la confessione non solo toglie il peccato mortale, che è quello di cui abbiamo parlato finora – ma toglie anche il peccato veniale. E per questo, quando riceviamo il sacramento della Riconciliazione, se siamo in stato di grazia ma abbiamo peccato venialmente, come succede spesso, questo sacramento ci cancella i peccati veniali e ci fa crescere nella natura in quanto la rettifica; toglie man mano i vizi, genera man mano le virtù e ci perfeziona nel nostro stato di grazia.
Il fatto che quando qualcuno va a confessarsi non cambia immediatamente non dipende dall’imperfezione della confessione, ma dall’imperfezione delle disposizioni di chi si va a confessare. In effetti, molte volte l’individuo si va a confessare ma non ha sufficiente fede nel sacramento della Riconciliazione, o non ha sufficiente pentimento, che è già frutto della grazia di Dio. Altre volte non è perseverante rispetto ai propositi di emendazione che erano impliciti in una buona Confessione. E anche supponendo che la Confessione sia ben fatta, cioè che abbia tutti questi elementi, può succedere che il disordine della personalità sia talmente profondo che non sia sufficiente la ricezione del sacramento della riconciliazione. Perché? Proprio perché i peccati, compresi quelli veniali, lasciano conseguenze nell’ordine naturale.
A questo punto possiamo fare un’analogia classica. Chi è ubriaco – e lo è abitualmente subisce un deterioramento anche nell’ordine naturale, compreso quello corporale, dal quale non si può uscire immediatamente. Addirittura talvolta non ne potrà proprio uscire in questa vita finché la persona muore e recupera la sua pienezza naturale e corporale nella resurrezione dei corpi.
Analogamente il fatto che una persona riceva la grazia di Dio non significa immediatamente la restaurazione di tutte le dimensioni della personalità, ma spesso si richiede una crescita molto intensa nella grazia secondo la misura del dono di Dio perché questa personalità si restauri. Per questo motivo, in condizioni normali, si giunge alla santità quando si è fedeli alla grazia in un modo costante e per molto tempo, benché Dio non sia in alcun modo legato alle condizioni naturali: in effetti può rendere santo chiunque. Tuttavia normalmente Dio coordina l’ordine naturale con quello soprannaturale, non solo perché è l’autore di entrambi, ma anche perché dispone un cammino pedagogico attraverso il quale possiamo giungere al punto più alto dell’unione con Lui nel modo più accessibile a noi. È proprio per questo che, generalmente, è necessaria una fedeltà alla grazia che duri molto tempo e che sia molto intensa, per poter giungere così a una profonda trasformazione della propria natura individuale.
Come dicevamo prima, ciò che fa la Confessione non lo può fare lo psicologo. Dicevamo anche che è così perché perdonare il peccato, compreso il peccato veniale, significa conferire la grazia e stabilire amicizia con Dio, e questo è un atto personale di Dio, delle tre Persone Divine.
Diciamo in questo modo che il sacerdote, nel sacramento della Confessione, opera in persona di Cristo, così come opera in Persona Christi anche nel sacramento dell’Eucarestia, quando confeziona l’Eucaristia e fa presente il Corpo e il Sangue di Cristo mediante la transustanziazione.
Per fare ciò è necessario, effettivamente, un potere divino. Ed è precisamente quello che ha il sacerdote, il quale è configurato alla Persona di Cristo. A questo livello non può giungere nessuno psicologo.
Pertanto, insistiamo, solamente Dio può perdonare i peccati. Per questo i Giudei misero a morte Cristo: perché compresero che, perdonando i peccati, si faceva come Dio -si faceva Dio, era Dio, si proclamava Dio, dato che solo Dio può perdonare i peccati -.
E con questo giungiamo all’ultimo dei sacramenti di cui vogliamo trattare, che è il sacramento dell’Eucaristia. In esso è contenuta tutta la perfezione umana naturale e soprannaturale, perché l’Eucaristia contiene Cristo, il quale è pienamente Dio e pienamente uomo. La ricezione dell’Eucaristia presuppone lo stato di grazia, l’amicizia con Dio, proprio perché ne è segno. E in più produce o aumenta questa amicizia con Dio: per questo si chiama “Comunione”.
È unione con le divine Persone, a cominciare dalla Persona di Cristo, che è quella che si riceve immediatamente. La comunione ci assimila alla Persona divina di Cristo attraverso la sua umanità perché ci uniamo direttamente ad essa. In primo luogo al suo Corpo e al suo Sangue e, poi, a tutta la sua umanità e la sua anima. In secondo luogo, attraverso la sua umanità, ci uniamo alla sua divinità.
Nell’Eucaristia è contenuta la pienezza della grazia.
Però succede che, come abbiamo avuto modo di segnalare precedentemente, quando riceviamo l’Eucaristia, in generale, non lo facciamo con la disposizione adeguata. Per questo non siamo in grado di ricevere tutto il potenziale di cambiamento, di restaurazione della mente umana che si trova nell’Eucarestia, il sacramento più elevato, e al quale sono ordinati tutti gli altri. In effetti siamo pieni di peccati veniali che attenuano l’effetto della grazia e pongono impedimenti perché la grazia scenda a tutti i livelli della nostra personalità.
Per questo motivo possiamo affermare che se l’individuo riceve l’Eucarestia senza alcuna previa preparazione, o se partecipa alla Santa Messa ma non ha una preparazione sufficiente – perché, per esempio, passa la settimana pensando solo a cose esteriori e non a Dio e all’Eucarestia che riceverà -, è chiaro che la sua mente non si trasforma. Al contrario la mente umana si trasforma quando si riceve veramente l’Eucaristia che, in tutta chiarezza, non vuol dire semplicemente riceverla materialmente, ma riceverla con fede viva, la quale deve essere proporzionalmente molto più elevata che negli altri sacramenti, visto che si tratta del sacramento principale in cui è presente Cristo stesso.
Per ricevere il frutto del rinnovamento interiore che dà l’Eucaristia, è necessaria una disposizione adeguata che è frutto della grazia di Dio. E bisogna, ugualmente, lasciare che l’Eucaristia penetri in tutti i livelli della personalità. In altre parole è necessario avere come una permanente consapevolezza di cosa significa questa ricezione dell’Eucaristia.
Tutto ciò che abbiamo detto fin qui è, come si può vedere, proprio il contrario del concepire i sacramenti come un atto magico; in effetti non sono mezzi di alcun atto di magia, ma il segno della presenza di Dio e della continuazione degli effetti dell’incarnazione nella nostra persona.
Pertanto il modo per ottenere la pienezza della salute mentale – che è la salvezza dell’uomo – si trova nell’unione a Cristo, che si ottiene specialmente attraverso la ricezione dei sacramenti nei quali è contenuto ciò che Cristo è, e gli effetti -fino a quelli più concreti nella nostra propria vita della redenzione di Cristo.
Una psicologia che voglia essere pienamente cristiana deve, in ultima istanza, essere configurata ai sacramenti e alla loro azione. Uno psicologo che sia veramente cristiano deve essere un’eco dell’azione dei sacramenti, qualcuno che prepara da lontano l’azione dei sacramenti: quella del Battesimo, della Penitenza, dell’Eucaristia e, anche, l’azione dell’Unzione degli infermi.
Lo psicologo deve essere qualcuno che agisca ministerialmente, secondo il sacerdozio comune dei fedeli. Tanto più è così se applichiamo questo agli psicologi laici, al servizio dell’effetto dei sacramenti, servizio che richiede una profonda umiltà. Certamente il vero psicologo cristiano, invece di sentirsi qualcuno di onnipotente – che sta al posto di Dio e aiuta la persona a mettersi al posto di Dio, come nella psicoanalisi di Freud -, deve essere qualcuno che, umilmente, non mette se stesso in un luogo centrale, ma porre al centro l’azione di Cristo per mezzo dei sacramenti.
La prudenza soprannaturale, che viene dall’azione dello Spirito Santo, farà il resto. Questo resto è imprevedibile perché dipende dalle condizioni particolari degli uomini, che non si possono sistematizzare scientificamente. Dipende anche dal grado di perfezione della disposizione soggettiva di ciascuno psicologo.
Con quanto detto qui abbiamo un programma di attuazione di una vera psicologia.
Speriamo – con speranza soprannaturale – di realizzarla nella nostra società con l’aiuto dello Spirito Santo.



1 Cf. Summa Theologiae III q. 48 a. 2 ad 1.
2 Summa Theologiae III q. 9-14.
3 I Cor 2, 16: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” [ἡμεῖς δὲ νοῦν Χριστοῦ ἔχομεν]. Cf. Fil. 2,5: τοῦτο φρονεῖτε ἐν ὑμῖν ὃ καὶ ἐν Χριστῷ Ἰησοῦ (“ Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù”).
4 Summa Theologiae III q.9 a. 2 c.
5 Ibidem.
6 Rudolf Allers, Psicologia e pedagogia del carattere, SEI, Torino 1961, p. 299.
7 “Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura”, Col. 1, 15.
8 Ef. 4, 24: “καὶ ἐνδύσασθαι τὸν καινὸν ἄνθρωπον τὸν κατὰ θεὸν κτισθέντα ἐν δικαιοσύνῃ καὶ ὁσιότητι τῆς ἀληθείας ” (“e a rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità”).

9 Summa Theologiae III q. 84 a. 6 sc. Cf. Super Sententiae IV, d. 14, q. 1, a. 2d, c.

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