Tra qualche mese festeggeremo sei anni di attività. Abbiamo iniziato la nostra avventura da un sentimento d'insoddisfazione: nessuna delle psicologie contemporanee pare adeguata a descrivere sufficientemente l'uomo, particolarmente la persona sofferente ed affetta da disturbo psichico. Molte di esse, inoltre, propongono delle terapie che sembrano contrastare l'ontologia e la morale cristiana. L'adozione indiscriminata delle psicologie contemporanee da parte dello psicologo che si professa cattolico genera una pericolosa scissione: la vita di fede da una parte, la vita professionale dall'altra.
Abbiamo così iniziato a contrastare tali tendenze recuperando l'eredità del Magistero e della cultura cristiana, in particolare la filosofia tomista. Seguendo l'esempio di alcuni precursori - come Rudolf Allers - e di chi ci precede in quest'opera - come Ignacio Andereggen, Martin Echavarria ed altri - abbiamo portato alla luce le antropologie sottese ai vari sistemi di pensiero contemporanei, per coglierne valori e limiti. Sintetizzando le verità presenti in essi con la filosofia tomista, abbiamo iniziato a costruire una vera e propria psicologia cristiana, benché - ne siamo consapevoli - essa attenda ancora gran parte della sua edificazione.
L'articolo del Professor Ignacio Andereggen persegue questa direzione: pone al centro dell'opera dello psicologo cattolico la Persona di Cristo, senza soluzione di continuità con la vita della persona di fede che ha nell'incontro con Cristo il suo fondamento ed il suo fine. Così che l'agire dello psicologo diventi un'espressione del sacerdozio comune dei fedeli. Il brano è tratto dal libro di Ignacio Andereggen Antropologia profunda, Educa, Buonos Aires 2010. Si ringrazia l'autore per la concessione.
Cristo e la sua relazione con la psicologia
Capitolo XVI - Antropologia Profunda
Ignacio Andereggen
Professore presso l'Università Gregoriana di Roma e presso l'Universidad Catolica Argentina di Buenos Aires
Lo
studio di Cristo è il culmine di tutto il corso teologico, dice San
Tommaso nel prologo della terza parte della Somma Teologica.
Con queste parole vuole dire, seguendo l’ordine della stessa Somma,
che è Lui la perfezione del viaggio di ritorno della creatura verso
il Creatore.
Nella
terza parte della Somma, si trova il culmine della vita
morale. Si dice che non si può giungere alla pienezza umana se non
attraverso Cristo, non solo perché la grazia ci viene da Cristo, e
senza la grazia la natura non si restaura né si perfeziona, ma anche
perché il fine della stessa grazia che ricompone la natura è
Cristo; perché Cristo è Dio e perché in Cristo abbiamo accesso a
Dio, nostro vero fine. Di modo che non si può pensare un compimento
della vita umana a partire dalla fede fuori dalla Persona di Nostro
Signore Gesù Cristo; e di questo, evidentemente, deve tener conto la
psicologia.
È
chiaro che non ci riferiamo qui alla psicologia così come
comunemente intesa, ma in un senso più profondo, che è quello che
dovrebbe illustrare ogni considerazione di una psicologia cristiana e
cattolica, che scende anche fino agli infimi dettagli della vita
umana.
Possiamo
considerare questa idea a partire da ciò che esprime il Concilio
Vaticano II. In una frase molto famosa, dice “In realtà
solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero
dell'uomo” (Gaudium et Spes, 22). Vedremo, con l’aiuto di
San Tommaso, le ragioni di questa affermazione così importante.
È
chiaro che tutte le cosiddette scienze umane dovrebbero essere
considerate da questa prospettiva che stiamo qui segnalando,
specialmente le scienze pratiche o le considerazioni pratiche della
vita umana. La filosofia ha la sua autonomia rispetto alla fede
perché è un sapere propriamente razionale, però le altre attività
– connesse con la filosofia, che si realizzano nella pratica –
richiedono un livello di concretezza maggiore di quello che si può
raggiungere con l’attività razionale naturale: una attenzione al
fine reale, unico, soprannaturale. Richiedono anche una attenzione ai
mezzi, che non possono essere del tutto compresi senza una
connessione con la Rivelazione, perché il fine ultimo dell’uomo è
Dio raggiunto soprannaturalmente con un atto di conoscenza e amore, e
i mezzi che conducono a questo fine devono esserne proporzionati.
Una
psicologia che sia cristiana, che abbia una visione panoramica e
unitaria della realtà umana, dovrebbe essere costruita a partire dal
fine.
Gli
psicologi, tuttavia, nella loro attività pratica, non potranno
sempre raggiungere la pienezza nella realizzazione del fine e del
cammino verso il fine, considerato che le disposizioni soggettive dei
loro pazienti sono molto diverse e le loro capacità naturali e
soprannaturali anche. Però nella considerazione concreta della
situazione di una persona, dei cambiamenti necessari ad essa e dei
mezzi necessari per il suo sviluppo, è sempre opportuna e perfino
necessaria la considerazione del fine dal punto vista soprannaturale.
Questa
posizione è l’unica che conferisce quella visione unitaria, e che
produce la capacità di risolvere i problemi profondi dell’uomo;
anche se, ovviamente, la soluzione dei problemi più profondi
dipende, in ultima istanza, da una soluzione divina, cioè dalla
grazia di Dio.
D’altronde
questa grazia arriva da molti mezzi, e tra questi mezzi sono
fondamentali i sacramenti: soprattutto i sacramenti del Battesimo,
della Penitenza e dell’Eucarestia. Questi sacramenti hanno una
connessione molto speciale con la psicologia.
Bisogna
dire che, comunque, l’attività psicologica non si riduce ai
sacramenti, così come neanche l’attività della grazia divina si
riduce ad essi. D’altronde esistono sempre fattori naturali che non
dipendono dai sacramenti, ma dalla natura umana e dai mezzi per
raggiungere la sua realizzazione. Questo non significa, però, che i
sacramenti non occupino un posto centrale nello sviluppo di una vita
umana integrale. In condizioni normali, è inintelligibile l’ordine
al fine vero, unico e soprannaturale senza un’accettazione piena di
questi sacramenti, almeno implicitamente. Per questo, dopo aver
considerato la figura di Cristo faremo alcuni riferimenti ai
sacramenti, e specialmente ai sacramenti nominati.
Dicevamo,
quindi, che il mistero dell’uomo, come dice il Concilio Vaticano
II, trova vera luce solamente nel mistero del Verbo incarnato,
perché Cristo è l’uomo perfetto. Se mai c’è stato un uomo
normale in questo mondo – certamente ce ne sono stati molti dopo di
Lui – quest’uomo è Cristo; e anche la sua Santissima Madre, per
la sua relazione speciale con Cristo. Tuttavia sorvoleremo sulla
Vergine Maria poiché ci focalizzeremo unicamente sulla Persona di
Cristo.
Come
segnalavamo Cristo è l’uomo perfetto. È colui del quale si può
dire che è assolutamente normale. Quindi qualsiasi normalità
psichica deve essere misurata in relazione a Cristo. Ed è utile
chiarire che non c’è nessuna persona che nasca normale dal seno di
sua madre, non solo perché si nasce con il peccato originale, ma
anche perché d'altronde si aggiungono difetti che provengono dalla
storia culturale e anche dalla storia genetica di un determinato
individuo, che influiscono sul vigore della sua anima.
È
tanto vero quello che stiamo dicendo che una verità fondamentale
dell’antropologia teologica è che l’uomo non può fare il bene
connaturale alla sua propria essenza senza la grazia divina. Cioè
non si possono compiere neanche i comandamenti della legge naturale
senza la grazia di Dio. È necessario il suo aiuto per essere normale
come uomo, vale a dire per avere un’attività razionale pienamente
tale e un’attività volontaria che non sia disordinata ma che segua
la ragione.
San
Tommaso spiega con molta chiarezza che l’uomo dopo il peccato
originale è incorso nello stato di natura corrotta. Che la natura
sia corrotta significa che ha un difetto nei suoi principi
essenziali. Ciononostante non è totalmente corrotta, perché
l’uomo può comunque continuare a fare alcune cose, come dice
Sant’Agostino citato da San Tommaso: può piantare alberi,
costruire case, avere amici. Ma non può realizzare il bene
proporzionato alla sua natura; non può giungere a una perfetta
contemplazione e, soprattutto, non può essere giusto, non può
essere forte, non può essere temperante, non può essere prudente
senza la grazia di Dio.
Nello
stato attuale, dunque, erra nelle virtù umane fondamentali, che sono
costitutive del ben operare umano. E quando uno opera in modo non
conforme alla sua natura prepara la sua propria infelicità psichica.
L’uomo senza la grazia di Dio non può che essere infelice. Perché?
Perché senza la grazia di Dio non può che cadere nel peccato.
Tuttavia non diciamo qui che si debba necessariamente cadere in tutti
i peccati, o che non si possano evitare i peccati singolari, ma che
l’uomo non può non cadere almeno in un peccato grave nel complesso
della sua vita e anche in molti peccati gravi, perché un peccato
causa un altro peccato.
Un
peccato grave consiste in una disobbedienza alla legge divina e in
una avversione a Dio, e entrambi gli atteggiamenti sono causa di
infelicità. La avversione a Dio è ciò che causa soprattutto
inquietudine, proprio perché l’uomo è fatto da Dio.
L’atteggiamento contrario a Lui causa un’infelicità molto
profonda perché, per di più, non si tratta di una semplice
avversione all’ordine naturale, ma di una avversione a Dio anche
come fine soprannaturale. Cioè un’avversione verso Dio che è
amabile, verso Dio che è credibile, verso Dio che si presenta come
amico dell’uomo. È un’avversione verso l’amicizia divina
liberamente offerta.
D’altra
parte, causa infelicità anche il mancato compimento della legge,
dato che questa legge costituisce dinamicamente la natura umana. È
proprio come il compimento della natura umana e tende, proprio per
natura, a essere compiuta. L’uomo, per natura, ha un anelito
profondo e costitutivo alla giustizia, alla prudenza, e alle altre
virtù umane. Quando l’uomo decade da questa tendenza è fragile
nella sua volontà e nella sua intelligenza e non raggiunge il suo
bene connaturale, che è il bene di queste virtù acquisite con
l’esercizio delle attività umane; quando l’uomo non lo raggiunge
cade nell’infelicità perché è fatto per operare, e la felicità
si raggiunge – la felicità umana proporzionata – con
l’operazione appropriata, virtuosa o forte. In latino virtù viene
proprio da forza.
Quando
l’uomo decade a questo livello prepara la sua propria distruzione.
Ogni atto che è disordinato è un atto che va contro la sua stessa
natura. Dunque come si rimedia a ciò? Bisogna dire, dal punto di
vista dell’individuo, attraverso l’azione della grazia, che è la
partecipazione della vita divina in noi, e che possiede due funzioni:
restaura la nostra natura e poi la eleva.
In
ultima istanza si rimedia a quel decadimento con l’unione a Cristo.
La
grazia non è solamente un dono per l’individuo ma possiede una
dimensione che trascende l’individuo, che unisce a Dio e agli altri
che hanno la grazia, e, in questa maniera, si costituisce il Corpo
Mistico di Cristo, che è la Chiesa.
La
salvezza ci viene dalla nostra incorporazione alla Persona Divina di
Cristo. Noi e Cristo, dice San Tommaso in diverse sue opere,
“formiamo come un’unica persona mistica”1.
Una persona mistica che è per lui la descrizione della Chiesa unita
al suo Capo. Questa persona così conformata è, chiaramente, divina.
Di modo tale che, quando siamo incorporati a questa persona mistica,
siamo anche divinizzati, e questo è ciò che realizza la grazia.
Però
siccome Dio è l’autore della natura umana, quando siamo
divinizzati siamo anche restaurati nella nostra natura umana.
Giungendo alla fonte di questa natura umana, che è Dio e la sua idea
dell’uomo – come dicevano i Padri della Chiesa e gli autori
scolastici – acquistiamo nuovamente la nostra idea. Quando ci
uniamo a Dio, che possiede la nostra idea e la nostra realtà piena,
realizziamo la nostra propria idea. Il modello, a partire dal quale
noi siamo, lo acquistiamo con la nostra unione a Dio, però lo
acquistiamo sopra-naturalmente, perché con le nostre forze umane non
riusciamo a realizzarlo.
Sovente
si suole dire che la grazia presuppone la natura; tuttavia non è
un’espressione così perfetta, giacché può lasciar intendere
erroneamente – e alcuni cattolici lo hanno inteso così – che c’è
un livello naturale che può essere ricomposto per mezzo delle forze
naturali, eventualmente di uno psicologo, per poi giungere al livello
soprannaturale; di modo tale che non si può giungere a questo
livello soprannaturale senza la previa restaurazione del livello
naturale con metodi umani. Questa prospettiva non è adeguata alla
fede, come non è neanche adeguata all’azione della grazia,
all’esperienza e alla verità di una antropologia teologica
profonda.
Cioè,
la natura umana non può essere restaurata a nessun livello senza
l’influsso della grazia. Sebbene nelle tappe iniziali di questa
restaurazione non sia presente in pienezza la grazia santificante –
non ci sia la presenza piena di Dio -, tuttavia tutto ciò che si
realizza a questo livello iniziale si realizza in ordine alla grazia
di Dio. È così, benché molte volte quello che si osserva sia
puramente di ordine naturale, e benché la persona sia eventualmente
aiutata da uno psicologo – o da chicchessia – apparentemente solo
nell’ordine naturale.
Con
questo vogliamo dire che c’è sempre un’azione nascosta della
grazia e, soprattutto, c’è una ordinazione alla grazia di Dio con
la quale unicamente la natura
umana si restaura in pienezza.
San
Tommaso possiede un’analisi molto profonda di questo tema, proprio
in relazione a Cristo. Il dottore comune insegna che poiché Cristo è
l’uomo perfetto – perché è Dio come Persona ed è piena e
perfetta natura umana, perché è l’uomo perfetto -, possiamo
acquistare la nostra perfezione umana solamente in unione con Lui.
Quando ci uniamo a Cristo per la grazia, che è un dono
soprannaturale, ci uniamo anche all’umanità di Cristo.
Precisamente,
unendoci a questa umanità in un modo misterioso – per la grazia –
acquistiamo la sua perfezione. E non soltanto la perfezione di questa
umanità di Cristo, ma anche una perfezione più grande, perché
questa umanità è quella di Dio, e così anche la nostra umanità
comincia ad essere un’umanità che appartiene a una realtà
superiore. Questa realtà è quella della nostra persona elevata
dalla grazia e in relazione con le Persone divine. Così come le
Persone divine si trovano in relazione tra loro – e soprattutto
sono relazione reciproca: il Padre in relazione con il Figlio, il
Figlio con il Padre, lo Spirito con il Padre e il Figlio, etc. –
anche noi cominciamo a vivere in relazione con le Persone divine.
Acquistiamo così un livello di realtà e di personalità che è
superiore. Questa è la vera pienezza della vita umana e, inoltre, è
l’unico modo per acquistare la perfezione della natura umana:
l’unione con l’umanità piena di Cristo.
Per
illustrare in modo più dettagliato ciò che abbiamo appena detto,
faremo alcuni riferimenti alla terza parte della Somma,
nella quale San Tommaso tratta della mente di Cristo2.
Si
dice lì che la mente di Cristo è la parte principale della sua
umanità dal punto di vista naturale. In essa, chiaramente,
l’essenziale è la sua intelligenza.
Cristo
ci salva con la sua mente, cioè, principalmente ci salva con la sua
intelligenza. Però non si tratta di una intelligenza qualsiasi, ma
la sua intelligenza è l’intelligenza umana di Dio, di una Persona
divina. Ci salva, quindi con la sua intelligenza pienamente elevata
dalla grazia e configurata a Dio, fatta contemplatrice della stessa
essenza di Dio. In Cristo -nell’intelligenza di Cristo – si
compie anticipatamente il destino di tutta la natura umana e di ogni
persona umana, che è contemplare Dio, vedere faccia a faccia Dio.
Perciò
l’affermazione della visione beatifica dell’umanità di Cristo
rappresenta una dottrina molto importante di San Tommaso. Questo vuol
dire che Cristo con la sua intelligenza umana, anche prima della sua
risurrezione e nella sua vita mortale, vedeva l’essenza di Dio. E
San Tommaso offre vari argomenti per dimostrarlo.
Lo
dimostra in primo luogo a partire dalla pienezza della grazia. Essa
implica la visione di Dio, perché è quella che possiedono i santi
nel cielo. Cristo, essendo il Figlio di Dio, ha, senza dubbio, la
pienezza della grazia. L’umanità di Cristo è unita
ipostaticamente alla Persona divina, e così ha in pienezza la grazia
di Dio, perché averla è essere come Cristo è. Dunque, Cristo aveva
la visione beatifica, dato che è inclusa nella grazia di Dio. Avere
la visione beatifica è come il coronamento della grazia.
Un
secondo argomento per dimostrare la visione beatifica di Cristo è la
sua missione salvatrice. Cristo è la Persona del Verbo di Dio fatto
uomo perché Cristo è il salvatore di tutti gli uomini. Per questo
si incarnò; non si incarnò per acquistare una perfezione di cui non
ha bisogno (perché già ha ogni perfezione, proprio per il fatto di
essere Dio), ma per attrarre noi alla sua perfezione, il che
significa salvarci. Cristo ci salva attraverso la sua umanità, ci
salva come uomo. Questa è, in effetti, la sua funzione di Salvatore.
E Cristo ci salva con la parte principale della sua umanità, che è
la sua anima e, pertanto, la sua intelligenza. Nella sua intelligenza
ci salva per mezzo di questa funzione principale che è la visione di
Dio, perché salvarci vuol dire condurci alla visione di Dio. Gesù
Cristo ci salva con la sua intelligenza perché Lui ci dà ciò che
ha in pienezza.
Certamente
possiede in pienezza la visione di Dio e, per questo, la consegna a
noi: Cristo ci dà la sua contemplazione. In questo modo restaura la
nostra mente, cioè la nostra intelligenza. L’intelligenza di
Cristo è un’intelligenza più grande di quella di qualsiasi uomo
che sia esistito sulla faccia della terra. E così la nostra, quando
siamo uniti alla natura di Cristo per mezzo della grazia, si restaura
e si eleva, si fa perfino più perfetta anche dal punto di vista
naturale. Per questo le persone che stanno in grazia di Dio tendono a
diventare più intelligenti di altre, le quali naturalmente sono
intelligenti, ma perdono l’uso della loro intelligenza a causa
delle tenebre del peccato.
In
altri termini, quando ci uniamo all’intelligenza di Cristo la
nostra mente si restaura. Questo è il fondamento dell’ordine
sacramentale, dato che i sacramenti sono come un ponte tra noi –
situati qui, in questo luogo e in questo tempo – e Cristo – che
esiste ora in cielo e anche in terra, per il fatto di essere Persona
divina -. Egli è esistito prima nel tempo: l’azione di Gesù
Cristo come uomo, anche quando era in questa vita mortale, ci giunge
fino ad oggi ininterrotta nella Chiesa, sacramento fondamentale, e
nei sacramenti, che sono i mezzi attraverso i quali ci uniamo a
Cristo e riceviamo la sua azione.
Vogliamo
inoltre aggiungere che la mente di Cristo è la mente più unificata.
Quando ci disponiamo a pensare alla mente di Cristo è indispensabile
fare il percorso contrario a quello che si fa in alcune teologie, che
è questo: partire dalle affermazioni di una psicologia modellata sui
dati empirici di una normalità anch’essa empirica, per applicare
successivamente questi dati a Cristo. In effetti, se prendiamo questa
strada – e facciamo ciò che suole denominarsi una “teologia dal
basso” o una “Cristologia dal basso” – il risultato, in
ultima istanza, è la proiezione dei difetti della mente umana,
specialmente dei più gravi, come l’ignoranza e il peccato, alla
mente di Cristo. Ed è per questo motivo che molte persone immaginano
la mente di Cristo come la mente di un qualsiasi peccatore avvolta
nell’oscurità e per di più, in un certo modo, indebolita dal
peccato. Per fare un vero esame di Cristo dobbiamo ricorrere al
cammino opposto, che è quello che fa San Tommaso. Dunque, la
dottrina dell’Angelico è di una teologia dall’alto, una teologia
che comincia dal fatto che Cristo è Persona divina – come crediamo
noi cristiani -; cioè del fatto che
Cristo
sta in cielo e non ha mai smesso di starci e che è veramente Santo.
Infine si tratta di una Cristologia che parte dal fatto certo – per
la fede – della condizione divina di Cristo.
Cristo
non solo non assume i difetti dell’ignoranza e del peccato, ma Lui,
proprio perché non ha questi difetti, può liberare noi da questi
difetti. Per questo si è incarnato, cioè per liberarci
dall’ignoranza e dal peccato. Per questo se abbiamo l’esperienza
di una mente umana segnata dal dolore dell’ignoranza e dal peccato,
non possiamo proiettare la stessa cosa su Cristo, ma fare proprio il
contrario. Si tratta piuttosto di pensare che se Cristo è
assolutamente Santo nella sua mente ed è lucido nella sua
intelligenza e nella sua coscienza – nella sua conoscenza di sé -,
noi, unendoci a Lui, acquisiamo il suo stato di coscienza, il quale è
assolutamente unificato. In Cristo la mente è tutto il contrario che
divisa in sé; ha tutto il contrario di una dualità psichica.
Cristo, invece, ha un modo di vedere totalmente unificato, nel
rispetto, ovviamente, della diversità di nature, e pertanto, della
diversità di scienze o abiti di conoscenza che ci sono nelle sue
nature. Ma nessuno di questi abiti di conoscenza entra in
contraddizione con l’altro.
Pertanto,
seguendo San Tommaso, Cristo ha la scienza divina. Questa fa sì che
Lui – che, insistiamo, è Persona divina ma che è un uomo, perché
ha natura umana – conosca assolutamente ciò che è Dio senza che
gli manchi di conoscere nulla di quello che Lui è. Perciò non manca
in Cristo conoscenza di tutto ciò che c’è nella creatura; ma
soprattutto di tutto ciò che sono tutte le cose, proprio
perché le ha create Lui. Bisogna attribuire questa conoscenza divina
a Cristo – a Cristo Dio e a Cristo uomo -, perché questa Persona
che è uomo ha tutta questa conoscenza divina, vale a dire, la
conoscenza del Creatore. Perciò Cristo conosce assolutamente se
stesso e ha una coscienza chiarissima e assoluta – sino a
comprendere tutto – di chi Lui è. Diciamo quindi che la conoscenza
umana di Cristo appartiene alla sua natura umana, e con questa
conoscenza umana ci ha salvato. Dunque, in che consiste la conoscenza
umana? Passiamo ad analizzare questa questione.
In
primo luogo bisogna dire che consiste nella visione beatifica. In
effetti la sua intelligenza è così elevata dalla grazia che diventa
capace di vedere l’essenza divina. È come il prolungamento
nell’ordine operativo di quello che succede nell’ordine
ontologico. Certamente, nell’ordine ontologico Cristo è Persona
divina; la sua umanità è unita ipostaticamente alla divinità in
una stessa Persona o Sostanza. Allo stesso modo nell’operazione c’è
una conoscenza umana perfettissima che è unita alla conoscenza
divina: è, esattamente, la visione beatifica. Con questa conoscenza
vede l’essenza di Dio.
In
secondo luogo, c’è in Cristo una conoscenza che consiste nella
scienza infusa. Per mezzo di essa, Cristo conosce tutto ciò che può
conoscere qualsiasi intelligenza; anche quella degli angeli più
elevati. Ma perché succede questo? Perché l’intelletto possibile
di Cristo, come spiega San Tommaso, è in potenza a tutti gli
intellegibili. Questa potenza, perché Cristo abbia una conoscenza
perfetta, deve passare all’atto, cioè, deve essere realizzata. E
per questo Cristo – in modo soprannaturale, perché ciò non si può
realizzare naturalmente – ha l’intelligenza di tutte le cose, e
tale è la scienza infusa.
Analogamente
al modo in cui gli angeli ricevono le idee da parte di Dio senza
necessità di ragionare e senza necessità di fare un processo di
astrazione, Cristo possiede anche una scienza che possiamo chiamare
sperimentale o acquisita. Certamente Cristo ha un intelletto agente
come il nostro, cioè una capacità intellettuale di astrazione, di
attuazione di ciò che sta in potenza nelle immagini sensibili delle
cose. Cristo, dice San Tommaso nella terza parte della Somma,
nella questione 7, non potrebbe passare all’atto ed essere perfetto
senza usare il suo intelletto agente. E per questo Cristo, pur
essendo la seconda Persona della Trinità, comprende come noi, fa
esperienza delle cose come noi. Con questa conoscenza sperimentale
può crescere, proprio perché prima conosce una cosa, poi ne conosce
un’altra diversa, dopo ne conosce una terza, e così
successivamente.
Bisogna
tuttavia chiarire che la Persona divina del Verbo, considerata
globalmente, totalmente, non cresce in conoscenza. È così perché
sa già assolutamente tutto, perché è Dio e ha scienza divina.
Sicché come si inseriscono le conoscenze umane? Ebbene, le
conoscenze umane si uniscono alle conoscenze divine senza annullarsi.
E proprio qui troviamo il mistero. Così come nella unione ipostatica
la natura umana si unisce alla natura divina nella Persona, che è la
totalità di ciò che Cristo è, e che è divina, così anche la
conoscenza umana si unisce alla conoscenza divina di Cristo. E non la
fa crescere, ma aggiunge qualcosa di nuovo, dà qualcosa di nuovo
alla creatura. Di fatto tutto il cambiamento che avviene sta nella
creatura. È la creatura che adesso comincia ad essere uomo in
Cristo. Ed è così anche per la conoscenza creata che adesso
comincia ad essere in Cristo, ad essere con l’essere divino della
Persona di Cristo.
Ovviamente
questo è misterioso. Si tratta di qualcosa che supera l’intelligenza
umana perché è il mistero dell’Incarnazione. In modo tale che non
possiamo comprendere come Cristo conosce, perché siamo persone umane
e Cristo è una Persona divina.
Come
abbiamo sottolineato, Cristo non è una persona umana; tuttavia la
coscienza appartiene alla persona. Per questo dobbiamo concludere che
la mente di Cristo è totalmente unificata come Persona divina, ma
non come persona umana – che non è -. In modo tale che non
possiamo proiettare la nostra condizione di persone umane e la nostra
coscienza umana a quella che è la Persona divina di Cristo. Dobbiamo
fare proprio il contrario, e unendoci al mistero della Persona divina
di Cristo, scorgere e sperimentare cosa significa l’unificazione
della nostra personalità: perché Cristo è uno, è Dio e uomo in
uno, ed è la Persona del Verbo. Così, unendoci a Cristo mediante la
fede, possiamo sperimentare l’unificazione della nostra
personalità, cioè l’unificazione del nostro lato soprannaturale e
del nostro lato naturale; e dentro al nostro aspetto naturale, anche
l’unificazione dei nostri diversi livelli di personalità.
Dobbiamo
allo stesso tempo affermare che Cristo è perfettamente uno, non solo
nella sua divinità, ma anche nella sua umanità. Diciamo “uno”
nel senso di “unificato”, di “unito”. Così anche noi
acquistiamo l’unità, l’assenza di molteplicità (che è una
imperfezione) grazie all’unione a Cristo e, specialmente, alla sua
mente. Per questo ci dice San Paolo che “dobbiamo conformarci al
pensiero di Cristo”3,
vale a dire, giungere, in un modo soprannaturale, ad avere la stessa
forma della mente di Cristo.
Cristo
ha sia la pienezza della scienza divina che la scienza umana.
Dunque,
questo costituisce un vero mistero, poiché come può Cristo avere
una scienza umana? È quello che si domandavano i medievali, ed è
quello che si domanda San Tommaso. Come può essere che Dio abbia una
scienza umana? Questo è il mistero, ma è un mistero anche il fatto
che Dio possa essere uomo. Si tratta, esattamente, dello stesso
mistero che continua nell’ordine operativo.
Nell’articolo
secondo della questione nona della terza parte della Somma,
San Tommaso si chiede se Cristo aveva la scienza che hanno i beati.
Risponde dicendo:
“Ciò
che è in potenza, passa all'atto per mezzo di ciò che è in atto:
bisogna che sia caldo ciò che scalda le altre cose. Ora, l'uomo è
in potenza alla scienza dei beati che consiste nella visione di Dio
ed è destinato ad essa come a suo fine, essendo la creatura
razionale, fatta com'è a immagine di Dio capace di quella conoscenza
beata”4.
Cioè
l’uomo, come dicevano i Padri della Chiesa, “est capax Dei”, è
capace di Dio perché è immagine di Dio.
“Ma
gli uomini giungono a questo fine della felicità per mezzo
dell'umanità di Cristo, secondo il testo paolino: "Era giusto
che colui per il quale e dal quale sono state create tutte le cose,
avendo condotto alla gloria molti figli, elevasse alla perfezione con
le sofferenze l'autore della loro salvezza". Perciò era
necessario che la conoscenza consistente nella visione di Dio fosse
in Cristo nella maniera più eccellente, perché la causa deve sempre
superare l'effetto”5.
Cristo
è causa della nostra salvezza e, pertanto, è necessario che sia
superiore a ciò che noi acquistiamo. Inoltre Cristo è causa della
salvezza in quanto è uomo. In effetti, è in quanto uomo che Lui dà
a noi la visione di Dio.
La
nostra salvezza si può quindi intendere come una attrazione della
nostra mente verso la mente di Cristo, o meglio, da
parte della mente di
Cristo. Quando la nostra mente rimane unita alla mente di Cristo,
rimane divinizzata, ma insieme alla divinizzazione rimane restaurata,
pienamente realizzata, e per questo gli uomini in senso pieno, sono i
santi. Lo psicologo cattolico Rudolf Allers affermava, giustamente,
che “al di là del
nevrotico c’è solo santo”6.
Ora, che significa nevrosi? Senza dubbio si tratta di uno squilibrio
psichico.
Conformemente
a questo, chiunque non è santo è nevrotico. Dobbiamo dire che ogni
uomo nasce, almeno, con il germe della nevrosi o dello squilibrio
psichico. Se questo squilibrio psichico non è restaurato prontamente
dalla grazia, tende a crescere, a svilupparsi in modo a volte
incontrollabile. Altre volte tende a svilupparsi in modo
apparentemente equilibrato, ma con un equilibrio che non risponde
alla natura umana ma, al contrario, è un sistema artificiale di vita
che l’individuo si costruisce. Questo lo fecero notare alcuni
psicologi acuti, anche non cristiani, come Alfred Adler, che mostrava
come l’uomo costruisce un’immagine di se stesso, che in fondo è
come un succedaneo della salvezza.
D’altra
parte è come un succedaneo della salvezza ciò che sostiene Sigmund
Freud. Freud, in ultima istanza, si riferisce alla salvezza
dell’uomo, benché questa salvezza per Freud sia piuttosto una
“auto-salvezza”. Si tratta di una salvezza mediante la mente, ma
non proprio mediante la mente di Cristo. O forse dobbiamo dire che è
mediante la mente di Cristo, però interpretata in un modo
assolutamente differente dal modo ortodosso che abbiamo visto in San
Tommaso.
In
Freud si tratta di un adattarsi alla mente di quell’uomo che si è
messo al posto di Dio e che si è fatto lui stesso Dio, mentre noi
sosteniamo che l’Incarnazione è il mistero di Dio che viene verso
l’uomo e che assume una natura umana. In Freud è l’uomo che si
salva da solo grazie a un processo mentale che, in certo qual modo, è
transpersonale, e che supera l’individuo personale.
In
altre parole, nel pensiero di Freud, come in modo più radicale in
Hegel, è un processo quello che salva l’uomo, non già una
persona. Nel Cristianesimo è una Persona che salva l’uomo, quella
che dà la vera salute psichica all’uomo: questa persona è Cristo,
la Persona divina del Verbo di Dio.
Altri
tipi di pensiero come quello che abbiamo segnalato, al contrario,
intendono sempre la salvezza come l’ingresso in un processo, che in
definitiva è un processo dialettico – come nella filosofia
idealista -, o un processo analitico interminabile – come dice
Freud; cioè, una psicoanalisi, che è interminabile e che non giunge
mai a nessuna perfezione, proprio perché non c’è la perfezione
metafisicamente parlando -. In questo genere di pensiero, ogni
perfezione è imperfezione, il processo che continua all’infinito,
la “cattiva infinitezza” come direbbe Hegel. Un processo che non
termina mai e, come direbbe Freud, una piena coscienza di questo
processo: questa è la salvezza umana.
In
Cristo, al contrario, assimiliamo una salvezza assolutamente diversa.
Si tratta della partecipazione alla pienezza di questa scienza che
Cristo ha nella sua umanità, nella sua intelligenza, e che è la
visione piena di Dio. Ci assimiliamo così a una Persona e ci
facciamo, anche, persone superiori. Così siamo partecipi della
Personalità divina di Cristo e, per questo, siamo fratelli di
Qualcuno che è il Capo, è il Primogenito di tutti i fratelli e di
tutta la creazione, come dice San Paolo: ὅς ἐστιν εἰκὼν
τοῦ θεοῦ τοῦ ἀοράτου, πρωτότοκος πάσης
κτίσεως
7.
Orbene,
come giunge a noi questa grazia di Cristo? Bisogna dire che ci giunge
dai sacramenti.
Evidentemente
qui non abbiamo tempo sufficiente per trattare dei sacramenti, però
ci basta di sapere che i sacramenti concretizzano, per la nostra
situazione particolare, il significato della salvezza. Neanche
affronteremo qui il problema della salvezza dei non cristiani o di
coloro che non hanno ricevuto esplicitamente il Vangelo, in quanto
non rientra negli scopi di questo capitolo.
Consideriamo,
piuttosto, cosa significa in sé stessa la salvezza.
Per
ricevere la salvezza è necessaria l’incorporazione a Cristo, e
questa incorporazione viene data dal Battesimo, che è il primo dei
sacramenti. Grazie ad esso siamo fatti membra del corpo di Cristo e
siamo divinizzati con Cristo. Perciò nel Battesimo si lascia il
peccato e si riceve la grazia, la quale è incompatibile con il
peccato grave. Quando qualcuno riceve il Battesimo gli vengono
cancellati i peccati, a qualsiasi età lo riceva. Non esistono più,
per il fatto stesso di venire battezzato, in più, non ha bisogno di
confessarli. Si è fatti uomini nuovi, come dice San Paolo8.
Ma
che vuol dire “uomo nuovo”? Vuol dire che la natura corrotta ha
lasciato posto a una natura restaurata. Tuttavia succede che questa
natura è restaurata solo nel più profondo dello spirito. Ma questa
restaurazione psichica non è ancora giunta a tutti i livelli della
personalità, più periferici ed esteriori. E per questo nella
questione 109 della Prima Secundae San Tommaso dice che lo
spirito riceve la grazia e si restaura, ma la carne non è stata
ancora restaurata come lo è stato lo spirito. È necessario,
pertanto, un lungo lavoro di purificazione delle deformazioni che
esistono ai livelli inferiori della personalità.
In
questo senso la grazia è compatibile, non già con il peccato
mortale ma con i peccati veniali, che sono le deformazioni della vita
umana che non implicano una avversione a Dio e una conversione alle
creature. Significano piuttosto un deterioramento, un raffreddamento
del cammino verso Dio. Ma questi peccati veniali possono strutturarsi
e convertirsi in vizi: precisamente in vizi di peccati veniali.
Questi vizi sono la base di quello che potremmo chiamare la nevrosi
di chi è in grazia di Dio. Si tratta di diverse dimensioni della
personalità che possono chiamarsi, come abbiamo detto, “vizi di
peccato veniale”.
A
volte non si tratta solo di peccati veniali. In effetti può
succedere che la persona sia apparentemente cristiana, ma che abbia
un peccato nel fondo della sua anima e che per questo sia separata da
Dio. Però supponiamo per un momento che si tratti di una persona che
sia in grazia di Dio. In primo luogo bisogna dire che il fatto che
sia in grazia non implica che sia totalmente unificata. Al contrario,
deve crescere fino a configurarsi a Cristo per ottenere la perfetta
unificazione e, pertanto, far sì che spariscano questi peccati
veniali. Questo certamente esige un lungo lavoro, una fedeltà alla
grazia, che si manifesta anche a livello naturale come una iniziativa
dell’individuo stesso. L’individuo deve lavorare perché vengano
cacciati questi peccati con l’impulso della grazia; ma deve
lavorare lui stesso.
I
peccati sono come una fonte di pigrizia mentale, e senza il lavoro
profondo della persona sul suo proprio spirito, -eventualmente con
l’aiuto di qualcun altro, che può benissimo essere uno psicologo
che capisca quello di cui parliamo qui – cioè, senza l’aiuto del
lavoro proprio, o di un altro, non ci si può liberare di questi vizi
profondi e degli atti dei peccati veniali.
Soltanto
il santo, cioè colui che ha la vita di grazia pienamente sviluppata,
è liberato da tutti questi vizi e, pertanto, da tutte queste
deformazioni della personalità. Però, come sappiamo, i santi sono
veramente pochi; in effetti, quelli che giungono alla pienezza della
vita spirituale sono pochi, proprio perché sono pochi quelli che
vogliono essere generosi e vogliono intraprendere il duro cammino che
porta alla trasformazione personale, alla liberazione da tutti i
peccati – anche i minimi -, da tutti i vizi che rendono pesante la
personalità anche dei cristiani.
La
realtà è che sono pochi i santi e, per questo, abbondano i
nevrotici. E se a volte i cristiani sembrano più nevrotici dei non
cristiani è perché sono spesso più incoerenti degli altri. I non
cristiani sembrano meno nevrotici semplicemente per il fatto che sono
appiattiti sui loro vizi gravi; pertanto sono ben radicati e da lì
nessuno li stacca/schioda, e sono coerenti a quello che sono. Il
cristiano è qualcuno che, se non è santo, è in un certo modo
incoerente perché, da un lato, tende alla santità e, dall’altro
lato, possiede i vizi, per lo meno residuali, dell’uomo vecchio.
Si
rende, quindi, necessaria, per il fatto che siamo cristiani, una
profonda coerenza, un profondo cammino di coerenza che conduca alla
santità. Lo psicologo può aiutare la persona a prendere coscienza
della necessità di coerenza e la può anche aiutare affinché noti i
suoi propri vizi, si renda conto delle sue strutture disordinate e
della mancanza di coerenza tra i suoi ideali e i mezzi che mette in
campo per raggiungerli. Questo è, in effetti, il vero compito di uno
psicologo o di un direttore spirituale che, a questo livello, non
sono per nulla contrapposti; perché un direttore spirituale fa le
veci di psicologo, e uno psicologo fa le veci di direttore
spirituale, in questo senso.
Non
in quello di applicare tecniche e attrezzi – la cui efficacia suole
essere relativa -, ma nel senso di aiutare la persona a cogliere la
profondità del dinamismo della sua personalità. Poiché anche il
sacerdote quando aiuta una persona, non lo fa sempre in quanto
sacerdote – benché, di fatto, intervenga la grazia sacerdotale –
ma in quanto è un cristiano. Ogni cristiano ha il dovere di aiutare
l’altro, e questo lo fa sia il sacerdote che il laico.
Però
bisogna chiarire che né il laico né nessuno psicologo può fare ciò
che fa il secondo dei sacramenti ai quali ci riferiremo, che è il
sacramento della Penitenza. In effetti nessuno psicologo può
togliere la colpa. Molte volte vediamo che le persone ricorrono agli
psicologi, specialmente agli psicoanalisti, perché tolgano loro la
colpa, come si dice abitualmente. Però gli psicologi non possono
fare questo. Ed è proprio questo il problema degli psicologi, vale a
dire, che non hanno la forza di togliere la colpa, perché la colpa
la può togliere solo Dio.
È
così proprio perché il peccato è un’offesa a Dio. Questa implica
la perdita dell’amicizia con Lui. L’uomo, quando è liberato
dalla sua colpa recupera l’amicizia perduta con Dio; e perciò
l’uomo che è in stato di peccato grave sente un profondo vuoto, un
profondo disordine che proviene dal fatto che si trova contro Dio,
volta le spalle a Dio. Soltanto Dio lo può richiamare alla sua
amicizia, perché essere amico è una cosa volontaria: non è un
processo dialettico, non è porsi “in sintonia con Dio”, ma è
essere amico di Dio. Certamente solo le persone sono amiche e niente
altro, di modo tale che l’amicizia è un atto personale.
Soltanto
Dio può offrire di nuovo la sua amicizia quando è perduta. Ed è
questo che fa il sacramento della Riconciliazione o Penitenza: fa
recuperare l’amicizia con Dio e pertanto cancella la colpa.
La
colpa è incompatibile con l’amicizia con Dio. Per questo il
sacramento della Riconciliazione, da una parte, instaura l’amicizia
con Dio e, dall’altra, restaura la natura, nel senso che fa
compiere nuovamente l’ordine naturale e dà la forza per compierlo.
Se la persona era ingiusta perché aveva peccato, nel sacramento
della Riconciliazione diventa giusta, cosa che include restituire ciò
che ha rubato; così si restaura la natura. Se la persona era poco
prudente, diventa prudente con il sacramento della Confessione. Se la
persona ha peccato contro la castità, diventa casta con il
sacramento della Confessione, che implica sempre l’abbandono del
peccato.
Il
sacramento restaura la natura e la eleva, conferisce la grazia.
Quando qualcuno accede al sacramento della Riconciliazione, dice San
Tommaso, può ricevere la grazia nello stesso grado in cui l’aveva
prima, in misura minore, o in misura maggiore. È così perché si
tratta di nascere una seconda volta. Per questo diceva San Girolamo,
citato da San Tommaso nella Somma
Teologica: “la
penitenza è la seconda tavola dopo il naufragio"9.
In effetti, nel naufragio abbiamo la nave o la barca per andare verso
Dio in mezzo al mare di questo mondo, come dice San Tommaso; dopo il
naufragio, durante il quale perdiamo la nave, ci aggrappiamo alla
tavola. Ed è questo che fa la Confessione: ci restaura nell’amicizia
con Dio.
Orbene,
la confessione non solo toglie il peccato mortale, che è quello di
cui abbiamo parlato finora – ma toglie anche il peccato veniale.
E per questo, quando riceviamo il sacramento della Riconciliazione,
se siamo in stato di grazia ma abbiamo peccato venialmente, come
succede spesso, questo sacramento ci cancella i peccati veniali e ci
fa crescere nella natura in quanto la rettifica; toglie man mano i
vizi, genera man mano le virtù e ci perfeziona nel nostro stato di
grazia.
Il
fatto che quando qualcuno va a confessarsi non cambia immediatamente
non dipende dall’imperfezione della confessione, ma
dall’imperfezione delle disposizioni di chi si va a confessare. In
effetti, molte volte l’individuo si va a confessare ma non ha
sufficiente fede nel sacramento della Riconciliazione, o non ha
sufficiente pentimento, che è già frutto della grazia di Dio. Altre
volte non è perseverante rispetto ai propositi di emendazione che
erano impliciti in una buona Confessione. E anche supponendo che la
Confessione sia ben fatta, cioè che abbia tutti questi elementi, può
succedere che il disordine della personalità sia talmente profondo
che non sia sufficiente la ricezione del sacramento della
riconciliazione. Perché? Proprio perché i peccati, compresi quelli
veniali, lasciano conseguenze nell’ordine naturale.
A
questo punto possiamo fare un’analogia classica. Chi è ubriaco –
e lo è abitualmente subisce un deterioramento anche nell’ordine
naturale, compreso quello corporale, dal quale non si può uscire
immediatamente. Addirittura talvolta non ne potrà proprio uscire in
questa vita finché la persona muore e recupera la sua pienezza
naturale e corporale nella resurrezione dei corpi.
Analogamente
il fatto che una persona riceva la grazia di Dio non significa
immediatamente la restaurazione di tutte le dimensioni della
personalità, ma spesso si richiede una crescita molto intensa nella
grazia secondo la misura del dono di Dio perché questa personalità
si restauri. Per questo motivo, in condizioni normali, si giunge alla
santità quando si è fedeli alla grazia in un modo costante e per
molto tempo, benché Dio non sia in alcun modo legato alle condizioni
naturali: in effetti può rendere santo chiunque. Tuttavia
normalmente Dio coordina l’ordine naturale con quello
soprannaturale, non solo perché è l’autore di entrambi, ma anche
perché dispone un cammino pedagogico attraverso il quale possiamo
giungere al punto più alto dell’unione con Lui nel modo più
accessibile a noi. È proprio per questo che, generalmente, è
necessaria una fedeltà alla grazia che duri molto tempo e che sia
molto intensa, per poter giungere così a una profonda trasformazione
della propria natura individuale.
Come
dicevamo prima, ciò che fa la Confessione non lo può fare lo
psicologo. Dicevamo anche che è così perché perdonare il peccato,
compreso il peccato veniale, significa conferire la grazia e
stabilire amicizia con Dio, e questo è un atto personale di Dio,
delle tre Persone Divine.
Diciamo
in questo modo che il sacerdote, nel sacramento della Confessione,
opera in persona di Cristo, così come opera in Persona Christi
anche nel sacramento dell’Eucarestia, quando confeziona
l’Eucaristia e fa presente il Corpo e il Sangue di Cristo mediante
la transustanziazione.
Per
fare ciò è necessario, effettivamente, un potere divino. Ed è
precisamente quello che ha il sacerdote, il quale è configurato alla
Persona di Cristo. A questo livello non può giungere nessuno
psicologo.
Pertanto,
insistiamo, solamente Dio può perdonare i peccati. Per questo i
Giudei misero a morte Cristo: perché compresero che, perdonando i
peccati, si faceva come Dio -si faceva Dio, era Dio, si proclamava
Dio, dato che solo Dio può perdonare i peccati -.
E
con questo giungiamo all’ultimo dei sacramenti di cui vogliamo
trattare, che è il sacramento dell’Eucaristia. In esso è
contenuta tutta la perfezione umana naturale e soprannaturale, perché
l’Eucaristia contiene Cristo, il quale è pienamente Dio e
pienamente uomo. La ricezione dell’Eucaristia presuppone lo stato
di grazia, l’amicizia con Dio, proprio perché ne è segno. E in
più produce o aumenta questa amicizia con Dio: per questo si chiama
“Comunione”.
È
unione con le divine Persone, a cominciare dalla Persona di Cristo,
che è quella che si riceve immediatamente. La comunione ci assimila
alla Persona divina di Cristo attraverso la sua umanità perché ci
uniamo direttamente ad essa. In primo luogo al suo Corpo e al suo
Sangue e, poi, a tutta la sua umanità e la sua anima. In secondo
luogo, attraverso la sua umanità, ci uniamo alla sua divinità.
Nell’Eucaristia
è contenuta la pienezza della grazia.
Però
succede che, come abbiamo avuto modo di segnalare precedentemente,
quando riceviamo l’Eucaristia, in generale, non lo facciamo con la
disposizione adeguata. Per questo non siamo in grado di ricevere
tutto il potenziale di cambiamento, di restaurazione della mente
umana che si trova nell’Eucarestia, il sacramento più elevato, e
al quale sono ordinati tutti gli altri. In effetti siamo pieni di
peccati veniali che attenuano l’effetto della grazia e pongono
impedimenti perché la grazia scenda a tutti i livelli della nostra
personalità.
Per
questo motivo possiamo affermare che se l’individuo riceve
l’Eucarestia senza alcuna previa preparazione, o se partecipa alla
Santa Messa ma non ha una preparazione sufficiente – perché, per
esempio, passa la settimana pensando solo a cose esteriori e non a
Dio e all’Eucarestia che riceverà -, è chiaro che la sua mente
non si trasforma. Al contrario la mente umana si trasforma quando si
riceve veramente l’Eucaristia che, in tutta chiarezza, non
vuol dire semplicemente riceverla materialmente, ma riceverla con
fede viva, la quale deve essere proporzionalmente molto più elevata
che negli altri sacramenti, visto che si tratta del sacramento
principale in cui è presente Cristo stesso.
Per
ricevere il frutto del rinnovamento interiore che dà l’Eucaristia,
è necessaria una disposizione adeguata che è frutto della grazia di
Dio. E bisogna, ugualmente, lasciare che l’Eucaristia penetri in
tutti i livelli della personalità. In altre parole è necessario
avere come una permanente consapevolezza di cosa significa questa
ricezione dell’Eucaristia.
Tutto
ciò che abbiamo detto fin qui è, come si può vedere, proprio il
contrario del concepire i sacramenti come un atto magico; in effetti
non sono mezzi di alcun atto di magia, ma il segno della presenza di
Dio e della continuazione degli effetti dell’incarnazione nella
nostra persona.
Pertanto
il modo per ottenere la pienezza della salute mentale – che è la
salvezza dell’uomo – si trova nell’unione a Cristo, che si
ottiene specialmente attraverso la ricezione dei sacramenti nei quali
è contenuto ciò che Cristo è, e gli effetti -fino a quelli più
concreti nella nostra propria vita della redenzione di Cristo.
Una
psicologia che voglia essere pienamente cristiana deve, in ultima
istanza, essere configurata ai sacramenti e alla loro azione. Uno
psicologo che sia veramente cristiano deve essere un’eco
dell’azione dei sacramenti, qualcuno che prepara da lontano
l’azione dei sacramenti: quella del Battesimo, della Penitenza,
dell’Eucaristia e, anche, l’azione dell’Unzione degli infermi.
Lo
psicologo deve essere qualcuno che agisca ministerialmente, secondo
il sacerdozio comune dei fedeli. Tanto più è così se applichiamo
questo agli psicologi laici, al servizio dell’effetto dei
sacramenti, servizio che richiede una profonda umiltà. Certamente il
vero psicologo cristiano, invece di sentirsi qualcuno di onnipotente
– che sta al posto di Dio e aiuta la persona a mettersi al posto di
Dio, come nella psicoanalisi di Freud -, deve essere qualcuno che,
umilmente, non mette se stesso in un luogo centrale, ma porre al
centro l’azione di Cristo per mezzo dei sacramenti.
La
prudenza soprannaturale, che viene dall’azione dello Spirito Santo,
farà il resto. Questo resto è imprevedibile perché dipende dalle
condizioni particolari degli uomini, che non si possono
sistematizzare scientificamente. Dipende anche dal grado di
perfezione della disposizione soggettiva di ciascuno psicologo.
Con
quanto detto qui abbiamo un programma di attuazione di una vera
psicologia.
Speriamo
– con speranza soprannaturale – di realizzarla nella nostra
società con l’aiuto dello Spirito Santo.
1
Cf. Summa Theologiae III q. 48 a. 2 ad 1.
2
Summa Theologiae III q. 9-14.
3
I Cor 2, 16: “Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo” [ἡμεῖς
δὲ νοῦν Χριστοῦ ἔχομεν]. Cf. Fil. 2,5: τοῦτο
φρονεῖτε ἐν
ὑμῖν ὃ καὶ ἐν Χριστῷ
Ἰησοῦ (“
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di
Cristo Gesù”).
4
Summa Theologiae III q.9 a. 2 c.
5
Ibidem.
6
Rudolf Allers, Psicologia
e pedagogia del carattere,
SEI, Torino 1961, p. 299.
7
“Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni
creatura”, Col. 1, 15.
8
Ef. 4, 24: “καὶ ἐνδύσασθαι τὸν καινὸν
ἄνθρωπον τὸν κατὰ θεὸν κτισθέντα ἐν
δικαιοσύνῃ καὶ ὁσιότητι τῆς
ἀληθείας
”
(“e a rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e
nella vera santità”).
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