Carlo Nesti |
Ci siamo già occupati del fenomeno editoriale Il mio psicologo si chiama Gesù di Carlo Nesti. In particolare, abbiamo riportato la bella introduzione che richiama San Tommaso e Rudolf Allers come maestri (dimenticati) della psicologia. Oggi torniamo ad interessarcene, perché Carlo Nesti, giornalista sportivo di lungo corso, ha presentato il suo libro a Torino proprio questa settimana, con una testimonianza davvero interessante. In essa scorgiamo una splendida umiltà, ed una semplicità d'animo tale da permettere all'autore di innamorarsi continuamente di Gesù e di testimoniarlo al mondo, anche al suo mondo, quello giornalistico, potremmo anche dire "borghese", "perbenista" e "politically correct" senza fanatismo, senza bigottismo, senza relativismo. Ci pare di scorgere in questa semplicità il motivo per cui Nesti, che non è uno psicologo, ben apprezzi il contributo di Rudolf Allers: è grazie ad una fedeltà semplice ed appassionata all'esperienza umana, quella per cui ci si rende conto che nulla basta, mentre il cuore desidera tutto, che si può scoprire "l'esperienza di Cristo Presente". E da lì, le verità che Allers e, dietro di lui San Tommaso e tanti altri Dottori e Padri della Chiesa, descrivono più e meglio degli psicologi contemporanei che, a quell'esperienza han deciso di rinunciare. In fondo, ed in questo ci ritroviamo con l'autore, la vita è semplice, così come lo dovrebbe essere la psicologia. Almeno quella che resta legata all'esperienza.
Pubblichiamo il suo intervento e, prima di esso, la breve e simpatica presentazione del libro al Tg3. Grazie Carlo per la sua testimonianza!
13-5-2017
Torino - Circolo dei Lettori
Innanzitutto, grazie per
l’ospitalità e grazie per la vostra presenza.
È mio dovere partire con
qualcosa che potrebbe anche deludervi, ma che per me rappresenta non
un atto di discriminazione fra voi, per carità, non me lo perdonerei
mai, ma molto semplicemente un atto di modestia, da parte mia. Io mi
rivolgerò, in questo intervento, soprattutto, a chi crede nel dio di
Abramo, nel dio cristiano.
Non importa se cattolico,
ortodosso, anglicano, evangelista, testimone Geova, questo non
importa.
Purché siano persone che
credono nel vangelo e nella bibbia, che contiene il vangelo, senza
per forza essere legati ad una chiesa in particolare. sarei un
presuntuoso, infatti, se venissi qui con l’ambizione di convertire
qualcuno.
Avessi questi poteri…mi
basta, e avanza, essere ascoltato e giudicato, per circa 22 minuti, e
giuro che non lo faccio apposta.
22 come i giocatori della
rosa di una squadra di calcio, segno che il pallone è sempre uno dei
miei 3 migliori, e inseparabili, amici, insieme con una penna e un
microfono, fin da quando sono nato.
Nessuno si scandalizzi,
se userò un linguaggio, spero, elementare e divulgativo, anche
perché so quanto è importante la conoscenza, la cultura, ma so
anche che il signore ama i semplici, e io desidero essere semplice.
voglio cominciare dal titolo del mio libro: “il mio psicologo si
chiama Gesù”. Cosa significa?
Significa che esiste un
Gesù, con quanto ha detto e fatto 2000 anni fa, che può darci un
grossa mano nell’impresa più titanica della nostra vita: trovare
la serenità.
Se qualcuno vuole pensare
felicita’, io certamente non mi offendo, ma la felicità è solo
questione di attimi. La vera impresa è conquistare uno stato d’animo
costante, come la serenità, che può anche durare sempre, e sul
terreno della quale fiorisce la felicita’.
Oggi, il mondo è diverso
da quello nel quale visse per 33 anni Gesù.
Quello era un mondo dove
esisteva soprattutto un bisogno più di pancia, di stomaco che di
testa, di anima. un mondo in cui povertà e fame, anche se neppure
oggi, vergognosamente, abbiamo risolto il problema, erano di
proporzioni gigantesche. oggi, invece, c’è un bisogno che ha
sovrastato, nei paesi sviluppati, il bisogno della pancia, ed e un
bisogno di testa.
Aggiungo io un bisogno di
cuore.
Ci sentiamo spesso
stressati, soli, tristi, infelici. Siamo in balia di tensione,
insoddisfazione, invidia, rancore. E questo, anche se a tavola,
almeno a tavola, in teoria, non ci manca nulla.
State certi che, in
questo momento non sto parlando dall’alto di nessun pulpito. Sono
problemi, che riguardano eccome anche chi ha scritto questo libro.
Ed è proprio per questo,
che l’ho scritto: senza essere uno psicologo, senza essere un
teologo ma una persona, che vuole capire, se stessa e gli altri, e
mettere al corrente i lettori delle proprie conclusioni. ebbene: la
conclusione principale scaturisce, per me, da una tremenda assurdità,
della quale stiamo pagando un caro prezzo. La spiego.
Nel momento i cui tutti
ammettiamo di avere problemi interiori, psicologici, spirituali,
anche quando materialmente abbiamo abbastanza, molto, magari tutto,
la psicologia moderna continua a tenere fuori dalla porta proprio ciò
che è metafisico, ciò che va oltre la materia, e riguarda l’anima:
e, fra questi valori, la fede.
È come dire: “Con
questo cacciavite, mannaggia, non riesco ad aprire il forziere. Nel
quale c’è la verità”. Voce fuori campo, naturalmente dall’alto:
“Beh, usa il cacciavite più sottile! È liì, a portata di mano da
secoli!” Risposta scocciata: “No, non mi va, non ci provo
nemmeno. È vecchio di millenni, è superato. non serve più a
nessuno”.
In pratica: nel momento
in cui non ci basta, per essere sereni, quello che vediamo, noi
escludiamo la fede, che è proprio provare a credere in ciò che non
vediamo. la psicologia moderna, infatti, è monopolizzata dalle
filosofie secolarizzate, che cancellano quel vecchio arnese, di nome
religione.
L’austriaco Sigmund
Freud (1856-1939) è sempre una guida per tutti, tanto di cappello, e
sostiene che l’uomo è trino. C’è l’id, che è la nostra parte
inconscia istintiva, primordiale, sessuale. C’è l’io, che è la
nostra parte cosciente, dove si fanno sentire le cose che apprendiamo
dal mondo, come la ragione e la morale. E c’è il super io, che è
la torre di controllo, che media, e dirige il traffico fra le due
forze. Immaginiamo una situazione personale. “Pronto, torre di
controllo del super io, sono l’id, l’istinto. posso decollare?”
e il super io: “No, capitan id, istinto, adesso la pista è
occupata dall’io, dalla ragione. Abbia pazienza, lo dica ai
passeggeri, bisogna mettersi in coda”.
Ora, io non posso che
rispettare un grandissimo maestro, come Freud, al quale si deve la
nascita della psicanalisi.
Ma mi sia consentito solo
esprimere un altro punto di vista.
Nel primo gruppo di
studenti di Freud, c’era un tale Rudolf Allers, anche lui austriaco
(1883-1963), di 27 anni più giovane del maestro, guarda caso, e non
è un caso, l’unico cattolico, fra i suoi allievi. Prima, Allers e
Alfred Adler si staccarono da Freud. successivamente, Allers si
staccò anche da Adler. Di cosa si rendeva conto Allers, tanto da
allontanarsi da Freud e dai suoi seguaci?
Si rendeva conto che
Freud spiegava sì, con il subconscio, le nostre nevrosi, ma non
poteva spingersi fino a darci una certezza di felicità.
L’uomo può anche
trovare un equilibrio fra istinto, ragione e morale, che gli consenta
di vivere degnamente.
Ma solo le origini
dell’uomo, secondo le religioni monoteiste,bebrei, cristiani e
musulmani, che hanno, in partenza, lo stesso dio in comune, ci fanno
capire perché siamo perennemente insoddisfatti, e perché siamo
destinati, comunque, e questo è il lieto fine, a vincere questa
insoddisfazione.
Proviamo a dar credito alla genesi, simboleggiata da Adamo, da Eva, dal paradiso terrestre, e dal serpente tentatore.
Proviamo a dar credito alla genesi, simboleggiata da Adamo, da Eva, dal paradiso terrestre, e dal serpente tentatore.
Proviamo a dar credito
alla metafora dell’uomo, che non si accontenta di quella felicità,
e non si accontenta di essere figlio di Dio, ma vuole diventare
anch’egli come Dio. L’errore decisivo.
Buttare fuori, a porta vuota, la palla della vittoria, all’ultimo secondo della finale dei mondiali! mamma mia: da spararsi! da togliersi la vita! appunto: togliersi la vita!
Buttare fuori, a porta vuota, la palla della vittoria, all’ultimo secondo della finale dei mondiali! mamma mia: da spararsi! da togliersi la vita! appunto: togliersi la vita!
Gesù dice che, nella
personalità non, ovviamente, nella razza, noi siamo tutti
differenti, distinti, e non tutti uguali, come ci vede Freud.
La nostra anima è come
una impronta digitale, diversa da tutte le altre.
Noi non siamo genericamente noi, bensì ciascuno di noi.
Noi non siamo genericamente noi, bensì ciascuno di noi.
Ma c’è un tratto
essenziale comune a tutti noi.
Ed è la ribellione al
destino, che ci tolse, quando gli antenati tradirono dio, due
ricchezze ineguagliabili: la felicita’ e l’immortalità. Pensate
che batosta! La felicita’ e l’immortalità.
Il massimo delle nostre aspirazioni, e cioè vivere infinitamente felici.
Ricordate la frase di Roberto Benigni? “Se la felicità si dimentica di voi, voi non dimenticatevi mai della felicità”. E infatti chi se la dimentica!
Il massimo delle nostre aspirazioni, e cioè vivere infinitamente felici.
Ricordate la frase di Roberto Benigni? “Se la felicità si dimentica di voi, voi non dimenticatevi mai della felicità”. E infatti chi se la dimentica!
Il ricordo della
felicità, che era ed è un nostro diritto perduto, è sempre dentro
di noi. È come un immenso amore non corrisposto.
Noi, nel profondo del
profondo della tristezza, nel profondo del profondo delle viscere,
cercheremo sempre il suo sguardo, i suoi occhi, la sua bocca, i suoi
capelli. Noi abbiamo la felicità nel dna dei dna.
È per questo, con tutto
il rispetto per id, io e super io, che a tutti, spesso, manca,
comunque, qualcosa di troppo importante, che ci fa sentire inquieti,
fragili, scontenti.
E se la psicologia
moderna continuerà a ignorare le nostre origini divine, quelle
nostre mancanze, ma anche le nostre certezze del dopo, e a credere
che Adamo ed Eva siano solo i protagonisti arroganti, ingenui e
sfigati, proprio perché ci rappresentano, di una fiaba infantile,
non saprà mai dare una spiegazione, una speranza e una sicurezza
all’umanità.
Se ci coglie l’angoscia,
la nevrosi, la depressione, anche quando non ne esiste un apparente
motivo scatenante, è perché è incisa dentro l’anima la nostra
storia.
Abbiamo tradito, abbiamo
sbagliato, ci tocca una vita imperfetta e mortale, tanto che,
talvolta, ci verrebbe da gridare: “Fermate il mondo! voglio
scendere!”, come se fossimo al luna park.
Ma Dio ci spiega che
proprio il modo di affrontare questa vita imperfetta e mortale ci
consente di arrivare al premio assoluto, garantito dal sacrificio di
Gesù in croce.
Dopo la morte fisica,
infatti, ci sarà tutto ciò, che cerchiamo durante la vita terrena.
Noi sentiamo, come lo
sentiva il popolo scelto da dio, in cammino per 40 anni nel deserto,
che è poi L’immagine del nostro transito terrestre, che la
felicita’ è la nostra terra promessa.
Piangiamo perché, come
bambini spauriti, vorremmo trovarla subito, ed è questo che ci porta
all’affanno.
Sembra un gioco di
parole: il senso dato alla vita si trova nel senso dato alla
morte.
Se vediamo la morte come punto di arrivo, ci sentiremo obbligati a correre come pazzi, per raccogliere il meglio subito, qui e ora.
Se vediamo la morte come punto di arrivo, ci sentiremo obbligati a correre come pazzi, per raccogliere il meglio subito, qui e ora.
Se, invece, vediamo la
morte come punto di partenza verso la dimensione del paradiso, ogni
evento verrà relativizzato, ogni male verrà ridimensionato, perché
consci del fatto che il meglio deve ancora venire.
La ricchezza, il potere,
il successo sono scorciatoie per arrivare prima del tempo al grande
traguardo.
Ma cerchiamo di essere
sinceri e obbiettivi.
Conoscete qualcuno che,
anche possedendo queste risorse, per carità, desiderate da chiunque,
sia veramente appagato tutti i secondi della propria vita?
L’esistenza esemplare,
senza ferite da rimarginare, non esiste per nessuno.
Ci sono famiglie ricche,
potenti, affascinanti, lasciatemi citare i Kennedy e gli Agnelli, che
hanno patito lutti strazianti.
A quante di queste
risorse avrebbe rinunciato, chi non c’è più, pur di essere ancora
in mezzo a noi?
A quante di queste
risorse avrebbe rinunciato, chi voleva bene a chi non c’è più per
dargli anche solo un’ultima carezza?
Ma la grande notizia, che
ha annunciato Gesù la grande notizia, che dovrebbero annunciare
tutti i tg del pianeta, senza stancarsi mai, magari con dirette-fiume
alla Vespa o alla Mentana, è che la felicita è già nostra, ed è
solo rimandata.
Seguendo Freud, non si
arriva a questa consolazione. Ma seguendo Allers sì. Se tutti
conoscono Freud, e pochi conoscono Allers, è solo perché Freud ha
avuto la fortuna di nascere nel periodo del positivismo, il movimento
dell’ottocento, che considerava unicamente il reale, l’utile, il
misurabile. E tutto il resto era noia, maledetta noia.
L’uomo, stanco delle
ingiustizie del medioevo, provocate anche dalle strumentalizzazioni
della religione, ("io re rappresento Dio, e quindi tu sei un mio
schiavo") riteneva, sbarazzandosi giustamente di queste
ingiustizie, di potere ottenere tutto con la ragione.
Con il progresso, in
effetti, siamo stati meravigliosi, abbiamo inventato in pochi decenni
quanto non era stato inventato per secoli e secoli.
Ma abbiamo dimenticato,
agendo in senso orizzontale, da integralisti, o tutto o niente, e
dimenticando di guardare in su, in senso verticale, il segreto della
serenità.
Credere in Gesù, e
leggere il vangelo, riflettendo su ogni sua frase, significa
trasformarlo nel nostro psicologo personale.
Gesù ci insegna come
imparare a vivere correttamente per ricevere quel premio, come
trascorrere in modo costruttivo questa attesa, che ci rende tutti
forestieri, di passaggio, negli 80-90-magari 100 anni, trascorsi sul
pianeta. leggere la bibbia, della quale fa parte il vangelo,
significa sfruttare le esperienze dei nostri predecessori. Penso ai
libri dei salmi, dei proverbi una miniera di consigli pratici, altro
che teorici.
Il senso biblico, fra i
tanti, è: “io, tuo antenato, ho già attraversato quell’incrocio
pericoloso, e ti voglio indicare come evitare di sbattere contro un
tir, perché potresti farti molto male”.
Seguire la parola del signore significa non rassegnarci ad una attesa passiva, ma vivere una attesa attiva, migliorarci come uomini, perché l’ultimo nostro abito non avrà le tasche. Inutile pensare di portarsi dietro per sempre, ciò che è materiale.
Seguire la parola del signore significa non rassegnarci ad una attesa passiva, ma vivere una attesa attiva, migliorarci come uomini, perché l’ultimo nostro abito non avrà le tasche. Inutile pensare di portarsi dietro per sempre, ciò che è materiale.
Gesù ci dice che il
tesoro, che costituirà la nostra unica valigia virtuale, sarà
costituito da ciò che abita nel nostro cuore. pensate che bello!
Prolungare eternamente i
sentimenti, le emozioni, le commozioni più pure che abbiamo
provato.
le gioie, i sorrisi, gli abbracci, le strette di mano dopo i litigi, il perdono, per quanto spesso arduo come scalare l’Everest. esultare, ricongiunti ai nostri cari, persino, e questa è stata la grande rivoluzione di Gesù, in proporzione a quanto abbiamo sofferto, come spiega nelle beatitudini.
“Beati gli afflitti perché sarà loro il regno dei cieli”.
Per cui nemmeno il dolore è inutile, anche se tutti, umanamente, vorremmo farne a meno, e tutto ha un senso, che capiremo, pero’, solo alla fine.
le gioie, i sorrisi, gli abbracci, le strette di mano dopo i litigi, il perdono, per quanto spesso arduo come scalare l’Everest. esultare, ricongiunti ai nostri cari, persino, e questa è stata la grande rivoluzione di Gesù, in proporzione a quanto abbiamo sofferto, come spiega nelle beatitudini.
“Beati gli afflitti perché sarà loro il regno dei cieli”.
Per cui nemmeno il dolore è inutile, anche se tutti, umanamente, vorremmo farne a meno, e tutto ha un senso, che capiremo, pero’, solo alla fine.
Per concludere, ritengo
di non avere detto nulla che il credente non sappia già. ma il
problema non è sapere.
Il problema è ricordarsi di sapere.
Il problema è ricordarsi di sapere.
Ricordarselo sempre,
senza diventare eroi o martiri, ma padroni di noi stessi almeno nel
metro quadrato, che occupiamo.
Avete presente cosa ci
succede, quando vediamo un bel film, di quelli che trasmettono un
messaggio positivo? usciamo dal cinema diversi, trasformati,
motivati. ma passano un’ora, un giorno, una settimana e il film chi
se lo ricorda più?
La grande scommessa da
vincere, con noi stessi, resta sempre, mentalmente, come il nodo al
fazzoletto dei nostri nonni o bisnonni, quella di mettere la lettera
D davanti ad altre due lettere: “io”. se riuscissimo più spesso
a chiederci non solo se quello che stiamo facendo piace a noi, ma se
piacerebbe anche allo psicologo, Gesù, sarebbe molto
terapeutico.
Sarebbe, parafrasando lo sbarco sulla luna, “un grande passo per ciascun uomo, e un grandissimo passo per l’umanità”.
Sarebbe, parafrasando lo sbarco sulla luna, “un grande passo per ciascun uomo, e un grandissimo passo per l’umanità”.
Grazie della vostra
pazienza!
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