Un altro interessante articolo di Roberto Marchesini apparso su La nuova bussola quotidiana il 7/5/2018.
La rivoluzione a tre teste di Basaglia, nonostante i malati
- Attualità
- 07-05-2018
La «legge Basaglia» è
un campo di battaglia ideologico in cui si sono scontrate tre
ideologie: la psichiatria positivista, l'antipsichiatria di stampo
comunista e il potere dei Radicali. Ma la mancata gestione dei pazienti
da parte delle strutture territoriali ha contribuito allo scontro
ideologico.
Tra i tanti
anniversari che ricorrono quest’anno c’è anche quello della legge 180
del 13 maggio 1978, nota anche come «legge Basaglia». Questa legge ha,
di fatto, chiuso i manicomi in Italia e ha reso il nostro paese il primo
a prendere un simile provvedimento. La portata di questo atto
legislativo va oltre quello (di per sé dirompente) che prescrive; di
fatto la «legge Basaglia» è un campo di battaglia ideologico.
Le parti in campo di questo scontro sono almeno tre.
La prima è quella della psichiatria positivista,
allora imperante. Siamo in pieno darwinismo sociale: eliminata ogni
norma morale e religiosa (che fino ad allora avevano tutelato i più
deboli), vige la legge del più forte. Per permettere il miglioramento
(l’evoluzione) della società bisogna – perlomeno – isolare gli
inferiori: poveri, alcolizzati, malati mentali, disabili… Quando è
possibile, bisogna fare in modo che non si riproducano, diffondendo le
loro «tare». I manicomi sorgono così come luoghi di reclusione per i
«matti», con lo scopo di impedire che «infettino» la società. Ovviamente
sono da richiudere tutti coloro che rischiano di indebolire la
comunità; così finiscono in manicomio reduci, spiantati, ragazze-madri,
dissidenti politici…
Certo, c’è qualche manicomio dove vengono
sperimentate cure «innovative»: assenza di contenzione fisica, la
possibilità di uscire all’aria aperta, in alcuni casi di lavorare… In
genere, però, i manicomi non sono altro che dimenticatoi, nei quali
vengono reclusi tutti coloro che provocano vergogna in attesa che
muoiano. Le condizioni sono, in molti casi, terribili; i maltrattamenti
all’ordine del giorno.
La seconda ideologia è la cosiddetta «anti-psichiatria».
Vale la pena di evidenziare come il lemma «antipsichiatria» sia
piuttosto fuorviante, al punto che i massimi esponenti del movimento non
si riconobbero mai in questo termine. Il nocciolo di questo movimento
di pensiero non è, infatti, la contestazione della psichiatria di per
sé; quanto piuttosto l'uso che il potere (borghese) avrebbe fatto della
psichiatria come strumento di coercizione.
La società ha creato il manicomio come propria
antitesi; la dialettica hegeliana prevede ora che la società e il
manicomio si fondano in una sintesi, un momento evolutivo superiore. Non
è un caso se, ad eccezione di Panizza (1853-1921) che possiamo
considerare a tutti gli effetti il primo «anti-psichiatra», tutti gli
altri esponenti di questa corrente (Sasz, Cooper, Laing, Jervis…) erano
comunisti.
Lo fu – a modo suo – anche Franco Basaglia (1924-1980), fondatore nel 1973 del movimento Psichiatria Democratica. La tessera di «intellettuale organico» gliela diede nientepopòdimenoche Giovanni
Berlinguer (1924-2015), fratello di Enrico (1922-1984) che, nel 1969,
organizzò per il tramite dell’Istituto Gramsci il convegno intitolato Psicologia, psichiatria e rapporti di potere. Giovanni Berlinguer, che partecipò al convegno tra i relatori, fa proprie le istanze del movimento antipsichiatrico: «[...] le
istituzioni repressive, ed anche quelle che dichiarano di avere scopi
terapeutici, in realtà selezionano, fissano e aggravano i comportamenti
devianti, sono cioè fabbriche di malati» (Giovanni Berlinguer, Psichiatria
e potere. Le malattie mentali e la manipolazione dell'uomo. I rapporti
fra contestazione psichiatrica e movimento operaio, Editori riuniti, Roma 1969, p. 48).
L’abolizione del manicomio non ha lo scopo – sia
chiaro – di migliorare le condizioni di vita (pessime, come abbiamo
visto) del malato mentale, quanto piuttosto di scardinare un ordine
(ingiusto, ma pur sempre un ordine) creatosi con l’istituzione dei
manicomi: «Questa la storia recente (in parte attuale) di una
società organizzata sulla netta divisione fra chi ha (chi possiede in
senso reale, concreto) e chi non ha: da cui deriva la mistificata
suddivisione fra il buono e il cattivo, il sano e il malato, il
rispettabile e il non rispettabile. Le posizioni sono – in questa
dimensione – ancora chiare e precise: l'autorità paterna è oppressiva e
arbitratria; la scuola si fonda sul ricatto e sulla minaccia; il datore
di lavoro sfrutta il lavoratore; il manicomio distrugge il malato
mentale» (Franco Basaglia (a cura di), L'istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Einaudi, Torino, 1968, pp. 115-116).
La legge Basaglia fu il frutto di questo lavoro. Sintesi dei progetti di legge del PCI, del PSI e del PdUP, ebbe un relatore democristiano, Bruno Orsini (1929-vivente).
Per spiegare il perché di questa confluenza politica sulla legge 180 (e la rapidità della sua approvazione) introduciamo il terzo filone ideologico rappresentato dal Partito Radicale.
Per accelerare l’abolizione del manicomio, il Partito Radicale
propose un referendum abrogativo dell’allora legge vigente (Referendum
per l’abrogazione di alcuni articoli della Legge 14 febbraio 1904, n. 36
– Disposizioni sui manicomi e sugli alienati): un eventuale successo
del referendum avrebbe lasciato il paese senza alcuna normativa sul
tema. Qua e là, ancor oggi, si legge e si ascolta, da parte dei
radicali, un lamento nei confronti della 180 (all’approvazione della
quale essi hanno dato la spinta definitiva). Questo atteggiamento merita
un piccolo approfondimento. I radicali non rimpiangono certo i
manicomi; vogliono l’abrogazione dell’unico strumento contenitivo
previsto dalla «legge Basaglia», il Trattamento Sanitario Obbligatorio
(TSO). Per loro, la 180, è ancora troppo repressiva.
Il risultato fu l’abolizione del manicomio senza
alcuna alternativa territoriale: servizi, assistenza, piccole comunità o
appartamenti protetti… Secondo gli estensori della legge l’istituzione
di questa rete assistenziale sarebbe stato compito di aziende sanitarie e
regioni; che, non essendo state incaricate ufficialmente di tale onere,
nella maggior parte dei casi non fecero nulla.
La (mancata) gestione dei pazienti da parte delle
strutture territoriali ha contribuito allo scontro ideologico: da una
parte chi, ricordando le pietose condizioni nelle quali questi esseri
umani erano condannati a vivere senza alcuna colpa, si schiera dalla
parte della 180 come un passo di civiltà; dall’altra chi, riconoscendo
la sostanza ideologica della legge, la demonizza senza riserve. Tra i
due litiganti, come al solito, i radicali godono.
Anche se le posizioni dicotomiche aiutano lo
schieramento aprioristico, giova ricordare che si tratta di due
posizioni che sono solo apparentemente in antitesi. La Rivoluzione è
come l’idra di Lerna: ha più teste, ma esse appartengono ad un solo
corpo; allearsi con una delle teste per sconfiggerne un’altra è una
tattica suicida.
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