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"Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili visto il loro spirito di materialismo puro e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici. (Rudolf Allers, 1936, lettera a P. Agostino Gemelli).

martedì 19 aprile 2011

RUDOLF ALLERS, PSICOLOGO CATTOLICO - MARTIN F. ECHAVARRIA


Continua la presentazione dell'uomo e dell'opera di Rudolf Allers. Come altre volte sottolineato, probabilmente il più importante psicologo cattolico del secolo scorso (e di sempre). Dopo le prefazioni al libro del 2008 a cura di Jorge Olaechea, è ora il momento di uno degli articoli più conosciuti ed importanti: Rudolf Allers, psicólogo católico, scritto dal professor Martin F. Echavarria, docente di Storia della Psicologia e di Psicologia della Personalità presso l'Università Abat Oliba (CEU) di Barcellona. Si tratta di un articolo apparso per la prima volta sulla rivista internazionale Ecclesia e che mira ad evidenziare i punti centrali del pensiero psicologico dell'autore.
Il professor Echavarria, che ringrazio personalmente per aver permesso la traduzione e la pubblicazione del suo articolo, è uno dei massimi esponenti mondiali di psicologia cattolica, ed ha all'attivo decine di pubblicazioni, tra le quali è importante riportare i seguenti volumi: "De Aristóteles a Freud. Historia Filosófica de la Psicología", Vida y Espiritualidad, Lima 2008; "La praxis de la Psicología y sus niveles epistemológicos según santo Tomás de Aquino", Documenta Universitaria, Girona 2005; "Corrientes de psicologia contemporanea", Scire, Barcellona 2010.

Rudolf Allers, psicologo cattolico

Tratto da una versione ampliata dell’articolo omonimo pubblicato in Ecclesia, 15 (2001) pag. 539 – 562.

Martin F. Echavarria
Università Abat Oliba, Barcellona

La nostra intenzione è di presentare in modo breve la persona e le idee fondamentali nel campo della pratica psicologica di Rudolf Allers. Lasciamo a lato, pertanto, altri aspetti del suo pensiero, come i suoi studi sulla percezione sensoriale, o le sue indagini nell’ambito della filosofia medievale. L’obiettivo che speriamo di raggiungere è duplice: in primo luogo, ricordare ed omaggiare l’autore che, a nostro giudizio, durante il XX secolo ha rappresentato, nel difficile ambito della psicologia e psicoterapia, con prodezza e fedeltà, i valori cristiani. Allers, un tempo molto conosciuto e apprezzato, non solo tra i cattolici, oggi è caduto in un’ingiusta dimenticanza, e per questo motivo ci sembra che meriti di essere richiamato alla memoria. In secondo luogo, le idee che presenteremo qui le consideriamo a tal punto basilari che crediamo non possano essere ignorate da nessun cattolico che investighi e lavori in questa area epistemologica.

1. Dati biografici [1]

Rudolf Allers, psichiatra e filosofo cattolico, nacque a Vienna nel 1883. Suo padre era un fisico, ma con interessi umanistici. Studiò medicina all’Università di Vienna, dove seguì le ultime lezioni di Sigmund Freud. Verso di lui e verso la psicoanalisi mantenne sempre una posizione radicalmente critica. Una volta laureato, nel 1906, combinò la pratica di medico clinico con gli studi biochimici di laboratorio. In questo modo, cominciò ad interessarsi alla neurologia, e realizzò importanti studi sulla percezione sensoriale. Infine, si specializzò in psichiatria (1908), e lavorò come assistente di Kraepelin, uno dei pilastri della moderna psicopatologia. Esercitò la sua professione e il suo lavoro di ricerca nelle Università di Praga e Monaco.

Nel 1908, contrasse matrimonio con Carola Meitner, sorella della Dottoressa Lisa Meitner, che studierà con Otto Hahn la fissione atomica. La Signora Allers era anche lei una persona con profondi interessi intellettuali e spirituali, e la sua casa fu centro di incontri con importanti figure della cultura dell’epoca. Già nel 1913, Allers era docente di psichiatria nella Scuola di Medicina dell’Università di Monaco, attività che fu interrotta nel 1914 all’inizio della Prima Guerra Mondiale. Durante il conflitto bellico, servì come medico nell’Armata d’Austria, e scrisse la sua prima opera, su di un tema strettamente medico: la cura delle ferite da pallottola.

Nel periodo del dopoguerra, Allers si convertì a discepolo di Alfred Adler, medico e psicologo viennese, inizialmente collaboratore di Freud dal quale si separò nel 1912, a causa del dogmatismo estremo del creatore della psicoanalisi e del pansessualismo che in quell’epoca sosteneva. Nelle decadi che vanno dal 1918 al 1938, Allers lavorò alla Scuola di Medicina dell’Università di Vienna, prima nel dipartimento di psicologia della sensazione e psicologia medica e, a partire dal 1927, nel dipartimento di psichiatria.

Attorno al 1925, si era formato un sottogruppo dentro la scuola di Adler, cosciente della necessità di un fondamento filosofico della psicologia, e scontento della poca apertura di Adler verso una visione antropologica integrale, aperta alla trascendenza e magari ad una prospettiva religiosa in psicoterapia. I punti di riferimento del movimento, che alcuni hanno definito “terza scuola di psicoterapia viennese”, erano lo stesso Rudolf Allers e il suo amico Oswald Schwarz. Tra gli psicoanalisti, inoltre, Allers contava sull’amicizia di Paul Schilder. Nel 1927, all’interno di un’accesa discussione, si verificò la rottura di questo circolo con Adler. Allers abbandonò l’Associazione di Psicologia Individuale (creata da Adler), accompagnato da Schwarz e dal giovane Viktor E. Frankl, discepolo di entrambi. Simpatizzante di questo gruppo, però senza rompere con Adler, fu Oliver Brachfeld, che dopo diffuse l’adlerismo in Spagna ed America Latina.

Cosciente della necessità di approfondire le sue conoscenze filosofiche, e sul suggerimento del suo amico Frate Agostino Gemelli O.F.M, si trasferì a Milano, e si laureò in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore (1934). Qui apprese la filosofia neoscolastica che si insegnava all’epoca, e si affezionò al pensiero di san Tommaso, autore che già precedentemente aveva letto, e di cui aveva tradotto in tedesco il De ente et essentia, come anche le opere di sant’Anselmo. Un’altra influenza importante, dal punto di vista filosofico fu quella della fenomenologia, in particolare di Max Scheler. Condivise anche con Edith Stein, che frequentò la sua casa e fece amicizia con la famiglia Allers, l’interesse per una relazione viva tra il tomismo e le tematiche del pensiero contemporaneo. Allers tradusse in inglese un articolo della santa carmelitana sulla conoscenza di Dio, e lei, da parte sua, in varie parti della sua opera citò le teorie di Allers nel campo della teoria del carattere. [2]

Prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale, nel 1938, lo psichiatra americano Francis Braceland, che aveva conosciuto nel 1934, lo invitò ad insegnare alla Catholic University of America (Washington D.C.). Convinto alla fine da Frate Ignatius Smith O.P., Allers si insediò con la sua famiglia negli Stati Uniti. Lì cominciò a dirigere le classi di psicologia presso la Scuola di Filosofia di quella Università. Dopo aver insegnato lì per dieci anni, si trasferì nel 1948 alla Georgetown University come professore di filosofia. Da questo momento in avanti, Allers si ritirò dalla pratica psicoterapeutica, dedicando gli ultimi anni della sua vita allo studio ed all’insegnamento della filosofia. Nel 1957 fu nominato professore emerito. Nel 1960 l’American Catholic Association lo premiò con la Cardinal Spellman-Aquinas Medal, un riconoscimento per il suo instancabile lavoro come intellettuale cattolico (questo premio lo ricevettero persone dal calibro di Maritain e Gilson). In fine, Allers lasciò questo mondo il 18 Dicembre del 1963.

Il nostro autore ha scritto moltissimo. Alla Georgetown University c’è un fondo dedicato alle sue opere, anche se non è stata edita una pubblicazione completa dei suoi scritti. Tra i suoi libri più importanti si ricordano: La evolucion de la persona moral [3] , El error exitoso [4] , Pedagogia sexual [5] , ecc. Inoltre scrisse innumerevoli articoli sui temi della psicologia e filosofia, in tedesco, francese ed inglese. Collaborò a riviste come Jahrbuch fur psychologie und psychotherapie, Estudes Carmélitaines, The Tomist, The new Scholastism, Franciscan Studies, The Homiletic and Pastoral Review, ecc.

Nonostante l’indiscutibile carriera accademica e psicoterapeutica del nostro autore, gli studi dedicati al suo pensiero sono scarsissimi, e di carattere generale.

2. La “psicologia delle vette”

La formazione psicologica di Allers è, senza dubbio, contrassegnata dall’influsso di Alfred Adler. Anche se, per i motivi sopra riportati, entrambi gli autori si separarono, Allers ebbe sempre rispetto per il suo maestro e conservò i punti fondamentali della sua psicologia, benché integrandoli nella prospettiva più ampia del pensiero cattolico.

La posizione di Adler nei confronti della psicoanalisi, dopo la disputa con Freud, fu sommamente critica. Adler rifiutava, primariamente, il suo schematismo. [6] Dal punto di vista teorico, critica la riduzione di tutte le motivazioni a quella sessuale, e la mancanza di finalità. Secondo Adler, il comportamento si deve interpretare in funzione del fine che l’individuo, cosciente o incoscientemente, persegue. Da questa prospettiva, le pulsioni sessuali, che tanto hanno catturato l’attenzione della psicoanalisi, paiono come fattori secondari, che devono essere interpretati nell’insieme della personalità, che si comprende dalla meta o fine. [7]

Questa è una prospettiva che Allers porrà al centro del suo modo di fare psicologia: gli aspetti parziali della personalità non si possono comprendere se non integrati nella personalità totale. [8] Su di questo torneremo presto.

Il nostro autore, alle critiche di Adler, aggiunge le proprie: la psicoanalisi si basa su di una filosofia incompatibile con il cristianesimo. La separazione sostenuta da alcuni autori, come Roland Dalbiez [9] e Jacques Maritain [10] , tra il metodo psicoanalitico e la filosofia di Freud, in modo che il primo, scientificamente corretto, sia accettabile, mentre la seconda possa essere rifiutata, senza influire minimamente sul nucleo delle tecniche psicoanalitiche, è fortemente rifiutata da Allers [11] . La psicoanalisi di Freud non è una scienza, bensì un’ideologia, che dipende da alcuni sviluppi della filosofia moderna (illuminismo, romanticismo, filosofia dell’inconscio). D’altra parte, si basa su paralogismi inaccettabili per la ragione e, ogni volta che si attacca logicamente la psicoanalisi, i suoi cultori rispondono con argomenti ad hominem. [12]

Il peggior difetto della psicoanalisi, e non solo, è la “ossessione per la parte inferiore”, lo “sguardo dal basso”:
Questo modo di considerare la natura umana non è che una delle numerose forme da cui si manifesta una tendenza generale che, dopo secoli, ha pervertito la mentalità occidentale. Potrebbe chiamarsi: lo sguardo dal basso. Tutto ciò che è inferiore, tutto ciò che si avvicina alla natura brutta o perfino morta, è giudicato come più vero, più naturale, più importante. Se uno getta lo sguardo su tante eresie, tante mode intellettuali, anche deviate, tante pseudo-filosofie, tante idee sociali contemporanee: dappertutto incontrerà questa idea funesta secondo cui l’inferiore costituisce il fondo e il centro della realtà, ciò che realmente importa, che cercarlo, è fare un atto di scienza, e che viverla è conformarsi alle esigenze più vere della natura umana. [13]
Lo “sguardo dal basso” è un pericolo enorme in psicoterapia e in pedagogia, perché annulla la possibilità di cambiamento o di progresso. Per questo bisogna assumere un’altra prospettiva, vedere le cose sotto un’altra luce: “Come in filosofia o in psicologia, non c’è un punto di vista più pericoloso, in materia di psicoterapia o di ascesi, che questo che abbiamo chiamato ‘lo sguardo dal basso’. E’ necessario elevare gli occhi verso le vette della nostra vita e dell’essere in generale”. [14] Cioè, la psicologia deve superare la stasi della chiusura in se stessa [15] , e osare di “guardare le cose ‘dall’alto’”, cioè, trasformarsi in una psicologia delle vette, e non solo, in senso psicoanalitico, una psicologia profonda. [16]

3. Nevrosi, peccato e “conflitto metafisico”

Allers distingue tra quei disturbi mentali che sono malattie in senso stresso, e la nevrosi, che è una malattia per analogia. Mentre le malattie propriamente dette sono disordini del corpo, la nevrosi non è per prima cosa e principalmente un disordine del corpo, ma dell’anima.

Secondo Allers, prima di tutto, bisogna distinguere i “sintomi nevrotici” dal “carattere nevrotico”. Quindi, una cosa è una nevrosi propriamente costituita, ed un’altra la comparsa di tratti, che integrano la nevrosi, in una personalità che è fondamentalmente sana. Qui si rende esplicita l’insufficienza di una diagnosi meramente descrittiva. Per diagnosticare la nevrosi è necessaria la conoscenza della personalità totale, del suo stile di vita, delle finalità che persegue, e la sua posizione di fronte alla vita come totalità.

E’ necessario saper distinguere tra la nevrosi che si manifesta con sintomi, siano organici o puramentmentali, e il ‘carattere nevrotico’ come diceva il Dr. Adler; a volte è necessario saper distinguere tra la nevrosi – evidente o no – e la comparsa di certi tratti più o meno nevrotici in una persona sana. Non si deve dichiarare nevrotico nessun individuo che soffre di qualche disturbo ‘nevrotico’; la diagnosi di nevrosi risiede sempre e senza alcuna eccezione sullo studio della personalità totale. [17]
Allers segue in generale la concezione adleriana della nevrosi. Per il fondatore della psicologia dell’individuo, il carattere nevrotico sorge dal tentativo ipercompensatorio del complesso di inferiorità attraverso la volontà di potenza, che ha come meta il senso di personalità. [18] Il nevrotico è una persona che cerca a tutti i costi, attraverso la debolezza e la malattia, di arrivare ad essere qualcuno, di raggiungere la cima. A questa meta, il nevrotico subordina tutte le sue forze cognitive (immaginazione, memoria, ecc.) e affettive. Questo fine di superiorità, si concretizza in particolare attraverso determinate immagini e figure, complessi di rappresentazioni, che si pongono come mete o finalità “fittizie” (la mascolinità, il potere, la ricchezza, ecc.). [19] In questo modo il nevrotico si sta creando una “tecnica di vita”, e perfino a volte la giustifica con una “filosofia di vita” [20] , che si traduce nello “stile di vita”, che configura il suo carattere.

Il nostro autore, in queste idee, si mantiene fedele ad Adler. Allers identifica la “volontà di potenza” del nevrotico, con la superbia, che molte volte può non essere cosciente, e che configura il carattere in senso negativo e distruttivo.

Il Dr. Adler vedeva più in là di quanto sapeva, quando insegnava che i tratti caratteristici del nevrotico sono l’espressione e la conseguenza di questa ambizione inaudita, ambizione senza dubbio velata agli occhi del “malato”. Però non ha potuto, a causa di certi limiti del suo pensiero, ed anche a causa di altri fattori, misurare tutta l’importanza della sua scoperta. A dir la verità, questa scoperta non era nuova; si incontra qui e là in diversi trattati, molto vecchi ed ignorati da psicologi e medici, passaggi che denotano una conoscenza sorprendente di queste cose. [21]
Il carattere fittizio della vita del nevrotico è chiamato da Allers, bugia esistenziale. Al fondo del carattere nevrotico ci sarebbe secondo Allers un sovvertimento, cosciente o no, dell’ordine assiologico. La realtà proviene da questa pretesa egoistica del nevrotico con il malessere.

Abbiamo detto che la ribellione cosciente o no, contro l’ordine assiologico o l’ordine della dignità conduce necessariamente alla menzogna. Questo è – tra parentesi – quello che fa sì che tanti nevrotici diano l’impressione di non essere realmente “malati” e per questo gli altri li accusano di cattiva volontà, di esagerazione ed anche di simulazione. Questa falsità è inestricabile perché per ribellarsi è necessario che l’uomo esista, e perché esistendo, è incorporato, per così dire, in questo ordine che rifiuta di accettare. [22]
 Nell’uomo c’è una dualità interiore. E’ la dualità constatata dalla tradizione cristiana, da san Paolo e da sant’Agostino, della carne che si ribella contro lo spirito. Dice Allers: “L’uomo trascinato da una forza misteriosa, non necessariamente demoniaca (cf. quello che dice Sant’Agostino circa la ‘seconda volontà’, Confessioni VIII, 9), verso un comportamento essenzialmente insensato, contrario alla oggettività [23] , diventa a causa di se stesso, in virtù di una legge inesorabile, preda della menzogna” [24] . Questa menzogna si installa quando la persona non vuole vedere la realtà: “Non solamente esiste la menzogna che sostiene una posizione contraria alla verità, ma anche quella che chiude volontariamente gli occhi davanti alla verità” [25] . La menzogna è anche chiamata da Allers “inautenticità”.

Secondo Allers, nel fondo del cuore dell’uomo esiste la tendenza alla ribellione, e questa è la causa profonda del disturbo caratteriale chiamato nevrosi. Allers parla persino di un “conflitto metafisico”, perché non si tratta semplicemente di una ribellione ad una cosa particolare, ma all’ordine totale dell’esistenza.

Non è possibile spiegare qui come questa attitudine di ribellione interiore, che generalmente il soggetto non riconosce come tale, costituisca un fattore di importanza centrale nell’evoluzione delle nevrosi. L’oggetto della ribellione non è un fatto isolato, una sofferenza, un conflitto, ma il fatto totale di non essere più che una creatura, limitata nel suo potere, nella sua esistenza, nei suoi diritti. Nonostante le migliaia o milioni di anni che sono trascorsi dopo che il serpente spinse i primi uomini alla ribellione, le parole del demonio non hanno smesso di farsi ascoltare silenziosamente nelle profondità del nostro io: eritis sicut Dii. [26]

Il riferimento di Allers al peccato originale non è ozioso. Secondo lo psichiatra viennese, la natura decaduta è la fonte di questa tendenza alla ribellione, di questa dualità che è alla base del disturbo nevrotico. Lasciato a se stesso, ogni uomo è virtualmente un nevrotico.

La nevrosi sorge dall’esagerazione accaduta nella divergenza – che esiste in tutta la vita umana – tra la volontà di potere e la possibilità di potere. In altre parole: è un risultato della condizione puramente umana, proprio come è costituita nella natura decaduta. Si può ugualmente dire che, l’orientamento verso ciò che è malato e pervertito, è conseguenza della ribellione della creatura contro la sua finitezza ed impotenza naturale. [27]
Questa virtuale nevrosi, che caratterizza ogni uomo per il fatto di avere una natura decaduta e di patire dentro di sé la ribellione dei suoi arti contro la legge della ragione, si attua, secondo Allers, quando si manifesta il “conflitto metafisico”.

Il carattere nevrotico si trasforma in nevrosi manifesta quando la situazione dell’individuo minaccia di porlo di fronte al “conflitto metafisico”. In certe condizioni, questo conflitto può essere assolutamente ignorato. E’ il caso dell’individuo che vive in un luogo dove le leggi della metafisica – e quindi della realtà – sono state abolite da qualche legge. (Realmente non possono essere abolite, questo si capisce, però può esser fatto credere alle masse perché sono eccessivamente credulone). Sarebbe possibile avere una diminuzione della nevrosi in un paese dove l’uomo, la razza, la società, lo Stato sono dichiarati il bene supremo. Però non si potrebbe concludere che queste ideologie siano più ‘sane’ della filosofia cristiana. Uno dovrebbe solamente giudicare che queste ideologie ostacolano l’insorgenza della nevrosi perché insegnano alla maggioranza degli uomini un proprio metodo di allontanare gli occhi dalla verità. [28]
4. La normalità: ordine, santità e amore

Essendo universale questa inclinazione alla nevrosi, ha senso parlare di normalità o di salute? In fondo, non ha ragione Freud, e coloro che lo seguono, a negare la possibilità di una cura totale? Nient’affatto. La posizione di Allers è molto lontana dal pessimismo psicoanalitico, che riduce la cura alla presa di coscienza del disturbo, senza possibilità di correggerlo.

In primo luogo, Allers mette in evidenza il limite di una concezione meramente statistica di normalità.

Supponiamo che in un paese ci siano 999 uomini affetti dalla tubercolosi ed uno solo non sia infermo. Si potrebbe concludere che “l’uomo normale” è quello a cui i polmoni sono marci per l’infermità? Il normale non va confuso con la media. Se dunque, secondo la media, l’uomo decide con l’istinto, questo non prova che non possa fare altrimenti, e neanche che i valori più alti sono per natura deboli. [29]
Se il criterio statistico fosse la norma decisiva, la normalità sarebbe la tristezza, il fracasso, la ribellione, il disequilibrio… Per Allers, il criterio di normalità si coglie dall’ordine della realtà, e questo già al livello della medicina.

La medicina, trattando un infermo, non ha soltanto l’intenzione di liberarlo dalle sue sofferenze e di renderlo capace di guadagnarsi la giornata; vuole invece e soprattutto restaurare lo stato “normale”, perché sa che “normale” è ciò che “deve” essere. […] La medicina non può che accettare, sia incoscientemente, sia contro la sua volontà, l’idea di un ordine al di là dei fatti, uno stato delle cose che non esiste sempre però che deve esistere e la cui realizzazione solamente costituisce lo stato “normale”. [30]
L’anormalità costituisce, quindi, una rottura dell’ordine, sebbene avvenga per far cadere l’uomo in un ordine inferiore a quello dovuto alla sua natura, pertanto l’uomo non può abolire assolutamente tutto l’ordine della realtà, ma ne è soggetto. [31] Il disordine e l’anormalità umana avvengono, secondo Allers, per tre ragioni: la volontà, l’alienazione mentale in senso stretto, e la nevrosi, che concorre un po’ ad entrambe.

L’azione anormale è il risultato o di una volontà cosciente, o di una alienazione mentale, o di questa curiosa modificazione del carattere che chiamiamo nevrosi. Ogni azione o ogni comportamento è determinato dal suo fine. Questo fine è, senza eccezione alcuna, la realizzazione del valore giudicato più alto di tutto il resto in quella circostanza. Le leggi che disciplinano la normalità delle azioni sono quelle dell’ordine oggettivo dei valori. L’anormalità di un’azione è, in certi casi, causata dall’ignoranza o da una visione erronea dell’ordine. E’ più o meno il caso dell’alienato. In altri casi – speriamo che siano molto rari – il soggetto opera contro alcune leggi non solo da lui conosciute, ma contro leggi di cui non pone in dubbio la validità. Questa allora è un’evidente ribellione, il satanismo dichiarato. Infine, c’è una terza posizione che si ubica in qualche modo tra le due precedenti: è la ribellione la cui natura ed esistenza il soggetto stesso ignora. [32]
Abbiamo visto nel punto precedente, che questa ultima forma di disordine esiste virtualmente in ogni uomo a causa del peccato originale, anche se non sempre si manifesta. Per questo torniamo alla domanda iniziale: è possibile la normalità? Nel caso di una risposta affermativa: in che consiste? Allers risponde alla seguente maniera.

Il fatto che l’inautenticità costituisce, come è dato intendere a tutto il mondo, un tratto essenziale del comportamento nevrotico, ne segue la conseguenza che solamente quell’uomo, la cui vita trascorre un’autentica e completa dedizione ai compiti della vita (naturali o soprannaturali), potrà essere libero interamente dalle nevrosi; quell’uomo che risponde costantemente con un ‘si’ deciso alla sua posizione di creatura in generale e di creatura con una specifica e concreta costituzione. O, detto con altre parole: “al margine della nevrosi non rimane che il santo”. [33]
Ciò può risuonare strano, ed in effetti, ha portato molte polemiche. Però, se si analizza bene la concezione allersiana della nevrosi, non ridotta al disturbo dichiarato ed esplicito, ma esistente radicalmente in ogni uomo a causa della natura decaduta, queste affermazioni sono del tutto logiche (per non dire, anche, che sono congruenti con l’esperienza cristiana). Però Allers non si ferma alla constatazione, per così dire, “negativa” dell’assenza della nevrosi in una vita santa o che tende realmente alla santità [34] , ma, “positivamente”, afferma che l’autentica “salute dell’anima” si incontra solo nella santità.

Situandoci, dunque – e per questo abbiamo delle buone ragioni -, nel punto di vista secondo cui il definitivo superamento dell’inautenticità, che caratterizza e definisce la nevrosi, non si ottiene se non in una vita veramente santa, otteniamo quest’altra conclusione: la salute psichica in senso stretto non può rafforzarsi che sul terreno di una vita santa, o per lo meno di una vita che tende alla santità. [35]
In questo modo Allers supera ampiamente le meschine definizioni di normalità della psicologia contemporanea, quando ci sono, inclusa quella del suo maestro Alfred Adler. Per Adler, il fine reale della vita umana, a cui si contrappone il fine fittizio della superiorità egocentrica del nevrotico, è indicato dal “sentimento di comunità”, che spinge all’altruismo e a dar la vita per il bene comune. In Adler, questa visione rimane rinchiusa in una attitudine immanentista, in modo tale che alla fine giunge quasi a divinizzare la comunità umana. [36] Invece, in Allers, la tendenza alla vita comunitaria, che lui non chiama “sentimento” ma “volontà di comunità”, si realizza nel modo più pieno nella comunità soprannaturale dei santi, nella Chiesa, che realizza totalmente la tendenza all’universalità per la sua intrinseca “cattolicità”.

L’educazione deve risolvere questo difficile compito: trovare la strada che media tra quelle misure che possono minare l’esperienza del proprio valore, e quelle che propendono ad instaurare una assolutizzazione di quella stessa persona. […] Questo paradosso ed antinomia (non maggiore, per il resto, che le restanti divergenze antinomiche della vita umana) trova la sua espressione, o meglio, il suo prototipo, nella presenza di Cristo nella Chiesa, in quanto comunità dei santi, potendo vivere anche nella persona umana individuale: “non vivo io, ma Cristo vive in me”. Così, dunque, il carattere ideale che unicamente può soddisfare per intero le condizioni dell’esistenza e della natura umana – per quanto varino nel concreto, in accordo con la costituzione individuale e la struttura culturale, nazionale, situazionale – deve rimanere inscritto nel quadro di una forma di vita che riduca ad unità le divergenze polari dell’individuo e della comunità, della persona con valore e della totalità fondatrice di valore, della finitezza creativa e della vocazione a partecipare alla vita divina. Non sono necessari molti chiarimenti per vedere che tutte queste esigenze si compiono in una vita cattolica profonda ed esattamente compresa. Così come Katholikè non solamente si estende su tutte le culture, popoli e tempi, ma anche abbraccia tutta la diversità qualitativa delle persone umane individuali, così anche la vita cattolica, una vita secondo il principio cattolico, può soddisfare le divergenze del nostro essere, riducendole all’unità dei contrari. Non solo la Chiesa deve poter vivere Kat’olon – al di sopra di tutto -, come infatti fa, ma anche ognuno dei suoi membri. [37]
Ciò che porta a trascendere in qualche modo la solitudine originale in cui l’uomo si trova [38] , e soprattutto il suo egoismo antinaturale, è la forza dell’amore. Il desiderio di unione sostanziale con l’amato, senza dubbio, non è possibile al livello creaturale, e neanche nell’unione nuziale, immagine dell’amore per eccellenza. [39] Solo l’amore di Dio è capace di colmare il desiderio di unione e completezza a cui aspira il cuore umano.

In effetti, che l’amore, attitudine dell’io, sia capace di portare l’uomo a trascendere il suo proprio io, è una cosa inimmaginabile. Affinché l’io sia tratto fuori da se stesso, è indispensabile l’intervento di una forza aliena a sé. Questa forza, l’amore non può esercitarla se non è, non soltanto l’atto, la passione, il comportamento dell’io, ma un essere nel quale l’io e l’amore si confondono. E’ necessario che sia l’Amore sostanziale, e non una modificazione di un essere essenzialmente differente da lui.
Quando opera questo Amore, di Dio, l’unione può realizzarsi (non per le proprietà della nostra natura, ma per la grazia che viene dall’alto) ad un grado che nessuna unione di quaggiù potrebbe mai produrre. La realizzazione dei desideri che l’amore desta nell’anima è possibile solamente nell’amore di Dio e per l’aiuto concesso alla nostra impotenza dalla bontà dell’Altissimo. [40]
5. Nevrosi e santità: aridità-stato e aridità-sintomo

Se questo è così, se la santità e la nevrosi sono incompatibili, come si spiegano certi fenomeni apparentemente nevrotici che possiamo osservare nella vita di alcuni santi, e sui quali ci sono abbondanti studi?

In primo luogo, dobbiamo tener presente che per importanti scuole di psicologia, tra le quali emerge il freudismo, il santo è il prototipo del nevrotico. Questa non è una conclusione, basata sull’esperienza, ma è una premessa, che dipende dall’influenza che filosofie come quella di Nietzsche hanno avuto nella psicoanalisi. [41] Non è raro che poi, analizzando la vita dei santi, incontrino ciò che stavano cercando, o ciò che i loro principi teorici obbligano a concludere.

D’altra parte, dobbiamo tener presente che secondo Allers, salvo Cristo e la Vergine Maria, che non hanno la macchia del peccato originale [42] , l’inclinazione alla nevrosi sia comune a tutti gli uomini. Il cammino alla santità, con l’aiuto della grazia, porta a superare questa inclinazione, però negli stati iniziali della propria vita cristiana, le manifestazioni del disordine possono essere evidenti. Non, al contrario, in quelli finali.

Per concludere, nell’evoluzione spirituale abbiamo questo periodo di tempo peculiare che san Giovanni della Croce ha chiamato “notte oscura”. Rudolf Allers propone di distinguere, per non cadere nell’equivoco e confondere la nevrosi con una purificazione spirituale, ciò che chiama “aridità-stato”, dalla “aridità-sintomo”. Questo ci rimanda alla distinzione fatta precedentemente tra il carattere nevrotico, i suoi sintomi, e tratti, e i comportamenti apparentemente nevrotici, che si verificano in una personalità fondamentalmente sana. L’aridità come stato, è ciò che si verifica nel percorso di una purificazione passiva dell’anima, durante la quale si possono manifestare alcuni fenomeni apparentemente nevrotici. La seconda, è sintomo di un disturbo veramente nevrotico alla base, un carattere nevrotico. Come li distinguiamo? Non è facile, a volte implica un’astuzia interiore e una saggezza veramente soprannaturale. Secondo Allers il criterio di base, principalmente, è il giudizio sulla totalità della personalità. [43]

Con quello si facilita la comprensione degli episodi e delle fasi nevrotiche che con tanta frequenza avvengono, o che per lo meno compaiono non ordinariamente, nel trascorso della vita di molti santi. Questi fatti non devono indurci a concludere che la vita santa sia un atteggiamento nevrotico o germogli sul terreno della nevrosi, come una certa posizione pseudoscientifica credette senza capire. Osservando attentamente queste vite, si vede che gli episodi nevrotici non sono più che semplici episodi di certi periodi della vita, stadi di passaggio, nei quali si fa forte la lotta con il “despote cupo dell'io” e il cui superamento porta sempre l'uomo ad un livello più alto di vita. Così si spiega anche che è possibile che tali episodi si ripetano, come che corrispondano a diversi passi dell'ascensione dell'uomo e che inizino sempre una sua “alta formazione” più completa in Dio – per servirci dell'espressione di Tauler -. […] Ci sembrerebbe perfettamente folle l'intenzione di spiegare la “Notte Oscura” e altri fenomeni analoghi, come nevrotici o semplicemente naturali. [44]
6. Psicoterapia e conversione

Nella scuola adleriana, da cui Allers proviene, la psicoterapia è in fondo pedagogia. Si tratta di educare o rieducare il carattere, affinché si conformi con il fine reale della natura umana. In questo modo, la psicoterapia si allea alle scienze mediche e naturali, iscrivendosi nella morale. [45]

Per questa scuola, la psicoterapia avrebbe due compiti: uno analitico, nel quale si rivela la finalità fittizia che l’individuo persegue, e i mezzi con i quali la sostiene; un altro sintetico [46] o pedagogico, che mira a riformare il carattere. [47]

Allers assume queste idee, però “dall’alto”, a partire da una visione molto profonda dell’essere umano, data dall’antropologia cristiana. Questo processo di trasformazione del carattere nevrotico, la cura, è considerato dal nostro autore essenzialmente come una conversione, o meglio “metanoia”, un cambiamento della mente. [48]

Per rimanere fermi davanti ai conflitti, alle difficoltà, alle tentazioni, è necessario essere semplici. Per curare una nevrosi non è necessario un'analisi che discenda nelle profondità dell'inconscio per tirar fuori non so quali reminiscenze, e neanche una interpretazione che veda le modificazioni o le maschere dell'istinto nei nostri pensieri, nei nostri sogni ed azioni. Per curare una nevrosi è necessaria una vera metanoia, una rivoluzione interiore che sostituisca l'orgoglio con l'umiltà, l'egocentrismo con l'abbandono. Se ritorniamo semplici, possiamo domare l'istinto con l'amore, il quale costituisce – se gli è davvero dato di svilupparsi – una forza meravigliosa ed invincibile. [49]
La trasformazione interiore che porta alla salute, comincia dall'umiltà, che vince la superbia, la volontà di potere che è il motore occulto del carattere nevrotico, secondo Allers. Questo non si può fare senza essere mossi dall'amore autentico, che è la forza più potente che spinge alla pienezza di vita. Assieme all'umiltà e all'amore, Allers colloca un terzo rimedio: la verità. Allers sempre aveva presente come motto del suo lavoro psicologico, la frase di Nostro Signore: “La verità vi farà liberi”.

Per poter raggiungere questa semplicità, questa attitudine verso il mondo e verso se stessi, è necessario far entrare in gioco la seconda tra le grandi forze messe a nostra disposizione dalla bontà divina: la verità. Queste due forze, la verità e l’amore, sono le uniche per essere invincibili. Per liberarsi dalle catene che ci legano ai valori inferiori, per poter resistere alle tentazioni che dall’esterno o dall’interno sorgono tanto frequentemente, per rimanere fermi tra gli inevitabili conflitti dell’esistenza, non bisogna fidarsi dello stoicismo che non è in fondo più di una forma raffinata di orgoglio, e neanche liberarsi alla ricerca delle cause incoscienti perse nella nebulosa lontana di un passato problematico. [50]
Il ruolo dello psicoterapeuta, del pedagogo o di chiunque sia che accompagna la persona in questo cambiamento, è secondario ed ausiliare. Si tratta di rimuovere gli ostacoli allo sviluppo di queste forze curative all’interno della persona, attraverso l’amore. [51] Questo implica un certo grado, non incipiente, di sviluppo morale e spirituale da parte del terapeuta, che molto spesso è preso come esempio da chi necessita aiuto. [52]

E’ per tutto questo che, nella prospettiva “dall’alto” adottata da Allers, psicoterapia e direzione spirituale non solo non si contrappongono, ma convergono. La seconda diviene la continuazione più logica ed adeguata della prima. [53]

Una direzione di anime comprensiva, affettuosa, rispettosa, paziente e puramente religiosa, può riuscire a correggere, contemporaneamente, il comportamento religioso e nevrotico; perché questa influenza raggiunge, in effetti, il problema più centrale di tutti. Ovviamente, non tutti questi uomini hanno la disposizione di conoscere e comprendere, senza se e senza ma, questo problema, e neanche di vedere che è un problema per loro. In tali casi, è necessario un doloroso lavoro di spiegazione ed educazione, al fine di portare questi uomini al punto dove è fattibile discutere questo problema, cioè, si richiede, giustamente, una psicoterapia sistematica. [54]
Rudolf Allers, da buon cristiano, è cosciente dei “limiti dei mezzi naturali. A nostro avviso, il dominio più perfetto di tutte le conoscenze e di tutti i procedimenti che da quelli seguitano, rischia di fallire, in ultima istanza, quando non si collega la connessione, fondamentale e superiore nei suoi limiti, del sapere religioso. Siamo convinti che è impossibile, tanto la pianificazione teorica di una dottrina sull’educazione del carattere, quanto di una teoria generale del carattere, senza riferirsi alle verità religiose e non radicare quelle in queste. Abbiamo visto come i fondamenti delle nostre questioni, sorte da una immediata necessità pratica, rimandavano sempre a problemi ultimi che unicamente si risolvevano nel terreno della metafisica e nell’ampio corso della fede basata sulla rivelazione”. [55]

Conclusione

Speriamo che questa breve esposizione di alcune delle idee di Rudolf Allers riferite alle tematiche psicoterapeutiche siano sufficienti per destare interesse nei riguardi dei suoi studi. Il nostro autore ha scritto su molte altre tematiche, psicologiche, filosofiche e pedagogiche, però pensiamo che quello che brevemente abbiamo presentato qui costituisca il suo apporto più personale ed originale.

Di sicuro, non è necessario essere d’accordo alla lettera con tutto quello che Allers dice. Si può tuttavia approfondire molto, completare e precisare molti aspetti. Però è opinione di chi scrive che i fondamenti principali che qui abbiamo esposto debbano essere punti fermi e fondamentali per una psicologia che voglia essere integrale ed efficace.

Da questo punto di vista, Rudofl Allers appare come una figura emblematica, come un esempio autorevole di psicologo cristiano, che in modo coraggioso e sincero non si accontentò di adeguarsi alla mentalità del secolo, ma che cercò sempre l’accordo tra fede e ragione. Per questo, ci sembra degno di essere ricordato ed imitato.

Note

[1] Allers ha scritto la sua autobiografia, che fu pubblicata nel volume The Book of Catholic Authors, W. Roming, Michigan, 1948.

[2] Cf. ad esempio E. STEIN, La mujer, su naturalezza y misiòn, Monte Carmelo, Burgos 1998, pag. 166-197 (in italiano in Opere complete, Edizioni OCD, Roma, 2010): “Poiché inoltre l’essere di una persona umana è sempre un essere nel mondo e il suo stato d’animo è continuamente determinato, la psicologia tende necessariamente, su di essa, ad una considerazione antropologica, sociologica e cosmologica”; e a pie di pagina aggiunge: “Rudolf Allers trattò questo argomento in modo molto adeguato nel suo Trattato di Psicologia sociale come prerequisito di una psicologia sessuale (Problema de pedagogia sexual scritto per l’Instituto Alemàn para la Pedagogia Cientifica, Munster, 1931). Generalmente i suoi scritti negli ultimi anni mostrano un passo avanti della Psicologia individuale verso l’Antropologia”.

[3] Pubblicato in italiano con il titolo Psicologia e Pedagogia del Carattere, a cura di R. Titone, SEI, Torino, 1961, 1967, 1970.

[4] Ultima edizione edita dalla Roman Catholic Books col titolo di What’s wrong with Freud? A Critical Study of Freudian Psychoanalysis. Inedito in italiano.

[5] Edito in lingua inglese col titolo Sex Psychology in Education, Herder, St. Louis MO. - London 1937. Inedito in italiano.

[6] Cf. A. ADLER, Prassi e teoria della psicologia individuale, Astrolabio Ubaldini, Roma (nella edizione spagnola, edita presso Paidòs, Buenos Aires, 1967, a pag. 28): “Nella descrizione sarà inevitabile incorrere in questo errore che è severamente proibito nella pratica: avvicinarsi alla vita psichica individuale equipaggiati da uno schema rigido, proprio come fa la scuola di Freud”.

[7] Ib. (pag. 146, edizione spagnola): “Un criterio fondamentale della nostra Psicologia dell’Individuo [nome della scuola Adleriana, in italiano Psicologia Individuale] è il considerare il comportamento sessuale del nevrotico come parabola del suo piano di vita”.

[8] Cf. E. STEIN, La mujer, su naturalezza y mision, (in italiano in Opere complete, Edizioni OCD, Roma, 2010), pag. 195-197: “La psicologia strutturale, principalmente la corrente che si chiama psicologia individuale, è convinta che i fatti spirituali, gli atti, le realizzazioni, le proprietà individuali non possono intendersi al di fuori di un insieme dipendente spirituale dal quale sorgono, nel quale si sviluppano e di cui essi stessi ne determinano il processo. Così deve delegare il compito di percepire, comprendere ed interpretare questa interdipendenza per comprendere i fatti di unità. […] Posto che la psicologia individuale non può accontentarsi di fissare un segmento momentaneo all’interno della vita dell’anima, e che deve aspirare ad abbracciarla nel modo più possibile conforme al suo sviluppo temporale, essa fugge dal pericolo di analizzare i tipi, come sempre paiono, come qualcosa di fisso ed immutabile. […] Come R. Allers segnala con ragione, il pedagogo deve cercare di investigare la mutevolezza dei tipi e fino a che punto è possibile influire su di essi. Non deve stazionare anzitempo davanti ad una disposizione presunta come immutabile, ma deve investigare in ogni comportamento se bisogna intenderlo come una reazione alle situazioni esterne e se potrebbe svilupparsi in un’altra maniera in altre situazioni”.

[9] Cf. Dalbiez R., La methode psychanalytique et la doctrine freudienne, 2ª ed., Paris, Desclée de Brouwer, 1949 (prima edizione 1936).

[10] Cf. J. MARITAIN, “Freudismo e psicoanalisi”, in Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione di incarnazione, Morcelliana, Brescia, 1978.

[11] Cf. R. ALLERS, The Successful Error. A Critical Study of Freudian Psychoanalysis, Sheed & Ward, New York, 1940 (dalla traduzione spagnola El psicoanalisis de Freud, pag. 8): “Io sono fermamente persuaso – e voglio esser chiaro sin dall’inizio – che la teoria e la pratica della psicoanalisi si compenetrano in tal modo che sono veramente inseparabili. Non si può accettare l’una senza l’altra. Chiunque desideri fare uso del metodo psicoanalitico non può fare a meno di abbracciare la sua filosofia. E posto che credo che la filosofia della psicoanalisi sia assolutamente erronea e che ciò si possa dimostrare, credo anche, di conseguenza, che usare i suoi metodi sia pericoloso”.

[12] Ib., pag. 10: “Raramente gli psicoanalisti hanno risposto a qualche critica e quando lo hanno fatto, hanno utilizzato un metodo molto curioso per disfarsi di qualunque obiezione. Invece di considerare l’oggettività delle argomentazioni che presentano gli avversari, si accontentano di dire a se stessi e a coloro che vogliono credere, che l’antagonismo alla psicoanalisi si deve per gli stessi fattori che già Freud aveva dichiarato presenti nella natura umana, e ripetono che quando uno non è psicoanalizzato è incapace di capire e di valutare la psicoanalisi e meno ancora di utilizzarla per studiare la mente o trattare le infermità mentali. […] Dunque mi sia ora permesso sottolineare che la considero assolutamente ingiustificata e infondata per quegli errori logici che si ripetono negli insegnamenti psicoanalitici”.

[13] R. ALLERS, “El amor y el instinto. Estudio psicologico”, in I. ANDEREGGEN – Z. SELIGMANN, La Psicologia ante la Gracia, EDUCA, Buenos Aires 1999, pag. 310 (originariamente pubblicato in Etudes Carmelitaines, 1936).

[14] Ib., pag. 339.

[15] Ib., pag. 304: “La psicologia per rimanere all’altezza dei suoi propri compiti si vede forzata a superare i suoi limiti. Questo può essere paradossale, però è vero. Non potremmo sperare di trattare bene il nostro tema, se non fossimo disposti a tale ‘trascendenza’ dalle considerazioni puramente psicologiche”.

[16] Ib., pag. 312.

[17] R.ALLERS, Reflexiones sobre la patologia del conflicto, en I. ANDEREGGEN – Z. SELIGMANN, La Psicologia ante la Gracia, pag. 298 (pubblicazione originale in Estudes Carmelitaines 1938, pag. 106 – 115).

[18] Cf. A. ADLER, Il temperamento nervoso, Astrolabio, Roma, 1971 (dall’ed. spagnola El caracter neurotico, Planeta-Agostini, Barcellona, 1994, a pag. 15 – 16): “Abbiamo trovato che l’obiettivo finale di tutta la nevrosi consiste nell’esaltazione del sentimento di personalità, la cui forma più semplice si manifesta come una esagerata affermazione di virilità (‘protesta virile’) […]. La libido, la pulsione sessuale e le tendenze perverse, qualsiasi sia la loro origine, sono subordinate alla stessa linea guida. La ‘volontà di potenza’ e ‘l’affanno dell’apparire’ di Nietzsche dicono al fondo la nostra medesima idea”; ib., pag. 80: “La linea dell’orizzonte, che in una ascensione quasi verticale segue il nevrotico, esige tutte queste risorse e forme di vita speciali comprese nel concetto per nulla omogeneo di ‘sintomo nevrotico’. Così, tutto il sistema nevrotico di sicurezze può mettersi in movimento, compresa la relazione con i punti lontani dalla realtà immediata, e stabilire dispositivi di sicurezza, barricate, camuffamenti di protezione, spesso incomprensibili, però che sempre cercano la vittoria dell’impulso centrale: la volontà di potenza”; Prassi e teoria della psicologia individuale, pag. 81 (ed. spagnola): “La vanità e l’orgoglio, si ergono in linee direttrici uniche, o quasi uniche, proprio come spariscono la capacità creativa, la logica della convivenza umana e la partecipazione all’anima collettiva”; ecc.

[19] Cf. A. ADLER, Il temperamento nervoso, Astrolabio, Roma, 1971 (dall’ed. spagnola, pag. 55): “Così, l’individuo trova che nel suo ambiente, a sua disposizione, gli si offrono come meta finale una innumerevole varietà di valori: la forza corporale o spirituale, l’immortalità, la virtù, la pietà, la ricchezza, la ‘morale dei maestri’, il sentimento sociale, l’autocrazia… obiettivi tra i quali ogni individuo, nel suo peculiare desiderio di perfezione, sceglie quelli che, a seconda della sua peculiare recettività, gli quadrano meglio […]. In un dato momento, tutte le forze vive, tutta l’energia del bambino si mettono al servizio del suo mondo soggettivo che, sotto l’ipotesi direttrice, distorce a suo beneficio tutte le impressioni e gli impulsi, i piaceri ed i dispiaceri, incluso l’istinto di conservazione, col proposito di raggiungere il suo obiettivo”; ib., pag. 58: “Somiglianti ad un idolo di argilla, queste astrazioni fittizie ricevono dalla fantasia quelle qualità generatrici di vita e di forza che quindi recuperano al creatore”; ib., pag. 67: “Potremmo dire, dunque, che il nevrotico si trova sotto l’influenza ipnotica di un piano di vita fittizio”; ecc.

[20] L’esistenzialismo ateo di un Sartre, ad esempio, è visto da Allers come molto vicino alla mentalità nevrotica; cf. R. ALLERS, Existencialismo y psiquiatria, Buenos Aires 1963, pag. 62 (Existentialism and Psychiatry: Four Lectures, Charles C. Thomas, Springfield - IL 1961): “La visione del mondo che ci fornisce Sartre assomiglia molto a quella di certi nevrotici, specialmente quei casi di nevrosi compulsiva. Il suo ritratto dell’uomo suona, quasi verbatim, come quello che Alfred Adler trattò circa la personalità nevrotica, quella dell’individuo che vuole essere Dio”; cf. R. ALLERS, “Bemerkungen uber das Weltbild in anankastichen Syndromen und in der Philosphie von Jean-Paul Sartre”, in Jahrbuch fur psychologie und psychotherapie (1959).

[21] Cf. R. ALLERS, Reflexiones..., pag. 297. Sul tema della superbia nella tradizione e nella psicologia contemporanea, cf. M. F. ECHAVARRIA, “La soberbia y la lujuria como patologias centrales de la psique segun Alfred Adler y santo Tomas de Equino”, in I. ANDEREGGEN – Z. SELIGMANN, La psicologia ante la Gracia, pag. 41 – 162.

[22] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 295.

[23] Sulla relazione di ciò che Allers chiama “oggettività” e la tradizionale virtù della prudenza, cf. J. PIEPER, “Sachlichkeit und Klugheit. Uber das Verhaltnis von moderner Charakterologie und thomisticher Ethik”, in Der Katholische Gedanke (1932), pag. 68 – 81.

[24] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 295.

[25] Cf. Ib., pag. 296.

[26] Cf. El amor…, pag. 337.

[27] Cf. Psicologia e pedagogia del carattere, a cura di R. Titone, SEI, Torino, 1970 (nell’edizione spagnola a pag. 306); Cf. L. JUGNET, Rudolf Allers o el Anti-Freud, Buenos Aires 1952, pag. 80: “Così come l’orgoglio fu il peccato originale, così come in un certo modo è l’obiettivo ultimo di tutto il peccato passato e presente, così occulto e privo di accesso alla coscienza, è la causa fondamentale di molte e molto probabilmente di tutte le anomalie e perversioni del carattere”. Lo stesso Freud non può evitare di ricorrere al peccato originale per spiegare la distrazione di malessere in cui si trova l’uomo; cf., per esempio, Totem e tabù. Secondo lo psicologo americano Paul Vitz, “Il concetto di Freud del complesso di Edipo è una forte evidenza psicologica della tendenza universale di essere come Dio, peccare attraverso la ribellione, e la disobbedienza; è una specifica rappresentazione della lotta per diventare un governatore autonomo della propria e di altre vite” (P. VITZ, “Christianity and Psychoanalysis, Part 1: Jesus as the Anti-Oedipus”, in Journal of Psychology and Theology, 12, 1984, pag. 8); cf. anche, “The vicissitudes of original sin: a reply to Bridgman and Carter”, ib., 17, 1989, pag. 10: “Una psicologia Cristiana è una sintesi in cui le descrizioni di patologie psicologiche di differenti prospettive teoriche possono essere integrate in un quadro di natura umana decaduta. I modi patologici differenti in cui il narcisismo si esprime possono essere compresi come vicende del peccato originale”.

[28] Cf. R. ALLERS, Reflexiones.., pag. 299.

[29] Cf. R. ALLERS, El amor…, pag. 324. Una simile indicazione la incontriamo nell’Enciclica di GIOVANNI PAOLO II, Veritatis Splendor: “Infatti, mentre le scienze umane, come tutte le scienze sperimentali, sviluppano un concetto empirico e statistico di «normalità », la fede insegna che una simile normalità porta in sé le tracce di una caduta dell'uomo dalla sua situazione originaria, ossia è intaccata dal peccato. Solo la fede cristiana indica all'uomo la via del ritorno al « principio » (cf Mt 19,8), una via che spesso è ben diversa da quella della normalità empirica”.

[30] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 292.

[31] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 294: “Le leggi che costituiscono l’ordine oggettivo delle cose sensibili, come quelle che regolano quello delle verità, sono dotate di una forza compulsiva. L’uomo non può negarle; gli è impossibile collocare il colore arancione in un altro luogo che non sia tra il rosso e il giallo. Può ragionare in un modo erroneo, però c’è in lui una coscienza logica per avvertirlo di questo errore che, d’altra parte, immediatamente si manifesta, posto che conduca a conseguenze contraddittorie. La ragione umana, dopo tutto, obbedisce alle leggi della logica. Accade allo stesso modo nei ‘valori’. Sembra che il potere che questo lato dell’oggettività esercita sullo spirito umano sia molto debole. Senza dubbio, ciò non prova per nulla che i ‘valori’ siano meno oggettivi delle cose o delle verità, ma che lo spirito umano possiede il dono di respingere il loro consenso ad un ordine che è più capace di riconoscere”.

[32] Cf. R. ALLERS, Reflexiones…, pag. 293 – 294; 297: “C’è un numero enorme – e sempre crescente – di uomini che, persino incoraggiati da tale seduttore, non osano ribellarsi apertamente contro Dio. Si incontrano in uno stato di ribellione silenziosa del quale essi stessi ignorano l’esistenza; molto frequentemente, sembra che accettino pienamente la condizione ontologica dell’uomo; si dicono umili, devoti, sottomessi alla volontà divina, però al fondo del loro essere c’è una ribellione nascosta. Sottomessi alla loro condizione umana però marci dall’orgoglio, chiedono di essere ‘uguali a Dio’. E’ questo lo stato fondamentale che si chiama nevrosi”.

[33] Cf. R. ALLERS, Psicologia e pedagogia del carattere, (ed. spagnola) pag. 310 (nota 1).

[34] Allers non afferma in assoluto che basta essere un semplice cristiano per non essere nevrotico, ma che nella vita veramente santa la nevrosi è totalmente superata.

[35] Cf. R. ALLERS, Psicologia e pedagogia del carattere, (ed. spagnola) pag. 310-311. Josef Pieper, mostrando la convergenza dell’etica tomista con la caratterologia di Adler e Allers, afferma: “Però è di grande valore per l’etica sperimentare che è dunque ciò che rende l’uomo psichicamente sano, perché appartiene a quei principi, certamente taciti, però profondamente radicati ed indistruttibili del nostro sapere pratico, che l’uomo buono non può essere psichicamente infermo e che l’uomo psichicamente sano non può essere pervertito (corrotto, depravato), che le strade verso il bene sono al tempo stesso quelle che conducono alla salute psichica e che, ciò che fa male all’uomo, lo fa ammalare: che allora, in un certo senso, etica e caratterologia (della tipologia) devono confermarsi mutuamente” (J. PIEPER, “Sachlichkeit und Klugheit”, 69).

[36] Cf A. ADLER, Aspirazione alla superiorità e sentimento comunitario, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2008 (dall’ed. spagnola, pag. 248): “Posto che il fracasso nella vita si deve all’errore, talvolta è comprensibile che occasionalmente (in rari casi) una persona possa liberarsi dell’errore se, nonostante quello, è rimasto forte nello spirito di una comunità ideale. Nella religione questo può succedere, come segnala Jahn, a partire del contatto dell’io con Dio. Nella Psicologia Individuale durante il suo soave bombardamento di domande, la persona sbagliata sperimenta la grazia, la redenzione e il perdono per mezzo della sua conversione nella parte del tutto”. Questa posizione, del superamento della colpa attraverso il mero intervento umano, Adler la condivide con lo stesso Freud e con Jung. Senza dubbio, questi ultimi vanno molto oltre, perché considerano il peccato come un passo dialetticamente necessario per ottenere una coscienza più profonda di sé, e del dualismo insuperabile che è al fondo della realtà. A partire da questi autori, questa posizione profondamente anticristiana si è ampliamente diffusa nella psicologia contemporanea; cf per esempio E. FROMM, El miedo a la libertad, Planeta-Agostini, Barcellona 1993, pag. 51: “Operare contro gli ordini di Dio significa liberarsi dalla coercizione, emergere dall’esistenza incosciente della vita preumana per elevarsi fino al livello umano. Operare contro il comandamento dell’autorità, commettere un peccato, è, nel suo aspetto positivo umano, il primo atto di libertà, come dire, il primo atto umano”.

[37] Cf. R. ALLERS, Psicologia e pedagogia del carattere, (ed. spagnola) pag. 213-214. Non solo si deve rifiutare una psicologia come quella di Freud, che concepisce un individuo precario diviso interiormente, in lotta con il mondo ed oppresso dalla cultura, ma anche una visione che riduce la religione a mezzo espressivo dell’individuo, senza riferimento ad un Dio trascendente ed alla comunità, come è il caso di Frankl, paradossalmente discepolo di Allers; cf. V. E. FRANKL, Dio nell’inconscio, Morcelliana, Brescia, 2000, (dall’ed. spagnola) pag. 96: “In un’occasione fui intervistato da una reporter della rivista ‘Time’. Mi chiese se la nostra tendenza naturale ci separi dalla religione. Io le risposi che la nostra tendenza non ci separa dalla religione, e semmai al contrario ci separa da quelle confessioni che sembrano non aver altro da fare se non lottare tra loro ottenendo che i loro fedeli finiscano per abbandonarle. La giornalista continuò domandandomi se per caso ciò significasse che presto o tardi giungeremo tutti ad una religione universale, cosa che io ho negato: al contrario, dissi, andiamo nella direzione di una religiosità personale, cioè, profondamente personalizzata, una religiosità da cui ognuno incontrerà il suo linguaggio proprio, personale, il più affine alla sua intima natura, quando si rivolge a Dio”. Questa “religiosità personale” di Frankl è perfettamente compatibile con l’ateismo, come lo stesso si premura di chiarire; cf. Homo patients. Soffrire con dignità, Queriniana, Brescia, 2007, (dall’ed. spagnola, pag. 271): “Ciò che uno pensa nella sua estrema solitudine – e quindi, nella sua massima sincerità con se stesso – e ciò che dice nel suo ‘linguaggio interiore’ lo sta dicendo a Dio (tibi meum loquitur); in questo senso è irrilevante che uno sia teista o ateo, perché in entrambi i casi si può definire Dio ‘operazionalmente’ come interlocutore di ognuno. Il teista differisce dall’ateo solamente per il fatto che non ammette l’ipotesi che l’interlocutore sia lui stesso, ma considera questo interlocutore come qualcuno che non è sé”. A partire da queste affermazioni, si può comprendere il carattere relativo del “senso della vita” (espressione già presente in Adler) nel pensiero di Frankl. La “responsabilità” verso cui la psicoterapia conduce il paziente, dice l’autore in uno scritto giovanile, è un valore puramente formale, senza contenuto oggettivo; cf. Le radici della psicoterapia, LAS, Roma, 2000, pag. 129: “Non si può pensare un sistema di valori, una scala di valori, una particolare concezione del mondo senza il riconoscimento della responsabilità come valore fondamentale, come valore formale rispetto a differenti definizioni di contenuto. A noi psicoterapeuti non interessa quale visione del mondo e della realtà abbiano i nostri pazienti, o che valori essi adottino; ciò che è necessario è portarli al punto da avere una visione del mondo e dell’essere responsabili di fronte ai valori”. Senza negare gli aspetti positivi che si possono incontrare nella psicologia di Frankl, e che in gran misura deve ad Allers (lui stesso, nel paragrafo seguente lo cita, dicendo che Allers definì la psicoterapia come “educazione al riconoscimento della responsabilità”; ib., pag. 130), è chiaro che su questo punto entrambi gli autori differiscono. Per Allers c’è un ordine oggettivo dei valori che, senza bisogno di violenza, è possibile portare il paziente a riconoscere. Al contrario, una visione del mondo e dei valori equivocata, perché contraria alla natura umana, porta giustamente alla nevrosi, come già aveva intravisto lo stesso Adler.

[38] R. ALLERS, El amor…, pag. 321-322: “Questa solitudine è ancor più profonda che quella sensazione banale di isolamento di cui gli uomini si lamentano quando non hanno compagnia, quando non hanno nulla che li soddisfi, quando si sentono incompresi. La solitudine che qui prendiamo in considerazione è una caratteristica costitutiva dell’esistenza della creatura e una conseguenza necessaria della sua struttura ontologica. L’essere razionale ha questa particolarità, che la sua esistenza e la sua essenza si riflettono nella sua coscienza. La solitudine percepita è il correlato soggettivo dell’isolamento ontologico”. Questi passaggi concordano, in modo sorprendente, con alcuni insegnamenti della Catechesi sull’amore umano, di Giovanni Paolo II.

[39] R. ALLERS, El amor…, pag. 319-320: “Esaminando i fatti si osserva che questa unione, porta qualche soddisfazione però tralascia il desiderare. Calma, senza dubbio, tutte le necessità dell’istinto; però questa comunione, questa identificazione di due esseri, questa volontà di essere ricevuto nell’altro, tale come la concepisce l’amore, non si ha. Per quanto facciano gli sposi non possono intrapenetrarsi, non possono fondersi l’uno nell’altro. Una barriera invalicabile li separa. Una gran quantità di gente – uomini e mogli – si lamentano del fatto che le gioie fisiche del matrimonio non possono, nonostante il godimento comune, nonostante l’abbandono supremo, soddisfare il desiderio di unione. Il piacere supremo fa dimenticare, per un momento, che l’unione non si realizza; però, non appena questo momento passa, ciascuno degli sposi diventa cosciente della sua individualità, dell’impossibilità di uscire realmente da se stesso. Anche se gli sposi dicono: ‘noi’ nel senso più profondo che può dirlo una coppia, questo ‘noi’ è sempre un plurale. Una coppia è ‘una caro’ (Mt 19,6), mai una persona o ens unum”.

[40] R. ALLERS, El amor…, pag. 321.

[41] F. NIETZSCHE, L’anticristo, Nuovi Equilibri, 2000 (ed. argentina, pag. 87-88): “Rendere infermo l’uomo è la vera intenzione occulta di tutto il sistema del procedimento salutare della Chiesa. E la Chiesa stessa – non è essa il manicomio cattolico come ultimo ideale? – […] Il momento in cui una crisi religiosa si impadronisce di un popolo è caratterizzato da epidemie nevrotiche; […] gli stati ‘supremi’ che il cristianesimo ha sospeso sopra l’umanità, come valore di tutti i valori, sono forme epilettiformi. La Chiesa ha canonizzato in maiorem dei honorem unicamente pazzi o grandi truffatori”.

[42] Per questo è assurdo tentare di comprendere l'anima di Maria, e molto di più di Cristo, a partire dalle leggi empiriche o dalle teorie come quella psicoanalitica, che non trascendono lo stato di natura decaduta. Sarebbe blasfemo, ad esempio, voler comprendere la psicologia di Cristo a partire dalla dinamica del complesso di Edipo, come fece Freud in Totem e tabù, senza tenere in conto che Cristo, mancando completamente del peccato, non solo non patì in assoluto tale complesso, ma neanche alcun altro, ma solo a partire dalla sua pienezza senza difetto ha il potere di liberarci dai nostri complessi; cf. P. VITZ, “Christianity and psychoanalysis...”, pag. 7: “Noi proponiamo che Cristo fornisca la risposta all'incubo edipico”.

[43] Cf. R. ALLERS, “Aridité symptome et aridité stade”, in Etudes Carmelitaines (1937), pag. 132-153.

[44] Cf. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 310-311.

[45] Cf. O. BRACHFELD, Los sentimientos de inferioridad, Miracle, Barcellona, 1959, pag. 179-180: “Era impossibile, quindi, prevedere la reazione del soggetto davanti all'handicap, organico, 'psichico' o 'sociale'; era impossibile prevederla, dedurla, dall'imponderabile; così questa reazione era dell'ordine morale, e non di ordine fisico, fisiologico o biologico, e una volta giunto a questa scoperta, la rottura con le idee ricevute dai suoi superiori, con l'ideologia imperante nella medicina del suo tempo, era totale, era irrimediabile. […] E' considerevole, naturalmente, che Adler arrivasse ai suoi risultati con alcuni mezzi tanto empirici e tanto razionalisti quanto gli altri, come i suoi avversari e futuri nemici; ed è giusto osservare che lui stesso non osò mai desumere tutte le conseguenze morali e filosofiche della sua scoperta”; secondo questo autore, “questo nuovo orientamento […] permette certi punti di contatto con la filosofia aristotelico-tomista”.

[46] Cf. O. BRACHFELD, Los sentimientos de inferioridad, pag. 172: “Adler, in effetti, rifiutando con la stessa energia di Freud i metodi ipnotici – che coprono e ricoprono invece di scoprire – non ha voluto perdersi mai nelle eccessive minuzie 'analitiche': andava sempre al sodo, cercava le grandi direttrici che guidano il comportamento, il pensiero, la vita affettiva della persona. Il suo modo di procedere è principalmente sintetico, invece di analitico. Non a caso la sua Psicologia è stata considerata dai suoi principi come una Psicologia: un ragionamento, mediante la Psicologia. […] Ciò che praticano i suoi discepoli autentici è una psicagogia”.

[47] Cf. E. WEXBERG, “El tratamiento por la psicologia individual”, in K. BIRNBAUM, Los metodos curativos psiquicos, Labor, Barcellona, 1928, pag. 197: “La comprensione della personalità del nevrotico, la riduzione di tutte le sue manifestazioni vitali, incluso il sintomo nevrotico, all'azione della sua linea direttrice è la prima parte e la più vasta della psicoterapia. La seconda parte pedagogica può caratterizzarsi con la parola 'incoraggiamento'”; cf. A. KRONFELD, “Psicagogia o pedagogia terapeutica”, ib., pag. 214: “Alfredo Adler, nella sua psicoterapia individuale psicologica, sviluppò la psicagogia tanto nei suoi fondamenti quanto nel suo aspetto pratico. 'Curare' e 'formare' sono per lui lo stesso essenziale processo”.

[48] Cf. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 258. Cf. Z. SELIGMANN, “Psicoterapia: un camino de conformidad”, in La psicologia ante la Gracia, pag. 29-39.

[49] R. ALLERS, El amor…, pag. 338.

[50] Ib., pag. 338-339.

[51] Cf. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 328: “Nella relazione tra colui che guida con colui che è guidato si forma, per la prima volta, una comunità reale, una unione da uomo ad uomo, che non si ferma ad una comunità di interesse e neanche a legami di famiglia, e neanche in una convivenza casuale o un vincolo erotico, ma negli strati più profondi della persona, incluso il nucleo essenziale o, per lo meno, sfiorandolo da vicino, fa largo alle principali forze morali della natura umana e permette di riconoscere gli antagonisti che incidono in essa”

[52] Cf. R. ALLERS, Pedagogia sexual, pag. 322-323: “La filosofia scolastica, invece di procedere come si è imposto nell'epoca moderna e limitare tutte le relazioni di causa ed effetto ad un'unica modalità, cioè, ciò che regna unicamente ed esclusivamente nella natura inanimata, è solita discriminare tra tutta una serie di tali concatenazioni. Una di esse si chiama causa exemplaris. Senza entrare qui in una esposizione dettagliata, potremmo osservare senza dubbio che questa forma di causalità occupa una parte importante in tutte le relazioni umane, soprattutto nell'educazione. Una persona con un brutto carattere può realizzare pienamente un compito scientifico o artistico, ma non potrà essere un buon educatore, per quanto essa stessa si sforzasse di esserlo. Se desiderassimo formare un carattere dovremmo permettere per prima cosa che ci testino il carattere. Nessuno è esente da difetti; però dobbiamo conoscere le nostre carenze, allo stesso modo in cui dobbiamo sapere come dobbiamo essere. Se coltiviamo i nostri difetti, non otterremo per nulla che i nostri figli diventino persone con pieni valori morali, e neppure se con un narcisismo farisaico ci opponessimo dal riconoscere le nostre mancanze”.

[53] Il tema della relazione tra psicoterapia e confessione sacramentale, è un tema diverso. Allers non la confonde mai, e neanche la contrappone. Su questo tema, cf. J. PIEPER, Psuchotherapie und absolution, Salvator Verlag Steinfeld, Leutesdorf am Rhein (Osterreich), 1978.

[54] Cfr. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 312 (nota 1).

[55] Cfr. R. ALLERS, Naturaleza y educacion del caracter, pag. 339. Questa visione corrisponde fedelmente all'insegnamento che dopo terrà Pio XII; cf. Discorso al XIII Congresso Internazionale di Psicologia Applicata, Roma, 10 Aprile 1958, II, 11:

lunedì 11 aprile 2011

MANIFESTO PER UNA INTEGRAZIONE TRA TEOLOGIA E PSICOLOGIA - PIO XII

E' impressionante come uno scritto di più di cinquant'anni fa, il Discorso del Sommo Pontefice Pio XII del 10 Aprile 1958 rivolto ai partecipanti del XIII Congresso Internazionale di Psicologia Applicata, sia ancor oggi di estrema attualità. In quell'occasione il Papa toccò alcuni punti centrali per la definizione di un'antropologia filosofica e teologica, fondamento di ogni sapere psicologico e teologico: il concetto di personalità ("noi definiamo la personalità come 'l'unità psico-somatica dell'uomo, in quanto determinata e governata dall'anima'"); la moralità dello psicologo; l'importanza del consenso "informato" del soggetto; la liceità dell'utilizzo di certe tecniche. Un passo importante e sorprendente per la sua attinenza alla quotidianità è quello in cui Pio XII delinea i presupposti che, per utilizzare le parole di un altro Pontefice, sua Santità Benedetto XVI, oggi potremmo definire "non negoziabili". Seguiamo le sue parole:
"D'altronde, dire che l'uomo è tenuto ad osservare certe regole di moralità equivale a ritenerlo responsabile, a crede ch'egli ha la possibilità oggettiva e soggettiva d'operare secondo queste regole. Quest'affermazione della responsabilità e della libertà è ugualmente essenziale alla personalità. Non si può, dunque, a dispetto di certe posizioni sostenute da alcuni psicologi, abbandonare i seguenti presupposti, sui quali sarebbe desiderabile che si realizzasse un accordo il più esteso possibile tra gli psicologi e i teologi:
  1. un uomo qualsiasi dev'essere ritenuto normale fino a prova contraria;
  2. l'uomo normale non possiede soltanto una libertà teorica, ma ne ha anche realmente l'uso;
  3. l'uomo normale, quando impega come deve le energie spirituali che sono a sua disposizione, è capace di vincere le difficoltà, che si frappongono all'osservanza della legge morale;
  4. le disposizioni psicologiche anormali non sono sempre costringenti e non tolgono sempre al soggetto ogni possibilità di agire liberamente;
  5. anche i dinamismi dell'incosciente e del subcosciente non sono irresistibili; è possibile, in larga misura, dominarli, soprattutto da parte del soggetto normale;
  6. l'uomo normale è dunque ordinariamente responsabile delle risoluzioni che prende.