Rudolf Allers è stato probabilmente il più importante psicologo cattolico del XX secolo. La sua profonda curiosità per l'umano, destata dal lavoro di medico e di ricercatore, lo aveva spinto a cercare una teoria della psiche - normale e patologica - che non fosse ridotta dalle filosofie positivistiche del suo tempo. E' così giunto al tomismo, scoprendone le potenzialità in quanto fondamento filosofico di una psicologia integrale dell'uomo. Il professor Allers, però, non è stato l'unico psicologo cattolico ad aver adottato la filosofia perennis come fondamento del proprio operare: sino agli anni cinquanta del secolo scorso erano numerosi gli psicologi che conoscevano profondamente i postulati della filosofia tomista e da essi attingevano per confrontarsi con le impostazioni a sé circondanti. In particolare negli Stati Uniti diversi gruppi di lavoro si fondavano sull'antropologia tomista. Uno dei nomi più noti, ed a mio avviso uno dei più interessanti, è quello di Magda B. Arnold.
Ricercatrice della Loyola University, Magda Arnold si è specializzata nello studio delle emozioni. Forse intuendo che la modernità stava costruendo il proprio modo di pensare sulla dicotomia tra ragione ed emozione - che oggi vediamo ampliata sino all'estremo, con uno sbilanciamento a favore dell'emotività - ha condotto un importante approfondimento sul tema, che ha dato luce a due importanti volumi (Emotion and personality, 1960-1961). L'analisi delle dinamiche dell'azione, sia volontaria che automatica o istintiva o su base emotiva, ha portato alla rivalutazione di un concetto caduto in disuso - e ben presente, invece, nell'antropologia tomista - quale quello di arousal.
In questo bellissimo ed importantissimo testo, la Arnold passa al vaglio le immagini di uomo sottese dalle principali correnti della psicologia. Nel primo paragrafo evidenzia i postulati antropologici impliciti nelle visioni di Freud, Adler e Jung. Nel secondo paragrafo si concentra su quelli avanzati dalla psicologia accademica, con particolare riferimento alla corrente comportamentista e, all'opposto, umanista. Nel terzo paragrafo, invece, delinea un modello di uomo che includa le dimensioni tipicamente religiose: un uomo libero dai condizionamenti e responsabile delle proprie azioni poiché attratto (e non solamente spinto) dai valori. La conclusione stabilisce come la visione cristiana del mondo e dell'uomo favorisca una crescita sana ed armonica dell'uomo. Tale concezione viene sviluppata dall'autrice assieme ad altri colleghi in un'opera corposa (The human person, 1954) che ha l'obiettivo di fondare una teoria ed una prassi psicologica degna dell'essere umano integrale.
La psicologia e l’immagine dell’uomo
Di Magda B. Arnold
Loyola University, Chicago, Illinois
Qualsiasi siano i problemi che lo
psicologo indaga, che siano in psicoterapia o nella ricerca, implicano alcune
assunzioni sulla natura dell’uomo. Ogni psicologo possiede un’immagine
dell’uomo nella sua mente che determina il suo approccio, sia nei confronti del
problema di un paziente che di una ricerca. Ogni teoria psicologica designa una
fotografia dell’uomo, esplicitamente o implicitamente. È molto spesso iperseplificata,
ancor più spesso distorta, e raramente è di conforto a chi ha un orientamento
religioso.
Per
Freud, l’uomo è essenzialmente una
creatura dagli impulsi irrazionali. Le sue forze motivazionali interiori sono
spinte istintive che lo muovono all’emozione ed all’azione nella polarità
dell’amore e dell’aggressione (Eros e Thanatos). La psicoanalisi ha a che fare
con le tendenze appetitive dell’uomo ed il loro sviluppo genetico, dipingendo
una “odissea della libido” in cui l’energia psichica è diretta prima al corpo,
poi alla mamma, dopo al padre, per essere infine a disposizione della cathexis
dell’oggetto, da cui aumenta la consapevolezza e la simbolizzazione. Quando il
bambino si identifica con il padre, egli incorpora l’immagine del padre nel
“superio”, che soppianta la funzione punitiva del padre. Secondo Freud, le
minacce genitoriali e le punizioni sono ora “internalizzate”, così che il
bambino compie ciò che deve a causa della paura del superio, proprio come
faceva originariamente a causa della paura della punizione genitoriale. Allo
stesso tempo, il superio rappresenta anche il suo ideale dell’io, formatosi dal
padre. Così il bambino ama e contemporaneamente teme il superio, proprio come
amava e temeva il padre. L’id, fonte della libido, è repressa dal superio,
mentre l’io apporta un valido sostegno nel riconciliare i bisogni istintivi con
le necessità della realtà e le strutture del superio. Per Freud, la felicità
dell’uomo sembra giacere nel raggiungimento della più alta soddisfazione
istintuale nelle circostanze della vita. Tuttavia Freud nota che la felicità
non può essere trovata completamente nel piacere istintuale, poiché c’è un
verme nella mela (anche se non un serpente nel Giardino dell’Eden) che
impedisce la piena e finale soddisfazione.
La psicologia individuale di Adler
presenta una differente fotografia dell’uomo. L’enfasi centrale di Adler è sull’
“inferiorità costituzionale” del bambino in paragone all’adulto: per molti
anni, il bambino è completamente dipendente dai suoi genitori, non solo per la
vita ma anche per la realizzazione della maggior parte dei suoi desideri.
Questo genera una lotta per il potere, un desiderio di rimediare alla sua
percezione d’inferiorità, che lo porta in un conflitto permanente non solamente
con i suoi genitori ma anche con i fratelli e le sorelle maggiori. La
ribellione della generazione più giovane contro gli adulti ha trovato in Adler
un eloquente portavoce. Allo stesso tempo, egli enfatizza il sentimento di
comunità di base tra tutti gli uomini, che bilancia la lotta per il potere e
previene i suoi eccessi. Quando il sentimento di comunità è troppo debole per
bilanciare l’affermazione per la superiorità, o quando questa affermazione è
particolarmente intensa, si apre un conflitto ed una eventuale nevrosi. Più o
meno allo stesso modo, Freud vede l’origine della nevrosi e dell’infelicità
umana nel conflitto tra la libido e le barriere reali e culturali che la
confinano, così Adler li vede nel conflitto tra la lotta per il potere e i
limiti della cultura e dell’affetto. Per Adler, un obiettivo di vita dell’uomo
è di raggiungere il buon esito delle sue capacità senza perdere il contatto con
i suoi fratelli uomini. Egli raggiunge la superiorità sviluppando il suo “stile
di vita”, che è formato dalle esperienze infantili.
Jung, un altro dei primi discepoli di
Freud, si è allontanato dal maestro ancor più di Adler. Per Jung, l’obiettivo
di ogni uomo è la sua “individuazione”, un processo in cui emerge
dall’inconsapevolezza infantile attraverso un periodo di caratterizzazione
sociale, soprattutto la regolamentazione, alla luce della consapevolezza e del
pieno sviluppo dei suoi poteri. L’uomo pienamente individuato ha sviluppato le
quattro funzioni (pensiero, sentimento, sensazione, intuizione) piuttosto
equamente, e può utilizzarle con uguale facilità. Un tale uomo si sente a casa
nel suo inconscio tanto quanto nel suo conscio. È in grado di attingere dalla
saggezza cumulativa dell’ “inconscio collettivo” per correggere gli errori del
suo inconscio. In questo modo, l’uomo si rende un intero, integrato,
individuato, che vive non solamente grazie alle sue risorse coscienti ma anche
a quelle inconsce. L’uomo pienamente individuato è maestro delle forze
psichiche che tanto tempo fa, nell’infanzia della razza umana, ha utilizzato
per uscire fuori di sé tramite la proiezione, sotto forma di dei e di demoni. Ora
li può controllare invece di essere alla loro mercé. Per Jung, la personalità
si sviluppa in accordo con le leggi poste nell’inconscio. Il conscio deve fare
un passo indietro ed aspettare finché l’inconscio emerga, o piuttosto, finché
non sia l’inconscio a vivere nel conscio. Dunque, questo è il modo in cui Jung
interpreta le parole di San Paolo: “Non io ma Cristo vive in me”.
I
Paragonata a queste immagini
dell’uomo, colorate ed anche affascinanti, la fotografia scattata dalla
psicologia accademica è particolarmente poco accattivante. Per i
neo-comportamentisti con tendenze positivistiche, l’uomo è semplicemente un
animale molto complesso che può essere compreso sulla base di una semplice
proposizione: l’uomo è spronato all’azione da forze viscerali su cui si sono
innestate delle forze apprese di second’ordine; l’apprendimento serve per
riuscire a ridurre la forza tensiva, sia che questa sia primaria o secondaria.
Quindi l’uomo è inevitabilmente ego-centrato, sebbene possa sviluppare
motivazioni utili alla socializzazione se questo serve a ridurre la tensione.
L’uomo può progettare o pensare, ovvero manipolare i simboli piuttosto che gli oggetti,
e così i suoi obiettivi inevitabilmente dipendono dal milieu sociale in cui
vive e da cui è stato condizionato. Quindi il comportamentista è sicuro che una
piena conoscenza delle situazioni di stimolo permetterebbe l’esatta predizione
dell’azione umana. Per lui, la libertà umana è una delusione, la responsabilità
umana una trappola.
Ci
sono solamente piccole differenze tra questa fotografia dell’uomo e quella
scattata da altri teorici della psicologia. Una immagine più promettente si
trova in alcune delle teorie cliniche più recenti che vedono l’uomo come un
essere capace di auto-attualizzazione. Per Goldstein,
l’uomo sviluppa le sue potenzialità scegliendo i modi di azione, di percezione,
di valutazione, che eventualmente diventano abitudini, “costanti
comportamentali”. L’auto-attualizzazione è limitata dal tentativo di
auto-attualizzazione degli altri. Quindi l’individuo limita se stesso
volontariamente e soffre tale limitazione volontaria. Per Goldstein, libertà
significa scegliere l’auto-attualizzazione e l’auto-limitazione. Questo crea
una difficoltà nel mantenimento di un giusto equilibrio tra quello che un uomo
vuole e quello che può avere o si permette di avere. Così l’uomo differisce
dagli animali a causa del suo speciale problema di “centrarsi”, di trovare
l’equilibrio. Ma Goldstein crede che questo sia un fenomeno transitorio e che
l’impulso evoluzionista alla fine vincerà, assicurando la piena
auto-attualizzazione per chiunque.
Maslow, con un concetto simile di
auto-attualizzazione, tenta di precisare le forze che la favoriscono. Sul
livello più basso dello sviluppo ontogenetico egli colloca i bisogni biologici
che devono essere soddisfatti, almeno in qualche grado, prima che i bisogni
collocati più in alto, i bisogni di sicurezza, possano emergere. Quando questi
vengono soddisfatti, emerge il bisogno di amore, e poi il bisogno di valore, ed
infine, quando tutti i bisogni inferiori sono soddisfatti, il bisogno per
l’auto-attualizzazione comparirà sulla scena e solleciterà l’individuo ad
azioni creative che sono impossibili fin quando un uomo è motivato
semplicemente dai bisogni di sicurezza, di amore e di valore. Nella visione di
Maslow, è una questione di fortuna il fatto che i bisogni di base siano stati
soddisfatti nell’infanzia così che il bisogno di auto-attualizzazione possa
emergere. Mentre la scelta individuale e l’auto-determinazione è una
caratteristica degli “auto-attuatori”, non è sicuro come tale libertà sia
innescata. L’implicazione sembra portare al fatto che la natura umana possieda
le potenzialità per la libertà e per l’auto-determinazione ma che essa dipenda
interamente da circostanze ambientali favorevoli per giungere alla fruizione.
Per
l’uomo religioso, nessuna di queste immagini dell’uomo è realmente adeguata,
non importa quanto popolari esse siano in psicologia. L’immagine più
pietosamente distorta è dipinta dai neo-comportamentisti, per i quali non
esiste né libertà né responsabilità, né aspirazione culturale o estetica o
religiosa, e neppure auto-consapevolezza e riflessione. Dove ogni cosa è ridotta
ad espediente, neppure l’arte né la religione possono fiorire. Ciò che passa
come attività culturale o religiosa è semplicemente il risultato di un riflesso
condizionato appreso, basato sull’associazione meccanica piuttosto che su di un
vero riconoscimento di valore. L’adorazione per Dio diventa un prodotto
accidentale dell’apprendimento sociale; la questione della sua esistenza non
potrà mai sollevarsi. Per un uomo che vede questo sistema non solo come un
metodo più o meno utile all’indagine ma che lo assume come una spiegazione
generalmente valida, la religione non è niente di più di un dispositivo sociale
da poter cambiare o abolire a piacimento.
II
Alcuni degli altri sistemi non
sono più ben disposti verso una religione genuina. L’immagine freudiana
dell’uomo avrebbe bisogno di correzioni consistenti. Alcuni analisti moderni
(ad. es. Stern, Mailloux) suggeriscono che lo sviluppo psicosessuale, come
postulato da Freud, descriva solo l’organizzazione di personalità del
nevrotico, o la personalità prima della sua organizzazione razionale finale.
Essi lamentano che la psicoanalisi abbia descritto solamente le leggi
dell’inconscio; che il conscio dell’uomo sia razionale e che possa essere
aiutato a controllare l’inconscio. Così la psicoanalisi potrebbe essere
utilizzata per rompere le catene dell’inconscio, per rendere in grado il
paziente di agire in accordo con validi principi etici. Ma alla meglio questa
sembra una soluzione raffazzonata che invoca una ricostruzione dalle
fondamenta.
La
fotografia dell’uomo di Jung può sembrare più congegnale a prima vista, ma
rinchiude dei pericoli al suo interno. Il suo “inconscio collettivo” sembra
essere la riserva di tutte le grandezze, di tutte le immagini di eccellenza, ma
anche di tutto il male. L’uomo letteralmente produce i suoi dei ed i suoi
demoni, e deve essere istruito ad indietreggiare da queste proiezioni, dice
Jung, se vuole raggiungere la maturità. Jung spesso sottolinea che ci potrebbe
davvero essere qualcosa di reale dietro queste proiezioni ma tutto questo è
inaccessibile all’investigazione psicologica; dunque potrebbe essere possibile
prenderlo alla lettera e credere in tale realtà extra-psicologica. Ma questo
significa che dobbiamo rivolgerci ad un’altra immagine di uomo per avere
un’adeguata fotografia della realtà. Per quanto gli psicologi parlino di
“proiezioni”, che siano del tipo freudiano o junghiano, ciò implica certamente
che esse sono immagini prodotte dalla persona che le proietta fuori di sé,
piuttosto che un’esperienza di una qualche realtà extra-soggettiva. Al meglio,
accettare l’immagine freudiana o junghiana di uomo significa che dobbiamo
aggiornarla con un’altra, che tenga conto della realtà religiosa, e le due non
sono completamente compatibili.
L’uomo
attualizzatore, come Goldstein e Maslow lo dipingono, riduce l’uomo ad un
adoratore. Dalle premesse di Goldstein, l’aspirazione religiosa dovrebbe essere
parte del continuo progresso dell’umanità; ma non abbiamo risposte per coloro
che sostengono di non esser stati toccati da esso. Possiamo solo aspettare e
vedere se l’avanzamento progressivo dell’umanità porterà eventualmente la
sensibilità religiosa a tutte le persone. La spiegazione di Maslow potrebbe
permetterci di includere l’attività religiosa nell’auto-attualizzazione, proprio
come sono incluse le realizzazioni artistiche, scientifiche e culturali.
Infatti, Maslow dice che gli individui auto-attualizzanti possiedono un senso
religioso forte anche se non ortodosso. Mentre le persone che non sono
auto-attualizzatrici? Maslow ha trovato che esse sono la schiacciante
maggioranza. Esse non hanno senso religioso? E Dio non esiste per loro?
È
chiaro che tutte queste immagini dell’uomo si basano sull’assunto che l’uomo
possa essere spiegato su di una base puramente meccanicistica e deterministica,
come se fosse un animale o una macchina. Ogni tentativo di correggere queste
immagini senza correggere le loro assunzioni di base introdurrebbe una
spaccatura che minerebbe le basi della teoria o distruggerebbe l’immagine
correttiva sovraimposta.
Certamente
dovrebbe essere possibile costruire una teoria psicologia che riconosca l’uomo
come essenzialmente differente dagli animali malgrado tutte le somiglianze; una
teoria che ammetta che l’uomo possiede delle abilità che trascendono la conoscenza
sensoriale, e delle aspirazioni che vanno oltre gli istinti e gli appetiti. A
meno che l’immagine dell’uomo tratteggiata nella teoria psicologica includa
l’uomo razionale tanto quanto l’uomo guidato dall’impulso, a meno che includa
il riconoscimento da parte dell’uomo di cosa è bene e la sua determinazione ad
agire di conseguenza, non c’è possibilità di spiegare né le sue realizzazioni
culturali né le sue aspirazioni morali e religiose.
III
Una teoria che incorpora
un’immagine di uomo accettabile è stata recentemente delineata (Gasson, 1954;
Arnold, 1958). Secondo Gasson, l’essere umano può ed organizza le sue forze, le
azioni e le abitudini nella ricerca attiva del suo ideale. In questo modo,
sviluppa la sua personalità che è il frutto delle sue azioni e la radice dei
suoi sforzi futuri. C’è un’organizzazione naturalmente determinata, uno schema
di base, come dire, che stabilisce lo sviluppo umano normativo. Ma questa
tendenza naturale verso la perfezione, questo desiderio indefinito di essere
migliore, deve essere implementato dall’azione deliberata e dalla scelta
razionale se si vuole raggiungere la perfezione umana. Ogni uomo si muove verso
le cose e le persone per conoscerle, per apprenderle, e quindi per apprezzarle
o non apprezzarle. Amando una persona, ci si approccia a lei, si coopera con
lei, si ha diletto con lei. Apprezzando le cose, le si acquisisce, le si forma,
le si incrementa. Nell’acquisire ciò di cui si ha bisogno e che si vuole, si
guadagna il dominio sull’ambiente e così si arricchisce la personalità. Quindi
le funzioni attive di conoscenza, di apprezzamento, di volontà, costituiscono
una tendenza naturale per il possesso delle cose. Stabilizzando se stesso nel
loro possesso, l’uomo non solamente si arricchisce ma stabilisce una base per i
risultati futuri.
D’altra
parte, non ogni cosa nell’ambiente è di valore o utile. Le cose possono essere
pericolose o minacciose o semplicemente inadatte agli obiettivi naturalmente
determinati. (Non ogni cosa è commestibile, non ogni persona che si incontra è
da amare, non ogni luogo una casa). Ci sono difficoltà ed ostacoli sulla strada
della realizzazione e della crescita. Queste un uomo le deve evitare o
superare. Anche attraverso un qualche tipo di saggezza naturale inconscia (come
l’ “istinto” degli uccelli e delle api) o in altro modo, egli deve essere in
grado di riconoscerle, di valutarle e di sceglierle o rifiutarle a seconda che
le stimi come appropriate o inappropriate per sé.
Le
tendenze istintive (le “forze” o i “bisogni” di altre teorie) servono a rendere
sensibile l’uomo per degli oggetti particolari che egli vuole conoscere,
approcciare, possedere. Esse dipendono da un impulso (mangiare, bere,
accoppiarsi, ecc.) suscitato da un cambiamento ormonale che viene percepito,
stimato ed agito. Un tale impulso è di “base” non di più del desiderio di
conoscere qualcosa, ad esempio, di seguirlo, di approcciarlo o di conoscerlo.
Ma c’è una differenza tra una tendenza istintiva come l’appetito e una tendenza
emozionale come la rabbia o la paura: l’appetito incita a cercare il cibo mentre la rabbia e la paura urgono a combattere o
fuggire qualcosa che si è già conosciuto.
L’istinto rende sensibile la percezione mentre l’emozione è la risultante della percezione e della
valutazione. Postulando delle funzioni attive, non abbiamo bisogno di cercare
poche forze “di base”, e neppure di far derivare tutte le motivazioni umane da
tali forze. Piuttosto, scopriamo che l’essere umano è motivato da quello che
conosce, che valuta come bene, che vuole e che decide di ottenere.
Quindi
i motivi possono avere una base istintiva, una emozionale o una razionale.
Quando un uomo concepisce qualcosa come bene (piacevole, utile, di valore) lo
vuole e passa all’azione, possiede un motivo per quest’azione. La sua stima
della situazione può anche essere una semplice valutazione intuitiva oppure può
basarsi su di considerazioni razionali. Nell’adulto e nell’adolescente, c’è
sempre una certa deliberazione prima dell’azione, eccetto quando l’emozione è
imprevista ed irresistibile. Dopo la prima infanzia, i motivi sono solitamente
razionali, sebbene spesso abituali e non-riflessi. Anche la decisione di cedere
all’emozione è una decisione razionale.
Si
sviluppa gradualmente una gerarchia di motivi quando il bambino inizia a
comprendere cosa è più e cosa è meno importante. Il bambino di due anni può
desiderare ogni cosa che vede e deve essere istruito ad evitare le cose
pericolose. Ma quando il bambino inizia a comprendere quello che riguarda
l’avvertimento della madre e realizza le conseguenze che seguono il tocco di un
fornello acceso o di un coltello affilato, inizia ad essere prudente anche
senza il suo avvertimento. Gradualmente, inizia a realizzare che non può avere
o fare qualsiasi cosa semplicemente perché non ogni cosa è bene che la abbia o
la faccia. Inizia a sentire il bisogno di un’autodisciplina, per negarsi una
cosa così da possederne un’altra. Il giovane ragazzo può realizzare che
rimpinzandosi di dolci e acquistando troppo peso si giocherà le chance di
entrare a far parte della squadra di calcio. Se vuole far parte della squadra,
deve rinunciare ai dolci e deve essere preparato a negarseli ancora ed ancora.
Quella che di solito viene chiamata una “volontà forte” è semplicemente la
prontezza ad aderire ad una delle scelte di azione per quanto sia un desiderio
spiacevole ed inappagante.
Formazione del sé ideale. Tale scelta
razionale di condotta d’azione alla fine stabilisce una gerarchia dei valori:
ciò che è molto stimato è quello che vogliamo così intensamente da rinunciare
ad ogni altro piacere o soddisfazione pur di non perderlo. Questo oggetto così
desiderato è il nostro obiettivo di vita, ciò che aneliamo nel nostro cuore e
ciò che, desiderandolo, alla fine conseguiamo: il nostro sé ideale. Esso inizia
a formarsi non appena il bambino può ammirare l’eccellenza e vuole modellarsi
su di essa.
Come
Freud ha osservato, il bambino assume primariamente i genitori come modello
perché nel conoscerli e nell’amarli scopre che sono ammirevoli, che possiedono
delle qualità che al bambino mancano. Il papà o la mamma sono grandi, forti, di
valore, del tutto ammirabili. Essere come papà o come la mamma è conveniente,
anche se può richiedere fatica ed abnegazione. Dal momento che l’ammirazione e
l’amore, come altre emozioni, sono tendenze all’azione, esse solleciteranno il
bambino a fare quello che è necessario per raggiungere il suo obiettivo.
Con
l’inizio della riflessione, e incrementandosi sempre più lungo lo sviluppo, il
bambino inizia a correggere la gerarchia dei valori stabilita dalle sue azioni.
L’adolescente inizia a realizzare che deve prenderci la mano nel raggiungere il
suo sé ideale. Immagazzina le informazioni su se stesso e sul mondo attorno a
sé, decide quello che vuole fare con la sua vita, sceglie il suo lavoro e
compara come è con come sa che dovrebbe essere. Il sé ideale di un uomo è
l’indice della sua maturità.
Sebbene
il sé ideale sia scelto in parte in modo involontario, in parte dopo la
riflessione, esso non è puramente soggettivo. Per quanto il suo ideale rifletta
il meglio che è possibile raggiungere per questo individuo, date le sue doti, i
suoi pregi ed i suoi limiti, le sue particolari circostanze di vita, esso è
obiettivamente valido come termine del suo sviluppo. Ogni individuo può
solamente aspirare (e raggiungere) la sua
perfezione, la perfezione sia della sua individualità che della sua
umanità. Quando il sé ideale di un uomo è errato o perverso, sta agendo in
realtà contro i requisiti più profondi della sua propria natura. Quando
utilizziamo inappropriatamente qualcuna delle nostre funzioni, raccogliamo
insoddisfazione e malessere, come quando tentiamo di muovere i muscoli in un
modo che porta dolore, o come quando tentiamo di leggere al buio. In modo
simile, non saremo né felici né contenti se scegliamo un sé ideale che è
inappropriato o anche uno che è inferiore a quello che la nostra natura può
raggiungere. Proprio come il lavoro monotono porta tedio a chi è troppo
intelligente per esso, così il puntare a qualcosa di meno al meglio che c’è in
noi porterà noia, malessere, disillusione ed alla fine disperazione.
Un
uomo può scegliere un ideale di sé che sia oggettivamente valido e che
rappresenti idealmente l’umanità per come è incorporata in quel particolare
individuo; ma è anche libero di scegliere un ideale di sé per soddisfare la
propria convenienza, per perseguire un’attrazione particolarmente emozionante.
Se il suo ideale di sé è oggettivamente valido, farà esperienza di un rimorso
agonizzante ogni volta che agisce contrariamente a questo ideale, e così
recupererà velocemente la direzione verso il suo ideale. Se il suo ideale di sé
è al di sotto delle sue potenzialità o è soggettivo e distorto, egli può
fuggire il rimorso quando agisce in modo contrario ai suoi interessi ma non può
scappare dal conflitto inconscio tra la tendenza all’auto-perfezione inerente
alla sua natura e il sentiero personale che ha tracciato per se stesso.
Essenzialmente, tale conflitto è uno scontro tra le potenzialità naturali della
persona e la sua volontà, tra il suo desiderio inconsapevole di scorgere
qualcosa al di fuori di sé stesso e la voglia di trovare una scorciatoia per la
realizzazione e l’immediata soddisfazione.
IV
Nell’insieme, gli uomini sono
attratti dalle comodità che promettono le delizie dei sensi, dall’amore della
propria carne e del sangue, quelle connesse ad esse attraverso i vincoli di
sangue e di affetto, e da quello che possono realizzare nel mondo che porta
loro valore o fama. Il “mondo e la carne” suscitano un’attrazione che è
difficile da resistere, però è fuori scala per il loro valore genuino in quanto
esseri umani.
È
qui che la religione corregge i nostri valori e dirige la nostra attenzione
verso un ideale che sorpassa lungamente ciò che l’uomo può creare per se
stesso. La Rivelazione dice che l’uomo possiede un destino che va al di là di
ogni bene che può raggiungere in questo mondo; che il desiderio di una
conoscenza perfetta, di un amore infallibile e di comprensione, di una felicità
senza fine, può e troverà appagamento in Dio che è tutto in tutto. Questo pone
il fine della vita umana nell’unione con Dio. Un tale ideale organizzerà le
azioni dell’uomo e lo porterà all’armonia. Se l’unione con Dio è un nostro
scopo, i conflitti della vita umana possono risolversi perché essa non
solamente promette una completa soddisfazione ma anche riduce l’attrazione per
le cose buone della vita che possono distrarre la nostra attenzione.
Riconoscendo il carattere simbolico della nostra gioia nella compagnia umana e
il piacere della buona salute e del benessere fisico, anche dei successi
artistici, scientifici e culturali, noi ora possiamo sopportare la loro
precarietà senza frustrazione e soffrire la loro mancanza o perdita senza
disperazione.
Prima
di poter scegliere un tale ideale di sé, dobbiamo possedere la convinzione che
esso possa essere raggiunto e che sia stato raggiunto almeno da qualcuno
della razza umana. Ma l’uomo più ammirevole possiede evidenti imperfezioni che
diminuiscono il suo valore in quanto modello; e gli ideali più elevati non sono
abbastanza attraenti in astratto per ispirare la volontà a sottomettersi
all’infinita disciplina necessaria per agire consistentemente come l’ideale
richiede. Per il Cristiano, che riconosce Dio come l’obiettivo ultimo e Cristo
come la Via e la Vita, è facile stabilire e preservare la propria gerarchia dei
valori se segue le orme di colui che è il modello di tutta la perfezione umana.
Un
uomo può perseguire la strada che Dio ha preparato per lui se deve raggiungere
il suo destino ultimo, ma anche se deve trovare l’armonia interiore e la pace
della mente di cui ha bisogno nella vita quotidiana. Non importa quanto buone
siano le sue doti o quanto favorevoli siano le circostanze, un essere umano non
può raggiungere la perfezione possibile se semplicemente segue le sue
inclinazioni in modo indiscriminato. La sua tendenza emotiva naturale a
possedere ogni cosa che gli piace inevitabilmente lo porta dentro un conflitto
con il suo desiderio di obiettivi più utili. Se si distoglie da un valido
ideale di sé e continua a piegarsi ad ogni attrazione che passa, la sua
personalità rimarrà infantile, embrionica, e sarà ostinato ed auto-centrato per
tutta la vita. Che gli esseri umani non necessariamente sviluppino una
personalità matura è dimostrato dal bisogno crescente di psicoterapia e di
altri metodi di correzione e di re-educazione. Ma l’uomo la cui vita è centrata
in Dio raggiungerà non solamente la maturità ma anche la santità.
Una
tale teoria psicologica presenta un’immagine dell’uomo che prende in
considerazione i suoi istinti e le tendenze emotive ma anche la sua
responsabilità, la sua auto-determinazione ed il suo desiderio di felicità.
Nello stabilire un valido ideale di sé, la religione diviene un fattore
essenziale senza di cui un uomo sarà al di sotto delle sue potenzialità.
L’obiettivo dell’uomo diventa la perfezione della sua individualità e della sua
umanità che è raggiunta seguendo il meglio che conosce. Una tale immagine di
uomo è aperta all’indagine scientifica proprio come ognuna delle immagini rivali
che abbiamo descritto. Non dobbiamo postulare concetti esplicatori che non
possono essere provati, come le forze o i bisogni, l’energia psichica, la
libido, o una volontà universale per il potere, piuttosto siamo liberi di
esaminare il modo in cui l’uomo percepisce, apprende e decide l’azione; siamo
liberi di scoprire le sue aspirazioni, la sua gerarchia dei valori, di vedere
cosa vuole fare di se stesso. Per finalità cliniche proprio come per la
ricerca, un simile approccio è sia più realistico sia più promettente che
un’immagine dell’uomo costruita sul modello del topo, della macchina, o della
mente infantile.
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