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"Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili visto il loro spirito di materialismo puro e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici. (Rudolf Allers, 1936, lettera a P. Agostino Gemelli).

giovedì 3 novembre 2016

Psicologia e culto di sé - Paul Vitz

Nel mezzo della nostra indagine sul modello teorico-pratico dell’IPS, l’Insitute for the Psychological Science di Arlington, inseriamo – quasi come intermezzo – la recensione dell’unico testo di Paul Vitz tradotto in italiano: Psicologia e culto di sé. Si tratta di un’opera estremamente importante: la prima e più fondata critica alla psicologia umanista. Anni fa la lettura di questo libro mi permise di cogliere diversi aspetti oscuri che solo intuitivamente, da allora appassionato rogersiano alle prese con i primi colloqui da professionista, avevo intuito. Carl Rogers, così come diversi altri autori della scuola umanista, attraggono gli psicologi di area cattolica per diversi punti di contatto in apparenza coincidenti. In realtà, l’antropologia umanista è ben diversa dalla concezione di uomo promossa dalla Chiesa. La recensione di Martin F. Echavarria (edita da Sapientia, volume LVI, pp. 353-355, Buenos Aires 2001) ben ne evidenza i punti salienti, fornendo anche un prezioso inquadramento generale dell’autore e della sua storia.


Il volume italiano, Psicologia e culto di sé. Studio critico (EDB, Bologna 1987), è la traduzione della prima edizione del libro, del 1977. La recensione che ci apprestiamo a leggere, invece, si riferisce all’ultima edizione, del 1994. La versione più recente possiede due capitoli aggiuntivi. Per facilitare il lettore, i riferimenti alle pagine sono dell’edizione italiana, mentre per le parti assenti è stata aggiunta una nota in parentesi quadra.

Stefano Parenti



Paul Vitz

Paul C. Vitz, Psychology as Religion: The cult of Self-Worship, seconda edizione (Michigan: William B. Eerdmans Publishing Company, 1994), 173 pp.


Paul Vitz è professore di psicologia alla New York University, e pratica da molti anni la psicoterapia. Essendosi laureato (1957-1962) e dottorato (1964-1965) presso la Standford University, e con una mentalità agnostica, si interessò inizialmente alle teorie della personalità e della motivazione. Successivamente, a causa della confusione e della contraddizione che trovò in queste teorie, la sua attenzione si diresse verso la psicologia sperimentale, specialmente lo studio della percezione, della cognizione e dell’estetica. Si convertì al cristianesimo (protestante) verso il 1972, cosa che lo portò a ritornare alle sue preoccupazioni per la psicologia pratica, in particolare per la psicoterapia. Un approfondimento nella sua vita spirituale ed intellettuale lo spinse, nel 1979, ad entrare nella Chiesa Cattolica. Da quel momento, sino ad oggi, i suoi sforzi si sono concentrati nell’elaborazione e nella diffusione di ciò che egli chiama una «psicologia cristiana», ed anche «cattolica». Dal punto di vista pratico, da di verso tempo si è impegnato, assieme all’Institute for Psychological Science, in Virginia, di cui è anche professore, nella fondazione di una Rete Internazionale di Psicologi, al fine di una successiva organizzazione di un’Associazione Internazionale di Psicologi Cattolici. È anche professore all’Istituto Giovanni Paolo II, sezione di Washington.
            Tra le sue opere, assieme a quella che stiamo presentando, possiamo nominare Sigmund Freud’s Christian Unconscious (New York 1988), uno studio molto serio e documentato, di grande originalità, in cui mostra la relazione ambivalente di Freud con il cristianesimo, ed il ruolo fondamentale che ha giocato nella costruzione della sua personalità e nell’elaborazione della stessa psicanalisi. Collegato al tema di questo libro, si trova l’idea della centralità del peccato originale nella costituzione delle nevrosi, intravista dallo stesso Freud, benché male interpretata, e l’idea che Cristo sia l’Anti-Edipo, la vera soluzione al dramma di una personalità mal costituita. Il suo libro più recente è Faith of the Fatherless (1999) in cui, invertendo la tesi freudiana ed attraverso gli esempi di vita di alcune celebrità, mostra come non solamente la vita religiosa non sia il risultato di una cattiva relazione con il padre, ma anche come molti atei ed agnostici, tra i quali annovera lo stesso Freud, abbiano avuto un legame conflittuale con i propri genitori. Alcune delle sue opere possono essere scaricate dal suo sito internet (www.paulvitz.com).
            Il libro che stiamo recensendo è stato il primo scritto dal nostro autore, nel 1977, ovvero quando ancora era protestante. In questa seconda edizione, l’opera è stata praticamente riscritta, aggiungendosi anche due nuovi capitoli, tenendo presente la sua esperienza da cattolico ed i cambiamenti che sono avvenuti nei quasi 20 anni trascorsi dalla prima edizione. Nonostante la sua brevità, il contenuto di quest’opera è difficilmente riassumibile in pochi paragrafi. Ci accontenteremo di segnalare le linee essenziali, lasciando al lettore interessato l’approfondimento del suo contenuto.
            Ciò che Vitz tenta di fare in questo libro è una presentazione ed una critica della cosiddetta «psicologia umanista», di grande successo negli Stati Uniti da molti anni, e di altre correnti psicologiche imparentate con questo movimento, che si centra a tal punto nell’ «io» (self) tanto da divinizzarlo, trasformando la pratica della psicoterapia nello strumento di una religiosità egocentrica intramondana. Tra i teorici principali di questa corrente psicologica, l’autore cita Carl Jung, Erich Fromm, Carl Rogers, Abraham Maslow e Rollo May. Dopo una presentazione di questi autori («I quattro maestri», pp. 19-30), lo psicologo americano si concentra sull’esposizione dei loro contenuti fondamentali, che furono rapidamente divulgati tramite pubblicazioni facilmente accessibili, che si potevano trovare in qualsiasi libreria. Sviluppa così i temi dell’autostima (self-esteem), gli incontri di gruppo, l’autoaiuto e i gruppi di auto-aiuto, ecc. («Divulgazione della teoria del sé», pp. 31-39).
            Nei due capitoli successivi, Paul Vitz espone le critiche a questo movimento provenienti da due fonti distinte: la scienza («La teoria del sé come pseudoscienza», pp. 41-54) e la filosofia («Dal punto di vista filosofico», pp. 55-61). All’interno del primo gruppo si trovano le obiezioni di 1) psichiatri e psicoanalisti; 2) biologi ed etologi; 3) psicologi sperimentali. Dal punto di vista filosofico, l’autore si occupa della critica dell’esistenzialismo, poiché per quanto si riferisca ai teorici statunitensi della personalità, il fondamento teorico è scarso o nullo.
            Successivamente, Vitz dimostra le conseguenze nocive che l’applicazione di questa psicologia ha portato in diversi ambiti della cultura: nella famiglia, con il suo individualismo (pp. 91-98), nella scuola, con il relativismo dei valori [si tratta di uno dei due capitoli aggiunti alla seconda edizione, assente in quella italiana], e nella società in generale, riferendosi in particolare alla società del successo e del consumo (pp. 63-71). In un nuovo capitolo, rispetto alla prima edizione, l’autore si occupa della New Age, e dei suoi fondamenti psicologici [anche questo assente nell’edizione italiana].
            Infine, dal capitolo 8 in avanti, Vitz si concentra principalmente nella sua critica di questa corrente dal punto di vista cristiano. Per prima cosa, esplicita gli antecedenti storici delle idee che la sostengono (pp. 73-90). Dopo (pp. 99-114), espone il proprio giudizio, contrastando i principi di questa psicologia «selfista», che considera idolatrica, con quelli del cristianesimo, e in particolare sul tema dell’amore, che per i cristiani ha il suo centro nel comandamento dell’amore a Dio, e non all’io, il cui amore è naturale (p. 114). Un altro punto di confronto è il concetto di creatività: mentre per i «selfisti», la propria personalità è autocreativa, per il cristiano si tratta di sviluppare i talenti che Dio stesso ha donato, nel servizio a sé ed agli altri, fondandosi nella creazione divina, che è il modello eterno di bellezza e saggezza (pp. 110-113). Per ultimo, «un ultimo irriducibile conflitto tra cristianesimo e selfismo riguarda il significato del dolore» (p. 111). Mentre per il cristiano «nell’imitazione di Cristo, il dolore può servire da esperienza per la quale si raggiunge una vita spirituale superiore», al contrario, «la filosofia selfista, invece, banalizza la vita affermando che il dolore (e, per implicazione, la morte stessa) è privo di significato intrinseco» (pp. 111-112). L’autore termina il libro in modo ottimista, invitando a beneficiare della caduta dell’ «eroismo moderno», come di una opportunità per un nuovo futuro per il cristianesimo.
            In conclusione, il libro ci sembra utile ed equilibrato, ed invitiamo a leggerlo, ed anche le altre opere di questo autore, così come anche a tradurle. In particolare, e ben oltre le discrepanze che possono esistere nella valutazione dei punti particolari della psicologia, l’attitudine e l’atteggiamento fondamentale di Paul Vitz sembrano sicuri, a giudizio di chi scrive queste righe, ed anche validi, in un ambito culturale in cui i cristiani ancora non si son fatti sentire a sufficienza.

Martin Federico Echavarria

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