Il volume italiano, Psicologia e culto di sé. Studio critico (EDB, Bologna 1987), è la traduzione della prima edizione del libro, del 1977. La recensione che ci apprestiamo a leggere, invece, si riferisce all’ultima edizione, del 1994. La versione più recente possiede due capitoli aggiuntivi. Per facilitare il lettore, i riferimenti alle pagine sono dell’edizione italiana, mentre per le parti assenti è stata aggiunta una nota in parentesi quadra.
Stefano
Parenti
Paul Vitz |
Paul C. Vitz, Psychology as Religion: The cult of Self-Worship, seconda edizione (Michigan: William B. Eerdmans Publishing Company, 1994), 173 pp.
Paul Vitz è professore di psicologia alla New
York University, e pratica da molti anni la psicoterapia. Essendosi laureato
(1957-1962) e dottorato (1964-1965) presso la Standford University, e con una
mentalità agnostica, si interessò inizialmente alle teorie della personalità e
della motivazione. Successivamente, a causa della confusione e della
contraddizione che trovò in queste teorie, la sua attenzione si diresse verso
la psicologia sperimentale, specialmente lo studio della percezione, della
cognizione e dell’estetica. Si convertì al cristianesimo (protestante) verso il
1972, cosa che lo portò a ritornare alle sue preoccupazioni per la psicologia
pratica, in particolare per la psicoterapia. Un approfondimento nella sua vita
spirituale ed intellettuale lo spinse, nel 1979, ad entrare nella Chiesa
Cattolica. Da quel momento, sino ad oggi, i suoi sforzi si sono concentrati
nell’elaborazione e nella diffusione di ciò che egli chiama una «psicologia
cristiana», ed anche «cattolica». Dal punto di vista pratico, da di verso tempo
si è impegnato, assieme all’Institute for Psychological Science, in Virginia,
di cui è anche professore, nella fondazione di una Rete Internazionale di
Psicologi, al fine di una successiva organizzazione di un’Associazione
Internazionale di Psicologi Cattolici. È anche professore all’Istituto Giovanni
Paolo II, sezione di Washington.
Tra
le sue opere, assieme a quella che stiamo presentando, possiamo nominare Sigmund Freud’s Christian Unconscious (New
York 1988), uno studio molto serio e documentato, di grande originalità, in cui
mostra la relazione ambivalente di Freud con il cristianesimo, ed il ruolo
fondamentale che ha giocato nella costruzione della sua personalità e
nell’elaborazione della stessa psicanalisi. Collegato al tema di questo libro,
si trova l’idea della centralità del peccato originale nella costituzione delle
nevrosi, intravista dallo stesso Freud, benché male interpretata, e l’idea che
Cristo sia l’Anti-Edipo, la vera soluzione al dramma di una personalità mal
costituita. Il suo libro più recente è Faith
of the Fatherless (1999) in cui, invertendo la tesi freudiana ed attraverso
gli esempi di vita di alcune celebrità, mostra come non solamente la vita
religiosa non sia il risultato di una cattiva relazione con il padre, ma anche
come molti atei ed agnostici, tra i quali annovera lo stesso Freud, abbiano
avuto un legame conflittuale con i propri genitori. Alcune delle sue opere
possono essere scaricate dal suo sito internet (www.paulvitz.com).
Il
libro che stiamo recensendo è stato il primo scritto dal nostro autore, nel
1977, ovvero quando ancora era protestante. In questa seconda edizione, l’opera
è stata praticamente riscritta, aggiungendosi anche due nuovi capitoli, tenendo
presente la sua esperienza da cattolico ed i cambiamenti che sono avvenuti nei
quasi 20 anni trascorsi dalla prima edizione. Nonostante la sua brevità, il
contenuto di quest’opera è difficilmente riassumibile in pochi paragrafi. Ci
accontenteremo di segnalare le linee essenziali, lasciando al lettore
interessato l’approfondimento del suo contenuto.
Ciò
che Vitz tenta di fare in questo libro è una presentazione ed una critica della
cosiddetta «psicologia umanista», di grande successo negli Stati Uniti da molti
anni, e di altre correnti psicologiche imparentate con questo movimento, che si
centra a tal punto nell’ «io» (self)
tanto da divinizzarlo, trasformando la pratica della psicoterapia nello
strumento di una religiosità egocentrica intramondana. Tra i teorici principali
di questa corrente psicologica, l’autore cita Carl Jung, Erich Fromm, Carl
Rogers, Abraham Maslow e Rollo May. Dopo una presentazione di questi autori («I
quattro maestri», pp. 19-30), lo psicologo americano si concentra sull’esposizione
dei loro contenuti fondamentali, che furono rapidamente divulgati tramite
pubblicazioni facilmente accessibili, che si potevano trovare in qualsiasi
libreria. Sviluppa così i temi dell’autostima (self-esteem), gli incontri di gruppo, l’autoaiuto e i gruppi di
auto-aiuto, ecc. («Divulgazione della teoria del sé», pp. 31-39).
Nei
due capitoli successivi, Paul Vitz espone le critiche a questo movimento
provenienti da due fonti distinte: la scienza («La teoria del sé come
pseudoscienza», pp. 41-54) e la filosofia («Dal punto di vista filosofico», pp.
55-61). All’interno del primo gruppo si trovano le obiezioni di 1) psichiatri e
psicoanalisti; 2) biologi ed etologi; 3) psicologi sperimentali. Dal punto di
vista filosofico, l’autore si occupa della critica dell’esistenzialismo, poiché
per quanto si riferisca ai teorici statunitensi della personalità, il
fondamento teorico è scarso o nullo.
Successivamente,
Vitz dimostra le conseguenze nocive che l’applicazione di questa psicologia ha portato
in diversi ambiti della cultura: nella famiglia, con il suo individualismo (pp.
91-98), nella scuola, con il relativismo dei valori [si tratta di uno dei due
capitoli aggiunti alla seconda edizione, assente in quella italiana], e nella
società in generale, riferendosi in particolare alla società del successo e del
consumo (pp. 63-71). In un nuovo capitolo, rispetto alla prima edizione,
l’autore si occupa della New Age, e
dei suoi fondamenti psicologici [anche questo assente nell’edizione italiana].
Infine,
dal capitolo 8 in avanti, Vitz si concentra principalmente nella sua critica di
questa corrente dal punto di vista cristiano. Per prima cosa, esplicita gli
antecedenti storici delle idee che la sostengono (pp. 73-90). Dopo (pp.
99-114), espone il proprio giudizio, contrastando i principi di questa
psicologia «selfista», che considera idolatrica, con quelli del cristianesimo,
e in particolare sul tema dell’amore, che per i cristiani ha il suo centro nel
comandamento dell’amore a Dio, e non all’io, il cui amore è naturale (p. 114).
Un altro punto di confronto è il concetto di creatività: mentre per i
«selfisti», la propria personalità è autocreativa, per il cristiano si tratta
di sviluppare i talenti che Dio stesso ha donato, nel servizio a sé ed agli
altri, fondandosi nella creazione divina, che è il modello eterno di bellezza e
saggezza (pp. 110-113). Per ultimo, «un ultimo irriducibile conflitto tra
cristianesimo e selfismo riguarda il significato del dolore» (p. 111). Mentre
per il cristiano «nell’imitazione di Cristo, il dolore può servire da
esperienza per la quale si raggiunge una vita spirituale superiore», al
contrario, «la filosofia selfista, invece, banalizza la vita affermando che il
dolore (e, per implicazione, la morte stessa) è privo di significato intrinseco»
(pp. 111-112). L’autore termina il libro in modo ottimista, invitando a
beneficiare della caduta dell’ «eroismo moderno», come di una opportunità per
un nuovo futuro per il cristianesimo.
In
conclusione, il libro ci sembra utile ed equilibrato, ed invitiamo a leggerlo,
ed anche le altre opere di questo autore, così come anche a tradurle. In
particolare, e ben oltre le discrepanze che possono esistere nella valutazione
dei punti particolari della psicologia, l’attitudine e l’atteggiamento
fondamentale di Paul Vitz sembrano sicuri, a giudizio di chi scrive queste
righe, ed anche validi, in un ambito culturale in cui i cristiani ancora non si
son fatti sentire a sufficienza.
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