Dopo aver approfondito il contributo di Paul Vitz al modello dell'Institute for the Psychological Sciences di Arlington (recentemente divenuto parte della Divine Mercy University), ci concentriamo ora sul pensiero di un altro importante autore del medesimo gruppo: Craig Steven Titus. Già professore all'Università di Friburgo, ora insegna antropologia filosofica approfondendo il tema delle virtù in riferimento allo sviluppo emotivo e morale, focalizzandosi sulla psicologia della virtù ed integrando i dati provenienti dalle tre branche del sapere che si occupano di tali tematiche: la psicologia, la filosofia e la teologia. E' autore di diversi testi molto interessanti. In Resilience and the virtue of fortitude - Aquinas in dialogue with the psychosocial sciences (Catholic University of America Press, 2006) confronta il concetto di resilienza delle psicologie contemporanee con la virtù della fortezza descritta dall'Aquinate. Nei tre testi collettivi Philosophical psychology - Psychology, emotions and freedom (The IPS Press, 2009), The psychology of character and virtue (IPS Press, 2009) e Philosophical virtues and psychological strenghts - Building the bridge (Sophia Intitute Press, 2013) cura una visione d'insieme dell'umano in cui trovano spazio le virtù, la loro formazione, l'educazione ed anche la terapia. Cura anche la pubblicazione degli insegnamenti di Servais Pinckaers, OP, intitolati The Pinckaers reader - Renewing Thomistic Moral Theology (Catholic University of America Press, 2005), in cui si riprende la lezione dell'Aquinate sulla persona, nonché altri testi più squisitamente filosofici.
La cultura contemporanea, fortemente influenzata da Cartesio, crea continuamente la contrapposizione tra ragione ed emozione, tra intelletto ed affezione. Il sentimento è inteso quasi sempre come irrazionale, e la ragione è vista come freddo calcolo. Così, se un ragazzo è timido (emozione) gli si suggerisce di riflettere (ragione), perché non "bisogna avere paura", non c'è "nulla di cui vergognarsi". Al meglio, gli si indica di "essere coraggioso", senza però riuscire a comprendere che il coraggio non è semplicemente un'emozione, che va e che viene, irrazionale, relativista, ma una virtù, che contiene una conoscenza ed una spinta affettiva, e va coltivata ed allenata. Nel testo che ci apprestiamo a leggere, Titus dirà che: "Questo suggerisce che lo sviluppo della virtù non sia completa con il raggiungimento di un livello di maturità di ragionamento". Si rende necessario, quindi, riprendere il concetto di carattere come risposta preferenziale agli eventi, così come lo definisce Allers, e di virtù quale azione abituale che mira alla prosperità. Ma anche di ideale di sé in quanto linea guida di sviluppo, così come ne parla la Arnold, e di cammino terapeutico come percorso di sviluppo delle virtù umane.
L'articolo qui riportato è la traduzione di una lezione tenuta il 14 Settembre 2012. Un articolo più strutturato che ne sviluppa ulteriormente i contenuti è liberamente visibile al seguente indirizzo. Ringrazio l'autore per l'autorizzazione.
Tommaso d’Aquino e la Psicologia Positiva: un approccio Cattolico all’uso delle virtù in psicologia
Craig Steven Titus Institute for the Psychological Sciences (Arlington, VA)
Introduzione
In questa discussione[1], vorrei proporre un confronto sullo
sviluppo e l’utilizzo della virtù in psicologia tra due leader nei loro
rispettivi campi: primo, Martin E. P. Seligman, che ha dato il nome e, per
certi aspetti, ha lanciato il movimento della psicologia positiva, e, secondo,
Tommaso d’Aquino, che è considerato il leader perenne nella teoria Cristiana
della virtù costruendola dalle fonti bibliche e patristiche, così come dalla
filosofia classica. L’Aquinate è il terreno comune per molti Cristiani – ma in
modo differente rispetto alla Bibbia (le Sacre Scritture) e la tradizione
Patristica. In particolare, presenterò una visione Cattolica dell’Aquinate e
delle fonti che i Cattolici Romani considerano essere parte della tradizione
vivente e del Magistero che lo Spirito Santo continua ad utilizzare per guidare
la Chiesa (al di là degli errori morali dei suoi membri particolari).
Come
contributo finalizzato ad una Psicologia Positiva Cristiana proveniente da
questa prospettiva comune (Cattolica), vorrei operare diverse distinzioni
nell’utilizzo delle virtù nella psicologia. Queste distinzioni ci aiuteranno a
comprendere meglio il cosiddetto approccio della psicologia positiva (come
descritto da Seligman e Christopher Peterson) e l’approccio Cattolico alla
Psicologia Positiva Cristiana (ispirato alla teoria della virtù di Tommaso
d’Aquino e alla sua teoria della natura e della grazia).
Invece di iniziare con un trattato
sulle virtù a se stanti (in quanto funzioni delle potenze cognitive ed
affettive – la causa materiale della virtù), questo approccio richiede di
giudicare prima la nozione di prosperità (l’efficacia - causa formale e
finale). Infatti, devo prima dedicarmi ai tipi di prosperità (felicità e
beatitudine) al fine di collocare le basi morali o della grazia o normative e
teologiche della teoria della virtù e rispondere ad alcuni interrogativi etici
importanti per i pensatori Cattolici che utilizzano la virtù in psicologia. In
particolare, mi addentrerò nella nozione di prosperità e di sviluppo morale
dell’Aquinate, operando una triplice distinzione della virtù che include: (1)
le disposizioni personali ad agire (aspetto disposizionale), (2) la tipologia
degli atti (aspetto operativo), e (3) gli standard per l’azione (aspetto
normativo) – ovvero i modelli e le norme legali, professionali, etiche e
religiose necessarie per la prosperità. Queste distinzioni ci permettono di
andare al di là della semplice funzione (delle capacità umane personali o della
causa materiale della virtù), perché dobbiamo anche prenderci cura del
contenuto della virtù (ossia, gli aspetti formali e finali necessari a
comprendere una visione Cristiana sulla virtù e sul vizio).
Secondo, collocherò le nozioni di
prosperità e di normatività della psicologia positiva nella loro visione
complessiva della persona.
Terzo, analizzerò le differenze
concernenti l’uso delle virtù in psicologia basandomi sulla nozione di
“integrità” della psicologia positiva e la visione della “connessione delle
virtù” dell’Aquinate.
Nella conclusione, valuterò alcuni
dei punti di forza e dei limiti dell’approccio alla virtù dell’Aquinate e della
psicologia positiva come input Cattolico per una Psicologia Positiva Cristiana.
Per prima cosa, mi rivolgo all’Aquinate per la prosperità, l’operosità, le
disposizioni e le norme.
1. L’Aquinate: i contributi normativi, disposizionali ed operativi della
virtù alla prosperità
L’Aquinate fu uno straordinario pensatore medievale
(1224-1274) la cui nozione di virtù e di vita Cristiana continua ad essere
d’interesse, specialmente nella ripresa contemporanea della teoria della virtù,
e ad offrire un contributo alla Psicologia Positiva Cristiana. Farò
un’introduzione molto semplice di questo pensiero filosofico e teologico sulla
prosperità e sulle virtù (Torrell, 2005; Pope, 2002).
Desiderio
sostenere che l’Aquinate non viene sempre rappresentato per la piena ricchezza
del suo pensiero. Egli è conosciuto (1) in alcuni ambiti per il suo approccio
alla virtù e (2) in altri per il suo
approccio normativo (alla natura ed alla legge naturale); a volte, (3) per la
sua prospettiva eudeimonica o di prosperità nella teleologia del comportamento
morale ed etico, ed altre volte, (4) per il suo accento religioso sulla
beatitudine divina, la grazia, e l’esemplarità di Gesù Cristo nell’etica
teologica Cristiana.
Ciononostante,
vorrei suggerire che solo quanto tutti questi elementi sono integrati in una
più ampia visione della creazione, della caduta e della redenzione (exitus e reditus) questa nozione di prosperità e di sviluppo morale della
virtù diviene chiara.
Anche se in
modo non incontrovertibile tra gli approcci all’etica Cristiana, la teoria
della virtù dell’Aquinate merita attenzione a causa della sua abilità di
mettere in relazione i domini di sviluppo e normativi, e per la sua capacità di
favorire il dialogo tra la fede e le pratiche religiose (teologia), la ragione
e le pratiche sapienziali (filosofia), e le osservazioni quantitative e le
applicazioni terapeutiche (le scienze umane, ovvero, la psicologia).
Come
l’Aquinate definisce la virtù? L’Aquinate (S.Th. I-II q. 55 a. 4) utilizza una
definizione di virtù che Lottin (1942-1960) ha attribuito a Sant’Agostino: “La
virtù è una qualità positiva della mente, attraverso cui viviamo rettamente, di
cui nessuno può far cattivo utilizzo, che Dio usa in noi, senza di noi”
(Agostino, 387-395/1993, II. 19: PL 32.1268). L’ultima frase si riferisce alla virtù infusa, cioè, al tipo di virtù che
è informata attraverso i doni di Dio di fede, speranza e carità. L’Aquinate (S.
Th. I-II q. 55 a. 4) definisce la virtù in generale come una disposizione
operativa positiva (habitus operativus),
che include una solida e stabile qualità per l’azione morale. La sua
definizione filosofica di base dice che: “La virtù denota una determinata
perfezione di una potenza” (S. Th. I-II q. 56 a. 1).
1.1 La norma della
prosperità (la beatitudine come norma per la virtù Cristiana)
Radicata nell’insegnamento del Libro della Genesi (1:27), la
capacità umana di prosperità e di virtù si fonda nel nostro essere creati ad
immagine di Dio. Questa capacità è evidente nell’intelligenza umana, nella
libera volontà, e nell’auto-determinazione (S. Th. I-II prologo); ovvero, la
relativa autonomia della natura umana, che partecipa del dono divino di essere
creata ad immagine di Dio, da una parte, ed è limitata in un altro modo dagli
effetti del peccato, dall’altra. L’immagine di Dio prospera nella persona umana
attraverso la perseveranza e la creatività delle virtù, costruite come delle
disposizioni che soddisfano la persona umana in modo parziale, completo ed
ultimo. L’Aquinate tratta queste differenze prima rivolgendosi alle virtù
teologali ed infuse, poi nei temi delle virtù morali (ed intellettuali). Il suo
(ed il nostro) interesse è più di un interesse funzionale. Include il
funzionamento delle virtù, ma anche la loro portata normativa (che per il
Cristiano Cattolico è Cristologica e Trinitaria) che non si identifica
semplicemente con l’esempio delle facoltà psicosociali di una persona virtuosa,
ma nell’interazione tra la finalità, gli obiettivi ed i beni che soddisfano a
livello personale e sociale, naturale e della grazia (S. Th. I-II, q. 1-5).
Infine, la visione dell’Aquinate di una virtù completa e perfetta deve essere
compresa come un’imitazione di Cristo informata dalla fede e dalla grazia, il
quale è il modello divino, il mentore e l’esemplare primario di ogni vera e
completa virtù.
Al fine di
comprendere questo approccio Cattolico, abbiamo bisogno di essere attenti
all’argomentazione dell’Aquinate non solo su come la grazia informi la natura
nella creazione (ad imaginem Dei), ma
anche come la grazia curi e trasformi (divinizzi) la natura dopo la caduta,
nella redenzione. Non ho bisogno di convincere gli psicoterapeuti della necessità
di evidenziare “La Caduta”. Mentre il peccato non è direttamente la causa di
ogni malattia mentale, l’effetto della Caduta e l’effetto del peccato personale
continua ciononostante a flagellare la prosperità umana e la salute mentale (S.
Th. I q. 49 a. 1). La Redenzione portata da Cristo offre nuove fonti – fonti di
grazia, fonti sacramentali – per la cura ed il perdono che giungono attraverso
le virtù della fede, della speranza e della carità come San Paolo ci ricorda
(in Rom 5:15 e 1 Cor 13), tanto che queste virtù teologali influenzano tutte le
altre virtù nella vita dello Spirito (Rom 8).
Il referente
primario, secondo la visione della virtù dell’Aquinate, è il fine ultimo della
persona, la completa felicità o beatitudine che possiede Dio in quanto sua origine,
mezzo e fine (Dio Incarnato in Cristo, il Dono dello Spirito Santo, e il
dono della contemplazione di Dio) (S. Th. I-II q. 5; II-II q. 188 a. 6). La
prosperità ultima come descritta nelle Beatitudini (S. Th. I-II q. 69) serve
come norma per la virtù; la vocazione alla prosperità deve essere in accordo
con la legge divina, specialmente la legge divina dell’amore (S. Th. I-II q.
106-108).
In aggiunta
a questo obiettivo finale, un altro tipo di parametro per la prosperità e lo
sviluppo morale è stabilito dalla normatività dovuta all’origine umana (S. Th.
I q. 75-102; I-II q. 94 a- 2; De veritate,
V. 5). Alla luce della sociobiologia evoluzionistica, questa posizione è
tutt’altro che incontrovertibile. Il dibattito sulla natura comune, il valore
etico e la normalità psicologica è complesso e lungo. Anche nel mezzo di una
moltitudine di contingenze e di disordini (a livello personale,
interpersonale/sociale e ambientale), una visione Tomista Cattolica conserva,
ciononostante, una posizione non relativista. Dei numerosi contributi
dell’Aquinate su questo perenne dibattito, uno è particolarmente d’aiuto: la
distinzione tra natura di base e seconda natura; ovvero, tra il sottosuolo
comune degli esseri umani-come-noi (la natura di base) e i diversi percorsi di
sviluppo che gli esseri umani possono percorrere (la seconda natura).
1.2 Aspetti dell’azione
delle virtù: la base per gli atti liberi e responsabili
Una focalizzazione sulla virtù psicologica dell’operatività,
secondariamente, deve interessarsi dell’importanza degli atti, delle loro
conseguenze, e della natura della libertà.
Nell’approccio
metafisico e cristiano alla virtù dell’Aquinate, l’esperienza della libera
volontà (e del libero esercizio degli atti virtuosi) non può essere spiegata
solamente dal corpo (cause materiali, ovvero solamente dal genoma e dal sistema
neurale della persona). Spiegare le esperienze di libera volontà richiede allo
stesso tempo più di una descrizione fenomenologica. Richiede delle cause
formali e finali (o condizioni; Spitzer, 2010) che da sole siano sufficienti a
complementare le cause materiali che si trovano nel corpo (cervello, geni,
ambiente) e nei processi non-consci. Da una parte, la libera volontà richiede
che la persona umana possieda una capacità di auto-dirigersi (causa formale o
condizione). La prospettiva Cristiana, inoltre, riconosce il lavoro dello
Spirito Santo attraverso la grazia divina (in atti particolari, come il
coraggio, la speranza, la fede…). Inoltre include il come l’azione sia formata
(condizionata) dalla conoscenza e dall’amore di Dio e del prossimo
(esplicitamente per ogni Cristiano) che la persona guadagna apprendendo e
rispettando i Dieci Comandamenti, insegnando i Vangeli (specialmente il
Discorso della Montagna [Matteo 5-7] e le Beatitudini) ed altre esortazioni
morali e spirituali (specialmente quelle di San Paolo (paraclesis) che si
trovano in: Romani 12-15, 1 Corinti 12 e 13, Colossesi 3 e 4, Efesini 4 e 5,
Galati 5; Pinckaers, 2006; Sherwin, 2005). L’Aquinate richiama San Paolo per ricordarci
che la conoscenza di base e l’amore di Dio è comprensibile attraverso la legge
scritta nel cuore di ogni persona (Rom 1-2: 14).
D’altra
parte, questa conoscenza e questo amore includono anche la tendenza verso la
prosperità quotidiana e la prosperità ultima (causa finale). Per il Cristiano,
l’approccio alla virtù includerà l’essere recettivo ed attivo nell’annunciare
il Regno di Dio, l’imitazione di Cristo, il movimento dello Spirito Santo, …
Con entrambi
questi elementi (causalità formale e finale), la persona possiede la capacità
non-invasiva di essere influenzata dalla grazia divina (come compresa da una
visione del mondo Cristiana Cattolica) senza compromettere la libera volontà
umana (Schmitz, 2009).
Poi, questa
discussione degli atti morali umani, in quanto aspetto base della prosperità
umana, richiede un’ulteriore considerazione del carattere morale, cioè, della
disposizione dell’agente ad agire virtuosamente, ancora una volta ispirato
dalla norma che mira alla prosperità.
1.3 Aspetto disposizionale
delle virtù: il carattere nella prosperità
La direzione generale di ogni atto virtuoso e vizioso di ogni
cliente e terapeuta ha fonti passate di condizionamento, influenze presenti, ed
obiettivi futuri. Essi includono diverse combinazioni di materia, ragione, e
disposizione (corpo, intenzione e carattere). Ovvero, essi non implicano solo
“quello che facciamo” (materia dell’atto) e “perché lo facciamo” (l’intenzione
e la motivazione dell’atto), ma anche “chi diventiamo attraverso i nostri atti”
(il carattere definito dalle azioni). Gli atti virtuosi e viziosi costituiscono
il nostro carattere morale e la nostra disposizione ad agire. Come Giovanni
Paolo II dice nella Veritatis Splendor n° 71, mentre cita l’Aquinate (S. Th.
I-II q. 1 a. 3), “Gli atti umani sono atti morali perché esprimono e decidono
della bontà o malizia dell’uomo stesso che compie quegli atti”. Essi delineano
i “tratti spirituali più profondi”, le caratteristiche di bene e di male che
sono inscritti nella persona che li compie. Questo è il perché l’aspetto
disposizionale della virtù e del vizio è di massimo interesse per l’utilizzo
Cattolico della virtù in psicologia.
Per
l’Aquinate (S. Th. I-II, q. 51 a. 3; q. 63 a. 1; Commento al Corpus Paulinus, 2
Tessalonicesi 2:13), l’aspetto disposizionale della virtù (o del vizio) è
legato allo sviluppo morale e alla santificazione (o deificazione, o theosis come direbbero l’ortodosso e il
metodista). Questi cambiamenti disposizionali sono possibili solo perché,
condotti dalla grazia divina, possiamo influenzare ed anche costruire un
carattere virtuoso, sebbene non senza sforzo ed assistenza né con l’estrazione
del genoma, dei neuroni e dell’ambiente.
In quanto habitus operativo o disposizione, una
virtù è lo sviluppo positivo di una potenza umana naturale – le varie cause
materiali dell’unità tra corpo ed anima spirituale: intelletto, volontà ed
emozioni/passioni secondo l’ordinamento di base della sua natura (S. Th. I-II
q. 94 a. 2), anche se la fomes peccati [l’inclinazione
al peccato, n.d.t.] costituisce un’autonomia disordinata all’interno di queste
inclinazioni. Ciononostante, le disposizioni verso la virtù o il vizio possono
essere dirette (con più o meno successo) dalla ragione umana e dalla legge
divina o grazia (cause formali). Inoltre, le disposizioni virtuose trovano un
supporto sicuro nella grazia dello Spirito Santo (cause efficienti), attraverso
cui l’agente umano muove se stesso mentre è mosso (S. Th. II-II q. 52 a. 2 e
3).
San Tommaso
definisce una disposizione operativa (habitus)
come una qualità acquisita che possiamo cambiare solo con un grande sforzo (S.
Th. I-II q. 55 a. 1); una simile disposizione ad agire (per la giustizia e la
dignità di base di ogni persona, ad esempio) diventa una seconda natura (connaturalis) internalizzando il bene
nelle nostre capacità di conoscere e di amare (ragione, volontà, emozione) (S.
Th. I-II q. 49-54). Le disposizioni implicano una qualche stabilità, continuità
e flessibilità nelle potenze razionali, volitive o emotive. Comunque, esse non
sono né inaccessibili ad ulteriori cambiamenti (verso il meglio o verso il
peggio), né deterministiche e meccaniche. Al fine di essere considerate
virtuose, esse devono essere fedeli e creative all’interno della legge morale e
divina.
Il vizio
anch’esso opera a livello delle disposizioni dell’emozione, della
volontà e della ragione. Ma, al contrario della virtù, il vizio internalizza il
bene semplicemente apparente o il male evidente che in realtà opera contro la
natura umana e la prosperità. Per esempio, l’aspetto disposizionale del male si
trova nelle dipendenze da sostanze e negli attaccamenti disordinati
(pornografia, adulterio, masturbazione). Sia gli atti che le disposizioni delle
virtù e dei vizi possiedono caratteristiche normative; mentre le virtù sono in
accordo con la ragione e dipendono dalla grazia per una coerenza con Cristo, i
vizi riguardano una privazione della ragione che potrebbe essere la causa di un
atto o di una disposizione.
2. La psicologia
positiva
L’approccio della psicologia positiva è di particolare
interesse perché ha focalizzato la ricerca bio-psico-sociale contemporanea su
ulteriori dimensioni dello sviluppo morale rispetto a quelle che si trovano
nelle teorie della fase esclusivista (Titus, in pubblicazione). La psicologia
positiva ha introdotto nella psicologia morale un concetto più ampio di virtù
di quello di Jean Piaget (1932) o di Lawrence Kohlberg (1981, 1984). In
particolare essa impiega una vasta gamma di virtù, di forze del carattere, e di
temi situazionali al fine di descrivere la prosperità psicologica, lo sviluppo
morale e il benessere sociale. Questo approccio è meta-teoretico. Raggiunge
diverse aree di ricerca di differenti terminologie che possiedono un interesse
condiviso per l’esperienza e i tratti positivi. Il risultato è spesso meno
coerente, da un punto di vista concettuale, di quello che si trova nelle fonti
religiose e filosofiche che si fondano sulle osservazioni basate sull’evidenza
delle esperienze di vita (APA Presidential Task Force on Evidenced-Based Practice,
2006; Gubbins, 2008), e sulla rivelazione Biblica e sul Magistero.
2.1 Martin Seligman
sulla prosperità e lo sviluppo morale
Qui vorrei presentare brevemente la teoria della virtù e la
ricerca empirica sulla prosperità e sullo sviluppo morale di Martin Seligman.
Dopo aver dato avvio alla sua carriera con l’argomento dell’impotenza, nel
1975, e della psicologia dell’anormalità, nel 1982, negli anni '90 Seligman ha
virato verso lo studio dell’ottimismo e della speranza. Nel 1998, come
Presidente dell’American Psychological Association (APA), ha annunciato che il
momento era giunto per una trasformazione radicale nel dominio della psicologia
(Fowler, Seligman & Koocher, 1999). Da allora, ha continuato a studiare
empiricamente la prosperità e la felicità ed a stabilire una tassonomia del
buon carattere (2002); ha inspirato un vasto progetto di ricerca sulle virtù
(2004 – Values in Action Institute), che include contributi dalle implicazioni
cliniche (Peterson & Seligman, 2002; si veda anche Joseph & Linley,
2006; Linley & Joseph, 2004; Snyder & Lopez, 2002, 2007). Questo
movimento della psicologia positiva cerca di appropriarsi del fondamento
concettuale più maturo delle diverse tradizioni filosofiche e religiose sulle
virtù, sui tratti del carattere e sulla natura umana. Come complemento al
DSM-IV-TR (Manuale Diagnostico e Statistico nella sua quarta versione riveduta,
2000) dell’American Psychiatric Association, la psicologia positiva ha proposto
se stessa come Manuale della Salute
(2004).
Anche se la
scuola della psicologia positiva è stata identificata come tale solo nel 1998
(quattordici anni fa), essa si è impadronita di una teoria e di una ricerca:
dalla psicologia dello sviluppo (John Piaget, dagli anni ’30), dalle teorie
umanistiche (Maslow, 1956; Rogers, 1959), dalla ricerca sulla resilienza [dagli
anni ’60, Emmy Werner e Ruth Smith (1986); e dagli anni ’70, Norman Garmezy,
Ann Masten, Lois Murphy, Michael Rutter], e dagli studi sull’eccellenza, la
felicità (ed il benessere soggettivo), la speranza, e la creatività, ed altri
tratti del carattere e virtù che non cessano di affascinare i ricercatori
(Snyder, 1994; Peterson & Seligman, 2004) – tutto nella linea di
confutazione della negatività di alcuni modelli medici e psicologici (incluso
quello di Sigmund Freud).
Come
prospettiva bio-psico-sociale, la psicologia positiva pone la sua attenzione al
di là della patologia per comprendere lo sviluppo umano. Invece di cercare di
rilevare semplicemente i sintomi o di rendere le persone meno infelici, essa tenta
di trovare i segni della salute, di promuovere la prosperità personale, tanto
quanto di prevenire le patologie e di curare le malattie. Essa è l’unica –
nella psicologia moderna – ad impiegare le virtù e le forze del carattere come
una base concettuale generativa per organizzare un progetto di ricerca empirico
e globale.
Peterson,
Seligman, e l’approccio della psicologia positiva hanno immesso il concetto di
virtù al servizio della psicologia teoretica ed empirica [ed anche delle
applicazioni cliniche]. In particolare, la psicologia positiva si focalizza
sulle forze del carattere e sulle virtù che aiutano la cura umana, la crescita
e la prosperità, utilizzando le scienze neurologiche, cognitive ed
evoluzionistiche [ed anche gli studi comparativi pre-empirici]. Essa offre
specialmente delle osservazioni pertinenti sul funzionamento e la crescita di
uno spettro di virtù e, secondo Martin Seligman, serve in quanto “scienza sociale equivalente
all’etica delle virtù, utilizzando il metodo scientifico per dare forma alle
affermazioni filosofiche sui tratti che appartengono ad una buona persona”
(Peterson & Seligman, 2004, p. 89).
2.2 Le virtù nella
psicologia positiva
In aggiunta ad una definizione consensuale, la disamina delle
virtù della psicologia positiva attribuisce ad ogni virtù: (1) una
presentazione comparativa delle tradizioni teoriche (psicologiche, filosofiche
e religiose); (2) le scoperte degli studi empirici (valutazione e misurazioni
delle virtù); (3) una discussione sullo sviluppo della virtù con i suoi fattori
abilitanti ed inibenti; (4) un’analisi degli aspetti culturali e di genere, ed
infine (5) dei dettagli sugli interventi mirati e di ricerca che dovranno
essere fatti in futuro.
Peterson e
Seligman situano i vari aspetti delle virtù e del buon carattere a tre livelli
di astrazione: primo, la virtù; secondo, le forze del carattere; e terzo, i
temi situazionali (o pratiche). Questi tre livelli iniziano con il più generale
ed universale e si muovono verso il più specifico e diversificato culturalmente.
Primo, le
virtù sono le caratteristiche centrali che sono state valutate per millenni dai
filosofi morali e dai pensatori religiosi. Essi identificano sei virtù
principali: saggezza, coraggio, (amore e) umanità, giustizia, temperanza,
(spiritualità e) trascendenza. Essi sostengono che gli individui vengono
ritenuti dei buoni caratteri perché possiedono almeno un livello base di queste
virtù.
Secondo, ad
un livello più particolare, le forze del carattere sono i processi psicologici
o i meccanismi che costituiscono le virtù. “Essi sono i percorsi più evidenti
che manifestano una virtù dall’altra” (Peterson & Seligman, 2004, p. 14).
Al momento, Peterson e Seligman hanno identificato un totale di 24 forze del
carattere. Queste forze del carattere sono importanti per due ragioni. Primo,
esse sono la base per determinare la virtù: “Le forze del carattere sono gli
ingredienti psicologici – processi e meccanismi – che definiscono le virtù”
(Peterson & Seligman, 2004, p. 13). Secondo, la manifestazione di una o due
di queste forze all’interno di un gruppo di virtù riferisce di una persona che
possiede un buon carattere.
Terzo, i
temi situazionali sono gli “abiti specifici” e le loro pratiche associate che
portano le persone a sviluppare ed esibire determinate forze del carattere in
situazioni specifiche. Per esempio, l’empatia, l’inclusività e la positività al
lavoro sono temi legati alla prosperità in una situazione particolare; ad un
livello più astratto, questi temi situazionali particolari costituiscono la
forza del carattere della gentilezza, che cade nell’ampia classe della virtù
dell’umanità (ed amore). Questi temi permettono e necessitano dello studio dei
luoghi come il lavoro, la famiglia, la scuola, e così via. Questi temi e le
loro pratiche sono situazioni-specifiche; quindi, descriveranno
consistentemente la condotta solo in un dato setting ed in una data cultura.
Questa
distinzione tra virtù, forza del carattere e tema situazionale aiuta la
psicologia positiva a spiegare la diversità (all’interno dell’interconnesione)
della bontà e della prosperità a livelli differenti e tra costrutti
socioculturali. La psicologia positiva tratta “la relazione dei tratti con
l’azione e la fusione di tratti diversi [che costituiscono] gli interessi della
moderna psicologia della personalità” (Peterson & Seligman, 2004, p. 88).
Peterson e Seligman sostengono che “una variazione esista a livello dei temi,
meno a livello delle forze del carattere, e nessuna a livello delle virtù”
(Peterson & Seligman, 2004, p. 14). Al fine di comprendere la specificità
di questo “ricco contenuto psicologico e […] potenza esplicativa” (Peterson
& Seligman, 2004, p. 13), ed il suo utilizzo potenziale in un approccio
alla psicologia Cristiano Cattolica e le sue relazioni con le concezioni
filosofiche e normative della virtù, in generale, e delle virtù, in
particolare, dobbiamo comunque chiederci: la psicologia positiva impiega
un’antropologia normativa ed una nozione di prosperità come base pre-empirica
per il suo utilizzo delle virtù?
2.3 Basi normative per
la psicologia positiva
Nella sua analisi delle esperienze soggettive di tipo
positivo (includendo la prosperità) e dei tratti individuali, e in aggiunta
alle istituzioni positive che favoriscono le esperienze positive ed i tratti,
la psicologia positiva ricerca i riferimenti morali ed i criteri per il buon
carattere in due modi: (1) attraverso la natura della virtù ed i suoi criteri e
(2) attraverso la nozione di natura umana positiva.
Per prima
cosa, Peterson e Seligman (2004) situano la classificazione della psicologia
positiva
in
una lunga tradizione filosofica impegnata con la moralità spiegata nei termini
delle virtù. I primi filosofi Greci si chiedevano, “qual’è il bene di una
persona?”. Questo inquadramento della moralità li condusse ad esaminare il
carattere, in particolare le virtù. Socrate, Platone, Aristotele, Agostino,
l’Aquinate, ed altri hanno numerato tali virtù, guardandole come i tratti del
carattere che rendono la persona una buona persona (p. 9-10).
Mentre adottano questa antropologia morale di tipo
pre-empirico, però, Peterson e Seligman separano la motivazione interiore delle
virtù dalle leggi morali, che considerano come semplici imperativi esterni.
Essi criticano la teoria della legge morale, che trovano nelle teorie
dell’egoismo etico, dell’utilitarismo, del contratto sociale e del comando
divino. La loro iniziativa psicologica, come essi dicono, “necessita di
minimizzare le prescrizioni per la vita buona (le leggi morali) e invece di
enfatizzare il perché ed il come del buon carattere”, che si trovano nelle
virtù e nelle forze del carattere (Peterson & Seligman, 2004, p. 10). Essi
così separano il normativo dal descrittivo.
Cercando di
giustificare ed enfatizzare la competenza specifica della psicologia nel dominio
della virtù, essi utilizzano il lavoro di Lee Yearley (un Tomista dalla
formazione originale) per identificare tre ambiti dell’etica filosofica che
costituiscono un buon carattere. Questi tre ambiti sono:
- Ingiunzioni,
comandi e proibizioni, per esempio, il “non avrai” o il “non dovrai” dei
Dieci Comandamenti.
- Le
predisposizioni virtuose ad agire in modi che portano ad un’eccellenza
umana evidente o ad occasioni di prosperità (solitamente organizzate
gerarchicamente); e
- I modi
di vita [o pratiche] protette dalle ingiunzioni e identificate dalle virtù
(Yarley, 1990, citato in Peterson & Seligman, 2004, p. 85).
Peterson e Seligman notano che il secondo ed il terzo ambito
(le virtù come predisposizioni e i modi di vita o pratiche collegate), molto
più vaghi del primo (i comandamenti morali pre-empirici), sono di competenza
del progetto di classificazione della psicologia positiva. Sebbene la gerarchia
delle virtù sia ambigua, le virtù continuamente attestano (1) il bisogno di
razionalità e di scelta; (2) il bisogno di riflettere sulle disposizioni
personali e l’espressione delle aree maggiori della virtù; e (3) l’influenza
degli impegni di vita e della cultura sullo sviluppo e sull’espressione delle
virtù. Ogni virtù, nel linguaggio psicologico, è “una proprietà dell’intera
persona e la vita che la persona conduce”, nelle parole di Peterson e Seligman
(2004, p. 87). La forza di questa psicologia morale della teoria della virtù è
la sua capacità di descrivere la motivazione morale e la risoluzione dei
conflitti psicologici in termini di virtù relative; per esempio, a riguardo dei
conflitti di parzialità, Seligman, non senza controversie (Pope 1994; Benedetto
XVI, 2005), sostiene che la risoluzione proviene dal riconoscere che “dovremmo
amare i nostri amici e i membri familiari (parzialità) ed essere benevolenti
con le persone in generale (imparzialità)” (Peterson & Seligman, 2004, p.
88).
Questo
quadro concettuale generale è inoltre concretizzato da dieci criteri utilizzati
per identificare le virtù ed i tratti del carattere che devono: (1) portare a
prosperare grazie ad una buona vita; (2) corrispondere ai valori morali; (3)
non sminuire gli altri; (4) avere un opposto infelice; (5) essere un tratto di
carattere o un tratto simile; (6) essere identificabile concettualmente; (7)
apprezzare il supporto consensuale; (8) essere identificabile nei prodigi e (9)
nelle assenze selettive; e (10) essere supportato da pratiche culturali,
istituzionali e sociali (Peterson & Seligman, 2004, p. 17-28). Questi
criteri (specialmente dall’uno al quattro) possiedono una dimensione morale
esplicita.
Sebbene i
tratti del carattere e le virtù siano plurali, Peterson e Seligman fanno
riferimento alla stabilità della natura umana e alla possibilità di verificare
empiricamente i tratti di personalità basati sulla virtù e le virtù. La
classificazione della psicologia positiva così resiste al riduzionismo
positivista dei primi anni del ventesimo secolo (Peterson & Seligman, 2004,
p. 59). Al di fuori dello stesso progetto dell’Istituto dei Valori in Azione
(su cui si fonda il volume di Peterson e Seligman del 2004), Linley e Joseph
(2004) sono ancora più chiari riguardo a come le assunzioni implicite sulla
natura umana dirigano la pratica della psicologia positiva; poiché essi
riconoscono esplicitamente l’influenza restrittiva dell’individualismo liberale
Occidentale sulla costruzione della psicologia positiva delle forze del
carattere, della natura umana e della società (Peterson & Seligman, 2004,
p. 719).
Nella loro
affermazione più audace, Peterson e Seligman, da parte loro, richiamano la
nozione di una “natura umana positiva” al fine di giudicare i conflitti morali
e i desideri maligni (Peterson & Seligman, 2004, p. 270). Benché esistano
molte strade per la prosperità, il male non è una di esse. Loro dicono che
coloro che fanno il male “devono prosperare in modo improbabile perché i loro
motivi e le loro disposizioni di personalità sono incongruenti con la natura
umana positiva e i bisogni psicologici universali” (Peterson & Seligman, 2004,
p. 269-270). Quest’argomentazione probabilistica fa riferimento alla natura
umana positiva e fa un appello generale alle virtù basate sul valore. Seligman
ammette che questa concezione di teoria della virtù non soddisfa il filosofo,
il quale argomenta in supporto ai principi morali, anche spiegando cosa
dovrebbe essere fatto, e debba giudicare tra norme conflittuali. Peterson e
Seligman, in particolare, situano il loro “contenuto psicologico più ricco e il
potere esplicativo più grande” non al livello normativo della filosofia e della
teologia, ma come una descrizione delle forze del carattere, che essi cercano
di espandere attraverso nozioni più ampie di virtù e studi di parvenze di virtù
(Peterson & Seligman, 2004, p. 88).
3. L’Aquinate e la
Psicologia Positiva sull’uso delle Virtù nella psicologia (prosperità)
Il nostro interesse principale in questo scritto si focalizza
su come l’approccio dell’Aquinate, un approccio alle virtù fondato
filosoficamente e teologicamente (un’antropologia ed un’etica religiosa della
virtù), sostenga una Psicologia Positiva Cristiana. Lo fa perché è radicata
nella Scrittura e nel Magistero, nella preghiera e nel sacramento. Questo è un
esempio in cui una tradizione particolare offre una nozione morale di carattere
e di prosperità della comunità più ricca rispetto alla nozione moralmente più
piccola (ma funzionalmente ricca) che si trova nella versione di Peterson e
Seligman della psicologia positiva (Gubbins, 2008).
Al fine di
dimostrare come la psicologia positiva di Seligman si confronti col pensiero
dell’Aquinate sull’utilizzo della virtù e sulla prosperità e sullo sviluppo
morale, mi focalizzerò prima sulla nozione di integrità degli psicologi
positivi.
3.1 Peterson e Seligman sull’integrità
Peterson e Seligman (2004) intendono la virtù del coraggio
avente quattro forze del carattere, che “implicano l’esercizio della volontà
per adempiere le finalità a fronte di un’opposizione” (p. 199). L’integrità è
una delle forze del carattere del coraggio, ed essa è d’interesse specifico per
comprendere il tessuto morale e la visione della prosperità racchiusa
nell’approccio della psicologia positiva. Peterson e Seligman (2004)
definiscono l’integrità come:
“un tratto del carattere in cui le
persone sono vere con se stesse, presentando accuratamente – privatamente e
pubblicamente – i propri stati interiori, le intenzioni e gli impegni. Tali
persone accettano e si prendono la responsabilità per le proprie emozioni e
comportamenti, riconoscendole per come sono e raccogliendo i benefici sostanziali
nel farlo” (p. 249-250).
In una definizione riassuntiva di integrità, essi dicono che
essa include “l’integrità morale e l’unità di sé” (p. 250).
In entrambe
queste definizioni d’integrità, Peterson e Seligman sostengono l’ideale
“dell’essere veri con se stessi”, che – in varie scuole di pensiero – è a volte
influenzato dagli errori dell’individualismo, sia come stadio transitorio nello
sviluppo morale sia come fenomeno di relativismo culturale. Comunque, come
Charles Taylor ha sostenuto nel suo The
Ethics of Authenticity (1991), l’ideale morale di essere veri con se stessi
non necessita d’essere identificato con forme degradate di relativismo o con un
individualismo dell’auto-soddisfazione. Mentre l’integrità può possedere dei
fini specificatamente psicologici (il calmare le emozioni distruttive o un
senso di unità di sé) e dei fini morali (la perseveranza nell’intendere e nel
fare il bene), la nostra domanda è: la nozione di integrità di Peterson e
Seligman evita la trappola dell’individualismo – la prosperità selfista – e
l’eclissi relativista dei fini morali? Ovvero, essa svela un’antropologia che
possa essere considerata congruente con quella tomista e che possa essere
integrata con essa? (La loro visione della persona e della società è adeguata ad
una Psicologia Positiva Cristiana?).
Primo, per
quanto possiamo vedere nella loro definizione di integrità, Peterson e Seligman
tentano di connettere i domini emotivi e morali. Essi collegano l’etico alle
intenzioni, agli impegni, alla responsabilità, alle emozioni ed al
comportamento. Altrove, essi sostengono che le emozioni di integrità
psicologica potrebbero correlarsi con le misure comportamentali basate
sull’osservazione dell’onestà e dell’autenticità (Peterson & Seligman,
2004, p. 270).
Secondo, Peterson
e Seligman impiegano la nozione del sé per valutare moralmente il contenuto
dell’integrità psicologica. Ma riconoscendo il ruolo degli obiettivi, dei
talenti e dei valori nello sviluppo dell’identità e dell’integrità, essi
effettivamente contrastano le teorie che interpretano il sé come una semplice
finzione o una serie di immagini o di sentimenti in evoluzione (Peterson &
Seligman, 2004, p. 250-265). Secondo loro, apparentemente ognuno lotta per una
maggiore integrità. Ciononostante, la questione del male pone dei problemi per
questa concezione e per la prosperità umana in generale. Tentando di
contrastare una posizione libera dal valore, Peterson e Seligman (2004) dicono
che:
Dalla nostra prospettiva, le persone malvagie possono
essere autentiche; ovvero, il loro senso di sé può essere vero per motivazioni
antisociali e disposizioni di personalità. Però, queste persone possono
difficilmente prosperare perché le motivazioni e le disposizioni di personalità
sono incongruenti con la natura umana e i bisogni psicologici universali. Così,
lo sviluppo di un senso che rappresenti accuratamente la personalità di una
persona potrebbe costituire un primo passo importante nel cambiamento della
personalità – le persone malvagie che realizzano chi sono diventate possono
quindi essere motivate a diventare qualcosa di diverso (p. 269-270).
Peterson e Seligman si muovono così dal giudizio sulla
coerenza psicologica della funzione ad un’affermazione normativa del contenuto
della prosperità. Al fine di affrontare il problema del male e del referente –
verso chi uno dovrebbe essere vero – essi distinguono tre livelli: primo, il sé (senso di sé e sue
rappresentazioni); secondo, le
disposizioni di personalità e gli impegni; e terzo, la natura umana positiva e i bisogni psicologici universali.
I primi due (il sé ed i suoi impegni storici e le disposizioni incarnate) si
basano normativamente sul terzo, “la natura umana positiva”, che è la fonte
delle norme e dei valori fondamentali per Peterson e Seligman (2004) (sebbene, come
menzionato prima, la loro concezione di psicologia positiva tragga queste
nozioni da fonti pre-empiriche) (p. 270).
Inoltre,
essi compiono una meta-analisi degli studi che misurano l’integrità morale,
l’onestà e l’autenticità e dei fattori che li promuovono o li inibiscono
(Peterson & Seligman, 2004, p. 255-270). Le seguenti intuizioni provenienti
da questi studi sono d’interesse per la teoria della virtù in generale e per la
prospettiva della virtù dell’Aquinate in particolare. Primo, gli studi sullo sviluppo
da quando Piaget (1932) ha identificato i diversi stili di ragionamento morale
che indicano che le tendenze verso l’aumento dell’onestà e dell’integrità,
mentre si incrementano durante l’infanzia, non necessariamente continuano
nell’adolescenza (Gallup News Service, 2000, citato da Peterson &
Seligman). Questo suggerisce che lo sviluppo della virtù non sia completa con il raggiungimento di un livello di maturità di ragionamento. Anche se la teoria dello sviluppo cognitivo indica che le
astrazioni di ordine superiore (il pensiero operativo formale) sono un fattore
cruciale per l’integrità, alti livelli di intelligenza razionale e di
educazione universitaria non correlano con più alte prestazioni d’integrità
(Harter, 1999; Harter e Monsour, 1992, citati da Peterson & Seligman).
Questo indica che l’integrità è determinata più da altri fattori, ovvero dai
valori e dall’esperienza di vita, che dall’abilità cognitiva (Peterson &
Seligman, 2004, p. 265).
A questo
riguardo, gli studi (come la Moral Integrity Survey: Olson 1998 citato da
Peterson & Seligman, 2004, p. 262) suggeriscono che una persona necessita
non solo di riflessione circa l’integrità morale ma anche di percepire
attrazione per essa ed un comportamento coerente. Questo studio ed altri sull’integrità
come compimento dello stato dell’identità (Peterson & Seligman, 2004, p.
264-265, citazione di Waterman, 1999) suggeriscono che un’interconnessione di
cognizione morale, affezione e comportamento passi attraverso degli stadi,
sebbene nessuna teoria dello stadio sembri predominante al momento.
Gli studi
sullo sviluppo hanno inoltre indicato il significato che i modelli di ruolo e
le culture giocano nel portare verso l’onestà o la disonestà e verso delle
nozioni di autenticità più o meno individualiste o sociali (Peterzon &
Seligman, 2004, p. 265-267). Inoltre, la psicologia positiva (attingendo alle
scienze empiriche e biologiche) ha iniziato a correlare le condizioni
neurobiologiche ed ambientali “che entrambe promuovono e impediscono l’autentica
esperienza di sé e lo sviluppo di sé” con la soggiacente integrazione neurale
(Peterson & Selgiman, 2004, p. 260).
In sintesi,
la nozione di integrità della psicologia positiva promuove l’unità delle
affezioni, delle intenzioni e degli impegni che sono congruenti con “la natura
umana positiva e i bisogni psicologici universali” (Peterson & Seligman,
2004, p. 269). Nell’integrità, intesa come la nozione della psicologia positiva
di saggezza pratica (in quanto base per le intenzioni, gli impegni e la possibilità
di tutte le virtù) noi vediamo una ricca descrizione della funzione psicologica
del buon carattere e della virtù.
3.2 L’Aquinate sulla
connessione delle virtù
Anche l’antropologia filosofica dell’Aquinate riconosce il
bisogno sia dell’unità personale (unitas
personae) sia un’interconnessione delle forze del carattere e delle loro
virtù principali (o cardinali) (S. Th. III q. 19 a 2 e 4). Senza un
approfondimento degli stati psicologici e delle loro vie di sviluppo verso la
prosperità, l’Aquinate costruisce la connessione delle virtù in modo normativo
poiché ogni virtù aiuta a garantire l’eccellenza delle altre. Ai livelli
filosofico e teologico, l’Aquinate, assieme ad Aristotele e Sant’Agostino prima
di lui, ha sostenuto che la connessione delle virtù fosse il cuore di una vita
di eccellenza, una vita buona e prosperosa finalizzata alla contemplazione
amorosa del divino (S. Th. I-II q. 65 a. 1-5).
La
‘psicologia positiva Cristiana’ (PPC) dell’Aquinate pone le virtù teologali in
un posto d’onore. Fede, speranza e carità, seguendo San Paolo (1Cor 13)
costituiscono l’intreccio centrale della vita Cristiana; “e la più grande di
queste è l’amore”. Queste virtù teologali informano la vita intera del
Cristiano, e per l’Aquinate, informano in modo particolare le altre capacità
che sono le sedi della virtù: le capacità cognitive, volitive ed affettive che
soggiacciono alle virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza,
con le loro virtù associate.
La teoria
classica della virtù costruisce il ruolo della saggezza pratica o della ragione
assicurando la scelta cosciente e la connessione con le aree principali della
vita umana, poiché la ragione pratica è necessaria in ogni azione conscia e
libera. Ma questa non è una visione razionalista. Ogni aspetto del carattere
virtuoso non solo partecipa alla ragione pratica ma anche è richiesto dalla
ragione pratica. Abbiamo bisogno delle forze virtuose della ragione, della
volontà e delle emozioni – ovvero, ogni aspetto della virtù è necessario per
una consapevolezza completa di ciò che è vero, buono e giusto al fine di
scegliere ciò che promuove il benessere personale ed il bene sociale. A loro
volta, le virtù principali forniscono le condizioni necessarie per la funzione
propria della ragione pratica. Così, la funzione psicologica (prontezza,
agilità e gioia; o al meno l’essere liberi dallo stress o dalla compulsione)
prende il proprio appoggio morale dalle disposizioni virtuose, in quanto
strumenti adeguati per i giusti fini, includendo quelle personalizzate e così le
interazioni con gli altri e con il fine ultimo, divino. Questo punto
d’interconnessione delle virtù principali e di quelle collegate è
intellettualmente convincente ed umanamente praticabile solo se le virtù
incarna sia la funzione psicologica matura sia il contenuto normativo (più che
“una soglia” tra le virtù che costituiscono “un buon carattere”); per il
Cristiano, questo contenuto normativo è il Verbo di Dio incarnato, Gesù Cristo.
La teoria
dello sviluppo delle virtù dell’Aquinate identifica non solo un comportamento,
un fine, o un principio normativo ma anche stati generali intermedi che si
avvicinano praticamente ad una piena connessione delle disposizioni virtuose.
Non è tutto o nulla; la virtù o il vizio (felicità o tristezza, come potrebbe
essere). Il fine stabilisce un insieme di virtù che si dispongono
appropriatamente per partecipare al bene della ragione pratica (S. Th. I-II q.
58 a. 1, 2; II-II q. 47-56). La linea di sviluppo (e correttiva-terapeutica)
implica il connettere una forza-virtù (per esempio, dominando la paura
attraverso il coraggio) con le altre virtù. Però, tali virtù sono connesse in
modo imperfetto quando altre capacità sono disposte per l’esecuzione di
obiettivi trasversali (ad es. quando uno domina la paura al fine di compiere il
male, come quando uno controlla la propria ansia nel momento in cui è colto
nell’atto dell’adulterio). Tali virtù connesse in modo imperfetto che non
possiedono ancora il pieno supporto degli altri domini della virtù combattono
una contro l’altra. Così, la virtù parziale della continenza riguarda la
certezza della volontà nel compiere una buona azione (S. Th. II-II q. 143) ma
anche un’inconsistenza o un conflitto a livello delle emozioni e
dell’immaginazione. Ovvero, essa esprime desideri disordinati (gola, adulterio,
invidia, o desideri fratricidi) che minano la percezione, l’affezione ed il
giudizio, pur non soggiogando la volontà né falsificando il giudizio.
L’insegnamento
dell’Aquinate sulla connessione delle virtù rende manifesta una dimensione normativa
in tre modi (S. Th. I-II q. 65 a. 1). Primo, le virtù acquisite sono connesse
direttamente alla virtù della ragione pratica, che discerne, sceglie ed esegue
il mezzo razionale verso un fine buono (S. Th. I-II q. 64 a. 2). Secondo, ogni
virtù specifica connette le altre virtù indirettamente attraverso la
partecipazione al bene della ragione nel suo modo proprio; così tende in modo
ordinato verso i beni specificatamente alle proprie capacità, in quanto
disposta per essere obbediente alla ragione ed in quanto principio dell’azione
virtuosa. Terzo, le disposizioni generali al bene delle facoltà operative,
anch’esse indirettamente, supportano ogni atto della virtù comunicando una
misura della ragione o obbedendole come una forza generale della ragione, della
volontà o dell’emozione.
Più ancora,
a livello teologico, l’Aquinate identifica il motore principale per la
connessione delle virtù infuse, ovvero la carità, che, con le virtù della fede
e della speranza, permette l’assunzione di una norma teologica e un livello di
consistenza potenziato dalla grazia che non è possibile con i soli mezzi
razionali (S. Th. II-II q. 24 a. 4-9). Cristo è l’esempio che, attraverso
l’amore, muove l’agente a compiere ciò che è bene, in imitazione di Cristo e
del Padre (che è perfetto; Mt 5:48) nello Spirito Santo che è amore (Gal 5:22).
3.3 Valutando Seligman
e Arricchendo l’Aquinate
A questo punto del nostro studio, vorrei domandarmi: come può
l’Aquinate ed ogni altra mentalità specificatamente Cristiana (una psicologia
positiva Cristiana) appropriarsi criticamente delle intuizioni di Seligman
sull’integrità e sulla prosperità? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo
distinguere l’aspetto funzionale, dove Seligman e l’Aquinate hanno qualcosa in
comune, da quello normativo, dove le loro competenze differiscono.
Primo,
l’approccio di Seligman è specificatamente descrittivo, basato su studi
empirici (o meta-analisi di tali studi) che identificano i fattori che
illustrano il funzionamento e lo sviluppo di temi situazionali specifici per la
virtù a livello sociale, cognitivo, volitivo, motivazionale e neurobiologico.
Per esempio, il discorso sull’integrità di Seligman può aiutare a spiegare la
connessione delle virtù a livello dei temi situazionali o delle pratiche
concrete che effettivamente rendono questa connessione abituale. L’efficacia
morale richiede una tale base psicologica nell’acquisizione della virtù che
cerca di integrare il pensiero, il sentimento, la motivazione e il
comportamento, come Seligman ha descritto. Inoltre aiuta a spiegare come la
diversità a livello situazionale (basata su predisposizioni genetiche
individuali, fattori ambientali ed educativi, impegni personali, e via dicendo)
non contraddica la connessione tra le virtù principali (e le forze del carattere)
ai livelli più elevati.
Un altro
esempio di arricchimento si trova nel punto in cui Seligman spiega il fenomeno
dell’internalizzazione dei fini nei termini dell’efficacia psicologica degli
“scopi autentici”. Studi sugli scopi interiorizzati (Sheldon & Elliot,
1999, citati in Peterson & Seligman, p. 263) indicano che
l’auto-concordanza dello scopo predice un investimento perdurante della fatica
e un maggiore raggiungimento degli scopi, che a loro volta contribuiscono alla
soddisfazione dei bisogni ed ad un senso di benessere globale e di prosperità.
Questa intuizione arricchisce, ad un livello psicologico di funzionamento, la
comprensione dell’Aquinate dell’internalizzazione delle norme e delle leggi
morali (da una fonte semplicemente esterna ad una fonte interna,
personalizzata), e questa come una caratteristica primaria dello sviluppo
morale e della prosperità (Pinckaers, 1998, Giovanni Paolo II, 1993). Questo è
il modo che l’Aquinate trova nello sviluppo della carità e delle altre virtù,
dove la legge è inizialmente gravosa ed esterna. Secondo, il suo significato e
senso vengono progressivamente interiorizzati nella comprensione, nella
motivazione e nel sentimento. Infine, essa è espressa nell’impegno interiore di
tipo maturo, un tipo di prosperità che è esso stesso utile per il supporto
comunionale e della grazia a livello acquisito ed infuso (S. Th. II-II q. 23 a.
1; Pinckaers, 1995).
Conclusione: la virtù che interconnette la psicologia morale
descrittiva e la psicologia positiva Cristiana (etica)
In conclusione, l’esercizio della saggezza pratica e della
carità teologale assicura il contenuto normativo specificatamente Cristiano
dello sviluppo morale acquisito e teologale (infuso) e della prosperità,
secondo l’Aquinate. Egli afferma la necessità sia della conoscenza che
dell’amore – cognizione ed affezione che sono compendiati nella prudenza (e
nella giustizia) da una parte e nella fede e nella carità, dall’altra. Tale
decisione normativa non è praticata in un vuoto antropologico, libero dalla
psicologia morale o dal contenuto morale. Neppure è praticata fuori da una
visione del mondo e da un sistema di valori. Per l’Aquinate, la prudentia non è semplicemente una virtù
formale, ridotta ad una funzione cognitiva di tipo psicologico o alla bontà
della volontà. Piuttosto, l’Aquinate riconosce che la prudenza Cristianamente
infusa cerca di discernere le norme della legge divina in quanto incarnate
nella retta ragione e nella legge naturale ma anche in quanto rivelate in una
comunità di fede, dipendente dalla Sacra Scrittura – la Bibbia – e dalla
tradizione vivente / Magistero nella tradizione Cattolica e Tomista. Ad
entrambi questi livelli, l’Aquinate tiene assieme il dominio funzionale con
quello normativo attraverso la sua dottrina della connessione delle virtù e
della mutua dipendenza della conoscenza e dell’amore attraverso le virtù
acquisite, e della fede e della carità per le virtù infuse. La teoria morale
dell’Aquinate copre così lo sviluppo morale in modo completo, senza essere
esaustiva per quanto riguarda la funzione morale. Ovvero, l’etica normativa
Cristiana dell’Aquinate in quanto approccio alla teoria della virtù è “più
completa” di quanto lo siano le sue descrizioni del funzionamento delle virtù e
dei vizi. È soprattutto a livello della psicologia morale e della descrizione
dello sviluppo delle forze del carattere e dei temi situazionali o pratiche che
gli studi di Seligman della psicologia positiva apportano un’ulteriore luce
alla comprensione dell’Aquinate dello sviluppo morale e della prosperità.
L’Aquinate
ed una robusta Psicologia Positiva Cristiana possono criticamente appropriarsi
di queste scoperte poiché tali scoperte si basano su studi empirici che sono
totalmente consistenti con una visione Cristiana (filosofica e teologica) della
persona umana-in-relazione (creata, caduta e redenta da Gesù Cristo).
L’Aquinate, ed i Cattolici assieme a lui, credono che ci sia una unità di
verità in Dio, anche se potremmo non comprenderne specialmente le applicazioni
pratiche. Gli effetti del peccato (la Caduta) costituiscono una sfida nella
nostra ricerca comune alla comprensione dell’interdipendenza teoretica e
pratica delle virtù e dell’influenza della fede, della speranza e della carità
Cristiana sul credente e sulla Chiesa nella loro vita pratica. Umiltà e
coraggio sono così necessarie.
Questo
scritto ha tentato di dimostrare il bisogno di ascoltare sia la psicologia
morale che l’etica normativa cristiana al fine di comprendere il modo di
utilizzare le virtù in psicologia, specialmente al fine di comprendere lo
sviluppo morale in una più ampia nozione di prosperità ultima. Lo stile
particolare (secolare) di Peterson e Seligman (2004) di “moralità spiegata in
termini di virtù” (p. 10) in quanto scienza sociale e psicologia, non è in se
stessa robusta abbastanza per soddisfare gli eticisti secolari né per decidere
in caso di conflitti morali, e neppure per rivolgersi alla dimensione
teologica, né per fondare una Psicologia Positiva Cristiana. Comunque, essa non
pretende di essere diversa, in quanto fa appello a fonti filosofiche e
teologiche per le sue nozioni di virtù pre-empiriche (e di normatività, a cui
essa rimane legata). Contribuisce significativamente alla comprensione della
psicologia del funzionamento morale e per aiutare gli approcci specificatamente
normativi alla teoria della virtù nel comprendere la prosperità acquisita nella
forma dello sviluppo morale e dell’integrità. Gli studi empirici della
psicologia positiva, come quelli di Peterson e Seligman (proprio come quelli di
Linley e Joseph e dei loro collaboratori), portano nuove intuizioni riguardo la
funzione, le pratiche e la motivazione delle virtù. Questi studi, però,
potrebbero avere uno scopo ancor più descrittivo, se essi controllassero il
contenuto morale più profondo operante nelle virtù attualmente osservate, nelle
forze del carattere e nelle pratiche che sono influenzate dall’intenzionalità
di costrutti morali e spirituali della vita buona. Il contenuto normativo di
per se, probabilmente il dominio proprio degli approcci filosofici e religiosi
alla psicologia ed all’etica (che stabilisce le norme sulla base della ragione
pratica e delle credenze / autorità religiosa), necessita di essere
rappresentato negli studi empirici al fine di correlare la funzione psicologica
ed il contenuto morale. È solamente una nozione più chiara del contenuto morale
e della motivazione e dell’intenzione che aiuterà a spiegare alcune distorsioni
della psicologia morale, le parvenze della virtù, e le diverse strade dello
sviluppo morale e della prosperità umana (pre-teologale). Questo è il lavoro
futuro per le comunità di fede, e per noi alla ricerca di una robusta
Psicologia Positiva Cristiana.
Come post-scriptum, vorrei menzionare che i programmi
accademici (e clinici) all’IPS hanno favorito un approccio Cristiano Cattolico
teorico e pratico all’uso delle virtù nella pratica della psicoterapia. Un
certo numero di progetti di ricerca si sono focalizzati sull’utilizzo della
virtù in psicologia ed in psicoterapia.
• Eric
Gudan: (The Practice of the virtue of gratitude as therapeutic for moderate and
obsessive depression), “Gratitude-Based Interventions for Treating Ruminative
Depression”.
• Leslie
Trautman: (Altruism and humility as therapeutic for narcissistic clients)
“Virtue as a Support for Psychological Health in the Treatment of Narcissistic
Personality Disorder”.
• Michael
Horne: “Video Games and the Formation of Virtue: An Examination of the Content
of Video Games and Their Effect on Compassion.”
• Nick
Stevens, 2012: “Hope and Courage as Foundational Elements for a Virtue-Based
Group Therapy”
Tali dissertazioni sono segni
ulteriori di speranza per un utilizzo fruttuoso di un approccio Cattolico alla
virtù nella psicologia.
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[1] Vorrei ringraziare un buon numero di persone per i loro input che hanno
‘positivamente’ influenzato questo testo, specialmente Frank Moncher ed i miei
colleghi all’Institute for the Psychological Sciences (Paul Vitz, William
Nordling, Phil Scrofani, Alex Ross, per non menzionarli tutti). Vorrei inoltre
riconoscere l’input ricevuto dai partecipanti di due conferenze (al Blackfriars
Hall, Università di Oxford e la convention annuale della Society of Christian
Ethics), dove ho sviluppato le precedenti versioni di questo testo.
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