Nella Sala del Concistoro, il Sommo Pontefice riceve in speciale Udienza, il 15 aprile 1953, i partecipanti al V Congresso Internazionale di Psicoterapia e di Psicologia Clinica. Si tratta di un testo difficilmente reperibile in italiano, che è importante riproporre per la sua fondamentale importanza. Oggi come (più di) allora.
Ai partecipanti al V Congresso Internazionale di Psicoterapia e di Psicologia clinica
Vi diamo il benvenuto, diletti figli e dilette figlie, che venuti da ogni parte vi siete adunati a Roma per ascoltare relazioni e discutere su questioni di psicoterapia e di psicologia clinica. Il vostro congresso è terminato e voi, per garantire i suoi risultati ed il successo delle vostre ricerche ed attività future, venite a ricevere la benedizione del Vicario di Cristo. Molto volentieri Noi accogliamo il vostro desiderio, e approfittiamo dell’occasione per indirizzarvi una parola di incoraggiamento e darvi alcune direttive.
La scienza afferma che nuove osservazioni hanno messo in luce i sostrati profondi dello psichismo umano, ed essa si sforza di capire queste scoperte, di interpretarle e di renderle utilizzabili. Si parla di dinamismi, di determinismi e di meccanismi nascosti nelle profondità dell’anima, dotati di leggi immanenti, da cui provengono certi modi di azione. Senza dubbio questi sono messi in azione nel subcosciente o nell’incosciente, ma penetrano egualmente nel campo della coscienza e lo determinano. Si pretende di avere a disposizione dei procedimenti sperimentali e riconosciuti adeguati a scrutare il mistero di queste profondità dell’anima, a rischiararle ed a rimetterle sulla retta strada, quando esse esercitano una influenza nefasta.
Queste questioni che si prestano per l’esame di una psicologia scientifica, dipendono dalla vostra competenza. Lo stesso deve dirsi dell’utilizzo dei nuovi metodi psicologici. Ma, tanto la psicologia teorica, quanto quella pratica, tengano ben presente che non possono perdere di vista né le verità stabilite dalla ragione e dalla fede, né i precetti imposti dalla morale.
L’anno scorso, nel mese di settembre, per rispondere al desiderio dei membri del “Primo Congresso Internazionale di Istopatologia del Sistema Nervoso”, Noi abbiamo indicato i limiti morali dei metodi di investigazione e di cura, nell’ambito della medicina. Fondandoci su questo esposto, Noi vorremmo oggi fare qualche aggiunta complementare. In breve, Noi intendiamo indicare l’atteggiamento fondamentale che si impone allo psicologo ed allo psicoterapeuta cristiano.
Questo atteggiamento fondamentale può formularsi nei seguenti termini: la psicoterapia e la psicologia clinica devono sempre considerare l’uomo: 1) come unità e totalità psichica; 2) come unità strutturata in se stessa; 3) come unità sociale; 4) come unità trascendente, vale a dire che tende verso Dio.
1 – L’uomo come unità e totalità psichica
La medicina insegna a considerare il corpo umano come un meccanismo ad alta precisione, i cui elementi si innestano uno nell’altro e si concatenano l’uno con l’altro; il loro posto e le loro caratteristiche dipendono dal tutto, servendo essi alla sua esistenza ed alle sue funzioni. Ma questa concezione si applica pure ancor meglio all’anima, i cui delicati congegni sono riuniti con molta maggior cura. Le diverse facoltà e funzioni psichiche si inseriscono nell’insieme dell’essere spirituale e si subordinano alla sua finalità.
E’ inutile sviluppare più a lungo questo punto. Ma voi dovete, proprio voi psicologi e terapeuti, tenere conto di questo fatto: l’esistenza di ciascuna facoltà o funzione psichica trova la sua giustificazione nel fine del tutto. Il costitutivo principale dell’uomo è l’anima, forma sostanziale della sua natura. Da essa, in definitiva, trae origine tutta la vita umana; in essa hanno radice tutti i dinamismi psichici, con la loro struttura propria e con la loro legge organica; essa ha dalla natura l’incarico di governare tutte le energie, fintanto che esse non abbiano acquistata la loro ultima determinazione. Da questo dato ontologico e psichico segue che vorrebbe dire distaccarsi dalla realtà il volere affidare a un fattore particolare, in teoria o in pratica, il compito determinante del tutto, per esempio ad uno dei dinamismi psichici elementari e così cedere il governo ad una potenza secondaria. Questi dinamismi possono essere nell’anima, nell’uomo, ma, tuttavia, non sono né l’anima né l’uomo.
Sono energie di una intensità forse considerevole, però la natura ne ha affidato la direzione al centro: all’anima spirituale, dotata di intelligenza e di volontà, normalmente capace di governare queste energie. Che tali dinamismi facciano sentire la loro pressione su di una attività, non significa necessariamente che la costringano. Si negherebbe una realtà ontologica e psicologica, contestando all’anima il suo posto centrale.
Non è dunque possibile, allorché si studia la relazione dell’Io coi dinamismi che lo compongono, di concedere senza riserva, in teoria, l’autonomia dell’uomo, cioè della sua anima e poi aggiungere subito che, nella realtà della vita, questo principio teorico sembra subire il più delle volte uno scacco o per lo meno essere ridotto all’estremo. Nella realtà della vita, si dice, resta sempre nell’uomo la libertà di accordare il suo consenso interiore a quello che egli compie, ma non mai quella di effettuarlo; all’autonomia della libera volontà si sostituisce l’eteronomia del dinamismo istintivo. Ma non così il Creatore ha modellato l’uomo. Il peccato originale non gli toglie la possibilità e l’obbligo di governarsi da sé per mezzo dell’anima. Non si può pretendere che i turbamenti psichici e le malattie che ostacolano il funzionamento normale dello psichismo siano il dato abituale. Il combattimento morale per restare sulla retta via non prova l’impossibilità di seguirla, né autorizza ad indietreggiare.
2 – L’uomo come unità strutturata
L’uomo è un tutto ordinato; un microcosmo, una specie di Stato la cui legge, stabilita dallo scopo finale del tutto, subordina a questo scopo l’attività delle parti secondo l’ordine vero del loro valore e della loro funzione. Questa legge è, in definitiva, di origine ontologica e metafisica e non psicologica e personale. Qualcuno ha pensato di dover accentuare l’opposizione tra metafisica e psicologia. Ben a torto! Lo stesso psichismo appartiene al dominio dell’ontologico e del metafisico.
Noi vi abbiamo ricordato questa verità per collegare ad essa una osservazione sull’uomo concreto di cui qui esaminiamo l’ordinamento interno. Si è preteso infatti di stabilire l’antinomia della psicologia e dell’etica tradizionali rispetto alla psicoterapia ed alla psicologia clinica moderne. Si sostiene che la psicologia e l’etica tradizionali hanno per oggetto l’essere astratto dell’uomo, l’homo ut sic, il quale certamente non esiste in alcun luogo. La chiarezza e la concatenazione logica di queste discipline sono mirabili, ma sono viziate alla base: esse sono inapplicabili all’uomo così come esso esiste nella realtà. La psicologia clinica, al contrario parte dall’uomo reale, dall’homo ut hic. E si conclude che tra le due concezioni si apre un abisso che non è possibile travalicare fino a che la psicologia e l’etica tradizionali non cambino la loro posizione.
Chi studia la costituzione dell’uomo reale deve infatti prendere come oggetto l’uomo “esistenziale” qual esso è, quale l’hanno fatto le sue disposizioni naturali, le influenze dell’ambiente, l’educazione, la sua evoluzione personale, le sue intime esperienze, gli avvenimenti esterni. Esiste soltanto questo uomo concreto. E tuttavia la struttura di questo “io” personale ubbidisce nei minimi particolari alle leggi ontologiche e metafisiche della natura umana di cui prima noi parlavamo. Queste l’hanno formata, e queste perciò devono governarla e giudicarla. La ragione è che l’uomo “esistenziale” si identifica nella sua intima struttura con l’uomo “essenziale”. La struttura essenziale nell’uomo non sparisce quando si aggiungono le caratteristiche individuali, né si trasforma in un’altra natura umana. Ma la legge precisamente, di cui si parlava poc’anzi, sta riposta nei suoi enunciati principali sulla struttura essenziale dell’uomo concreto e reale.
Pertanto sarebbe errato stabilire per la vita reale norme che si allontanassero dalla morale naturale e cristiana e che ben si direbbero “etica personalistica” la quale certamente riceverebbe dalla prima un certo orientamento, ma non comporterebbe in eguale misura un obbligo stretto. La legge di struttura dell’uomo concreto non bisogna inventarla, bensì applicarla.
3 – L’uomo come unità sociale
Quel che abbiamo detto sin qui concerne l’uomo nella sua vita personale. Lo psichico comprende anche le sue relazioni col mondo esteriore ed è un compito degno d’elogio e un campo aperto alle vostre ricerche studiare lo psichismo sociale in se stesso e nelle sue radici, per renderlo utile ai fini della psicologia clinica e della psicoterapia. Si stia però ben attenti a distinguere accuratamente i fatti in se stessi dalla loro interpretazione.
Lo psichismo sociale tocca anche la moralità, e le conclusioni della morale comprendono in sé quelle di una psicologia e di una psicoterapia serie. Ma ci sono alcuni punti in cui l’applicazione dello psichismo sociale pecca per eccesso o per difetto: e su ciò vorremmo fermarci brevemente.
Errore per difetto: esiste un malessere psicologico e morale, l’inibizione dell’io, di cui la vostra scienza si occupa di scoprire le cause. Quando questa inibizione invade il campo morale, per esempio quando si tratta di dinamismi, come l’istinto di dominio, di superiorità e l’istinto sessuale, la psicoterapia non potrebbe trattare senz’altro questa inibizione dell’io come una specie di fatalità, come una tirannia della pulsione affettiva che sgorga dal subcosciente e che semplicemente sfugge al controllo della coscienza e dell’anima. Si badi a non ridurre troppo frettolosamente l’uomo concreto col suo carattere personale al livello del bruto. Malgrado le buone intenzioni del terapeuta, alcuni spiriti delicati risentono amaramente questo abbassamento al piano della vita istintiva e sensitiva. Né si trascurino nemmeno le nostre precedenti osservazioni sull’ordine di valore delle funzioni e sull’officio della loro direzione centrale.
Una parola anche sul metodo praticato talvolta dallo psicologo per liberare l’io della sua inibizione nei casi di aberrazione del campo sessuale: ci riferiamo all’iniziazione sessuale completa che nulla vuole tacere, niente lasciare nell’oscurità. Non c’è in questo una dannosa sopravvalutazione del sapere? C’è anche una educazione sessuale efficace, che insegna con ogni sicurezza nella calma e nella oggettività ciò che il giovane deve sapere per dirigere se stesso e trattare con quelli che lo circondano. Per il resto, nell’educazione sessuale, come d’altronde in ogni genere di educazione, si darà particolare importanza alla padronanza di sé ed alla formazione religiosa. La Santa Sede ha pubblicato delle norme a tale riguardo, poco dopo l’enciclica di Pio XI sul matrimonio cristiano. Queste norme non sono state ritirate, né espressamente né via facti.
Ciò che abbiamo detto ora sull’iniziazione sconsiderata per fini terapeutici, vale anche per certe forme della psicoanalisi. Non si dovrebbe considerarle come il solo mezzo per attenuare o guarire turbamenti psichici. Il principio riaffermato che i turbamenti sessuali dell’incosciente, come tutte le altre inibizioni di identica origine non possono essere soppressi che rievocandoli alla coscienza, non vale se si generalizza senza discernimento. La cura indiretta ha pure la sua efficacia, e spesso è più che sufficiente. Per ciò che riguarda l’impiego del metodo psicoanalitico nel campo sessuale, la Nostra allocuzione del 13 Settembre, citata sopra, ne ha già indicato i limiti morali. Infatti non si può considerare, senz’altro, come lecita l’evocazione alla coscienza di tutte le rappresentazioni, emozioni, esperienze sessuali che erano assopite nella memoria e nell’incosciente e che si attualizzano così nello psichismo. Se si dà ascolto alle proteste della dignità umana e cristiana, chi si arrischierebbe di pretendere che questo procedimento non comporti alcun pericolo morale, sia immediato sia futuro, quand’anche, se si affermi la necessità terapeutica di una esplorazione senza limiti, questa necessità, peraltro, non è provata?
L’errore per eccesso: consiste nel rilevare l’esigenza di un totale abbandono dell’io e della sua affermazione personale. A questo proposito Noi vogliamo ricordare due punti: un principio generale ed una norma di pratica psicoterapeutica.
Da certe spiegazioni psicologiche emana la tesi che l’estraversione incondizionata dell’io costituisce la legge fondamentale dell’altruismo congenito e dei suoi dinamismi. Questo è un errore di logica, di psicologia e di etica, perché c’è una difesa, una stima, un amore ed un servizio di sé, non solo giustificati ma voluti dalla psicologia e dalla morale. Ciò è di naturale evidenza ed è un insegnamento della fede cristiana! Il Signore ha insegnato: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Marco 12,31). Cristo propone dunque, come regola dell’amore del prossimo, la carità verso se stesso, non il contrario. La psicologia applicata disprezzerebbe questa realtà, se qualificasse qualsiasi considerazione dell’io come una iniziazione psichica, come errore, ritorno ad uno stadio di sviluppo anteriore, sotto pretesto che essa si oppone all’altruismo naturale dello psichismo.
La norma di pratica psicoterapeutica che enunciamo, riguarda un interesse essenziale della società: la tutela dei segreti che l’uso della psicoanalisi mette in pericolo. Non è del tutto escluso che un fatto o una notizia segreti e ricacciati nel sub cosciente provochino dei conflitti psichici seri. Se la psicoanalisi svela la causa di questo turbamento essa vorrà, secondo il suo principio, evocare interamente siffatto incosciente per renderlo cosciente e togliere l’ostacolo. Ma ci sono dei segreti che bisogna sicuramente tacere. Anche al medico, pur a scapito di inconvenienti personali gravi. Il segreto della confessione non può assolutamente essere svelato: ed è ugualmente escluso che il segreto professionale sia comunicato ad altri, compreso il medico. Lo stesso dicasi di altri segreti. Che se ci si richiama al principio “ex causa proporzionate gravi licet uni viro prudenti et segreti tenaci secretum manifestare”, il principio è esatto, entro limiti ristretti, per alcune specie di segreti. Non è conveniente usarlo indiscriminatamente nella pratica psicoanalitica.
Circa la moralità ed il bene comune innanzitutto, il principio della discrezione nell’uso della psicoanalisi non sarà abbastanza rilevato. Si tratta evidentemente non già in primo luogo della discrezione dello psicoanalista, ma di quella del paziente che sovente non ha affatto il diritto di disporre dei suoi segreti.
4 – L’uomo come unità trascendente che tende verso Dio
Questo ultimo aspetto dell’uomo dà motivo a tre questioni che non vorremmo lasciare in disparte. Anzitutto la ricerca scientifica attira l’attenzione su di un dinamismo che, radicato nelle profondità della sfera psichica, spingerebbe l’uomo verso l’infinito che lo sorpassa, non già col farglielo conoscere, ma in virtù di una gravitazione ascendente che deriva direttamente dal sostrato ontologico. Appare in questo dinamismo una forza indipendente, la più fondamentale e la più elementare dell’anima, uno slancio affettivo che porta direttamente al Divino, come il fiore che spontaneamente s’apre alla luce e al sole o il bambino che respira incoscientemente appena nato.
Questa asserzione richiama subito una osservazione: se si dichiara che questo dinamismo sta all’origine di tutte le religioni e manifesta l’elemento comune a tutte, noi sappiamo d’altra parte che le religioni, la conoscenza naturale e soprannaturale di Dio e il suo culto, non procedono dall’incosciente o dal sub cosciente né da un impulso affettivo ma dalla conoscenza chiara e certa di Dio mediante la sua rivelazione naturale e positiva. Questa è la dottrina e la fede della Chiesa, dalla parola di Dio scritta nel libro della Sapienza, e nell’epistola ai romani fino all’enciclica “Pascendi dominici greggis” del nostro Predecessore, il beato Pio X.
Ciò posto, resta ancora la questione di questo misterioso dinamismo. Si potrebbe dire, a questo proposito, quanto segue: non si deve certo incriminare la psicologia delle profondità se essa si impadronisce del contenuto dello psichismo religioso e si sforza di analizzarlo e di ridurlo in sistema scientifico, anche se siffatta indagine è nuova e se la sua terminologia ha riscontro nel passato. Noi ricordiamo quest’ultimo punto perché si danno facilmente dei malintesi allorché la psicologia attribuisce un senso nuovo ad espressioni già in uso. Da ambo le parti saranno necessarie prudenza e riserbo per evitare false interpretazioni e rendere possibile una comprensione reciproca.
E’ proprio dei metodi della vostra scienza di chiarire le questioni dell’esistenza, della struttura e del modo di agire di questo dinamismo. Se il risultato fosse positivo, non si dovrebbe dichiararlo inconciliabile con la ragione o la fede. Ciò mostrerebbe soltanto che l’esse ab alio è anche, fin nelle sue radici più profonde un esse ad alium e cheil detto di Sant’Agostino: “feristi nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te” trova la sua conferma fin anche nelle più recondite profondità dell’essere psichico. Che seppur si trattasse di un dinamismo che riguardasse tutti gli uomini, tutti i popoli, tutti i popoli, tutte le epoche e tutte le culture: quale e quanto apprezzabile sussidio per la ricerca di Dio e della sua affermazione!
Fa parte anche delle relazioni trascendenti dello psichismo il sentimento della colpa, la coscienza cioè di aver violato una legge superiore di cui tuttavia si riconosceva l’obbligo: coscienza che può mutarsi in sofferenza ed anche in turbamento psichico.
La psicoterapia tocca qui un fenomeno che non è di sua esclusiva competenza, poiché è altresì, se non in primo luogo, di carattere religioso.
Nessuno può contestare che può esserci, e non raramente, un sentimento di colpa irragionevole, persino morboso. Ma si può avere egualmente coscienza di una colpa reale che non è stata cancellata. Né la psicologia né l’etica posseggono un criterio infallibile per casi di tale specie, perché il processo della coscienza che genera la colpevolezza ha una struttura troppo personale e troppo sottile. Ma in ogni caso è certo che nessuna cura puramente psicologica guarirà la colpevolezza reale. Anche se la psicoterapia la contesta forse in buonissima fede, essa perdura. Ancorché il sentimento di colpa sia rimosso con un intervento medico o per auto suggestione o per influenza altrui, la colpa rimane e la psicoterapia si ingannerebbe ed ingannerebbe gli altri se, per cancellare il sentimento di colpa, pretendesse che la colpa stessa non esistesse più.
Il mezzo di eliminare la colpa non è problema puramente psicologico; come è noto ad ogni cristiano, esso consiste nella contrizione e nell’assoluzione sacramentale del sacerdote. Qui la fonte del male, la colpa stessa viene estirpata, anche se il rimorso continuerà forse a tormentare. Non è raro ai nostri giorni che in certi casi patologici il sacerdote rimandi il suo penitente dal medico; in questo caso dovrebbe essere piuttosto il medico ad indirizzare il suo cliente a Dio e a quelli che hanno il potere di rimettere la colpa stessa in nome di Dio.
Un'ultima osservazione circa l’orientamento trascendente dello psichismo verso Dio: il rispetto di Dio e della Sua Santità deve sempre riflettersi negli atti coscienti dell’uomo. Quando questi atti si distaccano dal modello divino, anche senza colpa soggettiva dell’interessato, tuttavia essi sono in contraddizione col suo ultimo fine. Ecco perché ciò che si dice “peccato materiale” è una cosa che non deve esistere e costituisce perciò nell’ordine morale una realtà che non è indifferente.
Segue una conclusione per la psicoterapia; ed è che essa non può rimanere neutrale rispetto al peccato materiale. Può sì, tollerare ciò che per il momento vede inevitabile; ma sappia che Dio non può giustificare questa azione. Ancor meno la psicoterapia può dare all’ammalato il consiglio di commettere tranquillamente un peccato materiale, perché egli lo commetterà senza colpa soggettiva, questo consiglio sarebbe erroneo anche se una simile azione dovesse sembrare necessaria per la distensione psichica dell’ammalato e, perciò, per la finalità della cura. Non è lecito mai consigliare un’azione cosciente che sarebbe una deformazione e non una immagine della perfezione divina.
Ecco quel che credevamo di dovervi esporre. Del resto, siate sicuri che la Chiesa accompagna con la sua calda simpatia e con i suoi migliori auguri le vostre ricerche e la vostra pratica medica. Voi lavorate su di un terreno molto difficile. Ma la vostra attività può raggiungere preziosi risultati per la medicina, per la conoscenza dell’anima in generale, per le disposizioni religiose dell’uomo e il loro sviluppo. Che la Provvidenza e la divina grazia illuminino il vostro cammino. Noi ve ne diamo come in pegno con paterna benevolenza, la Nostra Apostolica Benedizione.
Ai partecipanti al V Congresso Internazionale di Psicoterapia e di Psicologia clinica
Vi diamo il benvenuto, diletti figli e dilette figlie, che venuti da ogni parte vi siete adunati a Roma per ascoltare relazioni e discutere su questioni di psicoterapia e di psicologia clinica. Il vostro congresso è terminato e voi, per garantire i suoi risultati ed il successo delle vostre ricerche ed attività future, venite a ricevere la benedizione del Vicario di Cristo. Molto volentieri Noi accogliamo il vostro desiderio, e approfittiamo dell’occasione per indirizzarvi una parola di incoraggiamento e darvi alcune direttive.
La scienza afferma che nuove osservazioni hanno messo in luce i sostrati profondi dello psichismo umano, ed essa si sforza di capire queste scoperte, di interpretarle e di renderle utilizzabili. Si parla di dinamismi, di determinismi e di meccanismi nascosti nelle profondità dell’anima, dotati di leggi immanenti, da cui provengono certi modi di azione. Senza dubbio questi sono messi in azione nel subcosciente o nell’incosciente, ma penetrano egualmente nel campo della coscienza e lo determinano. Si pretende di avere a disposizione dei procedimenti sperimentali e riconosciuti adeguati a scrutare il mistero di queste profondità dell’anima, a rischiararle ed a rimetterle sulla retta strada, quando esse esercitano una influenza nefasta.
Queste questioni che si prestano per l’esame di una psicologia scientifica, dipendono dalla vostra competenza. Lo stesso deve dirsi dell’utilizzo dei nuovi metodi psicologici. Ma, tanto la psicologia teorica, quanto quella pratica, tengano ben presente che non possono perdere di vista né le verità stabilite dalla ragione e dalla fede, né i precetti imposti dalla morale.
L’anno scorso, nel mese di settembre, per rispondere al desiderio dei membri del “Primo Congresso Internazionale di Istopatologia del Sistema Nervoso”, Noi abbiamo indicato i limiti morali dei metodi di investigazione e di cura, nell’ambito della medicina. Fondandoci su questo esposto, Noi vorremmo oggi fare qualche aggiunta complementare. In breve, Noi intendiamo indicare l’atteggiamento fondamentale che si impone allo psicologo ed allo psicoterapeuta cristiano.
Questo atteggiamento fondamentale può formularsi nei seguenti termini: la psicoterapia e la psicologia clinica devono sempre considerare l’uomo: 1) come unità e totalità psichica; 2) come unità strutturata in se stessa; 3) come unità sociale; 4) come unità trascendente, vale a dire che tende verso Dio.
1 – L’uomo come unità e totalità psichica
La medicina insegna a considerare il corpo umano come un meccanismo ad alta precisione, i cui elementi si innestano uno nell’altro e si concatenano l’uno con l’altro; il loro posto e le loro caratteristiche dipendono dal tutto, servendo essi alla sua esistenza ed alle sue funzioni. Ma questa concezione si applica pure ancor meglio all’anima, i cui delicati congegni sono riuniti con molta maggior cura. Le diverse facoltà e funzioni psichiche si inseriscono nell’insieme dell’essere spirituale e si subordinano alla sua finalità.
E’ inutile sviluppare più a lungo questo punto. Ma voi dovete, proprio voi psicologi e terapeuti, tenere conto di questo fatto: l’esistenza di ciascuna facoltà o funzione psichica trova la sua giustificazione nel fine del tutto. Il costitutivo principale dell’uomo è l’anima, forma sostanziale della sua natura. Da essa, in definitiva, trae origine tutta la vita umana; in essa hanno radice tutti i dinamismi psichici, con la loro struttura propria e con la loro legge organica; essa ha dalla natura l’incarico di governare tutte le energie, fintanto che esse non abbiano acquistata la loro ultima determinazione. Da questo dato ontologico e psichico segue che vorrebbe dire distaccarsi dalla realtà il volere affidare a un fattore particolare, in teoria o in pratica, il compito determinante del tutto, per esempio ad uno dei dinamismi psichici elementari e così cedere il governo ad una potenza secondaria. Questi dinamismi possono essere nell’anima, nell’uomo, ma, tuttavia, non sono né l’anima né l’uomo.
Sono energie di una intensità forse considerevole, però la natura ne ha affidato la direzione al centro: all’anima spirituale, dotata di intelligenza e di volontà, normalmente capace di governare queste energie. Che tali dinamismi facciano sentire la loro pressione su di una attività, non significa necessariamente che la costringano. Si negherebbe una realtà ontologica e psicologica, contestando all’anima il suo posto centrale.
Non è dunque possibile, allorché si studia la relazione dell’Io coi dinamismi che lo compongono, di concedere senza riserva, in teoria, l’autonomia dell’uomo, cioè della sua anima e poi aggiungere subito che, nella realtà della vita, questo principio teorico sembra subire il più delle volte uno scacco o per lo meno essere ridotto all’estremo. Nella realtà della vita, si dice, resta sempre nell’uomo la libertà di accordare il suo consenso interiore a quello che egli compie, ma non mai quella di effettuarlo; all’autonomia della libera volontà si sostituisce l’eteronomia del dinamismo istintivo. Ma non così il Creatore ha modellato l’uomo. Il peccato originale non gli toglie la possibilità e l’obbligo di governarsi da sé per mezzo dell’anima. Non si può pretendere che i turbamenti psichici e le malattie che ostacolano il funzionamento normale dello psichismo siano il dato abituale. Il combattimento morale per restare sulla retta via non prova l’impossibilità di seguirla, né autorizza ad indietreggiare.
2 – L’uomo come unità strutturata
L’uomo è un tutto ordinato; un microcosmo, una specie di Stato la cui legge, stabilita dallo scopo finale del tutto, subordina a questo scopo l’attività delle parti secondo l’ordine vero del loro valore e della loro funzione. Questa legge è, in definitiva, di origine ontologica e metafisica e non psicologica e personale. Qualcuno ha pensato di dover accentuare l’opposizione tra metafisica e psicologia. Ben a torto! Lo stesso psichismo appartiene al dominio dell’ontologico e del metafisico.
Noi vi abbiamo ricordato questa verità per collegare ad essa una osservazione sull’uomo concreto di cui qui esaminiamo l’ordinamento interno. Si è preteso infatti di stabilire l’antinomia della psicologia e dell’etica tradizionali rispetto alla psicoterapia ed alla psicologia clinica moderne. Si sostiene che la psicologia e l’etica tradizionali hanno per oggetto l’essere astratto dell’uomo, l’homo ut sic, il quale certamente non esiste in alcun luogo. La chiarezza e la concatenazione logica di queste discipline sono mirabili, ma sono viziate alla base: esse sono inapplicabili all’uomo così come esso esiste nella realtà. La psicologia clinica, al contrario parte dall’uomo reale, dall’homo ut hic. E si conclude che tra le due concezioni si apre un abisso che non è possibile travalicare fino a che la psicologia e l’etica tradizionali non cambino la loro posizione.
Chi studia la costituzione dell’uomo reale deve infatti prendere come oggetto l’uomo “esistenziale” qual esso è, quale l’hanno fatto le sue disposizioni naturali, le influenze dell’ambiente, l’educazione, la sua evoluzione personale, le sue intime esperienze, gli avvenimenti esterni. Esiste soltanto questo uomo concreto. E tuttavia la struttura di questo “io” personale ubbidisce nei minimi particolari alle leggi ontologiche e metafisiche della natura umana di cui prima noi parlavamo. Queste l’hanno formata, e queste perciò devono governarla e giudicarla. La ragione è che l’uomo “esistenziale” si identifica nella sua intima struttura con l’uomo “essenziale”. La struttura essenziale nell’uomo non sparisce quando si aggiungono le caratteristiche individuali, né si trasforma in un’altra natura umana. Ma la legge precisamente, di cui si parlava poc’anzi, sta riposta nei suoi enunciati principali sulla struttura essenziale dell’uomo concreto e reale.
Pertanto sarebbe errato stabilire per la vita reale norme che si allontanassero dalla morale naturale e cristiana e che ben si direbbero “etica personalistica” la quale certamente riceverebbe dalla prima un certo orientamento, ma non comporterebbe in eguale misura un obbligo stretto. La legge di struttura dell’uomo concreto non bisogna inventarla, bensì applicarla.
3 – L’uomo come unità sociale
Quel che abbiamo detto sin qui concerne l’uomo nella sua vita personale. Lo psichico comprende anche le sue relazioni col mondo esteriore ed è un compito degno d’elogio e un campo aperto alle vostre ricerche studiare lo psichismo sociale in se stesso e nelle sue radici, per renderlo utile ai fini della psicologia clinica e della psicoterapia. Si stia però ben attenti a distinguere accuratamente i fatti in se stessi dalla loro interpretazione.
Lo psichismo sociale tocca anche la moralità, e le conclusioni della morale comprendono in sé quelle di una psicologia e di una psicoterapia serie. Ma ci sono alcuni punti in cui l’applicazione dello psichismo sociale pecca per eccesso o per difetto: e su ciò vorremmo fermarci brevemente.
Errore per difetto: esiste un malessere psicologico e morale, l’inibizione dell’io, di cui la vostra scienza si occupa di scoprire le cause. Quando questa inibizione invade il campo morale, per esempio quando si tratta di dinamismi, come l’istinto di dominio, di superiorità e l’istinto sessuale, la psicoterapia non potrebbe trattare senz’altro questa inibizione dell’io come una specie di fatalità, come una tirannia della pulsione affettiva che sgorga dal subcosciente e che semplicemente sfugge al controllo della coscienza e dell’anima. Si badi a non ridurre troppo frettolosamente l’uomo concreto col suo carattere personale al livello del bruto. Malgrado le buone intenzioni del terapeuta, alcuni spiriti delicati risentono amaramente questo abbassamento al piano della vita istintiva e sensitiva. Né si trascurino nemmeno le nostre precedenti osservazioni sull’ordine di valore delle funzioni e sull’officio della loro direzione centrale.
Una parola anche sul metodo praticato talvolta dallo psicologo per liberare l’io della sua inibizione nei casi di aberrazione del campo sessuale: ci riferiamo all’iniziazione sessuale completa che nulla vuole tacere, niente lasciare nell’oscurità. Non c’è in questo una dannosa sopravvalutazione del sapere? C’è anche una educazione sessuale efficace, che insegna con ogni sicurezza nella calma e nella oggettività ciò che il giovane deve sapere per dirigere se stesso e trattare con quelli che lo circondano. Per il resto, nell’educazione sessuale, come d’altronde in ogni genere di educazione, si darà particolare importanza alla padronanza di sé ed alla formazione religiosa. La Santa Sede ha pubblicato delle norme a tale riguardo, poco dopo l’enciclica di Pio XI sul matrimonio cristiano. Queste norme non sono state ritirate, né espressamente né via facti.
Ciò che abbiamo detto ora sull’iniziazione sconsiderata per fini terapeutici, vale anche per certe forme della psicoanalisi. Non si dovrebbe considerarle come il solo mezzo per attenuare o guarire turbamenti psichici. Il principio riaffermato che i turbamenti sessuali dell’incosciente, come tutte le altre inibizioni di identica origine non possono essere soppressi che rievocandoli alla coscienza, non vale se si generalizza senza discernimento. La cura indiretta ha pure la sua efficacia, e spesso è più che sufficiente. Per ciò che riguarda l’impiego del metodo psicoanalitico nel campo sessuale, la Nostra allocuzione del 13 Settembre, citata sopra, ne ha già indicato i limiti morali. Infatti non si può considerare, senz’altro, come lecita l’evocazione alla coscienza di tutte le rappresentazioni, emozioni, esperienze sessuali che erano assopite nella memoria e nell’incosciente e che si attualizzano così nello psichismo. Se si dà ascolto alle proteste della dignità umana e cristiana, chi si arrischierebbe di pretendere che questo procedimento non comporti alcun pericolo morale, sia immediato sia futuro, quand’anche, se si affermi la necessità terapeutica di una esplorazione senza limiti, questa necessità, peraltro, non è provata?
L’errore per eccesso: consiste nel rilevare l’esigenza di un totale abbandono dell’io e della sua affermazione personale. A questo proposito Noi vogliamo ricordare due punti: un principio generale ed una norma di pratica psicoterapeutica.
Da certe spiegazioni psicologiche emana la tesi che l’estraversione incondizionata dell’io costituisce la legge fondamentale dell’altruismo congenito e dei suoi dinamismi. Questo è un errore di logica, di psicologia e di etica, perché c’è una difesa, una stima, un amore ed un servizio di sé, non solo giustificati ma voluti dalla psicologia e dalla morale. Ciò è di naturale evidenza ed è un insegnamento della fede cristiana! Il Signore ha insegnato: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (Marco 12,31). Cristo propone dunque, come regola dell’amore del prossimo, la carità verso se stesso, non il contrario. La psicologia applicata disprezzerebbe questa realtà, se qualificasse qualsiasi considerazione dell’io come una iniziazione psichica, come errore, ritorno ad uno stadio di sviluppo anteriore, sotto pretesto che essa si oppone all’altruismo naturale dello psichismo.
La norma di pratica psicoterapeutica che enunciamo, riguarda un interesse essenziale della società: la tutela dei segreti che l’uso della psicoanalisi mette in pericolo. Non è del tutto escluso che un fatto o una notizia segreti e ricacciati nel sub cosciente provochino dei conflitti psichici seri. Se la psicoanalisi svela la causa di questo turbamento essa vorrà, secondo il suo principio, evocare interamente siffatto incosciente per renderlo cosciente e togliere l’ostacolo. Ma ci sono dei segreti che bisogna sicuramente tacere. Anche al medico, pur a scapito di inconvenienti personali gravi. Il segreto della confessione non può assolutamente essere svelato: ed è ugualmente escluso che il segreto professionale sia comunicato ad altri, compreso il medico. Lo stesso dicasi di altri segreti. Che se ci si richiama al principio “ex causa proporzionate gravi licet uni viro prudenti et segreti tenaci secretum manifestare”, il principio è esatto, entro limiti ristretti, per alcune specie di segreti. Non è conveniente usarlo indiscriminatamente nella pratica psicoanalitica.
Circa la moralità ed il bene comune innanzitutto, il principio della discrezione nell’uso della psicoanalisi non sarà abbastanza rilevato. Si tratta evidentemente non già in primo luogo della discrezione dello psicoanalista, ma di quella del paziente che sovente non ha affatto il diritto di disporre dei suoi segreti.
4 – L’uomo come unità trascendente che tende verso Dio
Questo ultimo aspetto dell’uomo dà motivo a tre questioni che non vorremmo lasciare in disparte. Anzitutto la ricerca scientifica attira l’attenzione su di un dinamismo che, radicato nelle profondità della sfera psichica, spingerebbe l’uomo verso l’infinito che lo sorpassa, non già col farglielo conoscere, ma in virtù di una gravitazione ascendente che deriva direttamente dal sostrato ontologico. Appare in questo dinamismo una forza indipendente, la più fondamentale e la più elementare dell’anima, uno slancio affettivo che porta direttamente al Divino, come il fiore che spontaneamente s’apre alla luce e al sole o il bambino che respira incoscientemente appena nato.
Questa asserzione richiama subito una osservazione: se si dichiara che questo dinamismo sta all’origine di tutte le religioni e manifesta l’elemento comune a tutte, noi sappiamo d’altra parte che le religioni, la conoscenza naturale e soprannaturale di Dio e il suo culto, non procedono dall’incosciente o dal sub cosciente né da un impulso affettivo ma dalla conoscenza chiara e certa di Dio mediante la sua rivelazione naturale e positiva. Questa è la dottrina e la fede della Chiesa, dalla parola di Dio scritta nel libro della Sapienza, e nell’epistola ai romani fino all’enciclica “Pascendi dominici greggis” del nostro Predecessore, il beato Pio X.
Ciò posto, resta ancora la questione di questo misterioso dinamismo. Si potrebbe dire, a questo proposito, quanto segue: non si deve certo incriminare la psicologia delle profondità se essa si impadronisce del contenuto dello psichismo religioso e si sforza di analizzarlo e di ridurlo in sistema scientifico, anche se siffatta indagine è nuova e se la sua terminologia ha riscontro nel passato. Noi ricordiamo quest’ultimo punto perché si danno facilmente dei malintesi allorché la psicologia attribuisce un senso nuovo ad espressioni già in uso. Da ambo le parti saranno necessarie prudenza e riserbo per evitare false interpretazioni e rendere possibile una comprensione reciproca.
E’ proprio dei metodi della vostra scienza di chiarire le questioni dell’esistenza, della struttura e del modo di agire di questo dinamismo. Se il risultato fosse positivo, non si dovrebbe dichiararlo inconciliabile con la ragione o la fede. Ciò mostrerebbe soltanto che l’esse ab alio è anche, fin nelle sue radici più profonde un esse ad alium e cheil detto di Sant’Agostino: “feristi nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te” trova la sua conferma fin anche nelle più recondite profondità dell’essere psichico. Che seppur si trattasse di un dinamismo che riguardasse tutti gli uomini, tutti i popoli, tutti i popoli, tutte le epoche e tutte le culture: quale e quanto apprezzabile sussidio per la ricerca di Dio e della sua affermazione!
Fa parte anche delle relazioni trascendenti dello psichismo il sentimento della colpa, la coscienza cioè di aver violato una legge superiore di cui tuttavia si riconosceva l’obbligo: coscienza che può mutarsi in sofferenza ed anche in turbamento psichico.
La psicoterapia tocca qui un fenomeno che non è di sua esclusiva competenza, poiché è altresì, se non in primo luogo, di carattere religioso.
Nessuno può contestare che può esserci, e non raramente, un sentimento di colpa irragionevole, persino morboso. Ma si può avere egualmente coscienza di una colpa reale che non è stata cancellata. Né la psicologia né l’etica posseggono un criterio infallibile per casi di tale specie, perché il processo della coscienza che genera la colpevolezza ha una struttura troppo personale e troppo sottile. Ma in ogni caso è certo che nessuna cura puramente psicologica guarirà la colpevolezza reale. Anche se la psicoterapia la contesta forse in buonissima fede, essa perdura. Ancorché il sentimento di colpa sia rimosso con un intervento medico o per auto suggestione o per influenza altrui, la colpa rimane e la psicoterapia si ingannerebbe ed ingannerebbe gli altri se, per cancellare il sentimento di colpa, pretendesse che la colpa stessa non esistesse più.
Il mezzo di eliminare la colpa non è problema puramente psicologico; come è noto ad ogni cristiano, esso consiste nella contrizione e nell’assoluzione sacramentale del sacerdote. Qui la fonte del male, la colpa stessa viene estirpata, anche se il rimorso continuerà forse a tormentare. Non è raro ai nostri giorni che in certi casi patologici il sacerdote rimandi il suo penitente dal medico; in questo caso dovrebbe essere piuttosto il medico ad indirizzare il suo cliente a Dio e a quelli che hanno il potere di rimettere la colpa stessa in nome di Dio.
Un'ultima osservazione circa l’orientamento trascendente dello psichismo verso Dio: il rispetto di Dio e della Sua Santità deve sempre riflettersi negli atti coscienti dell’uomo. Quando questi atti si distaccano dal modello divino, anche senza colpa soggettiva dell’interessato, tuttavia essi sono in contraddizione col suo ultimo fine. Ecco perché ciò che si dice “peccato materiale” è una cosa che non deve esistere e costituisce perciò nell’ordine morale una realtà che non è indifferente.
Segue una conclusione per la psicoterapia; ed è che essa non può rimanere neutrale rispetto al peccato materiale. Può sì, tollerare ciò che per il momento vede inevitabile; ma sappia che Dio non può giustificare questa azione. Ancor meno la psicoterapia può dare all’ammalato il consiglio di commettere tranquillamente un peccato materiale, perché egli lo commetterà senza colpa soggettiva, questo consiglio sarebbe erroneo anche se una simile azione dovesse sembrare necessaria per la distensione psichica dell’ammalato e, perciò, per la finalità della cura. Non è lecito mai consigliare un’azione cosciente che sarebbe una deformazione e non una immagine della perfezione divina.
Ecco quel che credevamo di dovervi esporre. Del resto, siate sicuri che la Chiesa accompagna con la sua calda simpatia e con i suoi migliori auguri le vostre ricerche e la vostra pratica medica. Voi lavorate su di un terreno molto difficile. Ma la vostra attività può raggiungere preziosi risultati per la medicina, per la conoscenza dell’anima in generale, per le disposizioni religiose dell’uomo e il loro sviluppo. Che la Provvidenza e la divina grazia illuminino il vostro cammino. Noi ve ne diamo come in pegno con paterna benevolenza, la Nostra Apostolica Benedizione.