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"Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili visto il loro spirito di materialismo puro e le verità della filosofia e la teologia cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici laici. (Rudolf Allers, 1936, lettera a P. Agostino Gemelli).

sabato 12 febbraio 2011

IL RELATIVISMO MORALE NELLA PSICOLOGIA DI JACQUES LACAN

Jacques Lacan
Conoscere un autore vuol dire comprenderlo, ossia metterlo dentro, interiorizzarlo (cum-prehendere). Distinguerne quegli aspetti geniali e distintivi dagli inevitabili punti di distanza, retrò, erronei. Si tratta, cioè, di applicare allo studio ed alla lettura quel processo naturale e molto spesso automatico (si potrebbe dire inconscio) che si chiama giudizio: il paragone immediato tra ciò che vediamo nella realtà e quel criterio ultimo, oggettivo, che abbiamo dentro, quello che la Bibbia chiama "cuore". Nell'esercizio del giudizio, e nell'affinare la nostra coscienza nel suo utilizzo, è importante il confronto con i "maestri", con coloro che, avendo fatto lo stesso percorso nostro, ci possono indicare, aiutare, consigliare nello stabilire quello che è il giudizio più vero, più corretto, più oggettivo e personale di fronte ad un oggetto. E' l'idea da cui è nata - nel medioevo - l'uni-versitas, ossia il seguire qualcuno, verso uno.
Nell'ambito della psicologia tali guide, tali giudizi sugli autori e sulle varie correnti non mancano. Basta leggere il manuale di storia della psicologia del Luccio per capire come, al di là di un tentativo di neutralità, esso indichi bene quale sia il punto di vista dell'autore ed il giudizio - in particolare sul cristianesimo e sul medioevo - che ha dato forma alle basi della sua ricostruzione storica.
Mancano, invece, gli insegnamenti in ambito cristiano. Solo recentemente sono stati editi due volumi che, seppur diversamente, hanno l'obiettivo di comprendere e quindi di giudicare il corpus teorico della psicologia (mi riferisco a "Conosciti" di Luis Jorge Gonzales, edizioni Teresianum, 2004, Roma; e "Corrientes de psicologia contemporanea" di Martin F. Echavarria, Scire, 2010, Barcellona).
Questo articolo si colloca all'interno di questo percorso digiudizio ed analizza (parola quanto mai impropria in questo contesto) il lavoro di Jacques Lacan in rapporto al suo personaggio ed al rapporto conflittuale tra la sua teoria ed una concezione cristiana dell'uomo. Ringrazio personalmente l'autrice per la disponibilità accordatami nel pubblicare il suo testo.


Il relativismo morale nella psicologia di Jacques Lacan


Dra. Zelmira Seligman

Pontificia Universidad Católica Argentina



Nel presente lavoro prenderò la teoria di Lacan – psichiatra di famiglia cattolica, nato a Parigi nel 1901 e morto nel 1981 – come paradigmatica del pensiero che, attraverso la psicologia, ha sommerso la cultura occidentale in un relativismo morale chiaramente contrario alle sue radici cristiane. Lacan dice esplicitamente che l’etica della psicoanalisi è opposta al pensiero tradizionale.
      Il famoso psichiatra francese propone un “ritorno a Freud”, un ritorno all’ortodossia psicoanalitica. E magari questo è il perché ci sembra importante studiare un autore come Lacan, dato che in lui vediamo le conseguenze della concezione freudiana – che getta le sue radici nella filosofia moderna – quando è assimilata alla mentalità e alla cultura cattolica. L’etica è centrale nell’opera lacaniana perché porta alla luce la vera intenzione di Freud nella realizzazione del progetto di ribaltamento dei valori.
      In opposizione alla posizione tomista secondo cui l’ordine morale ha una sussistenza ontologica, metafisica; in Freud è evidente l’influenza del pensiero moderno, soprattutto della teoria della conoscenza di Kant, ed attraverso di essa, per lo meno nello spirito, si possono comprendere la maggioranza delle altre scuole o correnti di psicologia contemporanea. Sostiene R. Brennan: “E’ innegabile l’influenza di Kant nello sviluppo della psicologia moderna. I suoi principi sono come la fonte da cui fluiscono le acque delle moderne tendenze idealiste, agnostiche e materialiste della scienza psicologica. (…) In un certo senso, Kant è il rappresentate ideale dell’uomo moderno, con la sua ignoranza della tradizione, il suo ripudio dell’autorità, la sua enfasi nei valori individuali”.
     Lacan crede che la psicoanalisi sviluppata da Freud non sia per curare. Ed in questo indovina. Vede nella psicoanalisi due missioni: “costruire una scienza, dell’uomo come soggetto, che sconvolgerà l’intero campo della conoscenza per il suo metodo radicalmente differente, e iniziare gli uomini alla verità, cioè, ridefinire i veri fondamenti etici della psicoanalisi che costruiranno finalmente ‘una etica del nostro tempo’ ”. Questa ‘scienza’ serve a Lacan (e alla psicoanalisi) per il suo progetto legato all’etica, il quale, in fondo, ciò che pretende è affermare la morte di Dio nella vita pratica, e di conseguenza l’allontanamento degli uomini dal loro fine ultimo.
     Non dobbiamo dimenticare che Lacan studia Hegel, partecipando per tre anni ad un seminario sulla «Fenomenologia dello Spirito» . Questa filosofia lascia profonde tracce nel suo pensiero, che saranno approfondite lungo tutto il corso della sua vita; non solo nell’ambito dell’idealismo filosofico, ma principalmente nella prassi, nella distruzione – con la inversione – delle verità della fede all’interno dello stesso cattolicesimo. Esponiamo, solo come esempio, l’interpretazione della verità sulla Incarnazione del Verbo che – secondo Lacan – è il principio del male. “Io sono a favore di san Giovanni e del suo «Al principio era il Verbo», però è un principio enigmatico. Significa quanto segue: per l’essere carnale, quel personaggio ripugnante che è l’uomo medio, il dramma comincia solamente quando entra in gioco il Verbo, quando si incarna, come dice la religione, quella vera. Quando il Verbo si incarna le cose iniziano ad andare francamente male. (…) Io a volte penso che sia il principio”.

1) L’inconscio come linguaggio ed espressione del desiderio

Il linguaggio, con il cambiamento del contenuto delle parole, è parte della tecnica di questa psicologia senza Dio o – meglio – contraria a Dio. L’inversione come metodo ispirerà la trattazione degli argomenti, e l’esperienza dell’irrazionale sarà il motore delle condotte che verranno analizzate “dal basso”, ma che dovranno governare tutta la vita dell’uomo.
     Come abbiamo già detto, la teoria lacaniana basa le sue fondamenta in un ritorno a Freud, però in relazione alla parola come strumento dell’inconscio. Affermando che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, basa la sua teoria del soggetto come significante, e come conseguenza della scissione radicale tra l’essere e il dire.
     Per Lacan dal linguaggio si crea qualcosa di nuovo, simbolico, dove si inverte l’ordine del reale, “esorcizzando” Dio, tirandolo fuori, lasciandolo a lato come principio dell’essere e di tutta la realtà.
     Per lo psichiatra francese l’uomo non ha essenza né esistenza, è solo “essere-parlante” (parlētre). Dice espressamente che “il fatto stesso di parlare gli facilita la menzogna”. Non c’è essere né realtà, solo questo “parlare” dell’Altro dall’inconscio, e che prende come una consistenza soggettiva quando si realizza il desiderio. In questo modo la psicoanalisi lacaniana invita a vivere l’esperienza del lasciarsi sedurre dall’altro e perdersi, smettere di essere soggetto per fondersi nell’Altro che parla, per sommergersi in una vita falsa, in una pseudo-realtà che – creando un ordine inverso – si oppone alla legge di Dio.
      Dice Lacan che all’essere, come lo si intende nella tradizione filosofica, si oppone il fatto che “siamo giocattoli del piacere”. Cioè, siamo sottomessi a qualcuno o qualcosa che non è l’Essere, che – nella tradizione filosofica – è Dio nella sua perfezione. Però è l’uomo stesso che si sottomette a quell’Altro che parla dall’inconscio, e che dopo gli dirige tutta la vita. E questa esperienza deve ripeterla con l’analista, creare quel laccio, per dopo invertire tutta la realtà.
      Per Lacan – sempre interpretando Freud – alla radice dell’etica si deve collocare il desiderio e il desiderio che si accompagna alla “mancanza” (faute, colpa, peccato), perché è il desiderio perverso.
      Fa riferimento all’opera di Freud «Totem e tabù», e alla colpa originale di cui lì si parla, della quale dobbiamo essere orgogliosi: “dobbiamo lodarci per lei, felix culpa”. Il crimine – per Lacan – consiste nell’ignorare il Male assoluto. L’etica lacaniana predica “la mancanza” (o peccato) come ideale, dunque è l’unica capace di farci scappare dal crimine che è ignorare il male. Per Lacan il fine della psicoanalisi è l’accesso al desiderio del sapere; bisogna conoscere il male, perché è la cosa più profonda dell’uomo.
     Lo psichiatra francese fa riferimento alla «Etica nicomachea» e pone Freud nella posizione opposta ad Aristotele. Quest’ultimo crede nel fine, nella felicità che si trova nel bene e nel Bene Supremo. Freud non nega che l’uomo cerchi la felicità, ma questa è impossibile da raggiungere; l’uomo è il desiderio.
      L’Angelico – d’altra parte – dice che tutti gli uomini appetiscono la felicità, la quale si incontra nel fine ultimo. Se tutti concordano nel desiderare tale fine, nella situazione concreta, non tutti hanno la stessa idea su che cosa consista. Per San Tommaso la felicità deve essere “il bene perfetto e sufficiente” dell’uomo. Certamente in questa vita non è raggiungibile la perfetta beatitudine, però è possibile averne una parte, che è la felicità imperfetta. E così afferma l’Angelico: “l’ultima e perfetta prosperità che speriamo nella vita futura consiste totalmente nella contemplazione. Ma la beatitudine imperfetta, quale in questa vita è possibile raggiungere, consiste principalmente nella contemplazione, secondariamente nell’attività della comprensione pratica, che impone l’ordine nelle azioni e passioni umane, come dice il Filosofo”.
     Lacan, basandosi sull’esperienza morale, colloca la genesi della dimensione morale nel desiderio, nella “funzione feconda del desiderio”. Il desiderio muove la vita psichica (che è movimento) da peccato a peccato. La psicoanalisi ha come obiettivo il placare la colpa di un uomo che è perverso: “Si tratterebbe di un addomesticamento del godimento perverso fondata, da una parte, nella dimostrazione della sua universalità e, dall’altro, nella sua funzione”.
     Secondo Lacan la scoperta fondamentale di Freud fu la legge dell’incesto (con il conflitto edipico), perché questo vuol dire che l’uomo non può operare il bene, poiché è irraggiungibile. E il bene è irraggiungibile, perché l’uomo desidera sempre il proibito. E questo male-desiderio – o desiderio del male – è essenziale, è il fondamento della morale, di tutto il movimento dell’uomo. Lacan loda la «Critica della ragion pratica» di Kant, poiché è il libro di riferimento nelle basi etiche della psicoanalisi. Il Sommo Bene è proibito per l’uomo, perché non può né soddisfare né essere raggiunto.
     Lacan critica la posizione aristotelica di un padrone che “sfugge dal lavoro” per dirigersi verso la contemplazione, nella ricerca della verità. La verità cercata nell’esperienza concreta, non è quella di una “legge superiore” – dice Lacan -, è una verità liberatrice, una verità particolare. “Che cosa può essere che cerchiamo nell’analisi se non una esperienza liberatrice? (…) Il Wunsch [desiderio] non ha la caratteristica di una legge universale, ma al contrario quella della legge particolare”. Questo è ciò che deve compiere colui che si psicoanalizza, liberarsi dalla verità e vivere secondo il desiderio, però il desiderio perverso che conosce il Male.
     E riafferma che il desiderio ultimo, che l’individuo scopre come motore della sua condotta, è quello che Freud chiamò “desiderio dell’incesto”. Per Freud la legge è collegata con la sua proibizione e violazione. L’uomo è la sua libertà e questo si rende manifesto quando si libera trasgredendo, soprattutto la legge naturale.
     I comandamenti – aggiunge Lacan – si incontrano in relazione con “la parola”, e questa rende possibile la menzogna. Poiché “passiamo il nostro tempo violando i dieci comandamenti e precisamente per questo motivo una società è possibile”. La vita psichica è una violazione delle norme. L’uomo vive continuamente la simulazione, la menzogna, l’inganno, e questo è ciò che chiama “amor cortese” o falso. Esplicita questo con la seguente formula: “A livello incosciente il soggetto mente. E questa menzogna è il suo modo di dire circa la verità”. Ricordiamo che l’inconscio è strutturato come un linguaggio: “in questa funzione antinomica tra la legge e il desiderio, la parola condiziona”. Nella parola risiede una delle pietre angolari della condizione umana, perché le permette di invertire la realtà con la menzogna come verità.
     Qui la cosa importante è il linguaggio che, secondo Lacan, si struttura attorno al vuoto, perché è una costruzione artificiosa. Permette di andare molto al di là del bene e del male, rende possibile una separazione dell’essere, una divisione tra il vero essere e la creazione della propria legge. Crea ex-nihilo, perché al divincolarsi dell’essere, genera una legge che segue la propria volontà isolata dalla realtà, la quale sommerge l’uomo in questo “ruminare sui propri pensieri” senza considerare la sua natura e il suo fine di perfezione.

2) Conseguenze dell’agire secondo il desiderio

A differenza di Freud che era ateo e materialista e per il quale la morte era solo il ritorno all’inanimato, Jacques Lacan, con la sua formazione cattolica, imposta la dinamica psichica tra la vita e la morte, tra il peccato (la mancanza, difetto, amartìa) e il compimento della legge naturale. Per lui l’uomo è-per-la-morte, perché respinge i beni, non può essere felice, la sua vita è una tragedia. Questo è il paradosso: è vivo però si scontra con la morte dell’anima.
     Lacan manifesta chiaramente che l’etica della psicoanalisi, la sua dimensione morale (che è l’oggetto proprio di questa disciplina), si riferisce all’azione che è mossa dal desiderio perverso (contrario al proprio bene), principio dell’agire, che mette l’uomo in relazione con il Giudizio Finale, il trionfo della morte, l’inferno. Per questo Lacan dà tanta importanza alla Legge, però la propria legge, la legge della realizzazione del desiderio, che alla fine è un desiderio di morte.
     Pone il desiderio e la legge in relazione dialettica, in modo che la Legge accende il desiderio, che diventa desiderio di morte. Dio sa che l’uomo ha un desiderio perverso e di conseguenza gli dà la legge per impedirgli questo godimento. La trasgressione è necessaria, nel contesto lacaniano, per accedere al godimento, per il quale serve la legge, quando c’è la sua violazione. Però il piacere cambia completamente il senso della legge morale, perché la legge serve per promuovere il peccato e ciò è possibile, grazie al desiderio, è possibile godere molto di più di quanto stabilisce la legge. La dottrina della legge del piacere egoista, inserita nel “mistero del desiderio” perverso, porta al vuoto più terribile e culmina quando “vediamo profilarsi all’orizzonte l’idea di un supplizio eterno”.
     Per questo a Lacan piace citare frequentemente l’opera di Sade. L’accumulo degli orrori che compaiono in Sade evidenzia l’importanza di questo desiderio perverso che si trova in relazione alla ricerca di soddisfazione del proprio potere, e che entra in gioco nel voler andare molto più in là di tutta la legge naturale, nel cercare questo eccesso come modalità di trasgressione. Però riconosce che questa “problematica del desiderio”, che fa “retrocedere l’uomo davanti ai beni”, ha come correlato necessario la distruzione (che in Freud si incontra connessa alla pulsione di morte).
     Il famoso psichiatra francese ritorna spesso a Sade e alle sue mille immagini che esprimono questo desiderio perverso, però anche al fantasma della sofferenza eterna. Lacan pensa che la posizione creazionista, quel partire dal niente (ex-nihilo), significhi che ciò che è non può ritornare niente. E giustamente lo mette in relazione al tema di Sade e il male del peccatore incallito, il quale supera la legge, e che a volte affronta il problema del male per sempre. Se l’uomo potesse tornare al nulla, potrebbe smettere di soffrire, però ciò che ora è, non può tornare al nulla dal quale giunse.
     In una dura critica alla “etica tradizionale” aristotelica rivolta al bene, Lacan pone le azioni che devono essere secondo il desiderio (al “desiderio si oppone l’etica tradizionale”) che disciplina la legge personale, in un giudizio etico che è in relazione al Giudizio Finale, dove ci sarà il “trionfo dell’essere-per-la-morte”. Questo è la caratteristica fondamentale del comportamento in vita, il quale terminerà nella morte finale, che è la dannazione.
     Dice Lacan: “la questione della realizzazione del desiderio si forma necessariamente dalla prospettiva del Giudizio Finale”. Per questo autore, il fondamento della realizzazione del desiderio è di fronte e in vista di questo Giudizio Finale che sarà di condanna. Aver realizzato il desiderio perverso vuol dire introdurre la morte nella propria vita. Implica la futura e perpetua sofferenza nell’inferno, raffigurato – secondo Lacan – da Sade come il tempo senza fine per i tormenti del condannato. Però per questo sono necessarie due cose che si relazionino con la seconda morte o morte dell’anima: il linguaggio, ciò che “non è”, il luogo della menzogna, e la libido che pone una barriera affinché tutto sia dimenticato e possa tener acceso il piacere “negli istanti fugaci”.
     Il sessuale nasconde l’infelicità radicale. Però ancor di più della passione carnale, è più importante che il soggetto riesca a compiere “la sua legge”, trasgredendo quella di Dio. La psicoanalisi deve dirigersi ai beni terreni, in modo che questi completino la domanda di felicità che porta il paziente. Però per questo bisogna distruggere la relazione con Dio ed attenersi alle conseguenze che assumono la morte dell’anima, la dannazione. Seguire il desiderio è immergersi nel “giubilo diabolico”, perché in alcuna maniera si sa – e questo è crudele – che termina nel supplizio eterno, benché si godi di un piacere fugace.
     L’uomo compie la sua propria legge secondo il proprio desiderio, e questo lo porta alla sfida di oltrepassare tutti i limiti possibili, di avventurarsi in tutti gli eccessi, ma lo mette di fronte anche alla morte dell’anima nel Giudizio Finale, al supplizio senza fine. Si cerca il desiderio perverso per l’impotenza del desiderio naturale, dice Lacan. Vediamo chiaramente come, senza la grazia, l’uomo non può compiere in pienezza la legge naturale, e così viene visto da questi autori. Soprattutto da Lacan che ha conosciuto la vita cristiana molto profondamente.
     Lacan dice che l’etica della psicoanalisi è un’etica tragica, perché il male è un bene e l’agire non conduce al fine ultimo, però realizza la soddisfazione del desiderio. Senza dubbio, è una tragedia perché riceve la sua punizione, che è la morte. Allora questo deve fare la psicoanalisi: che l’uomo abbia coscienza dell’esperienza del peccato, che in ultima istanza è esperienza della propria morte, della morte causata dalle sue azioni. Questa concezione non solo si allontana dall’etica aristotelica, ma anche – esplicitamente – Lacan la oppone all’etica della felicità. E il fondamento è che il peccato è il “bene di tutti”, ciò che “tutti” possono fare.
     Lacan non nega Dio, ma non lo riconosce come Bene Assoluto o Bene Supremo, perché crede che in Dio ci sia il male. Per mezzo della psicoanalisi abbiamo esperienza del fatto che il Bene Supremo non esiste, perché risulta evidente che l’atto psichico esiste dal negativo (il difetto che ridesta il desiderio perverso), dal male che tutto raggiunge e porta alla “realizzazione” dell’individuo, però anche alla morte (per questo l’uomo è-per-la-morte). C’è una morte doppia: la morte reale (biologica) e la morte “preferita, assunta” che è in relazione all’odio per il creatore che fece l’uomo debole ed inadeguato.

Conclusione: non c’è dubbio che il pensiero di Lacan mostri la profonda disperazione che – disgraziatamente – incontriamo in molte persone del nostro tempo, quelle che hanno assimilato il pensiero relativista moderno, in una società che ha conosciuto la verità del cristianesimo. L’uomo che oggigiorno vuole vivere secondo il suo desiderio e trasgredire la Legge di Dio, seguendo “la sua legge”, affronta l’irrimediabile morte dell’anima e il suo spaventoso “supplizio senza fine”. E questo fa sì che la vita abbia un peso insopportabile, una sofferenza terribile ed oscura (coperta molte volta dalla soddisfazione dei desideri), però che affiora di volta in volta con sintomi psichici inequivocabili.
     Chissà se per questo motivo S.S. Benedetto XVI ritenne necessario regalarci l’Enciclica «Spe Salvi», in cui riprende la prospettiva del giudizio finale come criterio di ordine delle azioni, dove è inclusa tutta la nostra realtà presente. Colui che ha speranza, vive in un modo differente. “Il Giudizio di Dio è speranza sia perché è giustizia, sia perché è grazia. […] la grazia consente a noi tutti di sperare e di andare pieni di fiducia incontro al Giudice che conosciamo come nostro « avvocato », parakletos”.

martedì 8 febbraio 2011

NOTE SU RUDOLF ALLERS ED IL SUO PENSIERO

Grazie alla disponibilità di Jorge Olaechea Catter, vengono pubblicate le due introduzioni alla recente raccolta contenente quattordici articoli di Rudolf Allers (Work and Play. Collected papers on the Philosophy of Psychology (1938-1963) a cura di Alexander Batthyany, Jorge Olaechea Catter, and Andrew Tallon; Marquette University Press). Come è già stato ribadito in questo spazio, Allers è il più importante autore nel campo della psicologia e psicoterapia cattolica. Questa prima introduzione delinea il personaggio di Allers descrivendone la biografia. Come è facile evincere dalle parole seguenti, non è solamente il pensiero dell'autore ad essere umanamente interessante.
Ringrazio personalmente Jorge Olaechea Catter per la disponibilità e per il suo lavoro, che si rivela a servizio di tutti. La traduzione è mia.


Note su Rudolf Allers ed il suo pensiero

Di Alexander Batthyany & Jorge Olaechea

1. Dai primi anni fino alla prima guerra mondiale

Rudolf Allers è nato a Vienna il 13 Gennaio 1883, di estrazione ebrea, figlio di un dottore, Mark Allers, e di sua moglie, Augusta Grailich. Fu battezzato quello stesso anno alla Votivkirche di Vienna. Il giovane Allers ricevette la sua educazione primaria a casa, e benché fosse stato istruito al Cattolicesimo, successivamente avrebbe riconosciuto che non aveva sviluppato una fede reale dalla famiglia (Hoehn, 1948). Coltivò un grande interesse per l’arte, la musica, le lingue – in casa Allers si parlava tedesco, inglese e francese – e per i libri.
   Dopo aver finito i suoi studi in una scuola di secondo grado centrata sulle materie umanistiche, nel 1902 Allers iniziò a studiare medicina, convinto “che la scienza medica potesse rappresentare per il suo spirito una strada maestra al mondo degli esseri umani, una chiave preziosa che gli avrebbe permesso di scoprire i misteri della vita umana introducendolo nelle sacre profondità dell’anima” (Titone, 1957, pag. 21). Sebbene fosse per lui possibile frequentare le lezioni di Sigmund Freud all’Università di Vienna, la psicoanalisi non gli interessò fino al 1908, anno in cui fu nominato assistente alla Neural and Mental Clinic dell’Università Tedesca a Praga (sotto la guida di Arnold Pick). Lì incontrò il Dott. Otto Potzl, che introdusse Allers al pensiero psicoanalitico, di cui dopo poco sarebbe diventato un “seguace entusiasta” (Allers, 1922, pag. 15). Nel 1909 divenne psichiatra e fu trasferito alla Clinica Psichiatrica di Monaco. Lì lavorò come assistente di Emil Kraepelin, uno dei fondatori della moderna psichiatria.
   L’anno precedente al suo trasferimento, nel 1908, sposò Carola Meitner, di famiglia ebraica, che era la sorella della famosa scienziata Lise Meitner. Durante il periodo a Monaco, Allers entrò in contatto con il circolo di filosofi fenomenologi che vivevano lì, specialmente con Max Scheler e le sue teorie antropologiche, distanziandosi così dalle idee della psicoanalisi.
   Nel 1913 Allers iniziò il lavoro che avrebbe amato di più: l’insegnamento all’università, come psichiatra istruttore alla Scuola Medica dell’Università di Monaco. La Prima Guerra Mondiale, tuttavia, interruppe il suo insegnamento e fu inviato a lavorare come chirurgo al fronte, mansione che gli fece ottenere una onorificenza della Croce Rossa. Allers scrisse il suo primo libro in questo periodo, intitolato Uber Schadelshusse: Probleme der Klinik und der Fursorge (1916). In esso Allers redasse la sua ricerca sui traumi fisici e psicologici accusati dai soldati affetti da ferite da arma da fuoco durante la guerra. Lo sforzo di trovare collegamenti tra problemi fisiologici e psicologici è già visibile in questo suo primo lavoro. Il tempo che dedicò agli scritti filosofici avrebbe voluto essere non meno cospicuo, come egli ricorda: “Durante la guerra (1914-1918); ed i lunghi periodi di relativa inerzia nel perimetro dell’ospedale, fui persuaso che la filosofia Tomistica offrisse la base più adeguata per lo sviluppo di un sistema “antropologico filosofico” come base di una teoria della psiche normale ed anormale” (Titone, 1957, pag. 27).

2. A Vienna dal 1918 al 1938

Con la pace del 1918 “Allers prestò servizio nella Scuola Medica dell’Università di Vienna, lavorando prima nel dipartimento di fisiologia sensoriale e psicologia medica e poi (dal 1927) in quello di psichiatria. Fu in grado di coniugare l’insegnamento con la ricerca di laboratorio e la pratica privata. Fu sempre in contrasto al suo complesso background di insegnamento-ricerca-terapia che lui percepì le varie scuole di psichiatria che riconoscevano Vienna come il loro centro di diffusione. Divenne sempre più consapevole che le interpretazioni ed i metodi psichiatrici avevano sollevato domande molto generiche sull’uomo, e che le posizioni verso cui conducevano erano cariche di implicazioni filosofiche e religiose” (Collins, 1964, pag. 282-283).
    Il primo argomento che egli esaminò in profondità fu la psicoanalisi. Il 26 Aprile 1920, Rudolf Allers espose il suo resoconto osservativo Uber Psychoanalyse davanti all’Associazione di Psicopatologia e Psicologia Applicata di Vienna. Come uditori vi erano personaggi come Schilder, Potzl, Neumann, Pappenheim, Roffenstein, Federn, Hitschmann, e Stransky, che erano i grandi pensatori della psicologia e psichiatria del tempo. Le sue critiche alla psicoanalisi furono approfondite ed ampliate in uno dei suoi lavori più importanti, scritto in inglese nel 1940 ed intitolato The Successful Error. A Critical Study of Freudian Psychoanalysis.
    Secondo Allers, la psicoanalisi si basa su di un errore logico grossolano: “La psicoanalisi, più di una volta, dà per scontato ciò che sostiene di provare e furtivamente introduce le sue idee preconcette nei suoi ragionamenti così da dare l’impressione che quelle idee siano il risultato di fatti e di principi evidenti” (Allers, 1940, pag. 33). Questo errore, chiamato nel campo della logica petitio principii, fu individuato da Allers nei principi presupposti dalla psicoanalisi, nell’idea di “resistenza” e di “associazione”, e nel modo di interpretare i fatti analizzati dove “l’interpretazione e la speculazione fantasiosa prendono il posto dell’osservazione e dell’analisi sperimentale” (Allers, 1940b, pag. 256-257).
   Allers critica la posizione di base di Freud sull’uomo: “La psicoanalisi è una concezione profondamente materialistica. Essa sta in piedi e cade con il materialismo. Chiunque si senta impossibilitato ad accettare la filosofia del materialismo non può che rifiutare la psicoanalisi. A causa del suo materialismo, la filosofia di Freud e della sua scuola è, in ciò che concerne l’etica, un semplice edonismo. Si aggiunge ad un estremo soggettivismo che inoltre chiude gli occhi dello psicoanalista verso fatti e verità oggettive. A causa del suo soggettivismo essa è impersonale ed ignora l’essenza della persona umana” (Allers, 1940b, pag. 255).
    Allo stesso tempo, Allers ha familiarizzato con le idee di Alfred Adler, al quale si riferisce in una lettera: “L’elemento più attraente della sua psicologia era, a mio avviso, l’accento dato a “l’uomo nella sua integrità”, considerato nella pienezza delle sue relazioni e nella finalità della vita umana, e di conseguenza, nella sua tendenza ad agire con il comportamento – anche il comportamento sessuale – come l’espressione delle tendenze fondamentali della personalità” (Titone, 1957, pa. 27). Allers quindi entrò nella Società di Psicologia Individuale, che avrebbe lasciato in seguito, nel 1927. Nella Società egli costituì, insieme a Karl Novotny, un gruppo di lavoro medico che avrebbero chiamato Arbeitsgemeinschaft Arzte (Lévy, 2002, pag. 27). Inoltre entrò in contatto con Oswald Scharz, uno dei pionieri della medicina psicosomatica, contribuendo sensibilmente al volume edito da Schwarz sulla Psychogenesis and Psychoterapy of Bodily Symptoms (Vienna, 1925). Quello stesso anno il giovane Frankl avrebbe collaborato con Allers nel suo laboratorio al lavoro sulla fisiologia dei sensi.
    L’accordo con il pensiero di Adler, comunque, non sarebbe durato molto a lungo. Dopo esser diventato un tutor psichiatrico, Allers decise di presentare le sue differenze con la psicologia Adleriana in modo così esplicito da portare all’esclusione sua e di Schwarz dalla Società Adleriana di Psicologia Individuale nel 1927.
    Negli anni seguenti, la maggior parte dei quali trascorsi a Vienna, Allers si dedicò – assieme all’insegnamento ed alla ricerca – alla pubblicazione di numerosi lavori, inclusi alcuni dei suoi fondamentali.
    Il primo e più voluminoso, Das Werden der sittlichen Person: Wesen und Erziehung des Charakters (1929a), scritto soprattutto per un utilizzo pratico (come sottolineato da Allers nella sua introduzione all’edizione italiana), fonda la sua pratica psicologica sullo studio della natura e della genesi del carattere umano. [1]
    Per Allers, il carattere è qualcosa fondamentalmente variabile, né semplice né immutabile. Questa è la premessa, secondo lui, per una teoria dell’educazione che cerchi di andare al di là di una semplice trasmissione di contenuto, o l’addestramento di una singola facoltà, nell’individuo. La concreta applicazione di questo tipo di formazione del carattere costituisce il contenuto dei rimanenti capitoli di questo lavoro.
    Nel lavoro di Allers, il tentativo di ripensare la psicologia e le sue applicazioni basate su di una prospettiva Cristiana dell’uomo è già presente in modo consistente. E’ interessante in questo senso, ritornare alle sue parole conclusive: “Noi crediamo di aver reso abbastanza chiaro che non era nostra intenzione spiegare in questo libro tutti i problemi della formazione del carattere e del training con l’aiuto dei recenti sviluppi della psicologia, e che non è possibile affermare che l’elemento soprannaturale possa essere escluso. Al contrario, noi crediamo di aver dimostrato i limiti dei mezzi naturali; e crediamo che una psicologia puramente naturalistica, sebbene completa e sebbene ben fondata, debba esaurirsi a meno che non si co-ordini con la conoscenza ed i principi religiosi. Noi abbiamo visto come i problemi che sorgono dalla semplice psicologia pratica e dalla caratteriologia aprano immediatamente problemi universali, insolubili se non in termini di metafisica, e che questi problemi ci conducono fino all’interno della religione rivelata. Senza l’obbligo in ogni modo di coinvolgere noi stessi in questi problemi ultimi, noi siamo continuamente ed inevitabilmente interrogati da essi” (Allers, 1931b, pag. 375).
    Durante gli anni seguenti Allers pubblicò molti lavori: Christus und der arzt (1931a), The New Psychologies (1932), Sexual-Padogogik. Grundlagen und Grundlinien (1934), Heilerziehung bei Abwegigkeit des Charakters: Einfuhrung, Grundlagen, Probleme und Methoden (1935a), Temperament und Charakter: Fragen der Selbsterziehung (1935b).
    In questi lavori Allers sviluppa e consolida le sue precedenti idée sul carattere e sulla psiche umana in generale, sulla psicologia e sulle sue applicazioni terapeutiche. Queste idee inoltre chiariscono gli interessi che occuperanno la ricerca futura di Allers, insieme con il suo interesse per le tematiche filosofiche che sono le fondamenta di una autentica visione dell’uomo. Una delle prime pagine di The New Psychologies rivela la consapevolezza di Allers di questo punto: “La rinascita della metafisica nel nostro tempo mostra una configurazione caratteristica: il primo e più intenso interesse si concentra sul problema dell’uomo; la ricerca più intensa è quella di un’antropologia. La grande importanza attribuita al giorno d’oggi a tutte le questioni psicologiche è un esempio di questa indagine. Oggi gli uomini devono rispondere a questa sola domanda, posta forse in modo più onesto oggi quanto mai in precedenza: cosa è l’uomo?” (Allers, 1932, pag. xviii).
    Mosso da questo interesse per la filosofia, Allers accettò l’invito di Padre Agostino Gemelli a perseguire un dottorato in filosofia presso l’Università Cattolica di Milano, che ricevette nel 1934. “Il suo ‘ritorno a scuola’ – dice Collins – gli permise non solo di approfondire la sua conoscenza delle cure dell’uomo della filosofia greca e moderna, ma anche di accrescere il suo intenso interesse in ciò che i medievali avevano da dire circa l’uomo e le sue funzioni nell’universo” (Collins, 1964, pag. 283).
    Allo stesso tempo, alcuni importanti personaggi hanno visitato Allers a Vienna. Hans Urs von Balthasar abitò per diversi mesi nella casa di Allers mentre completava i suoi studi in Germania. Edith Stein visse per qualche tempo in compagnia di Rudolf, sua moglie Carol, e sue foglio Ulrich (nato nel 1920), durante il suo soggiorno a Vienna nel 1931. Come Allers ricorda in una lettera e Hilda Graef, biografa della santa-filosofa tedesca, Edith trascorse la maggior parte del tempo in casa sua con loro. Insieme essi condivisero molti interessi ed esplorarono i seguenti argomenti: l’interesse per la filosofia e l’educazione della persona, il desiderio di articolare il meglio della tradizione filosofica medievale con gli sviluppi della filosofia contemporanea, e il problema di come tradurre San Tommaso in tedesco in un modo che fosse sia chiaro che fedele all’originale. [2]
     Un’altra visita, probabilmente nel 1935, sarebbe stata molto importante per il futuro di Allers. Il dottore e psichiatra, Francis Braceland, fu colpito dai lavori psicologici di Allers che erano a quel tempo circolati in inglese. Dopo aver appreso di Allers, Braceland fu impressionato anche “dalla conoscenza ampiamente umanistica della storia e delle lingue, della matematica e della musica” (Collins, 1964, pag. 284). Fu in gran parte responsabile del trasferimento di Allers con la sua famiglia a Washington, quando la situazione politica nella Germania nazista divenne per loro insopportabile. Così durante l’estate del 1937, Allers ricevette un invito da Padre Ignatius Smith, O.P., decano della Scuola di Filosofia alla Catholic University of America, per diventare professore presso questo importante istituto. Spostandosi a Washington nel 1938, incominciò ad insegnare psicologia agli studenti di filosofia.

3. Dalla Catholic University of America alla Georgetown University

Lì Allers iniziò una nuova fase della sua vita. Come professore della Catholic University of America, Allers incontrò immediatamente il mondo della filosofia Cattolica, a quel tempo in piena fioritura negli Stati Uniti. Già nel 1938 presentò un resoconto al Congresso dell’American Catholic Philosophical Association sul concetto di causa in psicologia.
    Sarebbe impossibile, in queste poche pagine, tentare un sommario dei contributi di Allers durante questi anni, che si estendono dalle questioni psicologiche riguardanti il counseling giuridico e matrimoniale, alle interessanti analisi sulla filosofia della mente, agli studi storici come il suo famoso articolo (di circa 100 pagine) Microcosmus: From Anaximandros to Paracelsus, per il giornale Traditio. In aggiunta alla pubblicazione del libro su Freud e la Psicoanalisi precedentemente menzionato, durante questo primo decennio a Washington, Allers avrebbe pubblicato solo altri due lavori: Self Improvement (1939) e Character Education in Adolescence (1940a). Il resto delle sue pubblicazioni si trovano in giornali ai quali regolarmente contribuiva.
     Self Improvement è presentato come un lavoro eminentemente pratico in cui Allers cerca di mostrare “che molto più delle difficoltà e dei problemi l’uomo deve affrontare l’origine della sua personalità” (Allers, 1939, pag. v). Non è un semplice “manuale di auto-aiuto”, ma una vera fenomenologia di alcuni problemi che Allers pensava che dovessero essere compresi da chiunque ricercasse una crescita personale. Un paragrafo della prefazione rivela le fondamenta di tutto il lavoro: “Questo libro è basato sulla filosofia Cristiana e sulla morale Cristiana. Esse forniscono la direzione ai ragionamenti, ma non sono il punto dal quale questi ragionamenti iniziano. Tutto quello che è spiegato nei capitoli seguenti è basato sull’esperienza. Sono fatti non speculazioni” (Allers, 1939, pag. v).
     Il valore pratico e l’esperienza concreta non si contraddicono assumendo una posizione particolare sull’uomo. Le due prospettive devono sempre andare insieme. Questa idea cardine nel pensiero di Allers (che può essere rintracciata sino ai suoi primi lavori) rappresenta un’intuizione fondamentale che deve essere recuperata dalla psicologia di oggi. La ricerca di un’adeguata prospettiva della persona umana è ora più che mai doverosa nel campo delle scienze psicologiche.
    Character Education in Adolescence è la collezione di una serie di articoli di Allers editi su The Homiletic and Pastoral Review. E’ un interessante contributo all’educazione degli adolescenti, che sono il focus dei suoi più spiccati tratti psicologici. Ancora una volta la ragione per cui Allers utilizza abitualmente l’esperienza concreta dei maschi adolescenti, che deve essere articolata in termini antropologici, è per offrire un’educazione che miri al loro sviluppo sano. Di seguito poche selezioni del testo offrono un riassunto del suo lavoro:
Ogni provvedimento pratico, quindi, è determinato dalle finalità che è indirizzato a realizzare. I provvedimenti educativi, in particolare, dipendono da ciò che si ritiene essere vero scopo di educazione. La scienza è assolutamente ed essenzialmente incapace di scoprire qualcosa riguardo agli scopi. Se qualcuno ci dice che dobbiamo perseguire questo o quel obiettivo a causa di qualche affermazione della scienza, possiamo essere sicuri in anticipo che è in errore; può, sicuramente, avere ragione nel raccomandarci certi obiettivi, ma ha ragione, non per il suo ricorso alla scienza, ma nonostante essa (Allers, 1940a, pag. 5-6)
Uno può, certamente, sviluppare una certa tecnica di educazione; molte cose che riguardano l’educazione possono essere imparate ed insegnate. Ma l’essenza della pedagogia è qualcosa che non può essere appresa dalle lezioni, qualcosa che non può essere spiegata nei libri. L’autorevolezza educativa è basata sulla relazione personale tra l’educatore e l’educato (Allers, 1940a, pag. 178).
Allers veniva sinceramente apprezzato dai suoi studenti alla Catholic University of America. Abbiamo la testimonianza di James Collins, pupillo di Allers dal 1941 al 1944, nel suo articolo per il giornale The New Scholasticism dopo la morte del maestro:
A causa di un alto sviluppo della memoria e di un delicato senso della misura, Allers era abile a presentare i suoi materiali in uno sviluppo tematico progressivo senza basarsi su note scritte, anche quando proponeva citazioni a voce delle fonti. Dava l’impressione di essere totalmente ed appassionatamente coinvolto nell’argomento in discussione, che lui esaminava con una modalità metodica e con un entusiasmo intellettuale che era altamente contagioso tra i suoi studenti. Essi percepivano un particolare impegno per le sue lezioni, che richiedevano di più e non di meno se stavano ad apprezzare ciò che cosa stava accadendo. Allers non aveva bisogno di predicare sull’integrazione delle discipline in una mente libera, dal momento che il suo esempio personale era lì da osservare e giovarsene. L’atto di insegnare era per lui un modo di realizzare, ed incoraggiare altri a realizzare, un’unificazione di scientifico ed umanistico, storico e speculativo, modi dell’esperienza umana. Il carattere pratico ed esemplare del suo modo di insegnare era molto più che efficace per il fatto che non veniva mai diviso dal trattamento dei problemi a portata di mano (Collins, 1964, pag. 288).
    Nel 1948, dopo 10 anni di insegnamento, Allers fu invitato alla Georgetown University dall’allora decano della Scuola di Filosofia, Padre Hunter Guthrie, SJ, conosciuto per aver guidato la facoltà in un serbatoio di pensiero cattolico di grande rilevanza approfittando dei contributi degli immigranti europei, incluso Allers.
    Lì insegnò antropologia filosofica. Quelli sarebbero stati anni di intenso studio tanto che continuarono sino alla fine. Nei primi anni ’50 Allers avrebbe scritto: “Non ho ancora scritto cosa avrei desiderato, cioè, una filosofia comprensiva (integrale) della natura umana” (Titone, 1957, pag. 27). E non lo fece mai in modo sistematico. I corsi all’università, però, gli offrirono lo spazio per sviluppare le sue idee.
     Come sottolinea Collins, fu durante gli anni alla Georgetown, inoltre, che Allers fu in grado di mettere a fuoco gli interessi di tutta la vita per la fenomenologia e l’esistenzialismo, specialmente come legami alla psichiatria” (Collins, 1964, pag. 286). Questo interesse avrebbe dato i suoi frutti nel volume Existentialism and Psychiatry: Four Lectures (1961), una collezione di lezioni che Allers tenne all’Institute of Living (Hartford) dove Braceland era direttore.
    Nel 1957 Allers divenne Professore Emerito, ma non abbandonò l’insegnamento fino al termine della sua vita. Nel 1952 sua moglie Carol morì. Tre anni dopo aver fatto ritorno in Europa come Fulbright Lecturer, dando conferenze all’Università di Parigi, Toulouse, Vienna e Ginevra.

4. Gli ultimi anni di Allers

Gli ultimi anni di Allers sarebbero stati anni di onorificenza per il professore Austriaco quasi ottantenne. Nel 1959 tenne il discorso introduttivo alla Metaphysical Society of America sulla questione dell’oggettività e della soggettività (Allers, 1958/1959). Nel 1960 ricevette The Cardinal Spellman-Aquinas Medal dall’American Catholic Philosophical Association. In quello stesso anno la Georgetown University gli conferì il grado onorario LL.D.
    Dopo il suo ritiro, Allers tenne le sue lezioni prima nella casa di suo figlio Ulrich (in Falls Church), e quindi nella Carroll Manor, una casa di cura a Hyattsville, dove fu ricoverato per problemi al cuore e per l’artrite che aveva reso cagionevole la sua salute. Come una nota di un giornale riferì, “i suoi studenti prendevano il bus fino a Carroll Manor, dove insegnava in un solarium che le suore Carmelitane avevano trasformato in una classe”. “Anche in questi ultimi anni quando una disabilità in crescita lo limitava alla sedia a rotelle, continuò ad insegnare e la sua mente rimase eccezionalmente acuta”, ricordava il Ye Domesday Book della Georgetown University.
    Dal 1960 al 1963 Allers si dedicò alla scrittura del suo ultimo libro, Abnorme Welten. In esso Allers sviluppa la sua conoscenza della psicologia e della psichiatria, nel tentativo di descrivere il “mondo” di coloro che sono afflitti da quei disturbi, aiutando a creare una nuova strada per il trattamento psicoterapeutico e psichiatrico.
    Allers morì il 14 Dicembre 1963, di polmonite.
    La riscoperta del lavoro di Allers può essere enormemente preziosa per lo studio e l’applicazione al campo della psicologia. Si spera che questo breve lavoro possa servire ad attirare l’attenzione su questo grande pensatore, che è senza dubbio rilevante se si tiene conto dell’estensione e delle implicazioni delle sue affermazioni, ma che è oggi “inspiegabilmente dimenticato” (Figari, 2005).
Quando il giovane Frankl preparò il suo primo lavoro sulla filosofia e psicoterapia – un lavoro che sarebbe stato pubblicato dalla Hirzel Press negli anni ’20 – Oswald Schwarz scrisse nella prefazione che questo lavoro avrebbe rappresentato per la psicoterapia ciò che la Critica della Ragion Pura di Kant rappresentava per la filosofia: una svolta radicale. Molti anni dopo, nel 1958, Frankl affermò in una lettera a Olivier Brachfeld che a suo avviso, e “con un criterio ben più maturo”, questa frase avrebbe dovuto essere attribuita a Rudolf Allers (Brachfeld, 1958, pag. 2).

Note
[1] Allers ha già trattato del tema del carattere in alcuni precedenti contributi (1924, 1929b).
[2] Allers avrebbe tradotto in tedesco il De ente et essentia (1936) di San Tommaso e il Monologion e Proslogion (1936) di Sant’Anselml. Nel 1946 produsse una traduzione in inglese di un testo di Edith Stein: Wege der Gottesrkenntnis: Die “symbolische Theologie” des Areopagiten und ihre sachlichen Voraussetzung (1946).

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