Rudolf Allers |
Se esiste un argomento trasversale e comune a tutte le correnti della psicologia, questo è il tema delle emozioni. Ed è proprio sulle emozioni che la seconda tappa del percorso sulla vis cogitativa si sofferma, con il lungo ed approfondito articolo The cognitive aspect of emotions, comparso per la prima volta sulla rivista The Tomist nel 1942.
La modernità in cui viviamo dà grande importanza alle emozioni. Basta affacciarsi ad una delle numerose produzioni mass-mediatiche per accorgersi che le canzoni mirano a "regalare emozioni", i programmi televisivi devono "emozionare", fino alle lacrime, con storie struggenti ed esasperate, i romanzi vengono costruiti al fine di suscitare "contraccolpi emotivi continui", come se dovessero accompagnare i lettori sulle montagne russe, le news alimentano una sete ininterrotta di "emozionalità", simile ad una ferita che necessita di una quantità di sale sempre più ampia per raggiungere il livello di sensibilità, ecc. Le emozioni hanno di gran lunga soppiantato i temi storici della ragione e della virtù. Sono diventate il nuovo punto focale della società, dei rapporti, della vita psichica. Non sorprende, dunque, se i rapporti d'amicizia e d'amore si formano - e quindi si "sformano" - sulla base di un sentire emotivo, invece che su di un giudizio di valore. Molti filosofi, sociologi e psicologi, con sfumature diverse, hanno descritto tale fenomeno, come F. Botturi: "L'esperienza e la concezione affettive contemporanee si concentrano così sempre più nell'emozionale. Ma l'emozione è autoreferenziale, in essa l'alterità è presente solo come occasione esterna, ed è istantanea, ripetitiva, intensiva. La situazione diviene preoccupante, quando tutta l'affettività tende a risolversi in emozione e l'emozionalismo diviene una forma culturale predominante" (Libertà in relazione, in Famiglia e Dico: una mutazione antropologica, I quaderni della sussidiarietà, Fondazione per la sussidiarietà 2007, pag. 29).
La modernità in cui viviamo dà grande importanza alle emozioni. Basta affacciarsi ad una delle numerose produzioni mass-mediatiche per accorgersi che le canzoni mirano a "regalare emozioni", i programmi televisivi devono "emozionare", fino alle lacrime, con storie struggenti ed esasperate, i romanzi vengono costruiti al fine di suscitare "contraccolpi emotivi continui", come se dovessero accompagnare i lettori sulle montagne russe, le news alimentano una sete ininterrotta di "emozionalità", simile ad una ferita che necessita di una quantità di sale sempre più ampia per raggiungere il livello di sensibilità, ecc. Le emozioni hanno di gran lunga soppiantato i temi storici della ragione e della virtù. Sono diventate il nuovo punto focale della società, dei rapporti, della vita psichica. Non sorprende, dunque, se i rapporti d'amicizia e d'amore si formano - e quindi si "sformano" - sulla base di un sentire emotivo, invece che su di un giudizio di valore. Molti filosofi, sociologi e psicologi, con sfumature diverse, hanno descritto tale fenomeno, come F. Botturi: "L'esperienza e la concezione affettive contemporanee si concentrano così sempre più nell'emozionale. Ma l'emozione è autoreferenziale, in essa l'alterità è presente solo come occasione esterna, ed è istantanea, ripetitiva, intensiva. La situazione diviene preoccupante, quando tutta l'affettività tende a risolversi in emozione e l'emozionalismo diviene una forma culturale predominante" (Libertà in relazione, in Famiglia e Dico: una mutazione antropologica, I quaderni della sussidiarietà, Fondazione per la sussidiarietà 2007, pag. 29).