Friedrich Nietzsche |
"Dall’antichità ad oggi hanno avuto luogo tre grandi rivoluzioni, nell’idea che l’uomo si fa di se stesso. Tre colpi formidabili portati contro la nostra vanità. Prima di Copernico noi credevamo di essere il centro dell’universo e che tutti i corpi celesti ruotassero attorno alla terra. Prima di Charles Darwin l’uomo credeva di essere una specie a se stante, separata e diversa da quelle del regno animale. Prima di Sigmund Freud l’uomo pensava che le sue parole e le sue azioni fossero determinate solo dalla sua cosciente volontà, ma il grande psicologo dimostrò l’esistenza di un’altra zona della nostra mente che opera in segrete oscurità e che può anche dominare la nostra vita". Queste parole altisonanti introducono il celebre film americano del 1962 - Freud passioni segrete - diretto da John Huston, che racconta i primi anni di lavoro del giovane psichiatra viennese. Esse mi sembrano ben rappresentare l'entusiasmo a-critico e devozionale che ha contribuito a consacrare Sigmund Freud una leggenda mondiale (peraltro ispirate allo stesso Freud, leggasi pag. 58 de Le resistenze alla psicoanalisi, 1924, in Opere 1924-1929, vol. 10, Boringhieri, 1978, Torino). Negli ultimi anni della sua vita, e soprattutto nei primi decenni seguenti la sua morte, il consenso unanime attribuitogli dalle autorità intellettuali e culturali - ne sono eccezione pochi deboli contestatori, per la maggior parte addetti ai lavori della psicologia e psicoterapeuti - ha ostacolato una verifica razionale dei contenuti freudiani ed anche dei resoconti dei primi psicoanalisti sulla vita dello stesso Freud. Ci siamo occupati, in parte, delle deformazioni storiche avvenute sul padre della psicoanalisi quando abbiamo pubblicato il breve articolo scritto da Rudolf Allers che puntualizza alcuni luoghi comuni, normalmente accettati senza verifica, sugli eventi legati alla carriera di Freud a Vienna e sul contesto culturale Austriaco di quegli anni (vd. La leggenda di Freud, di Rudolf Allers). Ancor oggi, mentre non mancano critiche alle concezioni psicologiche e psicoterapeutiche freudiane - spesso volte a modifiche parziali del corpus teorico del "maestro", molto più raramente finalizzate alla confutazione delle premesse della stessa psicoanalisi - sembrano totalmente assenti studi dedicati alle premesse antropologiche e filosofiche sottese all'opera ed all'agire di Freud. Anche in ambito cattolico, storicamente luogo attivo nella segnalazione di riduzionismi e pericoli nelle scienze (cfr. nel caso della psicologia i due discorsi di Pio XII, il primo dei quali pubblicato in italiano su queste pagine) sembra essere assente uno studio critico in grado di cogliere i fondamenti antropologici impliciti ed espliciti presenti nelle concezioni freudiane e di confrontarle con il corpus teorico della filosofia cattolica (sant'Agostino, san Tommaso d'Aquino, il Catechismo, ecc.). Pare dominare silenziosamente il giudizio di Jacques Maritain secondo cui era necessario dividere la filosofia di Freud, da rigettare in quanto materialista, dalla psicologia di Freud, da sostenere in quanto foriera di novità sull'uomo (“Freudismo e psicoanalisi”, in Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione di incarnazione, Morcelliana, Brescia, 1978). Ancora una volta, l'unico autore che con sistematicità ha analizzato e confrontato le premesse filosofiche ed i loro effetti sulla pratica è stato il professore Rudolf Allers, in particolare in due opere significative: Psicologia e Cattolicesimo (2009, ed. D'Ettoris, Crotone), al cui interno dedica un capitolo ai fondamenti impliciti della psicoanalisi freudiana; e A Successful Error: A Critical Study of Freudian Psychoanalysis (edito anche col titolo What's Wrong with Freud?, 1940, Sheed and Ward, NY) una monografia interamente dedicata alla critica del freudismo nella quale sono analizzati singolarmente gli aspetti critici del pensiero freudiano (gli errori logici, gli assiomi, la filosofia, la teoria della sessualità, il rapporto con la psicologia, la medicina, l'etnologia, l'educazione, la religione, il metodo).
E' sulla scia degli studi intrapresi da Allers che Martin F. Echavarria, professore e direttore del Dipartimento di Psicologia dell'Università Abat Oliba di Barcellona, ha analizzato i rapporti tra il pensiero di Freud e quello di un grande filosofo ad esso vicino: Friedrich Nietzsche. Dall'interesse di Freud per il filosofo della "morte di Dio" e dalla vicinanza di alcune concezioni teoriche, Echavarria porta allo scoperto un legame importante tra la concezione psicoanalitica dell'uomo e della realtà e le idee del filosofo prussiano. La psicologia di Nietzsche ed il suo influsso sulla psicoanalisi è comparso per la prima volta su Información Filosófica, Revista Internacional de Filosofía y Ciencias Humana (I, 2004, pag. 202-221) e successivamente è stato edito da diversi siti internet, come la Rudolf Allers Information Page e Incontro all'Uomo (entrambi che ringrazio per avermi indirettamente aiutato nella formattazione della versione che vi presento).
Spero che questo articolo possa essere uno spunto di riflessione iniziale in preparazione al corso del prossimo novembre.
La psicologia di Nietzsche ed il suo influsso sulla psicoanalisi
Martin F. Echavarria
Università Abat Oliba, Barcellona
La psicoanalisi ha ormai compiuto un secolo e malgrado tutte le crisi che ha subito, continua a esistere e ad influire notevolmente in molti campi della cultura, tra i quali, e non in ultimo posto, la religione e la sua cura animarum. Purtroppo, non sempre è conosciuta, nemmeno tra quelli, religiosi o laici, che si occupano professionalmente della psicologia, lo sfondo filosofico e spirituale che ha sostenuto le sue origini. Tra questi troviamo Friedrich Nietzsche. Per questo crediamo che l’argomento che ci proponiamo di esporre in questa sede sia centrale, non solo per capire quello che avviene in importanti scuole della psicologia contemporanea, ma anche in filosofia, in teologia ed in altri aspetti della cultura occidentale contemporanea. La brevità, che ci impone il limite di tempo, ci costringe a trascurare importanti temi e argomenti, su cui si fondano le nostre affermazioni.
1) La psicologia del profondo di Nietzsche
La psicologia, “signora di tutte le scienze”
Per cominciare, bisogna collocare la psicologia di Nietzsche nell’insieme del suo pensiero filosofico.[1] Dobbiamo ricordare che il nostro autore considera che la verità è pura finzione, poiché ha soppresso la cosa-in-sé (compresa la “volontà” schopenhaueriana[2]), lasciando sussistere soltanto il mondo fenomenico. Per questo, la sua psicologia non può essere una disciplina teoretica, che si limiti a contemplare passivamente la realtà, come di solito fa l’antropologia filosofica, ma uno strumento per operare una profonda trasformazione nella cultura.[3] L’idea centrale è quella di una “transvalorazione (Umwertung) di tutti i valori”. L’intenzione di Nietzsche è di superare il modo cristiano e moderno di giudicare, soprattutto in campo morale, e accettare il mondo come divenire puramente immanente, senza nessuna unità di misura esterna (Dio, le idee, la cosa-in-sé). In funzione di tale scopo di transvalorazione, la psicologia svolge il ruolo distruttivo dell’immagine che gli uomini hanno di loro stessi.
Non è assolutamente necessario, sia detto tra noi, sbarazzarci (...) dell’”anima” e rinunziare a una delle più antiche e venerande ipotesi (...). Ma la strada per nuove forme e raffinamenti dell’ipotesi anima resta aperta: e concetti come “anima mortale” e “anima come pluralità del soggetto” e “anima come struttura sociale degli istinti e delle passioni” vogliono avere, sin d’ora, diritto di cittadinanza nella scienza.[4]
La sua meta finale sarà porre di manifesto che il cristianesimo, e la morale sorta da esso, hanno come esito la malattia. I cristiani, e più in generale gli europei, sarebbero dei malati mentali, dei nevrotici. Dimostrare questo è il fine che Nietzsche si prefigge (e certamente nel suo pensiero il fine ha un ruolo non trascurabile) quando sviluppa le sue analisi psicologiche.
La psicologia di Nietzsche vuol essere, esplicitamente, una “psicologia del profondo”[5] che diviene la “signora di tutte le scienze”. Siamo davanti ad una “svolta psicologica”[6] con delle conseguenze molto importanti. La psicologia diviene “la strada per i problemi fondamentali”.
Mai fino ad oggi un più profondo mondo della conoscenza si era dischiuso a navigatori e avventurieri temerari, e lo psicologo che in tal modo “compie il sacrificio” (...) potrà per lo meno pretendere che la psicologia sia nuovamente riconosciuta signora delle scienze, al servizio e alla preparazione della quale è destinata l’esistenza delle altre scienze. La psicologia infatti è ormai di nuovo la strada per i problemi fondamentali.[7]
Non è quindi un’antropologia filosofica teorica, come abbiamo già detto, ma una “fisio-psicologia” delle pulsioni, soprattutto della volontà di potenza, cioè una vera e propria psicologia del profondo.[8]
Tutta quanta la psicologia è rimasta sino ad oggi sospesa a pregiudizi e apprensioni morali: essa non ha osato scendere nel profondo. Concepirla come teoria evolutiva della volontà di potenza, come io la concepisco: - questo non è stato da nessuno neppure sfiorato col pensiero (...). Una peculiare fisio-psicologia deve lottare contro le resistenze incoscienti[9] poste nell’animo dell’indagatore, essa ha il “cuore” contro di sé.[10]
In realtà, non c’è soltanto “una” volontà di potenza, ma una molteplicità di centri di potere, in lotta reciproca, all’interno dello stesso individuo: “L’uomo è una pluralità di forze che sono ordinate secondo una gerarchia, sicché ci sono elementi che comandano (...). Il concetto “individuum” è falso”.[11] Anzi, quante più contraddizioni portiamo in noi, più ricchi siamo, e più possibilità creative abbiamo.
L’annullazione dell’individuo, il corpo e il Selbst
Una caratteristica del pensiero psicologico nietzschiano è la derivazione “dal basso” di tutte le realtà dell’anima. Anche ciò che sembra più spirituale ed elevato, sia la filosofia che la religione, è soltanto il sintomo di una determinata costituzione psicofisica della quale non si ha coscienza. Per questo Nietzsche spera in una nuova generazione di “medici filosofi”, che sappia analizzare le trasformazioni e sublimazioni inconsce dei bisogni fisiologici e degli istinti in ideali e pensieri.
L’inconsapevole travestimento di necessità fisiologiche sotto il mantello dell’obiettivo, dell’ideale, del puro-spirituale va tanto lontano da far rizzare i capelli (...). Dietro i supremi giudizi di valore, da cui fino a oggi è stata guidata la storia del pensiero, sono nascosti fraintendimenti della condizione corporea, sia da parte d’individui sia di classi o di razze intere. E’ legittimo ravvisare in tutte quelle ardite stravaganze della metafisica, specialmente nelle sue risposte alla domanda sul valore dell’esistenza, in primo luogo e sempre i sintomi di determinati corpi (...) tali affermazioni o negazioni (...) costituiscono (...) per lo storico e lo psicologo indici tanto più apprezzabili, in quanto sintomi, come si è detto, del corpo, del suo riuscire bene o male, della sua pienezza, potenzialità, dominio di sé nella storia, oppure invece delle sue inibizioni, stanchezze, scadimenti, del suo presentire la fine, del suo volere la fine. Sono ancora in attesa che un medico filosofo, nel senso eccezionale della parola – attento al problema della salute collettiva di un popolo, di un’epoca, di una razza, dell’umanità -, abbia in futuro il coraggio di portare al culmine il mio sospetto e di osare questa affermazione: in ogni filosofia non si è trattato fino a oggi, di “verità”, ma di qualcos’altro, come salute, avvenire, sviluppo, potenza, vita...[12]
Con tutto questo, afferma Nietzsche, la nozione di “individuo” si mostra sbagliata. Non c’è soggetto, non c’è io. Se vogliamo possiamo parlare di “Es”[13], “esso”, a condizione di non intenderlo in modo sostanzialistico, ricadendo così nell’interpretazione cristiano-morale, che cerca un responsabile del divenire.
Per quanto riguarda la superstizione dei logici, non mi stancherò mai di tornare a sottolineare un piccolo, esiguo dato di fatto (...) che un pensiero viene quando è “lui” a volerlo, e non quando “io” lo voglio; cosicché è una falsificazione dello stato dei fatti dire: il soggetto “io” è la condizione del predicato “penso”. Esso pensa: ma che questo “esso” sia proprio quel famoso vecchio “io” è, per dirlo in maniera blanda, soltanto una supposizione, un’affermazione, soprattutto non è affatto una “certezza immediata”.[14]
Il Sé (Selbst)[15], in realtà, è fuori dalla coscienza, siamo governati dal di fuori. “Il corpo e la sua grande ragione” governano l’io come uno strumento.
‘Io’ dici tu, e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa ancora più grande, cui tu non voi credere, - il tuo corpo e la sua grande ragione. Essa non dice ‘io’, ma fa ‘io’. (...)
Strumenti e giocattoli sono il senso e lo spirito: ma dietro di loro sta ancora il Sé [Selbst]. Il Sé cerca anche con gli occhi dei sensi, ascolta anche con gli orecchi dello spirito.
Sempre il Sé ascolta e cerca: esso compara, costringe, conquista, distrugge. Esso domina ed è il signore anche dell’io.
Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto – che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo.[16]
2) Il periodo postcristiano, la morte di Dio e l’eterno ritorno
A Nietzsche non importa, in fondo, se questo modo di rappresentare l’anima sia vero o non lo sia. Secondo lui, la verità non esiste. Non sarebbe che una menzogna che ha perso coscienza di essere menzogna. Quello che è importante, invece, è che la “finzione” sia “utile”. Il criterio di utilità è la non ostilità nei confronti della vita, cioè della volontà di potenza e delle lotte che la volontà di potenza genera. L’unica cosa che esiste, è questo mondo, il fluire costante, l’autocreazione e autodistruzione, e il conflitto delle interpretazioni antagonistiche del mondo. Poiché il conflitto, la guerra, forma parte essenziale della realtà; anzi meglio, è la realtà stessa. Il motore del divenire corrisponde a questa dialettica fondamentale, come direbbe Hegel. E questa dialettica si sviluppa oggi ad un livello più complesso ed elevato. Perciò, questa teorizzazione dell’anima e dell’inconscio non ha la pretesa di verità, ma è uno strumento in mano del “cacciatore delle anime”, dello spirito della transvalorazione.
Il cristianesimo, con il suo presunto disprezzo della sessualità e della crudeltà, i due aspetti fondamentali, creativo e distruttivo, della volontà di potenza, è il nemico principale della vita, benché abbia reso la vita più interessante, sublimando il conflitto ad un livello spirituale. In effetti, secondo Nietzsche il cristianesimo, o la volontà di potenza attraverso il cristianesimo, ha prodotto una spiritualizzazione del conflitto, e questo è considerato da lui come qualcosa di positivo. Perché Nietzsche non vuole tornare al periodo premorale dell’umanità, ma arrivare a una tappa essenzialmente postmorale, che presuppone il cristianesimo come momento astratto. Per essere postmorali, si ha bisogno della morale, perciò, afferma Nietzsche, gli immoralisti (come definì il nostro a chi segue la sua dottrina) non vogliono la totale distruzione della Chiesa, perché hanno bisogno di essa, come il peccato ha bisogno della legge. La Chiesa ha prodotto delle contraddizioni (vg. i gesuiti e la democrazia) che hanno reso più interessante la vita (che si alimenta della contraddizione) e che hanno acuito la mala coscienza, sino a limiti insospettati.
Nella sua opera psicologica fondamentale, La genealogia della morale, che fu oggetto di discussione nelle sedute del mercoledì dell’Associazione Psicoanalitica nel 1908, Nietzsche psico-analizza il cristianesimo, e lo mina nella sua essenza. Lo scopo di Nietzsche è dimostrare che il cristianesimo, e l’occidente da esso formato, è nichilismo (passivo) e malattia del corpo e dell’anima. La genealogia spiega quest’idea, mettendo in luce le radici nascoste e inconsce delle concezioni fondamentali del cristianesimo, come la separazione tra buono e cattivo[17], la coscienza morale, ecc. Queste radici sarebbero, secondo Nietzsche, le pulsioni che il cristianesimo stesso condanna, soprattutto la crudeltà.
Nietzsche considera come origine della “coscienza di colpa”[18] l’introiezione della crudeltà e del risentimento. Così nascerebbe il soggetto, nel senso cristiano-moderno del termine, e cioè dalla scissione, prodotta da una pressione culturale esterna, all’interno di un insieme di pulsioni in contraddizione. Questo sarà ripreso esplicitamente da Freud, nella sua teoria del Super-io, che ha due volti: l’ideale del io e la coscienza morale. Il responsabile di questo sarebbe il “sacerdote ascetico”[19], che avrebbe bisogno della malattia per poter redimere, e creerebbe quel organismo di controllo interiore che sarebbe, appunto, la coscienza morale. La Chiesa è per Nietzsche una specie di manicomio, pieno di malati della mente, che sono il risultato del cristianesimo e della morale da esso derivata.
Il cristianesimo ha necessità della malattia, pressappoco allo stesso modo in cui per la grecità è necessaria una sovrabbondanza di salute – rendere malati è la vera riposta intenzione dell’intero sistema procedurale salvifico della Chiesa. E la Chiesa stessa – non è essa il manicomio cattolico come ultimo ideale? – L’uomo religioso, come la Chiesa lo vuole, è un tipico décadent; il momento in cui la crisi religiosa s’impadronisce di un popolo è caratterizzato ogni volta da epidemie nervose; il “mondo interiore” dell’uomo religioso è analogo al “mondo interiore” dei sovreccitati e degli esauriti, al punto da confondersi con esso; gli stati “supremi”, che il cristianesimo ha tenuti sospesi sull’umanità come valore di tutti i valori, sono forme epilettoidi – la Chiesa ha santificato in maiorem dei honorem soltanto pazzi o grandi impostori... Mi sono permesso una volta di definire l’intero training cristiano della penitenza e della redenzione (...) una folie circulaire prodotta metodicamente, come è naturale, su un terreno già preparato, vale a dire, fondamentalmente malaticcio.[20]
L’archetipo dei cristiani malati sarebbe, secondo lui, lo stesso Gesù.
Il tipo “Gesù”. Gesù è esattamente l’opposto di un eroe: è un idiota. Si senta la sua incapacità di intendere una realtà: egli si muove nel giro di cinque o sei concetti da lui prima uditi e a poco a poco capiti (cioè falsamente) – in essi ha la sua esperienza, il suo mondo, la sua verità – il resto li è estraneo. Dice parole che tutti adoperano, ma non li intende come tutti, capisce solo i suoi cinque o sei sfuggenti concetti. Che i veri e propri istinti virili – non solo quelli sessuali, ma anche quelli della lotta, della fierezza, dell’eroismo – non siano mai maturati in lui, che sia un ritardato e sia rimasto infantilmente nell’età puberale: ciò fa parte del tipo di certe nevrosi epilettoidi.[21]
La terapia di Nietzsche, che ci porterebbe alla “grande salute”, è però per pochi eletti. Non tutti sono chiamati a scoprire queste verità inconsce ed essere i “filosofi del futuro”. Si deve accettare l’innocenza del divenire, l’eterno ritorno dell’uguale, che in fondo è accettare una vita infernale, e fare “esperienza” del bene e del male.[22] Questo suppone non solo prendere coscienza passivamente della “morte di Dio” ma realizzarla attivamente. Chi sopravvive a questo deserto gelido, si trasforma in legislatore, creatore di valori. Come ciò avvenga lo spiega lui stesso, nel IV libro della “Gaia Scienza”, come la rivelazione di un demone.[23]
Il peso più grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle solitudini e ti dicesse: “Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e sucessione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo attimo e io stesso. (...) Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immane, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: “Tu sei un dio, e mai intesi cosa più divina!”[24]
3) Nietzsche e la psicoanalisi
Nietzsche e la psicologia
Come abbiamo detto, il pensiero di Nietzsche è stato molto influente in diversi ambiti della cultura. Uno di questi è stato la psicologia. Noi ci occuperemo qui in particolar modo della psicoanalisi. Ma prima faremo un accenno agli psicologi non psicoanalisti. Fra loro, fortemente influenzati da Nietzsche ci sono, ad esempio, Ludwig Klages, uno dei pionieri della caratterologia tedesca, creatore della grafologia, il quale si riconosce esplicitamente come continuatore di Nietzsche.[25] A sua volta, furono influenzati da Klages autori molto importanti, come Hans Prinzhorn e Philipp Lersch. Inoltre, molti autori del gruppo di scuole esistenzialistiche e fenomenologiche hanno fortemente recepito l’ispirazione di Nietzsche, in particolare Karl Jaspers e Ludwig Binswanger, i quali lo considerano una delle loro fonti principali.
Per quanto riguarda la psicoanalisi, ci occuperemo del suo fondatore, Sigmund Freud e del dissidente Carl G. Jung.
Freud e Nietzsche
Il rapporto di Freud con Nietzsche si può considerare da due punti di vista fondamentali: storico e dottrinale.
a) Dal punto di vista storico, si deve accennare in primo luogo alla relazione di Freud con la filosofia. Diversamente di quanto lo stesso Freud ha detto molte volte, l’influsso della filosofia nella sua formazione intellettuale è stato di capitale importanza. Attraverso il suo epistolario giovanile, sappiamo che ha letto Feuerbach, Strauss e Aristotele, che tradusse Stuart Mill, e che frequentò i corsi di Brentano[26]. Sotto l’influsso di quest’ultimo, pensò seriamente di iscriversi alla Facoltà di Filosofia e intraprendere il dottorato, ma alla fine questo desiderio non si realizzò.
Nietzsche fu uno dei filosofi letti da Freud, per lo meno sin dall’età di 17 anni.[27] Il suo grande amico, Joseph Paneth, conobbe il filosofo personalmente.[28] Un altro amico, Sigfried Lipiner[29], fu riconosciuto da Nietzsche esplicitamente come suo discepolo. Con questi due amici, Freud creò un giornale di filosofia d’ispirazione materialistica, che durò però pochi mesi. Più avanti, nel 1908, quando la psicoanalisi era già stata fondata, La Genealogia della morale e la malattia mentale di Nietzsche furono argomento delle sedute psicoanalitiche del mercoledì.[30] Nel 1911 Alfred Adler, chi considera causa della nevrosi un’eccessiva volontà di potenza, si separò definitivamente da Freud.[31] Nel 1912, dopo il congresso psicoanalitico tenutosi a Weimar, durante il quale un gruppo fece una visita a la sorella del filosofo, Elisabeth, si avvicinò al movimento psicoanalitico Lou Andreas-Salomé, amica e discepola di Nietzsche. Molti dei seguaci di Freud tentarono di stabilire dei rapporti tra il maestro e il filosofo tedesco (ad esempio il giovane Binswanger[32], Otto Gross[33], Otto Rank e Arnold Zweig). Lo stesso Freud presenta qualche volta Nietzsche come precursore intuitivo della psicoanalisi.
b) Dal punto di vista dottrinale, l’influenza di Nietzsche su Freud si può vedere in molti temi, alcuni dei quali abbiamo già accennato (l’inconscio, l’Es, l’origine della coscienza morale, la rimozione, ecc.). Un tema basilare comune a entrambi i pensatori è la derivazione dell’alto dal basso. Tutto quello che sembra nobile e puro, non sarebbe altro che una sublimazione delle pulsioni. Anzi, il cristianesimo e la morale della civiltà occidentale sono la causa principale della nevrosi, come afferma chiaramente Freud; si può vedere, ad esempio, La morale sessuale civile e la nervosità moderna (1908). Nelle Cinque conferenze sulla psicoanalisi (1909), si trova questo brano, che ci ricorda la concezione nietzschiana dei cristiani nevrotici ed esauriti: “La nevrosi sostituisce nella nostra epoca il convento nel quale solevano ritirarsi tutte le persone che la vita aveva deluso o che si sentivano troppo deboli per affrontarla.”[34]
Negli scritti di maturità Freud applica il metodo genealogico di Nietzsche all’analisi della cultura, specialmente della religione.[35] Così, in Totem e Tabù, Freud analizza l’origine della religione cattolica e dell’Eucaristia, e li fa derivare dalla sua celebre ipotesi sull’assassinio del primo padre.
Nel mito Cristiano il peccato originale dell’uomo è indubbiamente un’offesa contro Dio Padre. Ora, se Cristo libera gli uomini dal peso del peccato originale sacrificando la sua stessa vita, ci costringe a concludere che questo peccato fu un assassinio. Secondo la legge del taglione, profondamente radicata nella sensibilità dell’uomo, un assassinio può essere espiato soltanto col sacrificio di un’altra vita; il sacrificio di sé ci fa risalire alla colpa di avere versato sangue altrui. E se questo sacrificio della propria vita conduce alla riconciliazione col Dio Padre, il crimine da spiare non può essere altro che l’uccisione del padre.
In tal modo, nel cristianesimo, gli uomini ammettono, come più apertamente si potrebbe, la colpevole azione commessa nella notte dei tempi, dal momento che la completa espiazione di essa è ora trovata nella morte sacrificale dell’unico Figlio. La riconciliazione con il padre è tanto più profonda perché, contemporaneamente a questo sacrificio, ha luogo la rinuncia totale alla donna, a causa della quale ci si era ribellati. Ma a questo punto anche la fatalità dell’ambivalenza reclama i sui diritti. Con la medesima azione che offre al padre la massima espiazione possibile anche il figlio raggiunge lo scopo dei suoi desideri contro il padre. Diventa egli stesso Dio accanto, anzi propriamente al posto del padre. La religione del Figlio si sostituisce a quella del Padre. Il segno di questa sostituzione viene richiamato in vita l’antico pasto totemico in forma di Comunione, nella quale la schiera dei fratelli consuma la carne e il sangue del Figlio, non più del Padre, e con questo atto si santifica e identifica con Lui. Il nostro sguardo persegue attraverso il trascendere dei tempi l’identità del pasto totemico col sacrificio degli dei umani incarnati e con l’Eucaristia cristiana e riconosce in tutte queste solennità la conseguenza del crimine che ha tanto oppresso gli uomini e del quale tuttavia essi dovettero andare tanto superbi. Ma la Comunione cristiana è in fondo una nuova eliminazione del padre, una ripetizione dell’azione da espiare.[36]
Alla fine della sua vita in L’uomo Mosè e la religione monoteistica, il “maestro di Vienna” riprende questo argomento. Il crimine primigenio, che la tradizione giudeo-cristiana miticamente ha chiamato “peccato originale”, tende a ritornare alla coscienza dell’umanità. Il cristianesimo supera come religione il monoteismo giudaico, perché ammette l’uccisione di Dio.[37]
Solo una parte del popolo ebraico accettò la nuova dottrina. Coloro che la rifiutano si chiamano ancor oggi Ebrei. (...) Dalla nuova comunità religiosa, che oltre a Ebrei aveva raccolto Egiziani, Greci, Siriaci, Romani e in fine anche Germani, toccò loro sentirsi rivolgere il rimprovero di aver ucciso Dio. Espresso distesamente questo rimprovero suonerebbe: “Non vogliono accettare per vero di aver ucciso Dio, mentre noi lo ammettiamo e siamo lavati da questa colpa”. E’ facile vedere quanta verità si nasconda dietro questo rimprovero. Quanto a perché gli Ebrei non riuscirono a prender parte al progresso implicito nella confessione, per deformata che fosse, del deicidio, la sua spiegazione costituirebbe l’oggetto di un indagine apposita.[38]
Certo, questa confessione dell’uccisione di Dio nel cristianesimo è mascherata, non del tutto svelata. Perciò, invece di manifestarsi chiaramente alla coscienza, appare sotto la forma di sintomi, cioè come nevrosi.
Nonostante tutte le approssimazioni e anticipazioni nel mondo circostante, fu nello spirito di un ebreo, Saulo di Tarso, il quale come cittadino romano s’era dato il nome di Paolo, che per la prima volta si fece strada la nozione: “Siamo così infelici perché abbiamo ucciso Dio Padre”. Ed è ben comprensibile che egli non poté cogliere questo frammento di verità che nella veste delirante della nuova novella: “Siamo redenti da ogni colpa dacché uno di noi ha sacrificato la sua vita per assolverci”. In questa maniera di esprimersi era naturalmente taciuta l’uccisione di Dio (...).[39]
Freud sembra considerare sé stesso come un nuovo San Paolo o Mosé[40], che porta la coscienza dell’umanità verso una nuova era (postcristiana). La finalità della psicoanalisi è, in fondo, fare riaffiorare nella coscienza questo crimine originale, non come il cristianesimo, nel quale questa “verità” apparirebbe sotto forma di sintomo e allucinazione, ma a un livello superiore. In questo modo, la psicoanalisi supera il cristianesimo, perché, mentre nel cristianesimo il “ritorno del rimosso” produrrebbe dei sintomi nevrotici ossessivi, soprattutto negli atti liturgici, nella psicoanalisi si verificherebbe la presa di coscienza, e i sintomi sparirebbero. In fondo, è portare a compimento la morte di Dio nella coscienza, che sarebbe “l’azione suprema” (Goethe).
Jung e l’esperienza nietzschiana del bene e del male
In Jung, l’influenza di Nietzsche non è minore, anzi, è più esplicita. La sua terapia consiste nel compiere il processo d’individuazione[41], e superare l’io cosciente, che sarebbe soltanto un aspetto limitato di una realtà più ampia alla quale si appartiene, che lui chiama con il termine di Nietzsche Sé (Selbst), rappresentato attraverso l’immagine archetipica della quaternità, che è sintesi degli opposti. Così come in Freud l’io è un giocattolo nelle mani dell’Es, nella teoria di Jung l’io è sottomesso a forze possenti e autonome nascoste nell’inconscio.
Mettere una persona davanti alla propria ombra equivale a mostrarle anche ciò che in essa è luce. Chi ha fatto questa esperienza, chi nel giudicare sta a mezza strada tra gli opposti, sente inevitabilmente cosa s’intenda con il proprio Sé. Chi percepisce contemporaneamente la propria ombra e la propria luce, vede sé stesso dai due lati e, in tal modo, raggiunge il centro.
E’ questo il segreto dell’atteggiamento orientale: la contemplazione degli opposti rivela all’uomo orientale la natura della māyā che presta alla realtà un carattere illusorio. (...) L’introspezione ci fa dire: “Io sono colui che dice il bene e il male”, e ancor meglio: ‘Io sono colui per mezzo del quale è detto ciò che è bene o male. Colui che è in me, che pronuncia i principia, si serve di me per esprimersi. Egli parla attraverso me” (...) In tedesco adoperiamo a questo fine la parola Selbst [Sé], in opposizione al piccolo Io.[42]
A questo si arriva attraverso l’assunzione dell’inconscio nel conscio, che è l’unione di razionale e irrazionale, bene e male. Jung considera questo il vantaggio del vero protestante[43], cioè di avere la possibilità di arrivare all’autentico fondo del reale attraverso la malattia della mala coscienza, senza l’ausilio della confessione cattolica.
Il protestante è solo, alla mercé di Dio; non c’è per lui né confessione, né assoluzione, né possibilità alcuna di un opus divinum propiziatorio. Egli deve sopportare da solo il peso dei suoi peccati e non è mai troppo sicuro della grazia divina, la quale per mancanza di un appropriato rituale si è resa inaccessibile. A questo deve la coscienza protestante di essere diventata così vigile, e questa cattiva coscienza ha preso la spiacevole proprietà di una malattia insidiosa, procurando agli uomini una condizione di disagio. Ma si offre così al protestante un’occasione unica di acquistare coscienza del peccato in misura quasi irraggiungibile alla mentalità cattolica, poichè nella Chiesa cattolica la confessione e l’assoluzione sono sempre pronte a equilibrare una tensione troppo forte. Ma il protestante è abbandonato alla sua tensione, che, continuando, rende sempre più acuta la coscienza. La coscienza, e particolarmente la cattiva coscienza, si può considerare un dono del cielo, una vera grazia quando serve ai fini di una più profonda autocritica. Come attività introspettiva e discriminatrice l’autocritica è indispensabile per ogni tentativo di comprendere la propria psicologia. [...] Il pungolo della cattiva coscienza ci sprona anzi a scoprire cose delle quali non avevamo coscienza, e in questo modo possiamo oltrepassare la soglia dell’inconscio e renderci conto dell’esistenza di quelle forze impersonali che fanno del singolo uno strumento inconscio dell’assassino in grande che è nell’uomo. Un protestante che sopravviva alla perdita completa della sua Chiesa rimanendo ugualmente protestante, cioè un uomo di fronte e Dio e senza difesa, e non più protetto da mura o da comunità, si trova nelle condizioni di spirito che sole danno luogo a un’esperienza immediata.[44]
L’archetipo della quaternità supera l’astrazione del bene (Trinità), propria dell’”anima bella”, con l’inclusione in essa del male.[45] È ancora l’esperienza del bene e del male di Nietzsche, e del peccato originale, che, secondo loro, toglierebbe le catene alle energie della psiche.[46] Questo è proprio il nocciolo della psicologia di Jung.
4) L’influsso di Nietzsche e la psicoanalisi nel mondo cristiano
Il tema, come si può capire, è molto importante, soprattutto perché oggi le scienze umane, e in particolare la psicologia, sono entrate a far parte della vita quotidiana di tanti cristiani, ma anche negli studi teologici[47] e nella formazione di molti seminaristi e religiosi[48], e, se non conosciamo le basi teoriche di molte scuole di psicologia, non capiremo neanche le loro conseguenze pratiche sull’esistenza cristiana. Per vedere un esempio dell’assimilazione da parte del mondo cattolico delle idee di Nietzsche, Freud e Jung sul carattere patologico della morale cristiana, leggiamo i seguenti brani del noto psicoanalista Albert Görres.
Gli psicoterapeuti conoscono per esperienza le cosiddette nevrosi ecclesiogene, vale a dire le nevrosi condizionate da una educazione ecclesiastica, che costituiscono un folto gruppo nel numero ancor più grande dei ‘danneggiati dal Vangelo’.
Ci sono tanti individui, per i quali il Vangelo, così come è proposto e spiegato dalle Chiese e capito dagli uditori, non è divenuto un nutrimento e una medicina, bensì una sostanza indigeribile o addirittura un veleno. Esistono non pochi suicidi ecclesiogeni, angosce, depressioni, depravazioni, sviluppi errati ancora peggiori ecclesiogeni.[49]
Il cristianesimo, secondo questo psicoanalista ispirato da Nietzsche, condanna la natura dell’uomo e le sue tendenze. Ad esempio, l’aggressività.
Altre sentenze di Gesù le troviamo spaventose, anzi distruttive. Così, ad esempio, il divieto radicale dell’aggressione (Mt 5, 22): “Chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice a suo fratello: stupido, sarà sottoposto a sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna”. Pur astraendo della contraddizione che riscontriamo tra queste affermazioni e il comportamento di Gesù, nonché l’aggressività di molti testi e precetti dell’Antico Testamento, siamo inquietati dall’ingiunzione di dover per così dire inaridire una metà del nostro patrimonio biologico naturale, cioè la capacità di prender parte energicamente alla lotta per l’esistenza. E questo, così almeno ci sembra, non è possibile. Coloro che vogliono essere troppo buoni e pacifici il collerico Jahvé li lascia cadere nelle mani degli psicoterapeuti. L’evitare in maniera esagerata l’aggressività non rende buoni, ma falsi, ipocriti e malati.[50]
Tra queste tendenze, anche la sessualità.
Poche righe dopo il divieto dell’aggressione troviamo di nuovo una richiesta, che ci sembra rendere impossibile un rapporto umano e ragionevole con la nostra sfera istintuale: “Chiunque guarda una donna per desiderarla, già ha commesso con lei adulterio nel suo cuore”. E quasi ciò non bastasse, ecco Paolo rincaricare la dose e pretendere che gli uomini non debbono possedere le loro mogli in maniera passionale come i pagani (Mt 5, 28; 1 Ts 4,4).[51] In specie il vastissimo campo del sessuale, che colora tutto come increscioso sbaglio di Dio, di cui egli si sarebbe successivamente vergognato.”
Il carattere soprannaturale della vocazione cristiana, che nel pensiero tradizionale, dai Padri a san Tommaso, è considerato come un invito a abbandonarsi nelle mani di Dio, che porta a compimento la nostra perfezione è, invece, messo sotto accusa come antinaturale. Il problema sarebbe che “l’invito di Gesù: ‘Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste’ (Mt 5, 48) supera ogni misura umana. Esso”, dice Görres, “sembra fatto apposta per avvelenare la vita con sentimenti permanenti di fallimento e di colpa”[52]. Alla fine il cristianesimo viene concepito in prospettiva dialettica, perché il bene e il male sarebbero complementari: “Il messaggio del cristianesimo ricco di tensioni corrisponde al messaggio dialettico della realtà”[53]. Bisogna trovare un compromesso tra “Dioniso e il Crocifisso”, come direbbe Nietzsche.[54]
I testi parlano da soli. Ci sembra evidente la chiara contraddizione tra il vero cristianesimo e queste teorie, radicalmente anticristiane. Crediamo, per tanto, molto pericolosa la sua assunzione da parte dei cristiani e dei teologi. Rimandiamo ad un’altra occasione la critica di queste impostazioni, e la presentazione di un’autentica psicologia cristiana.[55] Per finire, ci sembrano opportune le parole di Edith Stein, una vera e autentica psicologa del profondo, perché mistica:
Costituirebbe un lavoro specifico esaminare una buona volta la storia della psicologia sotto questo profilo, per scoprire in quale rapporto stia – nel singolo ricercatore e nella corrispondente epoca – l’atteggiamento assunto nella vita di fede e la relativa concezione dell’anima.[56]
[1] L’opera filosofica di Friedrich Nietzsche (1844-1900, caduto nella demenza nel 1889) di solito è divisa in tre tappe: 1) giovanile, la cui opera fondamentale è L’origine della tragedia, e il cui riferimento filosofico principale è Arthur Schopenhauer (1870-1877); 2) la cosiddetta “illuministica”, il cui centro è forse Umano troppo umano (1877-1882); 3) e la maturità, che comincia con Così parlò Zarathustra e finisce con Ecce Homo (1883-1889). E’ in questo periodo che il suo pensiero attinge una maggiore sistematicità, con i temi della “volontà di potenza”, “l’eterno ritorno”, il “superuomo” (o “ultrauomo” secondo la traduzione che Vattimo fa di Übermensch), ecc. Soprattutto a questa tappa del suo pensiero ci riferiremo in questo articolo.
[2] Cfr. J. VAN DE WIELE, “Schopenhauer et le volontarisme. Aux sources de Nietzsche”, Revue Philosophique de Louvain, 23 (1976) 375-400.
[3] Cf. C. G. JUNG, “Prefazione a D. T. Suzuki, ‘La grande liberazione. Introduzione al buddismo zen’”, in Opere, Boringhieri, Torino 1984, vol. XII, 557: “Schopenhauer è, con alcune riserve, ancora un classico, ma lo Zarathustra di Nietzsche non è più filosofia, bensì un drammatico processo di trasformazione che ha interamente inghiottito l’intelletto. Non si tratta più di pensare, ma, nel senso più alto, del pensatore del pensiero, e ciò in ogni pagina del libro: un uomo nuovo, completamente trasformato, deve entrare in scena, un uomo che ha infranto il guscio dell’antico e che ha non soltanto scorto ma anche creato un cielo nuovo e una terra nuova.” Jung ha dedicato allo Zarathustra di Nietzsche un lungo seminario, ancora inedito per quanto sappiamo.
[4] F. NIETZSCHE, “Al di là del bene e del male”, cap. 1, 12; in Opere, Adelphi, Milano 1986, Traduzione di Ferruccio Masini condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. VI, tomo II, p. 18.
[5] Benché questa denominazione sia stata creata dallo psichiatra svizzero Bleuler, e poi ripresa da Freud, nel nostro autore l’idea si trova con chiarezza. Cf. SIGMUND FREUD, “Storia del movimento psicoanalitico”, in Opere (1912-1914), Borighieri, Torino 1985, 414.
[6] In effetti, bisogna dire che Nietzsche non è stato per niente immune all’influsso di Feuerbach.
[7] “Al di là del bene e del male”, cap. 1, 23; p. 29.
[8] Qualcosa di simile ha detto Foucault riguardo alla psicoanalisi; cf. M. FOUCAULT, Les mots et les choses. Une archéologie des sciences humaines, Gallimard, Mayenne 1966, 387: “[La psychanalyse] ne peut pas se déployer comme pure connaissance spéculative ou théorie générale de l’homme. Elle en peut traverser le champ tout entier de la représentation, essayer de contournier ses frontières, pointer vers le plus fondamental, dans la forme d’une science empirique bâtie à partir de observations soigneuses; cette percée ne peut être faite qu’a l’interieur d’une pratique où ce n’est pas seulement la connaissance qu’on a de l’homme qui est engagée, mais l’homme lui-même, -l’homme avec cette Mort qui est à l’oeuvre dans sa souffrance, ce Désir qui a perdu son objet, et ce langage par lequel, à travers lequel s’articule silencieusement la Loi.”
[9] “Resistenze incoscienti”: impossibile non ricordare Freud davanti a queste espressioni.
[10] “Al di là del bene e del male”, cap. 1, 23; p. 28.
[11] F. NIETZSCHE, “Frammenti Postumi”, Aprile-Giugno 1885 34 [124], in Opere, Adelphi, Milano 1986, Traduzione di Ferruccio Masini condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. VII, tomo III, p.140.
[12] F. NIETZSCHE, “La Gaia scienza”, Prefazione alla seconda edizione (1886), 2, in Opere, Adelphi, Milano 1986, Traduzione di Ferruccio Masini condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. V, tomo II, p. 19.
[13] Questo è il solo concetto che Freud riconosce di aver presso da Nietzsche. Con più precisione, Freud dice di avere trovato la nozione di Es in Groddeck, il quale a sua volta lo avrebbe presso da Nietzsche. Per la prima volta lo troviamo in “L’io e l’Es” di 1922 [Opere (1917-1923), Boringhieri, Torino 1986, 489], per spiegare come “il nostro Io si comporta nella vita in modo essenzialmente passivo, e che –per usare la sua espressione [di Groddeck, Das Buch von Es, Vienna 1923]- noi veniamo ‘vissuti’ da forze ignote e incontrollabili”; cf. “Introduzione alla psicoanalisi”, Opere (1930-1938), Boringhieri, Torino 1989, 184: “Sta bene, allora non useremo più il termine ‘inconscio’ nel senso sistematico, ma daremo a quanto finora abbiamo così designato un nome migliore, che non si presti più a malintesi. Adeguandoci all’uso linguistico di Nietzsche e seguendo un suggerimento di Georg Groddeck, lo chiameremo d’ora in poi ‘Es’”.
[14] “Al di là del bene e del male”, cap. 1, 17; p. 21.
[15] Se l’Es è una nozione che caratterizza il nitzscheanismo di Freud, il concetto di Selbst è in modo chiaro ed esplicito assunto nella psicologia analitica di Carl G. Jung.
[16] F. NIETZSCHE, “Così parlò Zarathustra”, Parte prima, “Dei dispregiatori del corpo”, in Opere, Adelphi, Milano 1986, Traduzione di Ferruccio Masini condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. VI, tomo I, p. 34.
[17] Alla genealogia di queste due espressioni dedica Nietzsche la prima parte dell’opera. La contraddizione originale sarebbe “buono” (Gut) / “malo” (Schlecht), cioè buono, nobile, guerriero, il cavaliere della discordia e la separazione, e malo, plebe, basso, debole, ecc. Il giudaismo, e poi il cristianesimo, che Nietzsche considera un suo prodotto, avrebbe portato avanti una grande inversione dei valori. Adesso i buoni sono il basso, il debole, l’umile, il povero, e invece il “cattivo”, il “maligno” (Böse), è il forte e nobile. Per fare questo, e stata indispensabile la formazione di una casta sacerdotale oziosa, dedicata al pensiero. La transvalorazione nietzschiana non vuole tornare però, come abbiamo già accennato, a questo periodo premorale, ma superare il cristianesimo, portandolo all’autodistruzione. Per fare questo, il pensiero svolge un ruolo capitale.
[18] L’origine del senso di colpa è studiato da Nietzsche nella seconda parte della Genealogia della morale.
[19] L’ultima parte della Genealogia... si dedica all’analisi della “terapia morale-psicologica” portata avanti dal sacerdote ascetico, che secondo Nietzsche non guarisce veramente, ma produce un senso di guarigione, utilizzando abilmente delle scariche della volontà di potenza, in degli organismi costituzionalmente deboli, che altrimenti sarebbero condotti più direttamente alla autodistruzione.
[20] F. NIETZSCHE, “L’Anticristo. Maledizione del Cristianesimo”, 51, in Opere, Adelphi, Milano 1986, Traduzione di Ferruccio Masini condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. VI, tomo III, p. 235-236.
[21] F. NIETZSCHE, “Frammenti Postumi”, Primavera 1888, 14 [38], in Opere, Adelphi, Milano 1986, Traduzione di Ferruccio Masini condotta sul testo critico stabilito da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, vol. VIII, tomo III, p. 28. Fra i nevrotici, Nietzsche pone non solo san Francesco e santa Teresa, ma pure Pascal, che è una figura verso la quale ha dei rapporti ambivalenti. Secondo Del Noce, Nietzsche è come il Pascal dei “laici”; cf. A. DEL NOCE, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1970, 178-179: “Possiamo dire che Nietzsche occupa in prospettiva religiosa una posizione strettamente simmetrica a quella di Pascal in una prospettiva laica. C’è un ‘Pascal des incroyants’, da Sainte-Beuve a Brunschvicg e a Goldmann.” Qualcosa di simile posiamo dire per quanto riguarda il suo atteggiamento verso Dostoievskij. Wagner, non sarebbe soltanto un semplice nevrotico, ma “Wagner c’est une nevrose”; cf. Il caso Wagner e Nietzsche contro Wagner.
[22] Questo lo troviamo anche nell’ultimo periodo del pensiero di Freud, con il concetto di “coazione alla ripetizione” che lui stesso avvicina all’eterno ritorno; cf. SIGMUND FREUD, “Al di là del principio di piacere”, in Opere (1917-1923), Boringhieri, Torino 1986, 207-208: “Ciò che la psicoanalisi svela a proposito dei fenomeni di traslazione dei nevrotici si può ritrovare anche nella vita di persone non nevrotiche che suscitano l’impressione di essere perseguitate dal destino o vittime di qualche potere ‘demoniaco’ (...). La coazione a ripetere dei nevrotici (...). Questo ‘eterno ritorno dell’uguale’ non ci stupisce molto (...)” ecc.; In un saggio anteriore, “Il perturbante” (ib., 95) aveva detto: “(...) un motivo del genere è infine il perpetuo ritorno dell’uguale, la ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose, e perfino degli stessi nomi attraverso più generazioni che si seguono”.
[23] É cosa sulla quale si è scritto molto, che la teoria nietzschiana, prima della sua espressione cosmologica, è stata, secondo Nietszche, una “rivelazione”, ricevuta a Sils-Maria. Lou Salomé considera molto importante questo punto per capire fino in fondo ciò che il filosofo tedesco ha voluto dire. Questo paragrafo del quarto libro della Gaia Scienza è stata la prima formulazione di questo pensiero, molto vicino della rivelazione di Sils-Maria. Sicuramente è con questa illuminazione che comincia veramente l’ultimo periodo della opera di Nietzsche, e non il Zarathustra, come di solito si pensa (vedere la nota 2).
[24] “La Gaia Scienza ”, IV, 341, p. 236-237. Cf. M. L. GARCÍA GARCÍA, La revelación de Sils-Maria: el eterno retorno de Nietzsche en ‘Así habló Zarathustra’, Stromata, 3/4 (1992) 371: “Éste [l’eterno ritorno] alcanza su punto culminante con la famosa experiencia de 1881 en Sils-Maria, experiencia que Nietzsche presentó como una ‘revelación’ de la cual él era el instrumento elegido.” Così descrive la rivelazione del eterno ritorno sua discepola (poi seguace di Freud) L. ANDREAS-SALOME, Frédéric Nietzsche, Gordon & Breach, London 1989, 257-258: “Jamais je ne pourrai oublier les heures où il me la confia pour la première fois, comme un secret dont la vérification et la confirmation lui causaient une horreur indicible: il n’en parlait qu’a voix basse, et avec les signes manifestes de la terreur le plus profonde. Et la vie, en vérité, le faisait si cruellement souffrir, que la certitude du Retour éternel, devait être pour lui quelque chose d’atroce.” A questo riguardo, sembra utile l’osservazione di Jacques Maritain sul peccato dell’angelo (Révue Thomiste, 56 (1956) 233): “il a mis sa béatitude en lui-même et il s’y tiendra, au prix de toutes les douleurs de l’enfer, qu’il a acceptées d’avance: préférant cette bétitude-là, -la solitude en sa propre nature et la suffisance à soi-même dans le mal et la négation, et l’orgueil de pouvoir imposer privation á la volonté (antécédente) de Dieu,- à la vrai béatitude qu’il réfuse, et qui du moment qu’il n’aime pas Dieu ne saurait plus être vraiment béatitude pour lui. Il a ce qu’il a voulu.”
[25] Cf. L. KLAGES, Die psychologischen Errungenschaften F. Nietzsche, Leipzig 1926. Il nietzscheanismo di Klages si unisce alla sua partecipazione a delle cerimonie teosofiche neopagane, e al suo rapporto con il nazionalsocialismo tedesco; cf. R. NOLL, The Jung Cult, Princeton University, Princeton 1994; tr. it. Jung, il profeta ariano, Mondadori, Milano 1999, 156: “Le più importanti di queste ‘discussioni notturne’ furono forse quelle tenute tra il 1897 e il 1903 dal grupo Scwabing-Monaco noto come kosmische Runde (Circolo Cosmico). I suoi principali esponenti erano lo studioso indipendente Alfred Schuler (1865-1923), il filosofo e grafologo Ludwig Klages (1872-1956), che sarebbero entrambi divenuti personaggi di primo piano nel movimento völkisch, Karl Wolfskehl, poeta ebreo e professore di letteratura all’univesità di Monaco, e, in modo discontinuo, il celebre poeta Stefan George (1869-1933) . (...) Tra i loro favoriti vi erano tre degli autori che esercitarono su Jung l’influenza più forte: Nietzsche, Carus e Bachofen. (...) Ben presto il Circolo cosmico si diede a elaborate evocazioni cerimoniali e riti di adorazione della Grande Madre Terra (Erdmutter) (...). Inoltre, il culto promosse un’aperta opposizione alla cultura giudaico-cristiana e alla borghesia. (...) Klages e Schuler (...) fusero le loro idee sul culto della Madre Terra e sull’eterismo con il vitalismo della biologia evoluzionistica e si fecero fautori di un paganesimo völkisch basato sulla sacralizzazione del ‘sangue’.”; 157: “Negli anni Venti Klages viveva a Kilchberg, in Svizzera, non lontano dallo psichiatra [Jung]. Accanto alle sue altre attività völkisch, egli aveva inaugurato l’analisi della scrittura quale metodo per discernere i tratti della personalità e, già nel 1897, aveva fondato a Monaco un Istituto Grafologico. Sebbene egli fosse innanzi tutto un autore di opere filosofiche, la sua psicologia pratica assunse il nome di ‘caratterologia’. La cosiddetta ‘analisi dell’espressione’ e la caratterologia costituirono il fulcro della psicologia tedesca nel periodo nazista e fino ai tardi anni Cinquanta. Tali tecniche vennero usate soprattutto dalle forze armate, durante il nazismo, per la selezione degli ufficiali.”
[26] Un dato, per niente trascurabile, e l’amicizia di Brentano con Josef Breuer. Abbiamo saputo che si prepara l’edizione di opere inedite di Freud, tra le quali si trovano gli appunti delle lezioni di Brentano.
[27] L’opera più importante sul rapporto tra i due pensatori è senza dubbi quella di P.-L. ASSOUN, Freud et Nietzsche, Quadrige-Presses Universitaires de France, Paris 1998. Così sintetizza questo psicoanalista francese l’atteggiamento di Freud verso Nietzsche nelle diverse tappe del suo sviluppo intellettuale (p.7): “Après avoir été un admirateur –réticent autant que sincère- vers 1875- de Nietzsche, après s’être senti un ‘collègue’ en ‘découvertes’ –autour de 1900-, puis être devenu un usager des intuitions prémétapsychologiques nietzschéenes –autour 1914-, Freud s’avère un lecteur de La Volonté de puissance, cette pierre de touche du ‘nietschéisme’, via pulsion de mort –vers 1920.”
[28] Ib., 69: “Josef Paneth était l’un des plus chers amis de Freud, mort prématurément en 1890, au moment où Nietzsche sombra. C’est donc de Paneth qu’il recueillit des échos sur le dernier Nietzsche, celui de la transmutation des valeurs. Il est probable que c’est par cette canal qu’il en vient à investir un certain vocabulaire d’inspiration nietzschéenne qui passe dans sa correspondance avec Fliess.”; p. 70: “C’est à Nice, à la fin du mois du décembre 1883, que Paneth fit la connaissance de Nietzsche. On peut l’établir grâce à la correspondance de Paneth: le 15 décembre 1883, Paneth écrivait à sa femme que Nietzsche lui avait fait parvenir sa carte après avoir appris qu’il cherchait à le contacter et Paneth se dit ‘impatient de faire sa connaissance’, ajoutant qu’il n’est pas aussi inabordable qu’on le dit’. (...) Il semble qu’une réelle sympathie se soit créée entre Paneh et Nietzsche au point que d’emblée Paneth confie: ‘Il a été extrêmement aimable, il n’y a pas trace chez lui d’emphase ou d’allures prophétiques, comme je le craignais d’après sa dernière lettre. Au contraire, il s’est montré très simple et très naturel... Puis il m’a raconté sans la moindre affectation et sans aucune vanité qu’il se sentait toujours investi d’une mission et qu’il voulait désormais...’elaborer l’oeuvre qu’il portait en lui... Il m’a raconté sa vie.’ Le 3 janvier 1884, après une nouvelle promenade avec Nietzsche, Paneth confie encore avoir ‘eu six heures de conversation très animée’ (...). On peut juger par ces extraits le ton des lettres de Paneth qui ont dû faire connaître au même moment la personne de Nietzsche à son ami Freud.”
[29] Autore di Der entfesselte Prometheus, opera molto lodata da Nietzsche, prima che Lipiner si allontanassi da lui diventando wagneriano.
[30] Cf. H. NUNBERG – E. FEDERN (cura), Dibattiti della società psicoanalitica di Vienna (1906-1908), Boringhieri, Torino 1973. Ad esempio, p. 352: “FEDERN osserva che Nietzsche si avvicina a noi così tanto che c’è da chiedere dove non sia arrivato. Egli ha intuitivamente conosciuto una serie di scoperte di Freud; ha scoperto per primo il significato dell’abreazione, della rimozione, della fuga nella malattia; delle pulsioni; sia le pulsioni sessuali normali sia anche le pulsioni sadistiche. La sua filosofia è la formazione di contrasto alla sua propria esistenza. Da fonte sicura Federn può comunicare che Nietzsche ebbe, in certi periodi della sua vita, rapporti omosessuali e si prese la sifilide in un bordello di omosessuali a Genova.” Invece, Freud insiste nella sua presunta incapacità per la filosofia e la sua scarsa conoscenza di Nietzsche, in un intento per salvaguardare la originalità del suo proprio pensiero (p.23): “FREUD sottolinea anzitutto il proprio peculiare rapporto con la filosofia, la cui natura astratta gli è tanto antipatica che ha definitivamente rinunciato allo studio della filosofia. Non conosce Nietzsche; occasionali tentativi di leggerlo sono stati soffocati per un eccesso d’interesse. Nonostante le somiglianze, da più parti rilevati, egli può assicurare che le idee di Nietzsche non hanno avuto alcuna influenza sui suoi propri lavori.”
[31] Per una interpretazone di Adler in senso non nietzschiano, cf. il nostro “La soberbia y la lujuria como patologías centrales de la psique según Alfred Adler y santo Tomás de Aquino”, in I. ANDEREGGEN – Z. SELLIGMANN, La psicología ante la gracia, Editorial de la Universidad Católica Argentina, Buenos Aires 1999.
[32] Cfr. Freud et Nietzsche, 86-87: “Dès 1924, Charles Baudouin soutenait la thèse d’une filiation précise entre la thématique nietzschéene et la psychanalyse, que Wittels, son premier biographe, relevait. Autour de Freud, l’on propose le rapprochement théorique avec Nietzsche. Tel Oscar Pfister qui, en 1927, lui fait remarquer que sa position sur la religion a été exprimée par Nietzsche à son insu. Tel sortout Ludwig Binswagner, le philosophe le plus proche de Freud, qui établit un parallèle étroit entre les deux projets. Dans un texte de 1936 qui résume l’apport de Freud en un hommage solennel, Binswagner le presente comme ‘accomplissant non moins radicalement et passionnément que Nietzsche le mandat divin de son idée, mais préférant à l’eclair d’aphorismes corrosifs l’élaboration rigoureuse et systémathique du gigantesque édifice empirico-scientifique de sa technique de démasquage’.”
[33] Ibidem, (nota 5): “Son but avoué vers 1913 était de combiner la technique freudienne avec les concepts nietzschéens conçus comme support d’une Weltanschauung révolutionaire et anarchiste, ce qui l’amenait dans ses écrits à presenter le freudisme comme l’application scientifique des intuitions nietzschéennes. (...) Dans ses Effets de la communauté sur l’individu, Freud est présénté comme l’authentique continuateur de Nietzsche, l’un et l’autre sapant par leurs théories les fondaments de l’Etat conservateur.” R. NOLL, The Jung cult, Princeton University Press 1994; trad. it. Jung. Il profeta ariano, Mondadori, Milano 1999, 144: “Gross iniziò a interessarsi a Freud già al meno nel 1904, e fu uno stimato esponente del movimento psicanalitico nei sui primi anni di vero riconoscimento internazionale (cioè a partire del 1906 circa). Negli stessi anni, tuttavia, precipitò nel morfinismo cronico e, prendendo a proprio fondamento teorico Nietzsche, si mise alla ricerca di metodi pratici per cambiare la società germanica. Usò la psicanalisi quale tecnologia pratica del nietzscheanismo, ma la spinse a estremi non auspicati né da Freud né da Jung o da altri psicanalisti”.
[34] SIGMUND FREUD, Opere, (1909-1912), Boringhieri, Torino 1985, 168.
[35] Cf. X. TILLIETTE, Filosofi davanti a Cristo, Editrice Queriniana, Brescia 1991, 317: “Freud ha ammirato Nietzsche pur ammettendo di conoscerlo poco; ritiene di essere andato avanti nella psicanalisi teorica e di essere penetrato a fondo nella conoscenza di sé. In sostanza, egli adotta il tipo della critica ‘genealogica’ ed è stato molto colpito dal passo dello Zarathustra sul senso di colpa, ove compare il motivo dell’autopunizione (si tratta senza dubbio del motivo dell’’uomo laido’, della dialettica del risentimento). Molti punti di contatto avvicinano quest’indagine alla precedente ed alle altre, dal momento che la psicanalisi costituisce un tentativo di cultura sul terreno disseccato dalla morte di Dio.”
[36] SIGMUND FREUD, “Totem e Tabù”, in Opere, vol. VII (1912-1914), Boringhieri, Torino 1975, 157. Per una interpretazione junghiana, non meno “transvalorativa” di quella di Freud, cf. CARL G. JUNG, “Il simbolo della trasformazione nella messa”, in Opere, vol. XI, Boringhieri, Torino 1984, 195-283.
[37] SIGMUND FREUD, “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, in Opere, vol. XI (1930-1939), Boringhieri, Torino 1989, 410: “Per alcuni aspetti la nuova religione significò un regresso di civiltà rispetto a quella più antica, l’ebraica, come sempre succede con l’irruzione o l’ammissione di nuove masse umane di livello inferiore. (...) Eppure per ciò che attiene alla storia della religione, cioè in riguardo al ritorno del rimosso, il cristianesimo costituì un progresso, e da allora in poi la religione ebraica fu in certo modo un fossile.”
[38] SIGMUND FREUD, “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, in Opere, vol. XI (1930-1939), Boringhieri, Torino 1989, 452.
[39] SIGMUND FREUD, “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, in Opere, vol. XI (1930-1939), Boringhieri, Torino 1989, 451.
[40] San Paolo era un ebreo cittadino romano, Freud un ebreo austriaco, Saulo cambia il suo nome per il romano Paolo, Freud cambia l’ebraico Sigismund per Sigmund, ecc. Sul rapporto ambivalente di Freud con il cristianesimo, cf. PAUL VITZ, Sigmund Freud’s Christian unconscious, New York 1988.
[41] R. NOLL, The Jung cult, Princeton University Press 1994; trad. it. Jung. Il profeta ariano, Mondadori, Milano 1999, 238-239: “Quando l’individuo (io) moderno subisce una trasformazione e inizia a identificarsi con l’inconscio collettivo, diviene Cristo (autodeificazione). (...) Il problema diventa allora quello di come superare, in senso nietzschiano, la propria esperienza di essere dio. Se si diviene Cristo, tuttavia, si deve rivivere la storia di Cristo. Dopo avere attraversato l’agonia della morte psicologica (come Cristo sulla croce) e, in seguito, in quanto dio morente e sofferente, aver vissuto fino in fondo sia l’umanità che la divinità, di Cristo si deve anche rivivere la catabasi o discesa all’Inferno (il regno delle Madri, o l’inconscio collettivo). Dopo l’iniziale esperienza della deificazione, e dopo il suo felice superamento (tramite analisi, come suggerisce Jung), ‘l’intero Inferno del passato superato si apre’ e ha inizio un confronto con l’inconscio collettivo”; 239-240: “Con questo discorso Jung ci dice che il suo è un movimento basato sulle metafore del nietzscheanismo. Gli uomini che vuole sono quelli che hanno già vissuto l’esperienza di essere ‘obbligati tramite le loro individuali leggi a percorrere le loro proprie strade e sono entrati per questo in conflitto con le tradizioni prevalenti’. Tali tradizioni prevalenti sono, è chiaro, le fedi giudaico-cristiane organizzate. Non c’è posto presso di lui insomma, per chi ancora aderisce a simili ideali. È a quanti sentono una disaffezione spirituale che lo psichiatra dà invece il benvenuto, specialmente in analisi, dove essi potranno foggiarsi la loro religione personale e quindi, echeggiando le parole di Nietzsche, obbedire alla loro propria legge”.
[42] C. G. JUNG, “Bene e male nella psicologia analitica”, in Opere, vol. XI, Boringhieri, Torino 1984, 475-476.
[43] Nel suo carteggio con il Pastore Oskar Pfister, anche Freud ammette che in certo senso anche lui può considerarsi protestante, nel senso, cioè, che protesta contro la morale sessuale della Chiesa cattolica: “Anch’io posso definirmi ‘protestante’ nel senso storico che Lei dà al termine, e ricordarmi che il mio amico, il professor von Ehrenfels di Praga, ha coniato per noi due il nome di ‘protestanti sessuali’.” (Psicoanalisi e Fede. Carteggio col Pastore Pfister. 1909-1939, Boringhieri, Torino 1970, 19).
[44] C. G. JUNG, “Bene e male nella psicologia analitica”, in Opere, vol. XI, Boringhieri, Torino 1984, 57-58; ib., 52: “Nell’esercizio della mia professione ho avuto più volte occasione d’incontrare persone che avevano avuto tale esperienza immediata, e che non volevano o non potevano sottomettersi all’autorità di decisioni ecclesiastiche. Dovetti accompagnarle attraverso crisi e conflitti appassionati, attraverso il terrore d’impazzire, attraverso confusioni e depressioni disperate che erano grottesche e terribili a un tempo”.
[45] Cf. soprattutto il suo “Saggio d’interpretazione psicologica del dogma della Trinità” (1924-1948), in Opere, vol. XI, Boringhieri, Torino 1984, 115-194. Jung fa una critica esplicita de la concezione tradizionale del male come privatio boni, nel prologo al libro del tomista junghiano Victor White O.P., Dio e l’inconscio, ib. 292: “Noi chiamiamo le cose da un certo punto di vista buone o cattive, alte o basse, destre o sinistre, chiare o scure ecc. Qui la tesi è reale e effettiva precisamente come la antitesi. A nessuno verrà in mente, se non in condizioni specialissime e per un fine determinato, di definire il freddo una diminuzione di calore, la profondità una diminuzione di altezza, destro una riduzione di sinistro. Al lume di questa logica si potrebbe anche chiamare il bene una diminuzione del male. Certamente lo psicologo troverebbe un simile modo di esprimersi un po’ troppo pesimista, ma dal punto di vista logico non avrebbe nulla da obiettare [...]. Ma se egli, in quanto uomo morale, dovesse sorprendersi a passare la spugna su una faccenda immorale considerandola ottimisticamente una leggera diminuzione del bene, che solo è reale, o una ‘mancanza accidentale de perfezione’, avrebbe il dovere di richiamarsi immediatamente all’ordine. Cioè il suo discernimento dovrebbe dirgli: se il tuo male non è effettivamente che un’ombra non reale del tuo bene, allora il tuo cosiddetto bene non è altro che un’ombra non reale del tuo male reale. Se non fa questa riflessione, mente a sé stesso; simili automenzogne hanno conseguenze nevrotizzanti, cioè dissocianti, come ad esempio il senso d’inferiorità con tutti i suoi ben noti fenomeni concomitanti. / Per queste ragioni mi sono visto costretto a contestare, sul piano empirico, la validità della privatio boni. Così pure, e per le stesse ragioni, critico la posizione derivata dalla privatio boni, e cioè: ‘Omne bonum a Deo, omne malum ab homine’, poiché da una parte essa priva l’uomo della possibilità di produrre alcunché di buono e dall’altra gli conferisce la potenza tentatrice del male. L’unica dignità che gli rimane e quella dell’angelo caduto. Il mio lettore vede che prendo questa proposizione alla lettera.”
[46] L’ontologizzazione del male è una costante di tutta una importante tradizione di pensiero in lingua tedesca. Cf. L. J. ELDERS, El ascendiente de categorías filosóficas sobre la expresión de la fe, en Hombre, naturaleza y cultura, Editorial de la Universidad Católica Argentina, Buenos Aires 1998, 168: “La filosofía alemana elaboró la teoría de la culpa ontológica: el pecado, si es reconocido del todo, no tiene importancia; importante, al contrario, es la alienación ontológica. Nietzsche acogió esta manera de pensar e influyó sobre Freud, que elaboró su propia teoría del sentido de culpa (parricidio; escisión del yo en el super-yo y el yo). La tesis de Heidegger es la siguiente: el hombre ya no sabe cuál es su verdadero sitio (Unheimlichkeit). Ha sido proyectado en el mundo; debe volver al Ser. Su finitud es la causa de su culpabilidad. Cuando el hombre reconoce su culpa ontológica, llega a ser libre.” [Cf., dello stesso autore, Le sentiment de culpabilité d’après la psychologie la littérature et la philosophie modernes, en Nova et Vetera 59 (1984), 271-297].
[47] Ci sono ormai molti sacerdoti che sono pure dei psicoanalisti, usando del diritto di essere incoerenti, come dice Freud (Psicoanalisi e Fede. Carteggio col Pastore Pfister. 1909-1939, Boringhieri, Torino 1970, 128): “La mia osservazione secondo cui gli analisti di un futuro ipotizzato dalla mia fantasia non possono essere preti non suona molto tollerante, lo ammetto. Ma rifletta al fatto che io parlo di un futuro remoto. Per il momento mi vanno bene anche i medici, e quindi perché non i preti? (...) Naturalmente ci si può servire dell’umano diritto all’incoerenza, fare un tratto di strada con l’analisi, poi fermarsi, e andare regolarmente in chiesa la domenica come per esempio faceva Charles Darwin”. Per citare solo i più conosciuti: i domenicani Albert Plé (freudiano) e Victor White (junghiano), il gesuita Louis Beirnaert (discepolo di Jacques Lacan), Eugen Drewermann, che è il caso più estremo, ecc. Su quest’ultimo, Cf. A. GÖRRES - W. KASPER (Hrsg.), Tiefenpsychologie Deutung des Glaubens? Anfragen an Eugen Drewermann, Herder, Freiburg 1988.
[48] In generale, soprattutto la psicoanalisi, ma eventualmente anche altre scuole di psicoterapia (come quelle di Jung, A. Maslow, o C. Rogers).
[49] A. GÖRRES, “Il male e il superamento del male nella psicoterapia e nel cristianesimo”, in A. GÖRRES - KARL RAHNER, Il male. Le risposte della psicoterapia e del cristianesimo, Paoline, Milano 1987, 167-168. La causa è la “colpevolizzazione, che consiste nell’inoculare sentimenti di colpa” (ib.). “Il cristianesimo suscita lo spirito di contraddizione e la protesta, perché sembra non conoscere la natura umana e imporci delle esigenze esagerate. Gesù è forse un cattivo psicologo. Egli ci scoraggia. Chi non si sente condannato a fallire, anzi preso in giro, quando egli chiede che amiamo Dio sopra tutto, più di noi stessi? Chi non si sente un poco ipocrita, quando prega: Sia fatta la tua volontà? Chi infatti riesce a prendere sul serio una cosa del genere? Chi, per quanto stimi modestamente se stesso, non si sente offeso, quando gli viene negata ogni possibilità di compiere con le proprie forze anche il bene più piccolo? Chi può udire mormorare le parole: ‘Senza di me non potete fare nulla’? Porre davanti agli occhi un traguardo irraggiungibile significa condannare l’uomo a incessanti sentimenti di colpa. Il più umano Antico Testamento dice invece con mitezza e in maniera psicologicamente più giusta, come noi incliniamo a pensare: ‘Cerca di non essere né troppo giusto né troppo saggio’ (Qo 7, 16).”
[50] A. GÖRRES, “Il male...”, 170; 172: “Nel suo acuto saggio Aggression und die theologische Lehre von der Sünde il teologo protestante Wolfhart Pannenberg, preceduto in questo dallo psicanalista O. Pfister, ha osservato che molti sentimenti di colpa di cristiani piccoli e grandi vanno visti come una trasformazione dell’aggressività nell’autodistruzione. Ma stando alla proposizione ‘Come io a me, così io a te’ il rivolgimento autodistruttore dell’aggressività verso l’interno si traduce in fretta e regolarmente in un comportamento aggressivo verso l’esterno, un meccanismo questo ben noto a partire da Nietzsche e Freud. Le smanie di distruzione del cristianesimo nel corso delle persecuzioni delle streghe e degli eretici in nome di Dio, nonché le tante quotidiane astiosità e indifferenze di persone professionalmente pie parlano qui un linguaggio eloquente”.
[51] A. GÖRRES, “Il male...”, 170-171; p. 174: “Chi partecipa a una danza religiosa festiva in Israele, chi vede come lì il dono divino della Tora viene celebrato con danze e con giubilo, si domanda dove questo miracolo dell’accettazione entusiastica del divino sopravviva nella sensibilità dei cristiani. Sembra che essi debbano lasciare fuori della porta l’entusiasmo, l’erotismo, il sensibile, che si coagulano ed esprimono nella danza, come se il Creatore non li avesse propriamente voluti.
[52] A. GÖRRES, “Il male...”, 171.
[53] A. GÖRRES, “Il male...”, 194.
[54] A. GÖRRES, “Il male...”, 177: “Il fatto che non Dioniso ma Cristo sia dato agli uomini come via, verità e vita, come modello con cui identificarsi e da seguire è cosa che giova assai al bene e alla salvezza umana. Ciò nonostante nulla ci vieta di rimpiangere il congedo da Dioniso”.
[55] Cf. I. ANDEREGGEN - Z. SELIGMANN, La psicología ante la gracia, EDUCA, Buenos Aires 19992.
[56] “Il castello interiore”, in EDITH STEIN, Natura, persona, mistica. Per una ricerca cristiana della verità, Città Nuova, Roma 1997, 145. La santa si riferisce soprattutto a la psicologia naturalistica del XIX secolo, ma quello che dice serve pure per la psicologia nietzschiana e le sue derivazioni psicoanalitiche. E poi, fa questa acuta analisi di “psicologia profonda” cristiana: “Dinanzi a una così incomprensibile cecità nei confronti della realtà dell’anima, che si presenta come un fatto storico nella psicologia naturalistica del XIX secolo, viene da pensare che a causare tale accecamento e a nascondere la profondità dell’anima non sia stato semplicemente l’arroccamento in determinati pregiudizi metafisici, bensì inconsapevolmente una forte angoscia di fronte a un incontro con Dio. Dall’altro lato sta il fatto che nessuno è penetrato tanto addentro nelle profondità del anima quanto gli uomini che avevano abbracciato il mondo con cuore ardente e poi erano stati liberati dalla possente mano di Dio da ogni pastoia, e quindi introdotti nella propria sfera interiore e nella loro più recondita intimità. Accanto alla nostra santa Madre Teresa dobbiamo mettere qui in prima linea sant’Agostino, a lei così profondamente affine e come tale da lei così sentito.”
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