Le ricerche rivelano: coppie gay, figli a rischio
di Stefano Parenti
12-07-2017
Molte delle recenti accuse rivolte ai professionisti e molte delle pretese sulla cosiddetta stepchild adoption,
la possibilità di adozione da parte di coppie di persone con tendenze
omosessuali, si basano sull’assunto che due uomini o due donne adulte
siano equivalenti ad una mamma ed un papà. Spesso, i sostenitori di
queste opinioni si rifanno alla ‘psicologia’ o a delle non sempre ben
definite ‘ricerche’, che attesterebbero l'assenza di differenza tra una
famiglia “tradizionale” ed una famiglia omo-parentale. Ma è davvero
così? Cosa dicono veramente gli studi sperimentali
sull’omogenitorialità?
Per scoprirlo, è bene dotarsi di un piccolo manualetto da poco edito da Vita e Pensiero: “Omogenitorialità, filiazione e dintorni. Un’analisi critica delle ricerche”.
L’autrice è la dottoressa Elena Canzi, collaboratrice del Centro di
Ateneo per Studi e Ricerche sulla Famiglia, che da anni approfondisce la
letteratura internazionale sul tema e che ha deciso di fare il punto
della situazione da una prospettiva prettamente scientifica. Il cuore
del volume è posto in risalto sin dalla Presentazione, firmata da
Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli: «Dal corpus delle ricerche presentate
risulta di tutta evidenza la forzatura della tesi della ‘non
differenza’” nello sviluppo tra i bambini di coppie omosessuali e di
coppie eterosessuali» (p. IX).
Sia gli studi che analizzano le coppie di persone con tendenze omosessuali,
sia quelli che si focalizzano sui figli di tali coppie, sia le ricerche
sull’adozione, ovvero i tre capitoli in cui si divide il testo, letti
con la serietà propria del ricercatore, svelano diverse criticità.
Primo: le ricerche sono poche e sono mal condotte. «Nella stragrande maggioranza dei casi i campioni utilizzati non sono rappresentativi della popolazione» (p. 13).
Secondo: laddove i dati sono intelligibili, emergono non poche problematicità.
Ad esempio: le ricerche attestano una marcata preferenza dei figli per
il ‘genitore di nascita’ a discapito del ‘genitore sociale’; le famiglie
di origine (i nonni) sembrano fornire un supporto inferiore ai nuclei
omoparentali rispetto alle unioni tradizionali; i bambini cresciuti da
due genitori dello stesso sesso testimoniano una maggiore difficoltà
negli ambiti del comportamento di genere e dell’orientamento sessuale; i
ragazzi che vivono con due mamme lesbiche, in particolare, presentano
delle criticità nella relazione identitaria con i genitori ed anche nel
rapporto con i coetanei: «In sintesi possiamo dire che la situazione di
disagio di questi ragazzi è di tutta evidenza nei confronti dei pari,
soprattutto durante l’adolescenza, ma anche nei confronti dei propri
genitori» (p. 34).
Terzo: le coppie omosessuali tendono ad essere meno stabili
delle coppie eterosessuali, con tassi elevati di attività sessuale al
di fuori della coppia, specialmente per gli uomini gay. Anche l’ambito
della salute mentale e fisica sembra essere critico, poiché la
popolazione omosessuale presenta un’incidenza superiore alla media di
patologie psichiatriche, come i disturbi dell’umore o i disturbi
d’ansia, nonché le dipendenze e la presenza di pensieri e/o atti
suicidari. Paiono, quindi, molto sensate le parole conclusive
dell’autrice: «L’adozione da parte di coppie omosessuali si configura
quindi come un quadro molto complesso, in cui bambini e ragazzi si
trovano a fronteggiare diverse situazioni di rischio e sono impegnati in
compiti di sviluppo ‘aggiuntivi’ rispetto sia ai coetanei non adottati,
sia ai coetanei adottati da coppie eterosessuali» (p. 51).
Quarto: stiamo assistendo ad un utilizzo ideologico della psicologia.
Bisogna cambiare rotta: «La ricerca empirica va riconosciuta ed
apprezzata per quel che essa è in grado di offrire e non caricata di
compiti ad essa estranei come quello di giustificare una nuova
concezione antropologica della filiazione» (p. XVI).
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