Come presentazione e recensione dell'ultimo testo scritto da Roberto Marchesini sul rapporto tra la psicologia clinica (psicoterapia) e la psicologia tomista viene pubblicata la presentazione (pp. 7-26) scritta da Stefano Parenti. Il teso risulta particolarmente significativo poiché descrive l'utilità della psicologia tomista nella praticità e concretezza del lavoro clinico. Di seguito si riporta l'indice del volume. Si ringrazia l'editore per la concessione della riproduzione.
Titolo: Aristotele, san Tommaso d'Aquino e la psicologia clinica
Autore: Roberto Marchesini
Editore: D'Ettori, Crotone
Anno 2015, pp. 126, prezzo12,90 euro
Indice: 1. La psicologia di padre Brown; 2. Della paura; 3. Dell'ansia e degli attacchi di panico; 4. Dell'autostima (o umiltà); 5. Della dipendenza affettiva (o rispetto umano); 6. Del cordone ombelicale; 7. Del perdono; 8. Delle fantasie sessuali; 9. Del dare e dell'avere; 10. Degli abiti, o dei vizi e delle virtù; 11. Delle dipendenze; 12. Piccola apologia della libertà; 13. Elogio dell'incoerenza; 14. De aegritudo animae thomistico metodo; 15. Principi (aristotelico)-tomisti e loro applicazione clinica.
Presentazione
“[…]
la visione antropologica, da cui muovono numerose correnti nel campo delle
scienze psicologiche del tempo moderno, è decisamente, nel suo insieme,
inconciliabile con gli elementi essenziali dell’antropologia cristiana, perché
chiusa ai valori e significati che trascendono il dato immanente e che
permettono all’uomo di orientarsi verso l'amore di Dio e del prossimo come sua
ultima vocazione”.
San Giovanni Paolo II, L’incapacità psichica e le dichiarazione di
nullità del matrimonio. Discorso al Tribunale della Rota Romana, AAS, LXXIX
(1987) 1453-1459.
È
per me un onore introdurre quest'ultima opera dell'amico e collega Roberto
Marchesini. Un libro che può apparire esile nel peso e facile nella lettura,
eppure in grado di nascondere una saggezza d'incredibile profondità. Molte
verità necessitano di poche e semplici parole. Dio si presentò a Mosè
sinteticamente: “Io sono Colui che sono”[1].
A Socrate bastò un paradosso, così tipico della sua maieutica, per sconfiggere
i sofisti: “So di non sapere”[2].
San Benedetto gettò le fondamenta dell'Europa con due imperativi: “Ora et
labora”[3]. Molte
delle esperienze più importanti si nascondono all'interno di forme semplici,
persino banali. La vita, ad esempio, si manifesta attraverso una fragile
margherita di campo. L'amore, nei gesti umili e quotidiani di una moglie che
lava il bucato e prepara la cena. Cristo, centro del cosmo e della storia,
addirittura attraverso un modesto pezzo di pane. L'apparenza nasconde una
sostanza più profonda. È necessario oltrepassare la superficie per raggiungere
l'essenza. In questa introduzione desidero accompagnare il lettore ai contenuti
latenti delle pagine seguenti.
1.
Una psicologia cattolica
Qualche
anno fa ho avuto la fortuna (ma la fortuna non esiste!) di seguire un corso
sull'educazione all'affettività assieme a Roberto Marchesini. Già lo conoscevo
per il suo fondamentale contributo alla psicologia dell'omosessualità, ma
ancora ignoravo che il suo interesse principale coincidesse con il mio: la
psicologia cattolica. Da quel giorno nacque una profonda simpatia ed una
proficua collaborazione che hanno portato all’apertura del sito internet Psicologia
e Cattolicesimo[4], sul
quale pubblichiamo recensioni di testi, traduzioni ed articoli inediti.
Significativamente, il nome riproduce il titolo del primo libro sull'argomento
che Marchesini aveva curato[5],
nel quale approfittava di una corposa introduzione per ripercorrere i rapporti
tra Chiesa Cattolica e psicologia. Dalla disamina storica emergeva una realtà
ben diversa da quella comunemente nota. Laddove gli esponenti della psicologia
identificano nella Chiesa la principale forza ostile allo sviluppo della
disciplina[6],
i documenti pontifici e le note pastorali - che Marchesini ripercorreva nel
testo - testimoniano un interesse profondo da parte di quest’ultima per il
sapere psicologico. Ma essi sono brani di difficile reperibilità, dimenticati
nel corso degli anni, poco frequentati anche dai cattolici. I laici si sono
disinteressati al lascito del Magistero; di conseguenza i contributi originali
sono pochi e poco approfonditi. Così, la psicologia è diventata il terreno
degli oppositori della Chiesa, in cui il cattolicesimo è comunemente inteso
come un ostacolo alla laicità professionale. Più che riguardare i fedeli atei,
il problema dovrebbe interrogare i fedeli cristiani. Eppure su tale argomento
regna un silenzio pressoché assordante.
Si conoscono ormai bene gli effetti
della secolarizzazione e scristianizzazione della società: la precarietà dei
legami coniugali[7],
l'assenza dei padri[8], la
dittatura del relativismo[9],
la riduzione del cristianesimo ad etica[10],
la transvalutazione dei valori morali, ecc. I cattolici che denunciano i mali –
quasi sempre con una testimonianza di vita, quasi mai con una diatriba
culturale - sono osteggiati o, nel migliore dei casi, ridotti a connivenza con
la società laicista. La vita di fede, ove è evidente, dà fastidio; dunque al
cattolico viene chiesto di professarla rintanato nelle mura casalinghe, in modo
che non disturbi con pericolosi “contagi”. Nell'ambito della professione
clinica ciò che si osserva è una “scissione” dello psicologo cattolico: “Il
rischio è quello di scindersi, ossia di essere cattolico nella preghiera
quotidiana, nella frequenza ai sacramenti, nel tentativo di attuare la dottrina
sociale della Chiesa dove ve ne sia la possibilità; ma di chiudere tutto questo
fuori dalla stanza di terapia”[11].
Un tale atteggiamento segnala una convinzione, spesso implicita: la fede, se
c’è, non ha nulla a che fare con la psicologia. Le recenti parole di papa
Francesco sembrano richiamare l'attenzione sul tema: “La formazione dei
laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali
rappresentano un’importante sfida pastorale”[12].
Marchesini si oppone alla scissione.
Riformulando un’espressione di don Giussani, si domanda: “Se Cristo è tutto,
che cosa c'entra con la…psicologia?”[13].
Nella letteratura, le (poche) proposte che tentano di rispondere al quesito
paiono insoddisfacenti. C'è chi sostiene che lo psicologo cattolico si distingua
per una strenua osservanza dell'etica professionale: pregare per i pazienti,
adeguare le fatture, agire moralmente. Personalmente, ho incontrato il
cristianesimo quando frequentavo l'università, affascinato da degli amici
“strani” per i quali il rapporto con Cristo era il cuore della vita. Non un
cappello, da potersi indossare o riporre a seconda delle circostanze, ma il
centro dello studio, il perno dei rapporti, il fil-rouge della
quotidianità. Una bella frase di Jacopone da Todi ne riassume sinteticamente lo
spirito: “Cristo me trae tutto, tanto è bello”[14].
In questa prospettiva di vita, la morale ricopre certamente un ruolo
importante, ma non l'unico, e neppure il primo da un punto di vista
cronologico. L'agire, infatti, è una conseguenza dell'essere (agere sequitur
esse, stabilisce un principio primo aristotelico); se la sequenza si
inverte l'esito è il moralismo, ossia una concezione secondo cui le regole di
Gesù, e non la persona viva di Cristo, determinano l'esistenza. Nella sua
enciclica più bella, papa Benedetto XVI ha voluto esplicitare l'erroneità di
una posizione moralista: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una
decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una
Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”[15].
Un cristianesimo ridotto ad etica è arduamente conciliabile con una vita in cui
Cristo è “tutto”. Di conseguenza una psicoetica, cioè una modalità di intendere
il mestiere psicologico a partire dalla morale cristiana ma senza un richiamo
diretto a Cristo stesso, rischia di alimentare la scissione invece di
ricomporla.
Ma vi sono altri tentativi di
soluzione al problema. Alcuni autori sostengono che sia la dottrina della
Chiesa a doversi modificare sulla scia delle “scoperte” dalla psicologia. È la
posizione di molti psicoanalisti, i quali hanno aderito alla dottrina freudiana
come i fedeli di una seconda chiesa. Gli esempi di Lemercier[16]
e di Drewermann[17] sono
ben noti, ma anche in Italia tale rischio sembra talora palesarsi. Ad esempio
Mazzocato descrive un Magistero che “non sa”[18], che possiede dei “difetti”[19]
e che è “incapace”[20]:
“È l'impianto teorico dell'antropologia cristiana che deve essere ripensato,
perché si possa far luce sul modo di utilizzare i dati delle scienze psicologiche.
[…] è l'impianto stesso dell'ontologia che va infatti ripensato”[21].
Anche questa concezione riduce il fatto cristiano ad elemento secondario, né
necessario né sufficiente. Difatti, Mazzocato sostiene che: “La vita di fede
facilita e potenzia la crescita umana, ma non ne costituisce una specifica
connotazione”[22].
Come per altri autori[23],
l'incontro col Magistero non sembra possedere una portata educativa, bensì è
percepito di ostacolo alla scoperta della verità. Eppure San Giovanni Paolo II
aveva precisato che: “[…] Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo
stesso”[24], sulla
scia del Concilio che aveva sintetizzato: “In realtà solamente nel mistero
del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo”[25].
Quale alternativa allora? La
soluzione la offre lo stesso Marchesini, rileggendo e riscoprendo il contributo
di un grande autore sconosciuto: Rudolf Allers. Già nella prima metà del XX
secolo, Allers intuì che la divergenza all'origine della scissione fosse da
rintracciarsi nelle antropologie soggiacenti le prospettive psicologiche[26].
Una concezione parziale o ridotta dell'uomo porta ad una teorizzazione della
psicologia umana fuorviante o faziosa. Una prassi clinica (psicoterapia)
dedotta da una tale teoria non può che risultare inadeguata o erronea. Si rende
necessaria, allora, una psicologia cattolica, cioè una concezione che
origini dall'antropologia cristiana e permetta un agire in conformità con i
suoi principi. “Una psicologia medica cattolica deve essere una vera sintesi
delle verità contenute nei sistemi già esistenti e inaccettabili, visto il loro
spirito di materialismo puro, e le verità della filosofia e la teologia
cattolica. Questo lavoro di sintesi non può essere compiuto che da persone
istruite e nella medicina o psicologia e nella filosofia, e che possiedono una
esperienza pratica e personale assai grande: cioè questo lavoro deve essere
fatto da medici, specialisti di psichiatria, dunque da scienziati cattolici
laici”[27].
- Ancilla philosophiae
Quando propongo tali argomentazioni spesso ricevo in
cambio sbeffeggiamenti e contestazioni. Si obietta che è fuorviante affiancare
un aggettivo qualificativo (“cattolica”) ad una disciplina che, almeno in
parte, desidera essere annoverata tra le scienze, perlomeno tra le scienze
umane. Non esiste una geometria cattolica, e neppure una matematica cattolica,
né una chimica cattolica né una ingegneria cattolica. Dunque, si conclude, non
può esserci una psicologia cattolica. Bisogna notare, però, che non sussistono
neppure delle geometrie positiviste, delle matematiche esistenzialiste, delle
chimiche costruttiviste o delle ingegnerie materialiste. Invece identifichiamo
delle filosofie positiviste, esistenzialiste, costruttiviste e materialiste.
Purtroppo, ci troviamo in un momento storico in cui la riflessione filosofica è
bloccata da un atteggiamento relativista, tale per cui ogni teoria viene
ritenuta né più né meno vera di un'altra. La conseguenza è una fastidiosa ed
invalidante impossibilità di confronto e di progresso. Lo stesso avviene nella disciplina
psicologica, la quale procede tragicamente per scuole di pensiero invece che
per problemi[28]. Ogni
scuola tende a stabilire autonomamente ed arbitrariamente i principi primi o
assiomi da cui opera. Tali principi non derivano dall'osservazione clinica o
dalla pratica terapeutica, ossia dall'oggetto di studio, ma da una filosofia
implicita che, rimanendo latente ed indiscussa, non può essere confutata. Il
metodo d’indagine e di lavoro, invece che essere imposto dall'oggetto, è
imposto dal soggetto. La psicologia freudiana non differisce da quella
adleriana o comportamentista o umanista per l'oggetto d'indagine, ad esempio le
nevrosi, bensì per la preconcezione di uomo da cui analizza ed interviene sulle
nevrosi. Cosa accadrebbe se l'antropologia implicita si rivelasse parziale o
erronea? L'intero edificio rischierebbe di crollare, ed è per questo motivo che
ogni scuola tende a trasformare la propria teoria in dottrina, ove i principi
diventano dogmi che non possono essere messi in discussione. Se ci si
confrontasse a partire dai problemi, come avviene in matematica, geometria,
fisica o ingegneria, la disciplina godrebbe di un vero avanzamento. Sorrido al
pensiero che una posizione così “progressista” sia proprio un cattolico,
usualmente ritenuto “bigotto”, a sostenerla. La modernità ha preteso di fondare
la propria consistenza sullo scientismo[29],
isolandosi dal passato ed in particolare da quelle filosofie antecedenti la
“rivoluzione” scientifica. I manuali sostengono che la psicologia origini dai
laboratori di psicofisica, ossia dalla decisione di rendere autonoma la
disciplina dalla filosofia: “L’adozione del metodo sperimentale, e quindi
l’istituzione di laboratori in cui condurre esperimenti, viene considerata da
molti storici della psicologia come lo spartiacque tra due millenni di
psicologia «filosofica» e centoventi anni di psicologia scientifica”[30].
Il progetto autonomista sembra essere giunto a compimento, dal momento che gli
esami di filosofia nei corsi di laurea di psicologia sono scomparsi: “Gli studenti
di psicologia spesso hanno l’idea che la filosofia sia morta e finita”[31].
Eppure una psicologia autonoma dalla filosofia non esiste: “Non diciamo
niente di nuovo affermando che ogni scuola di psicoterapia dipende da premesse
antropologiche esplicite o implicite”[32].
Il legame che lega le due discipline è molto più stretto di quanto la modernità
voglia ammettere ed è Allers a precisarlo: “Così, la psicologia dipende
nella sua fondazione teoretica dalla metafisica e dall’ontologia; d’altra
parte, essa può provvedere alla metafisica dati preziosi che quest’ultima può
usare per stabilire ancora meglio le sue affermazioni. La psicologia, dunque,
serve la metafisica ed è servita da essa. La psicologia non è, forse, essa
stessa filosofia, ma i suoi rapporti con la filosofia sono almeno più stretti
da quelli di tante altre scienze. Per compiere i suoi compiti più propri e per
raggiungere la sua perfezione la psicologia deve diventare, ciò che essa è
essenzialmente: ancilla philosophiae”[33].
Dunque, una psicologia che origina
da una antropologia freudiana si definisce psicologia freudiana; una psicologia
che nasce da una concezione umanista è detta psicologia umanista; una
psicologia che si sviluppa da una filosofia cattolica non potrà che chiamarsi
una psicologia cattolica.
- Il tomismo
San
Giovanni Paolo II ha precisato che: «La Chiesa non propone una propria
filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre»[34].
Non esiste, dunque, una filosofia cattolica in senso forte, poiché ogni scuola
– risaltando un accento particolare della realtà – potenzialmente può favorire
il riconoscimento della verità. Ciononostante, vi sono filosofie che si
conformano al dato rivelato e ne permettono la comprensione più di altre. Come
scrisse un altro Pontefice, Pio XII, esiste: “[...] una dottrina più sana e
più conforme al magistero della Chiesa, quale appunto è contenuta nei volumi di
Tommaso d’Aquino”[35].
San Tommaso d’Aquino, in uno dei momenti storici più “alti” di tutto il sapere,
ebbe l’intento di integrare le verità della tradizione platonica, diffusasi in
Occidente ed utilizzata ampiamente dai Padri della Chiesa, con i principi
dell’aristotelismo; e queste con la Rivelazione. Ne nacque un connubio in grado
di dare ragione di molte delle verità dell’uomo e del cosmo, nonché della
Rivelazione stessa. All'interno degli scritti dell'Aquinate è possibile
rintracciare una precisa antropologia filosofica e, di conseguenza, anche una
psicologia. Numerosissimi autori, provenienti dalla filosofia ma anche da altre
branche del sapere, si sono avvicendati nel corso dei secoli per comprendere i
fatti psichici sulla base della psicologia tomista.
Si può sostenere che il tomismo,
nelle sue numerose e spesso ridotte varianti, ha accompagnato tutta la storia
della filosofia. Quei sistemi filosofici che da esso si distinguono,
soprattutto a partire dal XVI secolo, risultano comprensibili solo se
riconosciuti come reazioni all'impostazione tomista. Cartesio, ad esempio,
tentò di conciliare la concezione dell'anima come forma del corpo[36]
con le esigenze razionaliste del suo tempo, ipotizzando che la ghiandola
pineale fosse il “luogo d'incontro” tra l'universale, da lui definito res
cogitans, ed il particolare, da lui chiamato res extensa. La
filosofia di Kant è un'esplicita “critica” della metafisica tomista, che
riteneva averlo imbambolato in un “sonno dogmatico”[37].
Gli esempi potrebbero continuare, poiché la storia della filosofia si dipana
lungo processi di critica dei modelli precedenti e nuove teorizzazioni, anche
se troppo spesso gli avanzamenti si sono rivelati retromarce. Il pensiero
contemporaneo è l'esito di numerose “rivoluzioni” e “contro-rivoluzioni” che
sono originate dal rifiuto del pensiero medievale.
All'interno della psicologia tale
ostilità traspare sinuosamente e, troppo spesso, velatamente nelle
ricostruzioni storiche sulla disciplina, in particolare nel disprezzo per le
origini medievali. Solo per fare un esempio, un testo adottato in molte
università italiane, su cui io stesso mi formai, riporta i seguenti giudizi: “Per
molti secoli il pensiero umano occidentale ha escluso che l’uomo potesse essere
oggetto di indagine scientifica. […] Questa impossibilità affermata di
studiare l’uomo è tipica del pensiero cristiano medievale. […] Il
pensiero medievale è infatti del tutto alieno dallo studio dell’uomo, di cui
nega addirittura la possibilità”[38].
Ritengo che sia superfluo confutare tali affermazioni, sulla cui erroneità sono
disponibili ampi e documentati saggi[39].
Invece, mi interessa riconoscere che il cristianesimo ha sviluppato diverse
forme di psicologia, anche di stampo clinico: la demonologia dei Padri
Orientali[40], la
pratica del discernimento degli spiriti[41],
la direzione spirituale. L'antropologia tomista ha anticipato la psicologia
moderna ed ha accompagnato il suo evolversi sino al presente[42].
Non è dunque vero che la psicologia nasce con Wundt. Così come non è vero che
la clinica nasce con Freud[43],
al quale è persino erroneo attribuire la scoperta dell'inconscio[44].
È invece vero che le attuali ricostruzioni storiche divulgano uno spirito
scientista che condivide con il positivismo ottocentesco l'idea secondo cui la
psicologia debba autonomizzarsi dalla filosofia. Positivismo e scientismo
nascondono, in realtà, il desiderio di eliminare il substrato culturale
dell'Occidente che, partendo dalle radici giudaiche ed unitosi alla filosofia
greca, era stato sintetizzato proprio dal pensiero medievale. In quegli anni di
fervente odio anti-cattolico (i moti mazziniani in Italia e la kulturkampf
in Germania sono solo gli esempi più noti), la filosofia tomista veniva
fortemente riproposta dal Magistero come antidoto al modernismo. Bisognerebbe
riscrivere i libri di storia.
4.
La psicologia tomista
La
revisione storica, però, rischia di rimanere un tentativo intellettuale, per
quanto onorevole, se non genera una percezione di utilità nello psicologo
contemporaneo. Il merito di Marchesini è di mostrare come la conoscenza
dell'antropologia tomista aiuti il professionista a comprendere più chiaramente
ciò che incontra e ad individuare una modalità d'intervento pratico che sia
conforme alla ragione e alla Rivelazione. Sinteticamente, mi sembra che siano
tre gli ambiti in cui la psicologia tomista fondi l'operare dello psicologo:
a)
nel riconoscimento dei valori e dei limiti dei sistemi psicologici moderni, e
delle concezioni filosofiche ed antropologiche ad essi sottesi[45];
b)
nello studio della psicologia generale, grazie ad un'ampia e complessa disamina
delle facoltà, di cui l'unità psicofisica dell'uomo, la coscienza, il rapporto
ragione-emozione, la percezione sensoriale, il ragionamento, ecc., sono solo
alcuni dei temi più importanti[46];
c)
nella psicologia clinica e specialmente nella comprensione del disturbo
psichico e degli interventi adeguati alla sua cura.
È
in quest'ultimo campo che si concentra la trilogia di Marchesini, iniziata col
già citato Psicologia e cattolicesimo, proseguita con La psicologia e
san Tommaso d'Aquino[47]
ed ora portata a compimento dal presente scritto. Egli prosegue l'opera di
numerosi autori ignorati dalla psicologia ufficiale[48]
che hanno tentato di comprendere il disagio, la sofferenza, il disturbo
psichico con i principi della filosofia tomista. Benché i passi mancanti siano
molti di più di quelli fatti, l'approccio tomista ha il merito di fare
chiarezza su numerosi punti oscuri che il riduzionismo delle psicologie e la
varietà quasi antinomica della selva delle psicoterapie impediscono di
chiarire. I modelli teorici sono così numerosi e formalmente distanti che i
tentativi di sistematizzare il sapere si disperdono in una sequenza confusiva
di congiunzioni[49]. Nel
marasma generale tutti hanno ragione e nessuno ha torto. Molti anni fa, Allers
intuì la strada per dipanare la matassa: “Nel
corso della guerra del 1914-18, nei lunghi periodi di relativa inerzia
all’ospedaletto da campo, crebbe in me la persuasione che la filosofia tomista
offrisse in realtà la base più adatta per lo sviluppo di un sistema di
«antropologia filosofica» quale fondamento di una teoria della psiche sia
normale che anormale”[50].
L'adozione di una «sana antropologia» quale fondamento dell’intervento,
permette allo psicologo cattolico di iniziare a ricucire la scissione tra
l'appartenenza alla Chiesa e la pratica professionale. Il presente libro
testimonia la passione di Marchesini nel voler ricomporre la frattura,
divulgando un contributo che dovrà essere meditato, applicato ed ampliato. Una
psicologia clinica cattolica attende di essere edificata. Il tomismo
costituisce l'ambito filosofico privilegiato su cui costruire teoria e prassi:
“Più considero i problemi presentati dalle condizioni odierne, e più mi
convinco che la philosophia perennis ci fornisce i principi necessari per
affrontare tutte le questioni. Ma, soltanto i principi”[51].
Non rimane che dimostrarlo con alcuni esempi.
- L'inconscio
Generalmente
si identifica l’apporto principale della psicologia con l’analisi
dell’inconscio, il cui scopritore viene erroneamente ritenuto Sigmund Freud.
Sappiamo che Freud non fu affatto il primo a teorizzare l’inconscio, e che
molti altri suoi predecessori ne anticiparono l’idea. La “leggenda” creatasi
attorno a Freud, come Allers stesso la definì[52],
ha fatto si che la teoria freudiana sull'inconscio divenisse la concezione
comunemente nota. Egli descrisse l’inconscio come una regione della mente, vera
origine della persona, dominata da pulsioni di natura biologica e di carattere
sessuale, finalizzate al conseguimento del piacere. Teorizzò che il meccanismo
di accesso all'inconscio fosse la rimozione, e che esistesse un filtro
unidirezionale tale per cui il materiale “rimosso” fosse impossibilitato ad
accedere nuovamente alla coscienza. L’immagine dell’iceberg, da lui stesso
utilizzata, è esemplificativa. Uno studio scientifico dell’inconscio è assente
e, vista la sua natura ineffabile, per verificare la fondatezza della teoria
freudiana si ricorre all'esperienza ed alla speculazione filosofica. Allers, e
numerosi autori a lui successivi, smascherarono l'arbitrarietà della concezione
freudiana. Benché ritenesse che: “Una sana teoria dell'inconscio deve ancora
essere elaborata”[53], Allers restituì al mondo della psicologia le importanti
riflessioni di sant'Agostino sulla “seconda volontà”. Nelle Confessioni, il Vescovo d'Ippona
descrisse il dinamismo psichico che motiva il desiderio di compiere un'azione
quando, al contempo, se ne agisce una contraria: “Non è dunque
un'assurdità quella di volere in parte, e in parte non volere; è piuttosto una
malattia dello spirito, sollevato dalla verità, ma non raddrizzato del tutto
perché accasciato dal peso dell'abitudine. E sono due volontà, perché nessuna è
completa e ciò che è assente dall'una è presente nell'altra”[54].
Il “vorrei cambiare...ma non posso” non è dovuto ad una debolezza della
volontà, bensì alla presenza di una seconda motivazione diretta ad altri fini
di cui si è all'oscuro. “Bisogna riconoscere chiaramente che la «seconda
volontà» di cui parla Sant'Agostino nel passo citato in precedenza, è una
volontà di cui l'uomo stesso per lo più non sa nulla, e che deve scoprire con
un laborioso esame di sé per comprenderla e per comprenderne gli scopi. Questa
seconda volontà viene nutrita dalle impressioni che ci entrano nell'anima senza
che vi pensiamo, e persino senza l'intervento della coscienza”[55].
Ricordo bene il racconto triste ed appassionato di un adolescente che
desiderava riprendere la scuola dopo un ricovero di alcune settimane. Solo che,
suonata la sveglia del mattino, gli occhi non si aprivano! Giorno dopo giorno
era impedito di alzarsi, ovviamente solo fino a mezzodì. Ragionandoci assieme,
divenne evidente che il desiderio di tornare dai suoi compagni implicava una
fatica che, per orgoglio, non ammetteva e, per pigrizia e per timore, aveva
paura ad affrontare. La volontà era scissa: andare a scuola e rivedere gli
amici, da una parte, stare a casa e non affrontare le difficoltà dello studio,
delle interrogazioni, della vergogna, ecc., dall'altra. Vinceva la metà più
comoda, benché disadattiva.
Dunque, sono inconsce alcune verità di
sé che la mente occulta, o reprime, che si svelano nell’agire: la persona si
scopre “in azione”[56].
San Tommaso chiama questa dinamica psichica caecitas
mentis[57].
“La causa di questo inconscio è senza dubbio […] l’orgoglio, che non
ammette di vedere le imperfezioni reali che si possiedono. La conseguenza è
l’impossibilità di migliorare”[58].
- Aegritudo animae o disturbo psichico
Orgoglio
e superbia sono atteggiamenti, o disposizioni abituali, che originano dalla
natura decaduta dell'uomo: “C'è nella natura umana una disposizione funesta
che porta l'uomo a mentire a se stesso, a fare una cosa credendo che essa sia
totalmente diversa da ciò che è, ad agire senza sospettare neanche i veri
motivi delle sue azioni”[59].
Quando la realtà appare diversa dalle immagini che si hanno di essa, emerge il
“[…] dramma umano: la rivolta contro la realtà”[60].
La rivolta è una forma di non accettazione della realtà che una plurisecolare
tradizione ha chiamato superbia: il pretendere di elevarsi
volontariamente al di sopra di ciò che uno è[61].
Secondo Allers la non accettazione della realtà è la causa prima di quei
disturbi che, per diversi anni, sono stati definiti nevrotici: “[...] la
forma di malattia e d'aberrazione derivante dalla conseguenza della rivolta
della creatura contro la sua naturale mortalità e impotenza”[62].
È la percezione di inferiorità, di limitatezza, di impotenza a scatenare la
ribellione. “Il conflitto alla radice della nevrosi non è tra impulsi e
condizioni dello sviluppo che negano la soddisfazione, e nemmeno tra
l'individuo e le richieste della società, ma tra la superbia originale
dell'individuo caduto (che, causata dal peccato e riconducente ad esso, lo
costringe a sforzarsi per raggiungere l'infinitezza) e il riconoscimento della
sua essenziale finitezza”[63].
Le parole di Allers esprimono
concetti di natura universale e possono apparire poco psicologiche. Se ci
domandiamo, però, quale sia la coscienza di sé che una persona possiede nel
momento in cui sperimenta un limite, una finitezza, una impossibilità,
scopriamo fragilità, impotenza ed insicurezza. Ricordo una paziente che, di
fronte alla mole di lavoro assegnatale dal responsabile dell'ufficio, piangeva:
“Io non ce la
faccio! Io non posso! Io non riesco!”. Ed implicitamente affermava: “Non ce la posso fare, non ho strumenti
per riuscire, non potrò mai!”. Sperimentava impotenza e debolezza, anche se
in passato aveva dimostrato di saper svolgere mansioni altrettanto impegnative.
La percezione di fragilità generava una forte auto-commiserazione che le
conferiva il vantaggio di impietosire il responsabile. A lungo andare, però, stava
danneggiando la paziente, la quale iniziava a dubitare delle sue reali capacità
e, soprattutto, agiva un pianto incontrollato e indesiderato.
San Tommaso chiama aegritudo
animae la debolezza o la fragilità delle facoltà, tale per cui l'intelletto
giudica in un modo mentre la volontà si muove in un altro: “Tale situazione,
cioè, è quella che si riscontra quando un individuo ha una valutazione retta di
ciò che va fatto oppure evitato, ma l’appetito, sotto l’influsso della
passione, lo trascina nella direzione contraria”. I Padri della Chiesa la
chiamavano dipsichia[64].
Marchesini – in un capitolo di questo libro – dimostra che “i disturbi
psichici coincidono con l'aegritudo animae”[65].
In passato, l'aegritudo animae
è stata erroneamente identificata con il vizio, cioè con un atteggiamento
volontariamente agito dall'individuo. Oggi, un errore simile si verifica quando
il disturbo psichico è identificato col sintomo, cioè col problema abitualmente
lamentato dal paziente. Possiamo sinteticamente riassumere i sintomi nelle
manifestazioni di alterazione dell'umore (depressione, mania), di rigidità
caratteriale (disturbi di personalità), di episodi ansiosi (fobie, attacchi di
panico, ossessioni), di comportamenti in-sensati (compulsioni, dipendenze).
Qual è il legame che connette il sintomo al disturbo psichico e, quindi, alla
ribellione contro la realtà? Ancora una volta è Marchesini, sulla scia di
Allers e di altri pensatori, ad illuminarci: il sintomo è “un tentativo di
soluzione”[66] del
problema. È il modo, originale e creativo, attraverso cui la persona cerca di
uscire dal conflitto tra la realtà e la pretesa sulla realtà.
Attraverso la descrizione di una
situazione reale, riassumiamo il percorso che inizia con la rivolta e porta
alla nevrosi, seppure schematicamente. Un ragazzo prossimo alla maggiore età,
con un carattere timido ed impacciato, vede sciogliersi la compagnia d'amici
che per tanti anni ha frequentato. All'interno della cerchia possedeva un ruolo
e, quindi, un'identità riconosciuta e valorizzata. Al di fuori, invece, si
ritrova solo e, soprattutto, incapace di costruirsi una nuova realtà. Con le
ragazze è imbarazzato. A calcio è debole. Si vergogna dei propri interessi, che
nasconde agli occhi degli altri. La percezione d'incapacità rimanda al saper
fare, cioè alla valutazione di autoefficacia. Ma il fare è una
conseguenza dell'essere, come ricorda la filosofia tomista (agere sequitur
esse). Dunque l'autoefficacia è una espressione dell'autostima: “un
guscio schermante che protegge il nostro sé dall'entrare in crisi a ogni alito
di vento”[67]. Di
fronte agli eventi egli stima di non valere o di valere poco, di essere meno
degli altri. Un tale giudizio di sé ferisce ed apre alla sofferenza. Per quanto
vero, cioè descrittivo del presente, esso non determina un esito negativo: una
difficoltà può essere affrontata, un problema può essere risolto. Eppure, il
giudizio su di sé rimane inconscio, cioè la mente crea una dissociazione dalla
valutazione che, in forma difensiva, resta lontana dalla coscienza. Non accetta
di essere così. Rifiuta la realtà, cioè la verità. Inizia, allora, la rivolta.
Ribellandosi non solo a se stesso, ma alle conseguenze che il giudizio su di sé
comporta (il doversi “rimboccare le maniche” per cambiare, ad esempio) egli
inventa una o più soluzioni per ovviare all'ostacolo: abbandona la scuola, si
ritira dalle relazioni (e dai confronti), utilizza droghe ed alcol per gestire
i momenti di socialità. I tentativi di soluzione non risolvono il problema.
Essi sono solamente compensazioni che creano, oltretutto, ulteriori difficoltà:
ansia, uno stallo nella carriera scolastica, la dipendenza dalle sostanze, ecc.
Il ragazzo riconosce le difficoltà, intuendo che dovrebbe andare a scuola,
dovrebbe smettere di bere e di fumare, dovrebbe costruire nuove relazioni. Ma
si percepisce impedito di farlo, come se agisse in lui una forza più forte
della sua volontà, una seconda volontà. Cosa brama questa forza? Dove lo porta?
Desidera avere ragione (orgoglio). Pretende di non fare fatica (accidia). Vuole
che la realtà si pieghi alle sue rappresentazioni (superbia). Ecco dunque
illustrato il percorso che dall'ostilità alla realtà (ribellione), generando
sofferenza (aegritudo animae), porta ai sintomi (depressione,
isolamento, dipendenze).
Conclusione
Non molti mesi fa sono stato invitato
presso una facoltà teologica a parlare di omosessualità. Affianco a me sedeva
un monsignore noto agli ambienti clericali per il suo contributo alla teologia.
Non appena l'incontro terminò mi affiancai a lui per raccontargli, con
orgoglio, della strada intrapresa assieme a Roberto Marchesini
nell'edificazione di una psicologia cattolica, sulle orme della filosofia
tomista. Mi aspettavo una conferma ed un incoraggiamento. Invece i suoi occhi
si rabbuiarono e dopo qualche istante di silenzio sogghignò: “Eh non va bene, perché Tommaso non è
in grado di capire la modernità”. Con questo contributo, sulla scia di Rudolf Allers e di
altri psicologi clinici tomisti, Roberto Marchesini testimonia che il pensiero
tomista è un aiuto imprescindibile per comprendere ed applicare la psicologia
contemporanea. Forse, è la modernità a non comprendere appieno Tommaso.
Stefano Parenti
[1] Es 3,14-15.
[2] Platone, Apologia
di Socrate, 20e.
[3] Viene così sintetizzato
l’insegnamento contenuto nella Regola
di San Benedetto.
[5] Roberto Marchesini, Rudolf
Allers, psicologo cattolico, in Rudolf Allers, Psicologia
e Cattolicesimo, D’Ettoris, Crotone 2009.
[6] Ad esempio, nel
recente documentario prodotto dall'ordine degli psicologi italiani, intitolato La
psicologia italiana raccontata a mia figlia, il professor Luciano Mecacci
sostiene: “A mio avviso, le ricerche che ho fatto di tipo storico mettono in
evidenza la presenza in Italia di orientamenti, correnti, di natura ideologica
che hanno condizionato lo sviluppo della psicologia. E mi riferisco al
cattolicesimo, poi all'idealismo in filosofia, poi – forse non ci si aspetta
subito come problema - il marxismo e il ruolo che ha avuto il partito comunista
nell'organizzazione delle professioni in Italia nella seconda metà del
novecento”. Cfr. www.psy.it consultato il 17/05/2014.
[7] “Si usa dire – nota Scabini – che in crisi è la
famiglia ma più propriamente è in crisi la coppia, il legame che li unisce,
elemento fondamentale e sorgivo della famiglia e anche, non dimentichiamolo,
anello di congiunzione e mediatore culturale tra le generazioni”. Eugenia
Scabini, Il mistero nuziale e la sfida di
non lasciare le nuove generazioni davanti a un vuoto d’origine, Avvenire, 20
Maggio 2014.
[8] Claudio Risé, Il
padre l’assente inaccettabile, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1997, pp.
49-70.
[9] “Si va
costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come
definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”
(Joseph Ratzinger, Missa pro eligendo
romano pontefice, 18 Aprile 2005); “Precondizione della pace è lo
smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale
totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge
morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo” (Benedetto
XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace, 8 dicembre 2012).
[10] Scrive
Papa Francesco: “Quando la predicazione è fedele al Vangelo, si manifesta
con chiarezza la centralità di alcune verità e risulta chiaro che la
predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è
una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori”, Evangelii Gaudium, Libreria Editrice
Vaticana, Città del Vaticano, 2013, n. 39.
[11] R. Marchesini, op. cit., pag. 17.
[12] Francesco,
op. cit., n. 102.
[13] R. Marchesini, op. cit., p. 20.
[14] Jacopone da
Todi,
Laude, Olschki, Firenze, 2010, n. 89, v. 112.
[15] Benedetto XVI, Deus caritas est,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, n. 1.
[16] R. Marchesini, op. cit., p. 28.
[17] Ermanno Pavesi, Follia della
croce o nevrosi?, Cristianità, Piacenza 1998.
[18] Giuseppe Mazzocato, Malattia della mente o infermità
del volere?, Glossa, Milano 2004, p. 63.
[19] Ibidem, p. 70.
[20] Ibidem, p. 61.
[21] Ibidem, pp. 35, 37.
[22] Ibidem, p. 67.
[23] Il celebre Leonardo Ancona ha pubblicato un
libro dal titolo Il debito della Chiesa
alla psicoanalisi (Franco Angeli, Milano 2006).
[24] Giovanni Paolo II, Redemptor
hominis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1979, n. 10.
[25] Concilio Vaticano II, Gaudium
et spes, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1965, n. 22.
[26] R. Allers, op. cit.; idem,
The Successful Error. A Critical Study of
Freudian Psychoanalysis, Sheed & Ward, New York 1940.
[27] Lettera
di Rudolf Allers a Padre Agostino Gemelli, 29 Settembre 1936, in Jorge Olaechea Catter, Rudolf Allers psichiatra dell'umano,
D'Ettoris, Crotone 2013, p. 61.
[28] Traggo
tali riflessioni dalle stimolanti lezioni di Ivano Lanzini, presso la Scuola
Europea di Psicoterapia Ipnotica dell'AMISI (Associazione Medica Italiana per
lo Studio dell'Ipnosi), Milano, 2014.
[29] Si veda il corposo saggio di Enrico Cantore, L'uomo scientifico, EDB, Bologna 1988.
[30] Paolo Legrenzi,
Psicologia generale, Il Mulino,
Bologna 1996, p. 18.
[31] Amy Fisher Smith, Incorporating philosophy in every psychology
course and why it matters, in “Observer” 2010, vol. 23, n. 2.
[32] Martìn Federico Echavarria, L'antropologia
tomista quale fondamento della psicoterapia, in R. Marchesini, La
psicologia e san Tommaso d’Aquino, D’Ettoris, Crotone 2012, p. 15.
[33] R. Allers,
in J. Olaechea Catter, op. cit.,
p. 65.
[34] Giovanni Paolo
II, Fides et ratio,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, n. 49. Prosegue: “La
ragione profonda di questa riservatezza sta nel fatto che la filosofia, anche
quando entra in rapporto con la teologia, deve procedere secondo i suoi metodi
e le sue regole; non vi sarebbe altrimenti garanzia che essa rimanga orientata
verso la verità e ad essa tenda con un processo razionalmente controllabile. Di
poco aiuto sarebbe una filosofia che non procedesse alla luce della ragione
secondo propri principi e specifiche metodologie. […] La storia,
tuttavia, ha mostrato le deviazioni e gli errori in cui non di rado il pensiero
filosofico, soprattutto moderno, è incorso. Non è compito né competenza del
Magistero intervenire per colmare le lacune di un discorso filosofico carente.
E suo obbligo, invece, reagire in maniera chiara e forte quando tesi
filosofiche discutibili minacciano la retta comprensione del dato rivelato e
quando si diffondono teorie false e di parte che seminano gravi errori,
confondendo la semplicità e la purezza della fede del popolo di Dio”.
[35] Leone XIII, Aeternis Patris,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1879.
[36] “Anima
forma corporis”, Summa Theologiae I, q. 76, aa. 6 e 7; De Anima, q. 9.
[37] “Io
lo confesso apertamente: fu l’ammonimento di David Hume che molti anni fa
primariamente ruppe in me il sonno dogmatico e diede alle mie ricerche nel
campo della filosofia speculativa tutt’altro indirizzo”; in Marco Sgarbi, Il risveglio dal sonno dogmatico e la rivoluzione del 1772,
Archivio di storia della cultura, Anno XXV, Liguori Editore, Napoli 2012.
[38] Riccardo Luccio in P. Legrenzi,
Storia della psicologia, Il Mulino,
Bologna 1980, p. 40.
[39] Si
rimanda il lettore a: Edward Grant,
Le origini medievali della scienza
moderna, Einaudi, Torino 2001; Rodney
Stark, La vittoria della ragione,
Lindau, Torino 2006; idem, A
gloria di Dio, Lindau, Torino 2011; Euresis,
Sulle spalle dei giganti, Itacalibri,
Castel Bolognese 2005.
[40] Jean-Claude Larchet, L’inconscio
spirituale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2006; idem, Terapia delle malattie spirituali, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2003; idem, Thérapeutique des maladies mentales, Ed. Du Cerf, Parigi 1992; idem,
Théologie de la maladie, Ed. Du Cerf,
Parigi 1991.
[41] Hans Zollner, Il
discernimento ignaziano degli spiriti, La
Civiltà Cattolica, 2005, vol. III, pp. 238-250.
[42] Purtroppo
non ho individuato uno studio storico che argomenti il percorso della
psicologia tomista. Al lettore ritengo utile segnalare: 1) la rassegna di Robert Kugelmann, Neoscholastic psychology revisited, in “History of Psychology”,
2005, vol. 8, pp. 131-175; inserita anche nel suo interessante lavoro Psychology and catholicism: contested
boundaries, Cambridge University Press, 2013; 2) i contributi della “scuola
argentina” focalizzati soprattutto sulla psicologia clinica, i cui testi
principali sono: Ignacio Andereggen,
Zelmira Seligmann, La psicologia
ante la Gracia, Educa, Buenos Aires 1999; M.
F. Echavarria, La praxis de la
psicologia y sus niveles epistemologicos segun santo Tomas de Aquino,
Editorial Ucalp, La Plata 2009.
[43] E. Pavesi, Invito
alla lettura, in R. Marchesini,
La psicologia e san Tommaso d’Aquino,
op. cit., p. 9; E. Pavesi, Dimensione personale dell'uomo e psichiatria
moderna. Alcune considerazioni, versione modificata della relazione Gesundheit und Wahrheit aus psychiatrischer
Sicht tenuta il 6 novembre 1993 alla Theologische Hoschule di Coira.
[44] R. Allers, The
unconscious, in AA.VV., Philosophy
of Science, St. John's University Press, New York, 1960, pp. 131-158 [tr.
it. www.psicologiacattolicesimo.blogspot.com].
[45] Imprescindibile
è il testo di M. F. Echavarria, Corrientes de psicologia contemporanea,
Scire, Barcellona 2009.
[46] Il
neuroscienziato A. Damasio ricorre apertamente alla filosofia per inquadrare i
dati provenienti dalla ricerca clinica e sperimentale. Significativamente, il
titolo del suo libro più noto è: L’errore
di Cartesio (a cui segue, peraltro, Alla
ricerca di Spinoza). Purtroppo, escludendo i filosofi medievali, i suoi
riferimenti sono incompleti. Si può allora parlare di un errore di Damasio!
[47] R. Marchesini, La psicologia e
san Tommaso d’Aquino, D’Ettoris, Crotone 2012.
[48] Ricordo
con dolore l'incontro con un importante esponente della psicologia accademica
che commentò così il mio entusiasmo per Rudolf Allers: “Ma questo è un
signor nessuno!”.
[49] Presenta
questo inconveniente il bel testo di Daniele Mugnaini e Stefano Lassi dedicato alla Metapsicologia cattolica (EDB, Bologna
2009).
[50] Renzo Titone, Rudolf
Allers psicologo del carattere, La Scuola Editrice, Brescia 1957,
p. 27.
[51] Ibidem, p. 31.
[52] R. Allers, The Freud
legend, in “Thought”, n. 9, pp. 199-209.
[53] R. Allers, The
unconscious, op. cit.
[54] Agostino d'Ippona, Confessioni, VII, 9, 21.
[55] R. Allers,
Psicologia e pedagogia del carattere, Sei, Torino, 1961, p. 79.
[56] Luigi Giussani, Il senso
religioso, Rizzoli, Milano 1997, p. 46; il quale cita proprio le Quaestiones
disputatae de veritate di Tommaso (q. 10, art. 8 c.): “In hoc aliquis
percipit se animam habere et vivere et esse, quod percipit se sentire et intelligere
et alia huiusmodi opera vitae exercere” (“I fattori costitutivi dell’umano si percepiscono là dove sono
impegnati nell’azione, altrimenti non sono rilevabili, è come se non fossero,
vengono obliterati”, p. 48).
[57] Summa Theologiae,
II-II, q. 15.
[58] M. F. Echavarria, La praxis de la psicologia y sus niveles
epistemologicos segun santo Tomàs de Aquino, Editorial Ucalp, La Plata
2009, pag. 204.
[59] R. Allers, Réflexions
sur la pathologie du conflit, in Etudes Carmèlitaines, 1938, n. 23,
pp. 106-115 [tr. it. Riflessioni
sulla patologia del conflitto,
www.psicologiacattolicesimo.blogspot.com].
[60] Z. Seligmann, Psicoterapia: un camino de conformidad, in I Andereggen, Z. Seligmann, op. cit., p.
29.
[61] Cfr.
J. Olaechea Catter, op. cit.
[62] R. Allers,
Psicologia e pedagogia del carattere, Sei, Torino 1961, p. 295.
[63] Idem, Psicologia e Cattolicesimo,
op. cit., p. 102.
[64] J. C. Larchet, Terapia delle
malattie spirituali, op. cit., p. 329.
[65] Anche
in Aegritudo animae e disturbi psichici, Studi Cattolici, n. 616, giugno
2012, p. 445.
[66] R. Marchesini, Omosessualità maschile, Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum, Roma 2011, p. 109. L'autore parla in riferimento
all'omosessualità, ma il sottoscritto ritiene che la concezione sia
generalizzabile ad ogni sintomo.
[67] R. Marchesini, Quello che gli uomini non dicono, Sugarco,
Milano 2011, p. 79.
Invece i suoi occhi si rabbuiarono e dopo qualche istante di silenzio sogghignò: “Eh non va bene, perché Tommaso non è in grado di capire la modernità.
RispondiEliminaIl cretino è stato palesemente allevato alla Scuola dei Soffiatori di carbone. Che getti la veste alle ortiche. E' meglio per lui.